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Autore: diciannovegennaio    26/06/2013    3 recensioni
< Si chiamava Hadelaide Bennett. – cominciò perdendosi nei ricordi. – Io non sapevo neanche che si chiamasse così. A scuola era conosciuta semplicemente come ‘La Bennett’. Cosa assurda, a parer mio: Hadelaide è un nome bellissimo, non credi anche tu Julio? > domandò rivolgendosi all’uomo che, annuendo, sorrise.
< Lei e i suoi amici erano la ‘feccia’ dell’intera scuola. Si dicevano molte cose brutte su di loro e soprattutto su Hadelaide. – Zayn sorrise, sinceramente divertito. – E’ incredibile: mi sono innamorato di lei nonostante tutti quei pettegolezzi, fossero veri. >
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Nuovo personaggio, Un po' tutti, Zayn Malik
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate, Violenza
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Con questo mio scritto, pubblicato senza alcuno scopo di lucro, non intendo dare rappresentazione veritiera del carattere di queste persone, né offenderle in alcun modo.
Riferimenti a persone o fatti sono puramente casuali.


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< E’ una lunga storia. >
 < E’ una bella storia? >
< E’ una storia lunga e complicata. >


 

 Capitolo uno.
 

 Studiò con attenzione la sottile linea di luce che si era creata sulla superficie fredda e scura della scrivania. Entrava dalla finestra socchiusa, proprio di fronte a lui, e percorreva il suo cammino illuminando tutto ciò che incontrava, come se tutto fosse destinato a essere riscaldato: i fogli, i libri, le penne. Come se tutto fosse suo. Anche lui, seduto sulla poltrona nera di pelle, sentiva il suo calore. Con lo sguardo prese a percorrere tutta la scia di luce fino a che, nella sua visuale, entrarono le sue grandi mani, immobili sopra la scrivania. Lentamente iniziò a muovere le dita senza toglierle dal fascio di luce, incurante del resto della stanza che rimaneva al freddo e al buio. Sentiva i polpastrelli scaldarsi e spostando la testa di lato, anche i suoi occhi furono presi d’assalto. Li socchiuse per poi riaprirli e godendosi quell’offuscamento luminoso. 
Era divenuto anche lui una semplice presenza che quella linea di luce era riuscita a fare sua. Già una volta aveva calzato quei panni. Già una volta si era ritrovato a essere investito da una luce così potente da renderlo cieco. 
L’amore. 
Non avrebbe mai detto che l’amore, proprio quello che rendere tutto ancora meraviglioso, lo avrebbe strappato alla realtà per poi gettarlo in un burrone di malinconia. Il suo cuore sentiva ancora la stretta irremovibile di una forza ancor più grande di lui e di tutto quello che lo circondava.  Si sentiva ancora succube di una presenza che però era assente, e viveva di un amore ormai morto.
Come faceva? I ricordi. 
I ricordi erano il suo ossigeno, e allo stesso tempo la lama che lo trafiggeva ogni volta che si allungava al desiderio di toccarsi. Ancora una volta. Magari per sempre.
Respirò l’aria che, invisibile, galleggiava per tutta la stanza. Chiuse gli occhi e si concentrò solamente sul calore di cui solo una piccolissima superficie della sua pelle poteva godere. In quei momenti era impossibile non domandarsi il perché. Qual’era il senso di tutta la sua vita? Quella era ormai una domanda fissa, che lo faceva stare sveglio la notte e che lo trascinava in un mondo parallelo. Spesso li capitava di scordarsi di ogni cosa, anche del suo nome. Solo una parola rimaneva stampata nella sua mente; solo una domanda. Perché?
 < Qual è lo scopo di tutto questo? > domandò con voce bassa, quasi timoroso di spezzare quel silenzio, ormai amico.
 < Non lo so. Tu che scopo pensi che abbia, Zayn? > 
Già, qual’era lo scopo? Se lo domandava nell’arco delle sue giornate, ma mai era riuscito a trovare una risposta. Com’era arrivato a quel punto?
 Si alzò, sotto lo sguardo attento del Dott. Thompson. Continuò a seguire la linea di luce, prima con lo sguardo poi camminandoci sopra, percorrendola. Arrivò alla finestra e allungando le sue mani, toccò le fini tende di seta. Afferrandole le fece scorrere; una destra e l’altra a sinistra. Fu investito totalmente dalla luce tiepida del tramonto. Osservò come il sole si lasciava nascondere dai palazzi alti della bella Londra. Era stato baciato da un raro raggio di sole.
 < Credo che si sia scordato di raccontarmi qualcosa. > intervenne il dottore. Si voltò a guardare l’uomo con un cipiglio confuso. Il Dottor Thompson era un uomo panciuto con la barbetta, e un paio di occhiali tondi che ricadevano sul naso lungo. Era vecchio e questo si poteva notare dai capelli bianchi e dalle rughe delle guance: aveva sessant’anni ma una mente brillante.
 < Non la seguo, Dottore.> ammise. 
 < Chiamami Julio. >
 < Che cosa intendi dire? > domandò.
L’uomo si sistemò meglio sulla sua poltrona, senza staccare i suoi occhi azzurri da quelli color caramello di Zayn.
