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Autore: Subutai Khan    27/06/2013    0 recensioni
Mai sentito parlare di Bokurano, vero? Lo immaginavo. Siete un branco di irrispettosi dei veri capolavori.
Beh, questa grave lacuna sta per essere colmata. In salsa Ranma, chiaramente, perché le cose troppo semplici non ci piacciono.
Genere: Angst, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Akane Tendo, Ranma Saotome, Ryoga Hibiki, Tatewaki Kuno, Ukyo Kuonji
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'Bokurano 1/2'
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10 marzo 1989
“Sono impazzita del tutto, vero?”.

Butto uno sguardo sufficiente nella sua direzione. Ukyo ha la testa svaccata contro il bancone e le braccia mollemente stese in avanti, come fossero due palloncini sgonfi.
E meno male che le piastre sono spente.
“A cosa ti riferisci?” non posso trattenermi dal chiedere. Anche se sospetto la risposta.
“Come a che cosa? A quella cazzata galattica che noi furboni abbiamo fatto quattro giorni fa davanti al Nekohanten. Non puoi non ricordartene, santo cielo”.
Sospettavo bene. Ma non prendermi in giro, Kuonji. È ovvio che me lo ricordi.
Abbiamo buttato entrambe le nostre vite nella tazza, in quell’occasione. Io non sarò un plurilaureato, ok, ma non è piacevole sentirsi così tanto sottovalutato.
“Ukyo, eddai. Mi ricordo cos’è successo”.
“Non sembrava...”.
Sì, va bene. Continuiamo a sfottere il maiale che è così semplice e divertente.
Ma d’altronde che posso dire per... consolarla? Farglielo dimenticare?
Non è cosa da cui ci si può consolare, né tantomeno che si può dimenticare.
Siamo morti. Tutti e due.
Non è potremmo. Non c’è forse. Nessun salvataggio in extremis.
Siamo. Morti.
E non abbiamo neanche la consolazione di possibili bugie o inganni. Abbiamo visto Ranma, il primo di noi condannati.
Ha steso il suo avversario, dopo un combattimento non troppo difficile o lungo e da cui è uscito praticamente illeso, ed è cascato per terra come un sacco svuotato.
Nessuno si è preso la briga di controllare le sue condizioni. Sapevamo.
Akane ha raccolto il suo corpo, distrutta come mai l’avevo vista, e l’ha riportato a casa Tendo. Non so se i loro parenti siano a conoscenza di questa mostruosità. Non riesco neanche a stabilire se sarebbe bene o meno che ne siano al corrente, tanto che lo sappiano o no a loro arriverà comunque una mazzata fra capo e collo.
E poi, onestamente, chissenefrega. Mi viene da fare il paragone fra la loro situazione e la mia, in termini di genitori e affini, e sento pungermi gli occhi davanti all’impietoso confronto.
“Ricordami perché l’abbiamo fatto” riprende, alzando gli occhi verso di me. Sbaglio o sta... per favore, non farlo. Fa male.
“Vuoi sapere perché l’ho fatto io o perché l’hai fatto tu?”.
“È uguale, tanto la depressione non se ne andrà in nessun caso”.
Inspiro. Non è facile ricordare il momento in cui hai deciso di smettere di vivere.
Mi avvicino a lei e mi siedo su una delle seggiole per i clienti. Voglio esserle accanto.
“Ma sul serio devo ricordartelo? Poi sono io lo smemorato, qui”.
“No, non sul serio. Esattamente come te mi ricordo tutto, alla perfezione. Ma in questo momento ho lo strano bisogno di sentire una voce non mia riepilogare la peggiore stupidata di cui mi sono resa colpevole. E dire che ne ho fatte a tonnellate, di idiozie”.
“Ti sei addolcita in questi ultimi secondi, vedo. Non l’avevi definita cazzata, prima?”.
“Sì, l’avevo fatto. Ma non sono sempre in vena di volgarità”.
“Oh, anche Ukyo sa tenere a freno la lingua ogni tanto”.
“Sei spiritoso quanto una scarpa bucata”.
