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Autore: anqis    27/06/2013    7 recensioni
Oliver ha quindici anni e tre quarti, un cestello della spesa giallo smorto sottobraccio e una voglia irrefrenabile di Haribo alla liquirizia, quando incontra per la prima volta Harry Styles, in uno squallido autogrill abbandonato sulla tangenziale. Suo padre la sta aspettando seduto sul cofano della vecchia Nessie, il loro amato camper, e Oliver sa che non si sbriga, quello è capace di premere sul pedale dell’acceleratore e piantarla lì su due piedi.
Harry ha sedici anni e nove mesi, le dita della mani sudate, lo stomaco chiuso e una audizione che stravolgerà la sua vita a poche ore. Ha bisogno delle sue Haribo o si butterà dall’auto in corsa. E non sarà sicuramente Gemma ad impedirlo.
Genere: Comico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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A Gaia, perché non se lo aspetta e ah, chissà quando se ne accorgerà.
E perché mi sono ispirata – ma pocopoco perché in effetti proprio non ci assomiglia – a lei.

 
Haribo.

 
 
 

 
La prima volta che Oliver vide Harry Styles aveva quindici anni e tre quarti ed un cestello della spesa mezzo vuoto sottobraccio. Si trovava in uno squallido autogrill dimenticato sulla tangenziale, nel reparto schifezze, precisamente di fronte alla sezione caramelle, accovacciata precariamente sulle ginocchia. Suo padre la stava aspettando appoggiato al cofano della vecchia Nessie, il loro amato camper.
Seguita dallo sguardo scettico e sospettoso di quello che doveva essere il proprietario della baracca, stava frugando brutalmente tra diversi pacchetti di caramelle di marche sconosciute alla ricerca delle sue adorate Haribo alla liquirizia. Possibile che non ne avessero? Anche il supermercato cinese sotto casa sua ne era provvisto, cavolo. Quando ormai le ginocchia le erano diventate molli e tremanti e la sua vescica era ormai giunta al massimo livello di contenimento, scorse tra due pacchetti di hamburger di gomma una enorme scritta familiare. Si illuminò tanto da far invidia alle consumate lampade al neon che a malapena illuminavano una piastrella del negozio e con impazienza fece per portarsi il pacchetto al petto per stringerlo. Le veniva la nausea in auto se non ne sgranocchiava alcune tra uno stop e l’altro.
Un paio di mani però si intromisero tra lei ed il suo pacco di Haribo. Due mani molto grandi e pallide, con dita da pianista. Alzò lo sguardo, sconcertata da tanta maleducazione, incrociando così una fronte corrugata, molto corrugata, e due grandi occhi verdi bottiglia.
«Mi servono» esordì il ragazzo dopo qualche secondo, con voce strozzata, ma decisa. Oliver non poté fare a meno di pensare che fosse in un certo senso bella, quella voce, bassa e roca quanto bastava, ma ancora un po’ infantile. Sì, le piaceva, anche con quella nota di agitazione stonante che la faceva tremare. E aveva anche un viso piuttosto carino e simpatico, peccato che non l’avrebbe mai ammesso: quel ragazzo si era intromesso in una faccenda piuttosto delicata.
«Scusa?» domandò inarcando le sopracciglia, giusto per dargli una possibile via di scampo. Che ovviamente il ragazzo, testardo, non colse.
«Mi servono» ripeté sbattendo le ciglia lunghe, troppo lunghe per un ragazzo. Sì, nel complesso aveva un viso molto effeminato. «Le Haribo, mi servono» balbettò lanciando un’occhiata all’orologio polveroso appeso al muro, stringendo appena le dita intorno alla plastica.
«Anche a me» replicò tranquillamente Oliver, «O mi viene la nausea in auto» spiegò poi senza un minimo di imbarazzo. Aveva una valida giustificazione, perché non usarla?
Il cipiglio del ragazzo si accentuò scavando tra il solco delle sopracciglia, e si strinse tra i denti le labbra rosee a forma di cuore, «Senti..»
«Oliver» lo aiutò la ragazza senza mollare di un centimetro la presa. Non si lasciava sicuramente distrarre da così poco. Sempre se quel gesto avesse un secondo significato.
«Ecco, Oliver», le piacque il suono del suo nome pronunciato da quelle labbra ed ancora oggi riesce a ricordarlo se si concentra, «Mi servono quelle caramelle, ne va della mia stessa vita. Io senza quelle, non dormo, non mangio, non vivo e non arrivo a fine viaggio con le unghie delle dita» ribatté invece lui.
