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Autore: Chemical Lady    27/06/2013    7 recensioni
Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera mancante di questo gioco pericoloso.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di un orco ma che, dietro ad una maschera di marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un nuovo tassello alla famiglia De Medici.
Genere: Avventura, Drammatico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Girolamo Riario, Giuliano Medici, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: Movieverse, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Titolo: No Good Deed Goes Unpunished.
Capitolo undici.
Rating: Arancione.
Betareader: Eagle
Genere:Sentimentale, Drammatico, Avventura.
Personaggi principali: Famiglia De Medici, Nuovo Personaggio, Girolamo Riario.
Coppie trattate: Het
Disclaimer: Non possiedo i diritti suoi personaggi protagonisti  di questo racconto, ne sulla trama di fondo.
Sommario: Beatrice, agli occhi di Girolamo Riario, non è altro che una nobile come le altre, dagli occhi bassi e pieni di riverenza, almeno fino a che non avrà la possibilità di vedere il fuoco che arde nel suo sguardo. Un segreto la lega a suo nonno Cosimo e ad un certo Leonardo da Vinci, che diverrà ben presto la tessera del domino mancante.
Cosa vincerà? L’amore per la sua famiglia e la sua città o quello per un uomo che da tutti è ritenuto al pari di  un orco ma che, dietro ad una maschera marmorea freddezza, ha molte più sfaccettature di quanto si possa pensare? Riuscirà Beatrice ad adempiere al destino per cui è stata prescelta?
Fanfiction What if, assolutamente senza pretese, con l’aggiunta di un tassello alla famiglia De Medici.
Buona lettura.
 
 
 


 
 

 
 
 
 
Parte XI: L’Invidia.
 
 
 