“Non togliermi anche quello, per favore. È forse l’unica cosa che mi è rimasta”.
“Dio, abbiamo sedici anni e stiamo qui a parlare della morte incombente come due centenari. Cosa ci ha posseduto in quei momenti per spingerci a tanto con le nostre stesse mani?”.
“Vediamo se riesco a riassumere per entrambi: io l’ho fatto innanzitutto perché non volevo essere da meno di Ranma, che era saltato a bordo del vagone con la velocità di un furetto imbizzarrito. Quel cretino non aveva fatto il minimo filtro fra la propria decisione e le conseguenze che avrebbe portato e non sono riuscito a evitarmi di scendere al suo stesso, preistorico livello. Se lui era disposto a fare il sacrificio ultimo perché io non avrei dovuto? Imbecille di un Hibiki. Ma, come spero ti ricorderai dal nostro discorso mentre decidevamo, non è l’unico motivo che mi ha spinto a farlo”.
“Sì, ricordo...”.
“Ho trovato, in questa cosa da malati mentali, uno scopo per la mia vita. Ero e sono stufo di passare gran parte del mio anno tipo a girovagare per il Giappone senza neanche la fotocopia di una possibile meta. Quando giungo qui a Nerima è sempre, e sottolineo sempre, per puro caso. È vero, ho qualcuno che mi scalda il cuore qui e sai a chi mi riferisco, ma è pur sempre una coincidenza fortunata a spingere i miei piedi. La maledizione della mia famiglia è terribile, anche se a te e agli altri può sembrare una specie di barzelletta. Ti costringe a vivere alla giornata privandoti di ogni misera, pallida possibilità di fermarti da qualche parte e provare a costruire qualcosa di più duraturo. Quando mi si è schiusa davanti questa opzione...”.
“... hai visto una via d’uscita. La peggiore, ma una via d’uscita”.
“Esatto. È stata una scelta sofferta, nonostante tutto, perché anche se non avevo il miraggio di poter ottenere un minimo di stabilità da questa mia esistenza da vagabondo... beh, non ero ancora arrivato al punto di voler farla finita. Però amen, è andata. Non serve star qui a recriminare e a piangere sul latte versato, soprattutto visto che la bottiglia della latteria non è caduta per un incidente ma l’abbiamo rovesciata noi stessi”.
“Sei cinico, Ryoga. Come non credevo potessi essere”.
“Vedere Ranma morto mi ha dato un’altra prospettiva. E mi ha fatto tornare in mente che ho scelto questa via anche perché significava sacrificarsi per un’alta causa, cioè la salvezza del mondo. Sempre che la tua bizzarra teoria sul fatto che lui ci abbia mentito non sia vera”.
“Non rinfacciare, simpaticone. Non riesco a togliermi dalla testa l’idea che possa averci preso per il culo tutti quanti, ecco”.
“Ti è tornata addosso la volgarità”.
“Beh, scusa tanto se mi viene da infervorarmi. Se avessi ragione...”.
“... andremmo a morire inutilmente, già. Ma il fatto che Ranma non sia più qui con noi porta indizi verso la sua versione, non verso la tua”.
“Per quel che ne possiamo sapere l’ha ammazzato lui in qualche modo strano e sta cercando di...”.
“Ukyo, per favore. Finiscila”.
“Eh?”.
“Stai cercando di aggrapparti a un’illusione, per come la vedo io. L’illusione di trovare scampo da quanto ci guarda dall’alto mentre scende in picchiata come un falco sulla preda. E non fa bene perdersi in qualcosa di falso”.
“Sì, ma...”.