Oliver si morse l’interno della guancia, la presa intorno al sacchetto allentata di un pochino. Era davvero disposta a concedere a quel ragazzo l’ultimo pacchetto della Haribo ed a sopportare altre ore di viaggio, continui conati di vomito, fino al successivo autogrill? Quasi le venne da ridere, strinse la plastica e con un strattone si mise in piedi, partendo alla rincorsa verso la cassa, una mano affondata nella tasca dei jeans alla ricerca di quelle poche sterline rimaste, il patrimonio di una vita.
Il ragazzo non demorse, infatti sembrava avesse previsto quella eventualità perché subito le fu dietro. Ma non fu abbastanza veloce, Oliver sbatté il pacchetto alla cassa e con quelle le monete che tintinnarono. Non diede il tempo all’uomo di contarle o darle il resto che gli strappò dalle mani lo scontrino e gli urlò “tenga il resto”, per poi raggiungere con la stessa velocità le porte scorrevoli, giusto il tempo di vedere il ragazzo sbattere con forza contro il bancone ed esibire una smorfia di dolore che la fece ridacchiare.
«Ti prego, Oliver!» le gridò quando sentì le porte scorrevoli aprirsi di nuovo alle sue spalle. Sì, le piaceva proprio il modo con cui pronunciava il suo nome. «Te le pago il doppio se vuoi! Il triplo!» propose raggiungendola e stringendole un braccio per fermarla.
La ragazza non riuscì a nascondere il rossore che le intorpidì senza preavviso le guance, sorpresa dalla confidenza del ragazzo. E dal tocco gentile ma decisivo con cui le aveva circondato il polso che stava perfettamente nello spazio tra il pollice e l’indice. Affrontò lo sguardo implorante del ragazzo, confusa da tutta quella insistenza. Nemmeno lei era così inopportuna.
«Dove devi andare?» gli chiese senza pensare.
«Come scusa?» balbettò il riccio, spaesato. Stavano trattando un pacchetto di caramelle nel bel mezzo di una pompa di benzina, alle sette di sera, e lei gli chiedeva quale fosse la meta del suo viaggio?
«Ti ho chiesto dove devi andare per essere così agitato» spiegò scrollando le spalle e liberandosi così dalla presa del ragazzo, «Se me lo dici, forse ti do le Haribo. Se la storia è interessante, potrei anche regalartele».
Il ragazzo la fissò un attimo confuso, e Oliver fu costretta a posare lo sguardo altrove, in soggezione. Non aveva mai conosciuto una persona così inopportuna, anche solo nel guardare la gente. Non era abituata a dover fronteggiare due occhi per più di un minuto, ed era ancora più difficile quando erano così belli. Anche sotto la luce diffusa del lampione riusciva a scorgere le pagliuzze chiare che descrivevano il complesso colore di quelle iridi acquose.
«Mi chiamo Harry» disse poi il ragazzo passandosi una mano tra i riccioli scuri che quasi si confondevano con il buio, «Harry Styles e sono in viaggio con mia madre per Manchester per i provini di X-Factor» disse, nella voce l’emozione e il terrore.
A Oliver bastò quella parola – suo padre e lei passavano i sabati sera a scommettere sui cantanti – per spingere il pacchetto di caramelle nelle mani di quel ragazzo dal viso tenero e dalla voce profonda. Gli augurò con un sorriso buona fortuna e fu sorpresa in senso buono quando lui ricambiò l’augurio con un abbraccio, anche questo inopportuno, ma caloroso.
Quando chiuse con forse troppa forza la portiera del camper facendo sbuffare suo padre, si preoccupò subito di sventolargli sotto il naso lo scontrino del pacchetto di Haribo con un sorriso soddisfatto.
«Non dirmi che hai finito le caramelle tornando all’auto!» esclamò suo padre, sconvolto.
Oliver alzò gli occhi al cielo, «Leggi, papi» gli suggerì.
«Non ho gli occhiali a portata di mano» le ricordò facendola sbuffare.
«Tu e la tua vecchiaia precoce. È l’autografo di un certo Harry Styles a cui ho regalato le mie Haribo e zitto, non dire niente perché l’ho fatto per un valido motivo. Parteciperà ad X-Factor! O meglio, si presenterà ai provini» gongolò sventolando lo scontrino, «Sai quanti soldi posso farci con questo pezzetto di carta?».
«Sempre se li passa i provini. Ti rendi conto di quanti partecipanti ci provano ogni anno? Quanti anni avrebbe questo Harold Styles?».
«Harry, papi, Harry Styles. Comunque, penso la mia età. Ma non conta» sorrise infilando con cura lo scontrino – che avrebbe rimpianto la mattina dopo, ritrovandolo sbiadito ed ormai pezzi dopo la lavatrice – nella tasca. «Avrà successo, me lo sento».
«Hai detto lo stesso con quella brutta copia di Pink che poi è stata squalificata con tre no» commentò suo padre ricevendo un pugno sul braccio. «Ehi, che modi sono? Chi ti ha insegnato queste maniere manesche?».
«Tu papà, e il nonno».
«Dovrò fare una ramanzina al nonno, allora», sorrise complice strappando alla figlia una risata fragorosa ed un altro sbuffo.