 
La piccola folla che si stava riversando fuori da Santa Maria in Fiore si diramava in più direzioni, esattamente come fa un fiume alla foce, diretta o al mercato della domenica mattina a Ponte Vecchio, o a cercare ristoro dalla calura di luglio presso qualche portico.
Portando una mano a coppa sugli occhi, anche Francesco de’ Pazzi si stava affrettando a lasciare la cattedrale fiorentina insieme alla moglie Allegra, allo zio Jacopo e alla sua sposa Bianca. Rimase indietro rispetto a quella famigliare compagnia, salutando con i dovuti riguardi l’arcivescovo Orsini e padre Maffei che, irti come due statue fuori dal portone maggiore, reggevano tra le mani una cassettina per le offerte. La cupola non si sarebbe di certo costruita da sola.
Mentre lasciava cadere quattro fiorini lì dentro, sorridendo fin troppo gioioso, una mano guantata di nero si affrettò ad imitarlo, lasciandone dieci. Voltandosi di scatto, Francesco scontrò lo sguardo con il Magnifico, che subito si premurò di ricambiarlo. Una fitta di puro odio percorse la spina dorsale di Pazzi, che però cercò di mantenere quel sorriso, seppur macchiato di falsità “Buona domenica Lorenzo; avete visto che bel sole bacia oggi la nostra Firenze?” domandò, più per cortesia che per instaurare davvero una conversazione.
Lorenzo, che in cuor suo sperava di incontrare Francesco per poter disquisire di una cosa, decise di fare un paio di passi con lui, verso la famiglia de’ Pazzi “Meraviglioso, oserei dire. Spero di non suonarvi impertinente, ma vorrei chiedervi d’un fatto che mi è stato riportato stamane.”
Pazzi annuì lentamente “Se posso aiutarvi a far chiarezza su qualcosa…”
“Una delle mie guardie della notte ha riportato alla mia attenzione l’arrivo di un messo della famiglia Este, poco dopo l’alba. Peccato che non fosse qui per parlare con me, quanto per consegnarvi qualcosa. Sapete dirmi cosa?”
Francesco si irrigidì, prima di provare di nuovo a distendere i nervi. Come osava, Medici, porsi in quel modo nei suoi riguardi? Chi era per ficcare il suo naso negli affari altrui? Era un affronto. I Pazzi erano una famiglia molto antica, radicata a Firenze prima ancora che la prima cagna desse alla luce un de’ Medici. Mantenne a stento la calma, tanto che la sua voce tremava quando riprese la parola “Nel fine settimana si terrà un importante ballo in maschera alla corte degli Este a Ferrara. Siamo stati invitati da Ercole primo in persona. Il messo ci ha comunicato il tema della festa.” Si bloccò, non volendo rivelare oltre “Una ricorrenza che si festeggia ogni anno, in onore del compleanno del primogenito del Duca, Alfonso.”
Lorenzo annuì lentamente “Capisco, spero ricordiate che essi sono nemici della nostra Repubblica, poiché gemellati con Roma.”
“Erano parecchio amici di vostro padre e di vostro nonno però. Non è di certo colpa nostra se avete incrinato i rapporti con loro. Io mantengo strette le amicizie, Lorenzo.” Fece una piccolissima riverenza, provando ad allontanarsi, poi però gli venne un’idea. Tornò verso de’ Medici, sorridendo malignamente “Non credete sarà una belle occasione, per vostra sorella Bianca? Potrà rivedere Beatrice a quel ballo.”
“Come moglie di un Pazzi, scommetto che sarà la sola cosa bella per lei.” Disse affabile Lorenzo. Giuliano gli si fece vicino, ascoltando quella conversazione con interesse. Appena sentita nominare Beatrice gli si era acceso un campanello d’allarme in testa.