“Ukyo, guardami bene: io e te, insieme a tutti quegli altri pazzi, siamo morti. M-o-r-t-i. Preferisco evitare di pensare a cosa succederebbe se perdessimo, ma non è neanche questo il punto del mio discorso. Il punto è: mettitelo bene in testa e non lasciarlo scappare. Sono sicuro che là fuori, nel mondo che resterà dopo di noi, c’è qualche esimio psicologo che ha studiato approfonditamente la negazione della realtà, magari suddividendola persino in fasi. E sono anche sicuro che questo professorone ti farebbe una bella lavata di capo, in questo istante. Mi rendo conto che affrontare il nostro futuro è devastante, sono il primo a subirlo assieme a te, ma non serve a niente voltare la testa dall’altra parte sperando che se ne vada da sé. Non lo farà. È qui per restare. Gli puoi tirare sassi per scacciarlo, lo puoi supplicare di far finta di nulla, puoi tentare di corromperlo con una mazzetta ma non servirà. Dimmi, vuoi che il tuo ultimo periodo sia una continua rincorsa alla scusa, alla bugia, a ciò che non è? O preferisci vivere più serenamente che si può... e so che è poco, ti capisco... il tempo che ti rimane?”.
“Ora credo di ricordare perché ti ho chiesto di rimanere qui all’Ucchan a farmi compagnia, sin da quel giorno...”.
“Faccio quello che posso. Ma non avevi reale bisogno di me, a parte per questi momentacci di sconforto. O devo snocciolare ad alta voce, a vantaggio di nessuno, perché ti sei immischiata in questa cosa?”.
“Te l’avevo chiesto, puoi far che farlo”.
“Allora, vediamo se mi riesce di citarti testualmente: “Sento... sento la necessità di farlo, per qualche cazzarola di motivazione insulsa. Forse è solo uno sciocco modo per non sfigurare di fronte ad Akane, che ha preso la palla al balzo come il miglior giocatore di basket americano. O forse è un modo per nobilitarmi più di quanto meriti, dicendomi che sto andando a morire per il fato del mondo e sentirmi così migliore di quella subdola, squallida ragazzina che ha cercato di conquistare l’amore di Ranma con sotterfugi degni del peggior verme. Non che mi senta davvero al livello di Shan-Pu o Kodachi, persino io non scavo così tanto. Ma sono stata molto poco leale, in questo gioco a premi, e una parte di me vuole scrollarsi di dosso la fastidiosa sensazione di sporco. Quale modo migliore per lavarsi la coscienza che essere una dei sette martiri?”. Sì, se non sbaglio dovrei essere andato molto bene”.
“Confermo. Sei stato praticamente perfetto. Poi tu, birichino come sempre, hai aggiunto: “Ehi Ukyo, non sarà mica perché Ranma, non appena abbiamo cominciato a parlare di questa possibilità, si è girato verso Akane intimandole di starne fuori e ha smesso di considerare il resto del mondo?”. Qualcuno dovrebbe tagliarti quella linguaccia biforcuta, Hibiki”.
“Ahahahahahahahah. Ukyo, mi fai morire. E non scherzo, mi diverti davvero. Hai un’acidità così... Kuonji”.
“Se non fossimo già sul miglio verde ti tirerei il collo, sappilo”.
“Minacce vuote come il mio stomaco dopo otto giorni di giri a casaccio per la campagna del Kansai. Puoi fare meglio di così”.
“Oh sì, hai ragione. Posso proseguire quel discorso: “E per te non sarà mica perché Akane, proprio in questo preciso momento, sta sussurrando qualcosa all’orecchio di Ranma? Tipo quanto lei lo ama?”. A giocare sleale siamo capaci in due. Uuuuuh, ecco il prode Ryoga Hibiki che passa sulla sua faccia tutte le tonalità dell’arcobaleno. Checcarino”.
“N-Non... sei per nulla gentile...”.
“Mica volevo essere gentile, difatti. Ti restituivo il colpo sotto la cintura”.
“... siamo due casi umani, non è vero?”.
“Penso dei peggiori”.
“Mi fa piacere vederti un pochino più tranquilla, almeno. Essere spernacchiato è servito a qualcosa”.
“Sì, ti devo ringraziare. Il cuore mi tornerà in gola quando sarà l’attimo decisivo, ne sono certa. Ma, almeno per un po’, credo che riuscirò a essere più serena. E se fossi rimasta da sola...”.
“Rimuginare in solitudine sulla morte che sta per bussare alla tua porta... no, non lo augurerei neanche al mio peggior nemico”.
“Ranma?”.