La seconda volta che Oliver vide Harry Styles fu a casa sua, seduta comodamente sul vecchio divano rosso, due orsacchiotti gommosi infilati in bocca ed altri dieci in bilico tra le dita. Era da due settimane che seguiva il programma, due settimane che aspettava di vedere due occhi verdi ed una massa informe di riccioli comparire sullo schermo, ma ancora niente. Suo padre era andato già a dormire, stanco di tutte le imprecazioni che aveva riservato a quel ladro di caramelle.
Quando tornò dal bagno con ancora le mani umide e profumate di sapone, quasi scivolò nel riconoscere una bocca a forma di cuore. Con un salto ed un “hallelujah!” gridato senza riservo si buttò tra i cuscini, infilandosi sotto la coperta morbida che sua nonna le aveva confezionato per Natale cucendo tutte le magliette che ormai non usava più.
Ridacchiò spensierata nel sentirlo usare l’aggettivo “pittoresco” scommettendo sulla sua collezione di fumetti che probabilmente era la prima volta che lo usava e che era stata magari sua madre a suggerirglielo. Lo ascoltò senza staccare gli occhi dallo schermo dimenticandosi addirittura delle sue amate caramelle, fino al momento dell’audizione durante il quale quasi si aggrappò inconsapevolmente al tessuto ormai consumato del divano. Era bravo, davvero bravo, pensò quando abbassò il microfono rivolgendo un sorrisino timido al pubblico che lo applaudiva, già conquistato. Dai Simon, potevi lasciargli finire la canzone, no? Sorrise d’accordo con la cantante delle PussyCat Dolls quando disse che era lieta di averlo sentito a cappella, perché “hai davvero una bella voce per avere solo sedici anni”. Scosse la testa rifiutandosi di ascoltare il giudice che gli stava poco simpatico parlare della sua poca esperienza – ma diamine! L’ha detto nell’intervista che ha partecipato ad un concorso e faceva parte di una band! E poi diciamolo, l’età è un fattore che non ha voce a favore quando si tratta di talento! – e quasi cadde dal divano quando Simon – amava Simon, quell’orso burbero dal cuore tenero – commentò con un “rubbish” le parole dell’altro. Harry passò il turno, ed Oliver applaudì forse più a sé stessa che al ragazzo: senza quelle Haribo, Harry non sarebbe neanche riuscito ad arrivare a Manchester.