“Dovreste preoccuparvi più della moglie di un Riario, che di quella di un Pazzi.” Proseguì il banchiere, con la faccia di qualcuno che sa anche troppo. “Non vedo l’ora di portare i miei omaggi a Madonna Beatrice, ci tengo a congratularmi per le sue vittorie belliche. La sua nomea ora reca molto onore a Firenze.”
“Vittorie belliche?” Giuliano si fece avanti, guardando Francesco come se fosse diventato folle “Di cosa state chiarlando?!”
“Giuliano…” Lorenzo provò a farlo ragionare, ma questi si fece ancor più vicino a de’ Pazzi che, dal canto suo, rise.
“Non lo sapete? Ormai non si parla d’altro, in ogni corte. Beatrice de’ Medici è diventata famosa come la Tigre della Romagna. Ha conquistato la Rocca di Forlì insieme al Conte di Riario, che l’ha pure nominata reggente della città. È la Contessa di quelle terre ora. Non sapevo che aveste allevato un soldato. Ora vogliate scusarmi, il pranzo domenicale mi attende.” Senza aspettare oltre, Pazzi voltò le spalle ai due fratelli ancora sconvolti, tornando dai parenti che, di lato al battistero, attendevano.
Jacopo lo squadrò male appena si affiancò ad Allegra “Non avrete detto nulla della festa degli Este, voglio sperare.”
“Non vi è stato bisogno di vantar alcunché. Lorenzo sembrava già sapere tutto.” Sorrise divertito “Eccetto delle imprese della sorella minore.” A quelle parole, Bianca abbassò lo sguardo. “Ciò che mi infastidisce, però, è che ci osservano. Controllano i nostri spostamenti e i nostri ospiti, come se sapessero esattamente i nostri piani. Verrà il giorno in cui leverò a Lorenzo de’ Medici quel sorrisetto compiaciuto dal viso, Madonna Maia-”
“Francesco, contenetevi!” Jacopo gli appoggiò una mano sul braccio “Siamo appena usciti dalla santa Messa!”
“Avete ragione zio, vi domando perdono.” Lanciò un ultimo sguardo ai due fratelli che parlavano concitati, prima di avviarsi per le viuzzole della città, verso la loro dimora.
Giuliano pareva una bestia “Secondo te è vero?!” chiese rivolto al fratello.
“Pazzi non mentirebbe mai su una cosa del genere.” Sottolineò Lorenzo, portando una mano al mento con fare pensieroso “Sapevo della vittoria di Riario ai danni degli Ordelaffi, ma non credevo che fosse folle al punto tale da portare nostra sorella in battaglia. Pare che voglia ucciderla!”
Giuliano sembrava confuso, sapeva che era sempre stato il sogno di Beatrice quello di diventare un generale, ma si rifiutava di credere che il Conte l’avesse buttata così in mezzo ad una assedio. Deglutì un paio di volte “Questa cosa va indagata. È passato un mese ormai dalla presa di Forlì.”
“Lo so, vedrò che posso fare.” Lorenzo sospirò “Vieni andiamo…”
Insieme si avviarono verso palazzo de’ Medici e Giuliano sbuffò, seccato “Odio Francesco Pazzi.”
“Anche io. Lo trovo così tedioso. Devo per forza sorridergli, nonostante il mio solo desiderio sia quello di dargli una testata. Esiste uomo più inutile di lui su questa terra? Se l’Iddio ha un disegno per ciascuno di noi, quello di Francesco se l’è bello che dimenticato!”
“Ci pensa già Madonna Allegra a farci giustizia. Francesco è così tanto cornuto da non riuscir quasi ad entrare nel giardino della sua gigantesca villa fuori Firenze.” Rilanciò il più giovane dei due e, a quel punto, il Magnifico non riuscì a trattenere una risata.
 