 < Mi hai parlato della tua insoddisfazione. Hai detto che ti senti costantemente vuoto e che la tua vita ha perso di senso. Adesso dimmi cosa ti ha portato a sentirti così. >
Le spalle di Zayn s’irrigidirono. Non voleva parlare della causa. Non voleva rivivere i ricordi. Voleva solo liberarsi da quel peso sullo stomaco, voleva solo continuare a vivere senza sentire quel vuoto dentro di sé. 
 < Non voglio. > disse.
 < Zayn, non posso aiutarti se non mi racconti tutta la storia. >
Il suo piede picchiettava sul pavimento tentando di trovare una soluzione. I suoi denti trovarono le sue stesse labbra cercando qualcosa da dire. I suoi occhi facevano su e giù per la stanza desiderando una via di scampo.
 < Vuoi fuggire? >
Zayn si fermò e guardò Julio. < No, io ... >
 < Bene, perché scappare non ti aiuterà. Puoi pure uscire da qui per non volerne parlare, ma il tuo tormento non si placherà. Devi affrontarlo, guardarlo negli occhi e comprenderlo. Devi conoscere il tuo “nemico” e cercare di combattere contro di lui. >
 < Questo significherebbe combattere contro di me. > rispose.
 < No, significherebbe trarre forza dalle tue paure, dai tuoi dolori per poter trovare la pace. >
Continuò a fissarlo per un paio di secondi che parvero interminabili, e poi spostò lo sguardo di nuovo fuori dalla finestra, oltre quel vetro appannato. Osservò le strade affollate dal sesto piano di quell’edificio e si meraviglio di quanto gli essere umani fossero piccoli.
 < Sai perché mi sono trasferito a Londra? > domandò.
 < No. >
 < Perché una persona che conoscevo mi diceva sempre che era il suo sogno. Diceva che a Londra tutte le cose sono migliori: le persone, i negozi, il cibo. Mi diceva che questa è la città dove avrebbe vissuto, un giorno. >
 < Questa persona... E’ una persona importante, nella tua vita? >
Zayn rise: una risata amara e del tutto priva di allegria. 
 < E’ una lunga storia. > rispose.
 < E’ una bella storia? > chiese.
 < E’ una storia lunga e complicata. >
 < Non hai risposto. >
 < Non so se ‘bella’ è l’aggettivo corretto. >
 < E che aggettivo useresti? > 
Zayn posò di nuovo lo sguardo sul dottore per poi tornare a sedersi sulla poltrona di pelle nera. Di nuovo la scia di luce lo illuminò. Non si era spostata di un solo millimetro, l’aveva aspettato paziente.
 < Non saprei. > rispose.
 < Pensaci. Chiudi gli occhi e pensa a un aggettivo. > lo spronò Julio con pazienza, accavallando le gambe.
Zayn lo ascoltò e chiuse i suoi occhi, lasciando che la sua mente si aprisse. Ripensò per l’ennesima volta a tutto quanto. Ripensò a ogni cosa che aveva vissuto e a ogni cosa che invece aveva perso. Ripensò a tutte quelle volte che aveva pregato che la sua vita non cambiasse mai, e a quelle in cui invece aveva sperato essere qualcun altro.
 < Caotica, molto. E abbastanza felice. Però è anche difficile, una di quelle storie che devi vivere per capirle fino in fondo. C’era sempre qualcosa che ti fa toccare il cielo con un dito, ma di conseguenza qualcosa ti fa sfracellare a terra. Devi correre. Non puoi permetterti di fermarti a prendere fiato perché potresti perderti per la strada. Devi stare al passo, perché è una storia imprevedibile e confusa. Neanche io ci ho capito molto. So solo che viverla ha fatto si che cambiassi la visione delle cose. Però .. >
 Zayn si fermò, abbassando lo sguardo e cercando le parole giuste da dire. Era così difficile rendere giustizia ha quello che aveva vissuto. Era così ingiusto che dovesse raccontarlo e non più viverlo. Ci pensava sempre, ogni volta che restava solo ma anche quando la folla lo circondava. Li mancava ogni cosa, ogni attimo anche il più arduo. 
 < Però? > lo sollecitò il dottore.
 < Quando questa storia ha avuto la sua fine, ho smesso un po’ di vivere, limitandomi a sopravvivere. >
 < Hai voglia di raccontarmela? > chiese Julio.
 < Fa male. >
 < Il miglior modo di abbattere il dolore è affrontarlo. > 
 < Forse sono troppo debole per rivivere tutto di nuovo. >
L’uomo sorrise, comprensivo. < Sei giovane, è normale aver paura. Ma io starò qui. Non mi muoverò.>
 < Davvero? >
 < Davvero. >
Zayn guardò l’uomo negli occhi, leggendoci la sincerità e l’incoraggiamento che li stava dando. 
 < Si chiamava Hadelaide Bennett. – cominciò perdendosi nei ricordi. – Io non sapevo neanche che si chiamasse così. A scuola era conosciuta semplicemente come ‘La Bennett’. Cosa assurda, a parer mio: Hadelaide è un nome bellissimo, non credi anche tu Julio? > domandò rivolgendosi all’uomo che, annuendo, sorrise.
 < Lei e i suoi amici erano la ‘feccia’ dell’intera scuola. Si dicevano molte cose brutte su di loro e soprattutto su Hadelaide. – Zayn sorrise, sinceramente divertito. – E’ incredibile: mi sono innamorato di lei nonostante tutti quei pettegolezzi, fossero veri. >
Si perse di nuovo tra i ricordi, i sorrisi, le lacrime, le gioie e gli addii. Quegli addii che sgraffiano l’anima, il cuore e tutto ciò che ti resta. Rendendo malandata e insignificante ogni cosa, come la vita. Soprattutto la vita.
   
 
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