La terza, quarta, quinta e chissà quante volte dopo che vide Harry Styles furono sempre su una rivista di moda, un programma televisivo, lo schermo del computer.
Era cresciuto, Harry Styles. Aveva perso quei chili di troppo di X-Factor, i riccioli scuri non erano poi più così tanto ricci e la pelle chiara del suo braccio era stata inquinata dall’inchiostro dei tatuaggi. Non indossava più quelle orribili polo che facevano tanto ridere Oliver un tempo, e i pantaloni larghi erano stati sostituiti da jeans skinny. Ma aveva lo stesso sorriso biricchino, gli stessi grandi occhi verdi – di cui Oliver aveva visto tutte le possibili sfumature che potevano assumere – e le stesse fossette nelle guance. Ed Oliver l’aveva visto crescere sotto il suo sguardo attento e forse morboso di fan – perché era impossibile che non lo diventasse – ed era orgogliosa di lui, di loro, dei One Direction. Ma in particolare di lui ed ogni occasione era buona per rinfacciare a suo padre che aveva avuto ragione.
Eppure, ad Oliver un po’ mancava. Mancava per modo di dire, visto che lei, il vero Harry Styles, come tutte le fans o Directioners, non l’aveva mai veramente conosciuto. Aveva visto, si permetteva di dire, solo un piccolo frammento di quel puzzle complesso che era Harry Styles. Però lo continuava a dire alla sua migliore amica, a suo padre, a suo nonno, a sua nonna che le mancava quel ragazzino con cui aveva quasi litigato per un banale pacchetto di Haribo. Le mancavano le twitcam di quattro ore nel bel mezzo della notte a cui lei aveva preso sempre parte, le mancavano tutti i ringraziamenti, le risposte ai tweets delle fans, i signing a cui non aveva mai partecipato, a causa della paura di essere riconosciuta, o meglio di non essere riconosciuta. Perché Oliver pur sapendo che fosse sbagliato nei confronti delle altre fans e di sé stessa, non poteva fare a meno di pensare di essere diversa, ad un gradino un poco più in alto rispetto alle altre. Perché, dai, lei ed Harry Styles avevano litigato per un pacco di Haribo! Non si dimentica mica una cosa del genere! E si aggrappava a questa idea, alla speranza che Harry Styles tra tutte quelle milioni di ragazze innamorate di lui, si ricordasse di quella che gli aveva gentilmente donato l’ultimo pacco di Haribo.
Per questo, Oliver non aveva mai cercato in alcun modo di incontrare Harry Styles. Perché preferiva vivere in questa illusione, in una fanfiction di convinzioni e di false speranze. Perché sapeva che non sarebbe riuscita a reggere al crollo di quella montagna di sabbia che si era creata da sé, granello dopo granello, giorno dopo giorno, di notte in notte. Sarebbe sprofondata.



Oliver piangeva, nascosta nella casetta di plastica di un parco giochi della zona. Piangeva, con le ginocchia strette al petto e la pioggia che picchiettava sopra la sua testa, soffocando i singhiozzi che la scuotevano. Il cellulare vibrò e la suoneria che aveva scelto per suo padre risuonò rumorosa e impertinente. Spense il cellulare, sussurrando uno scusa.
Era successo, alla fine.
L’aveva visto, lui le aveva sorriso, le aveva detto un grazie e poi le aveva consegnato il cd firmato. Il bodyguard l’aveva spinta via e i sogni di altre ragazze si erano realizzati. Oliver si era consolata con il sorriso gentile di Zayn, lo sbuffo scocciato e stanco di Louis, l’abbraccio caloroso di Niall e la stretta di mano di Liam. Quando però il tavolo era finito, una fila infinita di lacrima avevano cominciato a marciare sulle sue guance. Sua cugina che le aveva regalato il pass, le aveva circondato le spalle sussurrandole, «Non devi ringraziarmi», senza sentire l’impercettibile nota differente del suo pianto. Non piangeva di felicità, ma di delusione. E non ce l’aveva fatta, l’aveva scansata ed era corsa via, distrutta. Lo sapeva, eppure fece male.