 

***
 

 

12 Luglio, 1476.
In più di un mese, io e Girolamo siamo riusciti a riportare il Ducato di Forlì a quell’antico splendore che aveva in passato. Abbiamo approvato progetti per sistemare le strade, le cinta murarie, le chiese. Abbiamo iniziato un programma di abbellimento dal punto di vista urbanistico che pesa solo sulle tasche della Santa Sede, non su quelle del popolo che pare amarci. Io, in particolare, sto cercando di fare aprire una libreria al centro del paese. Qualcosa di pubblico, dove ogni uomo che sa leggere può andare a consultare libri di araldica e tomi letterari.
Mancheremo un paio di giorni, ospiti a Ferrara presso la corte Estense per un ballo in maschera in celebrazione del compleanno del futuro rappresentante della nobile casata, ma ho lasciato disposizioni.
Inizio a prenderci un poco la mano con questo affare del governare. L’ho sempre detto che i Medici c’hanno la guida nel sangue.

B.M.
 

 
 
***

 
 

Ercole I d’Este era un uomo tutto d’un pezzo. A quarantacinque anni, aveva visto così tanti cambi di battaglia da aver fatto ormai tutti i capelli bianchi, candidi come la prima neve dell’anno. Gli occhi di ghiaccio proferivano assai poche emozioni, se non la rigidità e la serietà. Egli era uno dei pochi uomini che Girolamo davvero rispettava.
Era giusto a Ferrara da poco più di due ore e stava passeggiando per i corridoi col padrone di casa ed un altro vecchio amico di quest’ultimo, Giovanni IV Malatesta. Incredibili erano i rapporti tra quelle due famiglie, visto che il predecessore malatestino si era visto strappar via le terre di Rimini dall’orda Estense. In un certo senso, la collaborazione tra quelle due famiglie era mirabile.
“Sempre è un onore per un povero peccatore quale sono io, ospitare il figlio preferito di Roma!”
“Voi mi onorate, Ercole. Vi ringrazio per l’invito esteso a me e a mia moglie, Beatrice.” Riario inclinò di poco il capo, tenendo lo sguardo fisso avanti a sé e le mani dietro alla schiena.
“Speravo di far la conoscenza di Madonna de’ Medici prima di cena, in verità” ammise l’uomo, guardando con la coda dell’occhio Malatesta. Anch’egli si fece più vicino, sussurrando a voce bassa come se si trattasse di un segreto.
“Siete incredibilmente coraggioso a tenere nel letto una femmina dalle tali capacità belliche, Conte.” Sussurrò di fatti Giovanni, portando le mani unite verso il ventre. La gobba, unita al fisico minuto e al viso asciutto gli conferivano un aspetto viscido, che per un istante fecero storcere il naso di Girolamo.
“Sta riposando in vista della festa di questa sera.” Rispose secco “E chi tengo nel mio letto non è di vostro affare, Malatesta.”
“Non volevo mancarvi di rispetto.” Si difese immediatamente il signore di Cesena, ritraendosi timoroso “Solamente… È una Medici. Siamo tutti nemici dei Medici, a questa cena. È saggio lasciare conoscere i nostri piani, vostra Eccellenza?”
“Mi è parso di capire che non si parlerà di Firenze, bensì del Ducato di Modena, che è nostra premura tener controllato in quanto vicino alle nostre terre. Beatrice sarà discreta, ha preso molto seriamente il suo incarico”
I due duchi si scambiarono uno sguardo, decidendo di non muovere ulteriori obiezioni. Avrebbero solo fatto innervosire di più il Conte “Domani terremo, in gran segreto, una riunione. Per ora pensiamo solo a goderci la bella serata.” Disse Giovanni mentre uscivano sul terrazzo del palazzo.
Riario si appoggiò con entrambe le braccia alla ringhiera, guardando il fossato sotto di loro prima di spostare gli occhi sul ponte che collegava il Palazzo al resto della città. Era fisso, non levatoio, segno che gli Este avevano gran fiducia nella loro gente. Senza contare che l’intera struttura pareva molto, molto più recente delle due Rocche del Conte. Incurvò un lato della bocca sarcastico, non doveva reggerle le palle di cannone, quel posto. Era fin troppo ben curato. Notò la carrozza del Doge, nera con intarsi d’oro sfarzoso, entrare dentro al Palazzo seguita da un’altra che per un attimo lo fece confondere “Su quella carrozza vi è il biscione.” Disse a voce alta, attirando l’attenzione di Ercole che subito gli fu accanto.
“Si, vostra Eccellenza.”
“Cosa ci fa’ uno Sforza qui? A quanto mi pare di ricordare, Milano è gemellata con Bologna e Firenze, quindi nostra nemica” Riario aveva un tono ben poco rassicurante.
Ercole però non si fece intimidire, mantenendo la sua fierezza anche innanzi ad un uomo pericoloso come il Conte “Quella carrozza porta seco la nostra più valida alleata. È grazie a lei se sappiamo esattamente ogni minimo spostamento dei Campi di Modena.”
Il moro corrugò le sopracciglia “ ‘Lei’?”
“Sì, mio Signore. Caterina Sforza.”
Riario rimase un attimo in silenzio, fissando il Duca di Ferrara come se avesse appena detto che il Capitano della sua fanteria era la Morte in persona. Poi tornò ad osservare il fossato “Questo renderà l’intera serata assai più divertente.”
 
