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Autore: Phoenixstein    27/06/2013    2 recensioni
Era la prima volta che sparava da quando aveva iniziato il programma di addestramento dell’esercito e si stava rivelando un disastro.
“È la terza volta che fallisci, Ian. Concentrati. Sei sempre stato un buon tiratore. Non è proprio possibile che tu non riesca a beccare quel fottuto cerchio rosso.” si disse, con le lacrime che gli sfocavano i contorni del bersaglio rendendolo traballante. Come se non bastasse, la presa che aveva sull’arma non era sicura come avrebbe dovuto essere; gli tremavano le dita attorno all’impugnatura e non riusciva a tener ferma la colonna vertebrale.
/// GALLAVICH WEEK - Day 5: MY CREYS /// aka "quando anche reggere fra le mani una pistola fa troppo male"
Genere: Angst, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Ian Gallagher
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
- Questa storia fa parte della serie 'Gallavich Week - Giugno 2013'
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Gallavich Week. Day 5 (June 27th) - My creys

(time for the angst works)

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Quella che ho scritto per oggi è la ff più corta,
ma anche la prima ad essere uscita dalla tastiera.

Non sono sicura che sia tanto angst, però avevo già
descritto la loro separazione dal punto di vista di Mickey,
quindi volevo provare con Ian. Spero non sia proprio un
disastro...

Ci sono problemi tecnici con la mia Ceci, quindi per il
momento niente cover. (luv u, babe)

 

 

Shot through the heart

 

 

 

Era la prima volta che sparava da quando aveva iniziato il programma di addestramento dell’esercito e si stava rivelando un disastro.
“È la terza volta che fallisci, Ian. Concentrati. Sei sempre stato un buon tiratore. Non è proprio possibile che tu non riesca a beccare quel fottuto cerchio rosso.” si disse, con le lacrime che gli sfocavano i contorni del bersaglio rendendolo traballante. Come se non bastasse, la presa che aveva sull’arma non era sicura come avrebbe dovuto essere; gli tremavano le dita attorno all’impugnatura e non riusciva a tener ferma la colonna vertebrale.

«Gallagher! Che diavolo stai facendo? Ti manca la mamma? Contegno, sei nell’esercito!» urlò il sergente incaricato di supervisionare quello specifico addestramento preliminare. Ian scorse con la coda dell’occhio uno dei compagni, un certo Tennison del cazzo, scuotere la testa, farsi una ghignata in solitaria e lanciargli una rapida occhiata di scherno.

Stuzzicato nell’orgoglio di giovane uomo e di soldato, Ian si sfregò in fretta gli occhi col dorso del polso e spazzò via le lacrime senza tante cerimonie. «Nossignore!» ringhiò, mirò. Il proiettile con un fischio andò a conficcarsi al centro esatto della testa del sagomato.

Ce l’aveva fatta, cristo, finalmente.

Il fatto è che, adesso, dopo un po’ di cose accadute nella sua vita, reggere fra le mani una pistola era come un morso che affondava impietosamente nel pericardio e gli tranciava via il cuore di netto.
Nella sua testa il calcio del revolver andava ancora a schiantarsi contro la faccia di Mickey per togliergli i sensi. E lo scoppio dei colpi che esplodevano dalla canna sapeva di tutte le volte in cui quel ragazzo difficile aveva barricato dietro la facciata da duro un’angoscia commista di silenzi e paure.
Il loro stesso amore era stato come una serie di spari: li aveva travolti con violenza e li aveva ridotti a corpi crivellati che cadevano in pezzi, con tante mancanze profonde come voragini impossibili da riempire se rimanevano uno lontano dall’altro.

Per quello Ian non vedeva l’ora di passare al fucile di precisione M24.
Perché era come se su ogni pistola fosse inciso a caldo il nome “Mickey Milkovich”.
Pensò anche che probabilmente se fosse stato lì, Mickey avrebbe fatto assaggiare polvere e sangue a Tennison lo stronzo che continuava a guardarlo come se fosse un poppante. Ma no, Mickey era a Chicago, basta.

Ian serrò l’occhio sinistro, puntò con forza gli scarponcini nello sterrato, irrigidì le spalle e la cassa toracica, e poi sparò di nuovo. Si chiedeva se quel dolore atroce sarebbe mai diminuito.

 

 

 

   
 
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