“Pfffff. Ho detto peggior nemico, non coetaneo con cui sei nemico un giorno e amico quello dopo. O qualcosa del genere. E poi lui è già andato”.
“Gesù, piantala di essere così brutale. Ho capito che mi conviene accettarlo. Lo dico sul serio. Ma puoi evitare di riportare a galla l’argomento ogni venti secondi, lo sai?”.
“Sì, hai ragione. Mi piace atteggiarmi da uomo tutto d’un pezzo ma pizzica anche me. Meglio evitare, almeno finché non toccherà a uno di noi”.
“Anche se capisco la necessità di condividere con qualcuno...”.
“È per questo che mi hai invitato a restare qui, no?”.
“Sì, principalmente è per questo. Non avrei sopportato di affrontarlo in solitudine. Sarei schiattata di crepacuore prima del tempo. E poi, se ben ricordi dopo il combattimento di Ranchan, lui ha guardato verso di noi. Ho la sensazione che intendesse farci capire che era il nostro turno”.
“Poteva anche dircelo, quello stronzo”.
“Toh, anche gli Hibiki sanno dire le parolacce”.
“Scusa. Ma mi sarà concesso essere un poco nervoso all’idea, spero”.
“Hai voglia. Anzi, finora sei stato fin troppo flemmatico”.
“Mica ho preso fuoco...”.
Flemmatico, non infiammabile. Mi sento come una che distribuisce perle ai porci”.
“Non sai quant’è vero”.
“Eh?”.
“Hai presente P-chan, no?”.
“Certo”.
“Portami un bicchiere d’acqua calda e uno d’acqua fredda, per piacere”.

12 aprile 1989.
SCROCRONCH.

Una spatolata formato famiglia conclude lo scontro.
Ukyo ha vinto. Almeno per un altro po’ la nostra terra è salva.
Osserva il suo avversario, un ragazzo appena più grande di noi. Pelato e vestito d’arancione. Io non me ne intendo, ma mi sa proprio che è un bonzo.
Credo che possiamo considerarci fortunati: a giudicare da come si muoveva era molto, molto inesperto.
Se ci fosse stato un maestro, dalla parte opposta, forse non sarei qui a riflettere.
Gli si avvicina, ansimando. È provata. Ha fatto molta fatica, in effetti, e in certi momenti dava l’impressione di essere in svantaggio. Ma alla fine è riuscita a recuperare brillantemente.
Quasi inciampa. Attenta, su.
Si rivolge al nostro... come chiamarlo? La nostra guida? Il nostro mentore? Non lo so. Lui, ecco.
“Ora...” dice boccheggiando.
“Ora devi concludere, Ukyo Kuonji. È ancora vivo”.
“Questa cosa fa schifo” commenta portandosi una mano sugli occhi. Da qui non riesco a vedere bene, ma penso voglia impedirci di vederla piangere.
“Lo sapevi e hai accettato comunque” sottolinea l’altro.
“Stai zitto!”.
Si accuccia su di lui e tira fuori il coltello che si è portata dietro dalla cucina del ristorante.
“Scusami”.
SZOCK.
È un attimo: si accascia sul suo corpo, finendo in ginocchio e con la testa sul suo petto.
No. No. Non voglio...
Non è Akane, che accanto a me si trattiene a malapena dallo scoppiare in lacrime.
Nessuno si muove.
Nessuno tranne Kuno. Guarda Jun in faccia, chiedendogli silenziosamente qualcosa che non riesco a capire, e ottiene una risposta affermativa.
Raccoglie il cadavere.
“Se nessuno di voi ha da ridire” comincia “intendo occuparmi delle esequie e della sepoltura della valorosa Ukyo Kuonji. E di tutti coloro che non hanno un’anima pia a cui rivolgersi per codesto ingrato compito, almeno finché i kami vorranno concedermelo”.
Non una protesta. Credo che lo shock nel vederlo comportarsi in maniera così dignitosa sia troppo da digerire.
Cavolo, il mondo sta davvero per finire.

The bells again, someone has died
the bells of the end toll to remind
that life is but a race against time
   
 
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