 
 

 

***

 
 


“Adoro le serate in maschera!” Beatrice finì di acconciare i capelli, ponendo poi sul capo una piccola coroncina. “A Firenze ne facevamo almeno una al mese, a corte. Sempre a tema, ovviamente, e invitavamo tutta la ricca borghesia e la nobiltà. Mentre gli uomini bevevano le donne parlavano e si danzava sino alle prime luci dell’alba!”
Camilla la guardò ammirata, finendo poi di rifinire una linea nera per accentuare la grandezza dei suoi occhi. “Sembra così bello. I balli a Roma sono di solito tediosi e pieni di vecchi dalla bava facile che puntano allo scollo dell’abito. Dici che sto bene così?” si alzò in piedi, lasciando ricadere la veste marroncina dalle ampie maniche.
“Indossa il copricapo!” le disse la mora, finendo anch’essa di truccarsi gli occhi.
Camilla eseguì, poco convinta, ponendo sul capo una piccola coroncina che reggeva due corna d’avorio “Non sarà eccessivo?” domandò guardandosi allo specchio.
Madonna de’ Medici scrollò il capo, avvicinandosi a lei mentre infilava una collana d’oro, dono del marito “No, affatto. Il tema è quello delle ‘creature di Dio’, o sbaglio? Tu sei una meravigliosa cerva!”
Qualcuno bussò alla porta e appena le giovani diedero licenza di entrare, Riario e Grunwald fecero la loro apparizione belli e pronti per la festa. “Madonna, ritardiamo.” Disse il Capitano che, per quell’occasione, sarebbe stato l’accompagnatore di Camilla. Lei non era particolarmente felice della cosa, nemmeno lui a dirla tutta. Non sembravano sopportarsi, ma gli ordini del Conte erano quelli.
Madonna Colonna seguì la guardia svizzera, avviandosi per primi verso il salone centrale, visto che tanto sarebbero dovuti entrare da due porte differenti. Il Conte e la Contessa dovevano venir annunciati.
Girolamo si sedette sul bordo del letto, in attesa che la moglie completasse gli ultimi preparativi, guardando prima la maschera che teneva stretta nel pugno, quindi la giubba verde bottiglia che indossava e che sfumava, dalle spalle al fondo, in un colore leggermente più chiaro. Senza contare poi la camicia bianca, che lui aveva sempre disprezzato. “Potete ricordarmi perché mi sono prestato a questa vostra idea?”
Beatrice sorrise, mettendo gli orecchini. Poi andò verso di lui, facendo strisciare la coda lunga dell’abito a terra. Si sedette sulle sue ginocchia, bene attenta e non rovinare la gonna. “Perché, sotto sotto, anche se siete un uomo dalla morale molto discutibile, mi amate.” Lui non disse nulla, limitandosi ad appoggiare una volta le labbra alle sue. La giovane gli prese la maschera, di fattura veneziana, appoggiandola sul viso appuntito del marito e legando con cura il cordoncino dietro alla nuca. “Avete degli occhi così belli da sembrare teneri. Sembrate un cucciolo di lupo, anche se vi siete già mangiato Cappuccetto Rosso.”*
“Mh. Le apparenze ingannano, Madonna.” Le appoggiò una mano sulla coscia, sporgendosi di lato per ammirare il bellissimo abito che la giovane moglie indossava “Molto bello e ben fatto, ma eccessivo non trovate? Quanti pavoni hanno dovuto uccidere per vestirvi stasera?”
“Non ne è morto nessuno, Conte.” La ragazza si alzò, andando a prendere i bracciali dalla specchiera e indossando, alla fine, la maschera gemella a quella del marito. Era fatta di tanti fili metallici verdi smeraldo, intrecciati a delle piume nere di lato. “Le piume si strappano.” L’abito era davvero meraviglioso, frutto di Madonna Ferroni, moglie di Orsi, che non aveva di certo badato a spese né sulla seta nera dell’abito ad una spallina, né sulle moltissime piume di pavone.
Uscirono dalla stanza insieme e subito il Conte si fece premuroso, porgendole il braccio che lei accettò. Percorsero un lungo corridoio, quello delle stanze, ancora chiuse. “Molti arriveranno in evidente ritardo” le disse Riario, come se le leggesse la mente “Una strategia per farsi vedere meglio.”
“Allora non sono solo le donne che vogliono mostrarsi.” Replicò divertita la mora. Arrivarono in fondo al corridoio e svoltarono a destra per pochi metri. Davanti a loro si presentò una porta decorata con tendaggi rosso vermiglio e oro, colori della casata degli Este. Un messo si fece vicino e Riario gli sussurrò qualcosa all’orecchio. Questi tornò sulle scale, schiarendosi la voce prima di gridare a gran voce, tanto che le sue parole riecheggiarono per tutto il salone assordendo Beatrice “Girolamo Riario, Conte di Imola e generale dell’Esercito della Santa Sede e sua moglie, Beatrice de’ Medici, Contessa di Forlì.”
La ragazza si sforzò di non portare una mano all’orecchio mentre scendeva l’ampia scalinata insieme al marito. Girolamo sembrava parecchio divertito dalla cosa. Nel salone vennero accolti con ogni riguardo, ma Riario non si fermò a parlare con nessuno in particolare. Insieme a Beatrice si affiancarono a Camilla e Grunwald, a cui si erano unito anche Lupo Mercuri. “Madonna, ogni giorno mi sembrate più bella” disse, salutando Beatrice.
Negli ultimi tempi, nonostante si fossero visti assai poco, Mercuri si era dimostrato molto più gentile nei confronti della Contessa, impressionato dal coraggio e dalla forza che quella donna aveva dimostrato durante la battaglia di Forlì. Si era, in qualche modo, guadagnata il suo rispetto.