La venticinquesimilanovecentoquarantatresima volta che Oliver che vide Harry Style, le sue Converse erano diventate ormai degli anfibi – nel senso animali, non modello di scarpa –  talmente erano bagnate, i capelli erano entrati in simbiosi con la sua fronte e al posto di due occhi aveva due bottoni senza vita.
Aveva appena buttato nel carrello della spesa, che lei sempre noleggiava seppur alla fine comprasse massimo dieci articoli, tre barattoli di gelati, rispettivamente cioccolato fondente, tiramisù e frutti di bosco –  perché la frutta fa sempre bene – e una pizza surgelata. Si stava avviando verso la corsia alcolici quando venne richiamata dal reparto dolci. Non si preoccupò delle occhiate strane che un gruppo di ragazzine le furono rivolte, il sussurro di una mamma ad un bambino che gli raccomandava di non avvicinarsi a quella strana ragazza, e giunse di fronte alla sezione di caramelle. Con gli occhi lucidi – chissà perché – fece scorrere le dita sui pacchetti di Haribo, dalle girelle di liquirizia ai delfini, fino a raggiungere l’ultimo pacco, quello con i cuoricini. Se doveva deprimersi per amore, doveva farlo almeno nel modo migliore, no? Si alzò sulle punte dei piedi e strinse a malapena tra l’indice e il medio la confezione, quando una mano comparve nella sua visuale. Corrucciò la fronte e serrò la bocca, ma allora lo facevano apposta. Con uno scatto felino bloccò il polso di quella mano, pronta per trucidarla, o morderla.
Aveva già tirato fuori i denti ed un suono simile ad un ringhio le stava gorgogliando in gola, quando i suoi occhi incrociarono due iridi verdi, contornate da qualche riccio scuro. Harry Styles dei One Direction, il ladro di caramelle, si trovava esattamente di fronte a lei, a neanche un metro di distanza, il volto sepolto da una sciarpa pesante ed un berretto di lana calcato sulla chioma perfetta. E lei, Oliver, sembrava uno zombie appena uscito da un lavaggio della lavatrice. Benissimo.
«Scusa» esordì il ragazzo, la voce profonda e un po’ nasale nascosta dalla sciarpa. Come se bastassero dei semplici pezzi di stoffa a mascherare quel naso – perché diciamolo, il naso di Harry Styles è la chiave di tutto. «Mi fai male» mormorò, sollevando di un millimetro la guancia destra.
Oliver perse un battito, oh cazzo, le stava sorridendo. Sì, il suo sorriso era nascosta da una sciarpa, ma cazzo sì, le stava sorridendo. E forse era meglio così, poiché non era poi così tanto sicura di riuscire a reggersi in piede se fosse stata costretta a fronteggiare quelle fossette, proprio ora che la fronte le bruciava. Mollò di scatto la presa, scottata. Harry Styles lasciò cadere il braccio nella tasca del cappotto scuro, interdetto sul da farsi.
«Le Haribo» continuò poi, imbarazzato dall’intensità dello sguardo di quella ragazza che doveva averlo sicuramente riconosciuto, «Ti direi di tenertele, ma mi servono, sono di vitale importanza» mormorò con fare dispiaciuto, convinto di avere già la vittoria in tasca.
Oliver strabuzzò gli occhi scuri e poi, forse a causa del freddo, delle ossa intorpidite, della fronte calda e dal respiro accelerato, o magari del cuore che aveva impostato il battito a ritmo di samba, proprio non ce la fece e scoppiò a ridere senza alcun riguardo di fronte al ragazzo, il quale arretrò di un passo, confuso. E «Cazzo, Harry, usi ancora questa scusa dopo quasi tre anni di carriera?» bofonchiò tra una risata ed un singhiozzo.
Perfetto, stava ridendo e piangendo allo stesso tempo.
La fronte di Harry intanto si era nuovamente corrugata, proprio come quella volta, ed il solco fra le sopracciglia si era accentuato. Si soffermò con più attenzione sul viso della ragazza e boccheggiò per qualche istante. Fu solo grazie a quel dentino scheggiato che una lampadina impolverata ed ormai lasciata troppo tempo in uno dei cassetti della sua memoria prese a lampeggiare, perché anche Oliver era cambiata, nel corso degli anni. Si era alzata di qualche centimetro – pochi, ma sempre qualcosa -, i capelli un tempo lunghi e del color del grano erano stati accorciati in un taglio maschile e sbarazzino, di cui sua madre tutt’ora si lamentava, e il sorriso storto si era aggiustato, tranne per quella piccola imperfezione. Le lentiggini c’erano ancora, e gli occhi erano rimasti tali e quali: grandi, nocciola e fin troppo espressivi. E colmi di lacrime, in quel momento.
«Oliver?» gracchiò Harry Styles aggrottando le sopracciglia e abbassando di qualche centimetro la sciarpa.
La ragazza chiuse gli occhi per non vedere quelle fossette e perché il suono del suo nome pronunciato da quella voce era tale e quale a quello dei suoi ricordi, forse un poco più roco, ma davvero poco: quella L così lasciva e trascinata e la R quasi dimenticata.
Harry Styles stava ancora aspettando una sua conferma quando aprì gli occhi, perciò annuì, consapevole della voce acuta che le usciva dalla gola quando era particolarmente felice. E vista la situazione, i vetri del supermarket erano in grave pericolo.
Harry Styles la fissò per un istante e lo fece di nuovo, fu inopportuno: di slancio coprì la distanza che li divideva e la attirò a se, facendo combaciare i loro petti. Le braccia lunghe del ragazzo le cinsero la schiena ed Oliver si accorse solo in quel momento di quanto fosse cresciuto il ragazzo. Appoggiò la fronte contro la spalla del ragazzo, anche se nei film romantici lei doveva esser abbastanza alta o lui abbastanza basso da consentirle di appoggiarci il mento, ma loro erano nella vita reale e forse era anche meglio. Inspirò con il naso con la speranza di inebriarsi del suo profumo come aveva fatto più volte nelle sue fanfictions, ma l’unica cosa che ottenne fu il risucchio del muco del suo naso. Sentì le orecchie diventare paonazze e bofonchiò, «Scusa è la febbre» all’orecchio del ragazzo, a sua discolpa.
A quella frase, il ragazzo si staccò subito. Oliver sentì i piedi mancarle sotto terra e per poco non cadde se non fosse stato per la mano di Harry che l’afferrò in tempo per il polso. Esattamente come una volta, si incastrava perfettamente nello spazio tra il pollice e l’indice.
«Scusami, non posso assolutamente permettermi di ammalarmi» si scusò il ragazzo, questa volta davvero mortificato. «Il tour è alle porte e sai, devo mantenermi in salute».
In risposta, la bionda annuì, ma non smise di osservarlo. Si era talmente abituata a fissare i posters di camera sua che di fronte al reale Harry Styles non riusciva a distogliere lo sguardo.  Lui le sorrise, ed allora fu costretta a deviare la traiettoria. Faceva o no più caldo?
Harry per niente scalfito, la prese sotto braccio e si impossessò del carrello della spesa buttandoci dentro tutti i tipi di Haribo sullo scaffale. «Devo ancora ringraziarti come si deve» spiegò facendole un occhiolino. Ora muoio.
«Non è che stai cercando di trattare il pacchetto della Haribo con i cuoricini? No, perché sappi che questa volta non te la do vinta» balbettò, affondando il naso nella sciarpa ancora fradicia di pioggia.
«Touchè, mi ha scoperto» rise lui, e le bastò quella risata per dimenticarsi delle calze bagnate e del giubbotto grondante di acqua. Cosa che invece Harry notò.
«Ma sei bagnata fradicia!» esclamò toccandole gli indumenti, gesto che non fece altro che aumentare il colorito delle guance di Oliver. «E sei caldissima» constatò quando le toccò la fronte con il palmo aperto della mano, fresco.
«Se eviti di starmi così vicino».
«Cosa?».
Cazzo, l’aveva detto ad alta voce. «No, niente.»
«Allora, finiamo questa spesa e poi ti accompagno a casa. Sono con la macchina».
Oliver non ebbe neanche le forze per rifiutarsi – che poi solo una cogliona l’avrebbe fatto. Ciondolò con la testa e lo seguì lungo il tragitto fino alla cassa. Accettò con un sorriso ebete stampato sulle labbra la sciarpa e il berretto di lana – dannato muco che non mi lascia sniffare il profumo di Harry – e salì quasi inciampando nei suoi stessi piedi nell’abnorme Range Rover. Provò con tutta sé stessa ad intavolare una conversazione su qualunque cosa, pensò anche di chiedergli il numero di cellulare degli altri componenti della band, ma l’unica cosa che riuscì a pronunciare prima di crollare con poca eleganza contro il finestrino della portiera fu l’indirizzo di casa sua.
 