“Allora dovremmo vederci più spesso” rispose, mentre il vicario le faceva il baciamano. Riario si guardava attorno, mantenendo la sua posizione al fianco della moglie che ancora lo teneva a braccetto. “Avete visto qualcuno di importante?” domandò, stringendosi di poco a lui. Camilla intanto stava domandando a Grunwald il suo nome di battesimo, il quale ringhiò un ‘Leon’ appena accennato. Decisamente azzeccato.
Il Conte storse la bocca “Cercavo un paio di volti, ma ancora non sono arrivati. Intanto guardate laggiù, alla vostra destra.” Beatrice si voltò con discrezione, notando un anziano che pareva in piedi per volontà dello Spirito Santo. “Quello è il Doge di Venezia, Andrea Vendramin. Ha quasi ottanquattro anni.”
“Si vede.”rispose Beatrice “Sua moglie ne ha quasi sessanta in meno, invece?”
“Quella non è di certo la moglie. Regina Gradenigo. Sarà l’amante.” Disse Lupo, maliziosamente.
“La vostra, di moglie?”
“Lasciata a Roma.” Rispose velocemente il vicario “Non son tutti fortunati come il Conte, in fatto di consorti simpatiche.”
“State cercando di sedurre mia moglie, Mercuri?” domandò Riario con un sorrisetto poco rassicurante. “Non le avete mai fatto tanti complimenti.”
“Suvvia, Conte, si fa per scherzare.” Rispose l’uomo, mentre Beatrice ridacchiava per quella scena “Dovreste sentirvi onorato invece che geloso!”
Il paggio riprese ad urlare, se possibile più forte “Sua Santità il cardinale Rodrigo Borgia!”
Beatrice sentì il marito irrigidirsi contro il suo fianco. Fu Mercuri a dissipare ogni dubbio “Voi che siete fresca di politica, Madonna de’Medici, dovete sapere che esistono due tipi d’uomo: quelli che son falsamente di riguardo e quelli che invece dimostrano assai bene quanto pessimi sanno essere. Quello, Madonna, è il assoluto il più vile, schifoso, lurido bastardo spagnolo che possiate mai incontrare sulla vostra strada. Guardatevi bene da lui e ci protegga l’Iddio da un suo pontificato.”
Il Cardinale si diresse proprio verso di loro e subito Mercuri smise di parlare “Buona sera Conte di Riario, Lupo Mercuri.” Il suo sorriso lascivo non fece altro che solidificare le parole di Lupo nella mente della giovane “Codesta dev’esser vostra moglie, Madonna de’ Medici. Incantato.”
“Il piacere è mio, vostra Santità” rispose la mora con una piccola riverenza.
Poi si rivolse al Conte “Mi dispiace di essere mancato al tuo matrimonio, Girolamo, ma gli affari a Venezia non mi davano pace.”
Riario sorrise, come di suo solito, in modo assai tirato “Non temete, so quanto vostra Grazia sia impegnato.”
Il Cardinale proseguì, dirigendosi verso una massa informe di piume bianche che non era altri che il festeggiato, Alfonso d’Este. Beatrice scambiò uno sguardo col vicario, ma non aggiunsero altro.
Arrivarono molte altri ospiti illustri, tra cui Alfonso d’Aragona, Re di Napoli, della Calabria e delle due Sicilie, che parve intendersela bene con Borgia. Giovanni Malatesta presentò al Conte e a Beatrice il figlio maggiore, Pandolfo, che sembrava assai poco lieto di prender parte a quella festa. S’era addirittura mascherato da corvo, sperando che qualche superstizioso lo mandasse via.
Federico da Montefeltro, signore di Urbino, si presentò da solo entrando nella sala con gran baccano, vestito come se dovesse scendere su un campo da guerra in quello stesso momento.
Molti Duchi, Conti, Baroni fecero la loro apparizione, ma nessuno smosse Beatrice come l’ingresso di una famiglia che ben conosceva.
“Jacopo de’ Pazzi, da Firenze, insieme alla moglie Bianca de’ Medici, al nipote Francesco e alla moglie di quest’ultimo, Allegra Venturi!”
Per la prima volta in tutta la serata, Riario sentì la moglie staccarsi dal suo braccio. Ella attese che i Pazzi scendessero la scalinata, prima di andare in contro alla sorella che parve illuminarsi appena la vide “Mia amata Beatrice!” la strinse in un abbraccio forte, non riuscendo a trattenere un paio di lacrime.
Anche la mora si commosse appena, stringendo Bianca come se non la vedesse da dieci anni “Mia amata sorella!” si staccò, guardandola “Sei sempre più bella!”
“Anche tu, Beatrice.” Mormorò sorpresa l’altra, quasi come se si aspettasse di vederla smunta. Mentre il paggio annunciava l’ultimo arrivato, Ercole iniziò ad domandare agli invitati di prender posto, per consumare la cena. Prendendo la palla al balzo, Bianca sussurrò piano “Ti maltratta? Puoi dirmelo, lo riferirò io a Lorenzo.”
“Cos-No. Lui non lo fa.” Disse la più piccola mentre si sedevano una accanto all’altra, con i mariti ad ascoltarle attentamente “Io sto bene, molto bene. Ora ho un Ducato, l’avresti mai pensato? Con un esercito.” Sembrava fin troppo su di giri.
Girolamo si sporse verso di lei, sussurrandole all’orecchio “Ne parlerete dopo, ora sentiamo il discorso degli Estensi e poi mangiamo…”
Così presa dall’euforia di avere accanto a sé sua sorella, Beatrice non si rese conto di chi aveva preso posto al margine del tavolo, ne di come la stava osservando malignamente.
 