Quando si svegliò e si trovò sul divano di casa sua, suo padre addormentato sulla poltrona accanto ed una busta della spesa appoggiato al tavolino quasi si mise a piangere dalla disperazione. Aveva incontrato Harry Styles, lui si era ricordato di lei, le aveva regalato la sua sciarpa ed il suo berretto e lei si era addormentata in auto? Si avventò sul pacchetto di Haribo a forma di cuore – era anche un gentiluomo – e strinse tra le dita lo scontrino che segnava una somma piuttosto alta. Ciò che però catturò la sua attenzione, al dodicesimo cuore salato di lacrime fu una scritta nera. Strinse il foglietto e dopo aver letto, lo accartocciò involontariamente con troppa violenza, pentendosene subito. Tirò subito fuori il cellulare e si registrò quella serie di numeri, e solo quando il nome Harry Styles e il suo numero furono salvati nella rubrica, urlò, svegliando suo padre che ruzzolò in avanti.
 
Ora sei tu quella indebito.
44********** Harry Styles, xx.





 
 

-  note dell’autore.

 
Buon pomeriggio a tutte!
Dopo quasi un mese di assenza, eccomi qua con una nuova one shot!
È da un po’ di tempo che ho problemi con la connessione, infatti prima mi ha abbandonato e ho perso tutto l’HTML della one shot, perciò devo fare in fretta prima che quell’unica tacchetta di connessione mi abbandoni. Appena si ristabilirà, posterò il primo capitolo della mia nuova fan fiction – l’ennesima – e ho preso la decisione di non portarmi avanti. Mi sono accorta di avere questo problema: se non scrivo e pubblico mano a mano, finisco per stancarmi della storia e per estraniarmi a tal punto da non portarla mai a fine. Perciò dai, vediamo cosa ne viene fuori questa volta. Spero bene o dovrò aggiungere anche questo nuovo progetto nella lunga lista nelle storie mai finite.
 
Riguardo alla one shot.. che dire, non trovate sia stupendo il nome della protagonista? Mi piacerebbe riutilizzarlo, ma mi sembrerebbe di usurpare questa Oliver perciò non so. Niente, la dedico ad una mia amica, perché diciamo che senza farlo neanche apposta – me ne sono resa conto alla fine – mi sono ispirata a lei. Ma davvero poco, forse per il camper, il padre stronzo (HAHAH), l’aspetto fisico, ma caratterialmente assomiglia più a me. Voglio dire, proprio non la ci vedo così umiliamento innamorata di un sogno impossibile. In questi giorni le mie protagoniste hanno un nonsoche di ispirato alle mie amiche (infatti ne sto scrivendo una ora), anche se hanno sempre qualcosa di mio. In Oliver ci ho messo tutto il mio amore incondizionato verso Harry e la convinzione che sarei sicuramente diversa dalle altre se solo mi conoscesse. Ah, viviamo in un mondo tutto nostro.
 
È partita da una cosa seria, volevo scriverci infatti una fan fiction, ma mi sono lasciata prendere ed è venuta questa cacchetta. Spero che qualcuno di voi abbia comunque apprezzato questa one shot senza pretese e, magari, mi lasci un piccolo commento. Mi farebbe molto piacere.
 
A presto (speriamo),
Alice.

   
 
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