 

***

 


 
Beatrice iniziò a cogliere il vero significato di quella festa solo una volta concluso il banchetto. Le si erano presentate le personalità più disparate, offrendo servigi a Forlì in campo militare o commerciale, apparentemente senza secondi fini ma, di certo, in cambio di favoreggiamenti.
Girolamo le aveva spiegato che la sua posizione era piuttosto importante, visto che era un punto di stallo tra Roma e Firenze. Nella mente di qualcuno, sarebbe potuta diventare anche la governatrice della sua città natale un giorno.
Non si alzò da tavola, mentre uno dopo l’altro, in molti venivano a presentarsi. Francesco Pazzi, che aveva cenato di fronte a lei lasciandole il cibo sullo stomaco, non mancava elogi che ad un certo punto fecero addirittura ridere Madonna de’ Medici. A Firenze era una sgualdrina, ma ora che s’era maritata ad una personalità importante di Roma – e tutti sapevano a chi andasse la fedeltà dei de’ Pazzi- era diventata la dama per eccellenza.
“Questo eccesso di amor cortese mi sta facendo salire la nausea” disse ad un certo punto Beatrice, volgendosi verso Mercuri che si era momentaneamente seduto al posto di Riario. Il Conte, infatti, era stato trattenuto dal Doge e da niente meno che Rodrigo Borgia, in una conversazione fitta a pochi metri dalla tavolata. “Io che speravo di poter danzare, stasera.”
Lupo rise, guardando il broncio sul viso della dama “Coraggio allora.” Appoggiò il calice di cristallo, alzandosi in piedi “Permettetemi un ballo.”
Beatrice guardò sorpresa la mano che gli veniva porta, prima di scambiare uno sguardo con Camilla, sorpresa quanto lei “Ancora non mi capacito di starvi simpatica” disse poi, guardando Mercuri “Ma accetto volentieri, inizio ad aver male alla gambe a forza di stare seduta!” appoggiò una mano sul braccio del vicario, avviandosi con lui verso la zona ove molti nobili danzavano e disquisivano.
Passando, Beatrice notò una ragazza che pareva di poco più giovane di lei, seduta accanto ad Alfonso D’Este. Aveva i capelli rossi piuttosto mossi, che nonostante la pettinatura elaborata nella quale erano racchiusi parevano indisciplinati come la criniera dei leoni. Era vestita in modo strano, secondo una moda che Beatrice non aveva mai visto, con un abito fatto con la pelliccia di una tigre. La cosa che però più colpì la mora fu l’espressione che la rossa le rivolse: fredda, impertinente. Quanto come se l’odiasse.
Ignorò quella brutta sensazione di disagio nell’essere spiata da occhi così glaciali, arrivando alla pista da ballo. Una piccola orchestra formata da un clavicembalo, un’arpa a braccio e diversi flauti stava intonando musichette allegre che conciliavano la danza. Mentre rivalutava Mercuri, che lanciandosi in un esilarante racconto su come sua moglie si sarebbe guadagnata la nomea di Medusa, Beatrice ballò con lui, ridendo di tanto in tanto. Mai si sarebbe aspettata una persona tanto gradevole, dietro la maschera da autentico bastardo che spesso palesava. Beh, dopotutto era lo stesso principio che aveva applicato a Girolamo.
Il marito non si presentò che dopo un paio di canzoni, mentre gli ospiti applaudivano all’orchestra. Stava iniziando una melodia più lenta e cadenzata, quando Riario li raggiunse “Posso riprendermi mia moglie per questo ballo, Mercuri?” domandò retorico.
Il vicario fece un inchino fin troppo profondo a Beatrice “Vi lascio al vostro sposo, Madonna. Credo che ne approfitterò per visitare quel tavolo pieno di bottiglie di vino!”
Beatrice appoggiò le mani sulle spalle del marito “Concluso qualche trattato politico?” chiese, iniziando a muoversi a passo di musica.
Lui si muoveva incredibilmente bene, con la solita eleganza che usava nei passi. Le prese un polso, facendole fare una giravolta “No, a dire il vero le stesse cose che mi sento dire di solito. Il Doge vorrebbe scendere in guerra contro Genova, perché, a detta sua, intralcia le rotte marittime della Serenissima.”
“Dall’altra parte d’Italia?” domandò stranita Beatrice.
“Esattamente.” Riario sembrava già stanco di tutta quella situazione, gente da ogni dove che  gli chiedeva di intercedere presso il Santo Padre per battaglie futili. Roma non si sarebbe mai lanciata in uno scontro senza che anch’essa ne traesse vantaggio.
Stava per dire qualcos’altro, quando Giovanni Malatesta venne a disturbarli “Scusatemi, ma Ercole richiede la vostra attenzione, Conte. Vorrebbe brindare alla vostra salute.”
Girolamo scambiò uno sguardo significativo alla moglie, mentre la musica cessava quasi improvvisamente per ordine del padrone di casa “Non credo che sia necessario” tentò Riario, ma Ercole si era già posto innanzi all’orchestra, blaterando della grande fortuna che tutti loro avevano nell’essere ‘amici’ di un grand’uomo quale il Santo Padre Sisto IV e suo nipote, naturalmente.
“Prendo una boccata d’aria. Fa troppo caldo qui” sussurrò Beatrice nell’orecchio del marito, voltandosi poi verso le porte che davano sul giardino. Era stanca di lusinghe false e corteggiamenti politici.
Tutta quella situazione iniziava a darle la nausea, ma si sarebbe rapidamente abituata, visto che sarebbe stato sempre così. Prima o poi, forse, sarebbe stata lei stessa a domandare aiuto lisciando un poco il pelo di qualche Signore.
L’anticamera che conduceva al giardino era molto bella e fatta a vetrate. Una corrente fresca la riempiva, così Beatrice si limitò a sedersi su uno dei divanetti lì presenti, senza uscire del tutto. Portò una mano alla fronte, leggermente sudata per il tanto ballare, prima di puntare lo sguardo verso la luna piena, alta in cielo.
“Immagino che sia molto stressante per voi, venir tanto elogiata da tutti.” Una voce melliflua la costrinse a voltarsi verso un lato immerso dall’oscurità di quella stanza, trovandovi una sagoma avvolta dal buio “Certo, quando si è un agnello nella tana dei lupi o si è abili a camuffarsi o tutti quanti desiderano mangiarvi.”
“Prego?” domandò Beatrice “Se volete parlare con me almeno mostratemi il volto. Non sono solita parlare alle ombre.”
Una risata tutt’altro che allegra le arrivò alle orecchie, pugnalandole. La ragazza con i capelli rossi si palesò innanzi a lei, reggendo in mano un bicchiere ricolmo di vin rosso “Perdonatemi, Madonna, non mi sono nemmeno presentata. Io sono Caterina Sforza.”
“L’avevo intuito dal forte accento milanese.” Rispose Beatrice, alzandosi a sua volta e mettendosi davanti all’altra “Sembrate sapere esattamente chi io sia, non so se presentarmi o meno.”
“Tutti sanno chi siete, Madonna de’ Medici.” Rispose affabile Caterina, bevendo un sorso di vino prima di lasciar cadere il bicchiere che si infranse al suolo, con noncuranza “Avete una certa fama.”
“Voi non siete da meno, Madonna Sforza.” La mora non riusciva a non stare sulla difensiva. Il tono di Caterina sembrava indubbiamente ostile. “Posso fare qualcosa per voi?”
“Stiamo solo chiacchierando, Beatrice. Mi permettete di chiamarvi così, immagino.” La rossa si fece ancor più vicina “Scommetto che state comoda sul vostro trono di riconoscimenti, amata ed elogiata da tutti per aver staccato la testa di Ordelaffi.”
“Invero l’ho solo fermato.” Ripeté per l’ennesima volta la Contessa “Amate così tanto l’idea che io sia un assassina?”
“Che sia di un nobile o di un contadino, voi vi siete comunque sporcata le mani di sangue.” Fece una pausa, sorridendo crudelmente “Spero che vi stiate godendo ciò che avete rubato a me.” sussurrò a pochi centimetri dal suo viso “Poiché, quando vi pianterò un coltello nel cuore, me lo riprenderò. Sono stata destinata io a sposare il Conte, non voi. Voi siete una compensazione politica. Fossi in voi me ne tornei a Firenze finché ancora posso”
Beatrice ci rimase male. Parecchio. Tanto che in un primo momento non riuscì a replicare. Boccheggiò per un paio di istanti, cercando le parole giuste, ma non le uscì nulla. Il fatto di venir definita una ‘compensazione politica’ la ferì parecchio.
A rimediare a quel danno ci pensò Riario, che uscì fuori in quel frangente trovando la moglie insieme a Caterina. Le guardò entrambe, notando l’espressione compiaciuta della rossa e quella piuttosto atterrita di Beatrice. Sapeva che sarebbe successo, conosceva parecchio bene Madonna Sforza, anche se la maggior parte delle informazioni che aveva erano solo voci.
“Signore…” Si mise tra le due, che si voltarono a guardo. “Vi siete perse un bel brindisi.”
Caterina ridacchiò “Qualcosa mi dice che ve ne saranno ancora parecchi alla vostra salute, Conte.” Si voltò nella sua direzione, camminando verso la sala, solo quando gli fu accanto lo guardò negli occhi, sorridendo voluttuosa “Trovo sempre piacevole il vedervi, mio Signore. Buona serata.” Gli accarezzò lentamente l’avambraccio, prima di ruotare il capo e guardare Beatrice, trasformando il sorriso in una maschera crudele “Ricordate il mio consiglio, Madonna.”
Rientrò nel salone, lasciando gli sposi soli “Che tipo di consiglio vi ha dato?” domandò cauto Riario, non sicuro di volerlo sapere.
Sorprendendolo, Beatrice decise di non proferire parola sull’accaduto. Incrociò semplicemente le braccia sotto al seno, come a proteggersi, “Vi guardava come se volesse mangiarvi.” poi sbuffò, dando le spalle al Conte e scendendo i gradini fino al lussureggiante giardino del Palazzo. Per un attimo le sembrò di trovarsi più in un bosco, che in un cortile esterno. Percorse un sentierino, prima di andare a sedersi sul bordo di una grande fontana. Lì si lasciò prendere per un attimo dallo sconforto, portando il capo tra le mani e chiudendo gli occhi.
Quella donna, Caterina, l’aveva minacciata. Non in modo sottile, ma le aveva chiaramente detto che si sarebbe ripresa il posto che le spettava. Compreso suo marito. Si sfilò il diadema dal capo, appoggiandolo accanto a sé prima di sciogliere i capelli che tiravano da tutta la sera. Aveva bisogno di un attimo di aria.
La Sforza poteva minacciare quanto voleva, Beatrice non le avrebbe mai permesso di poterle via tutto, a costo di ricambiare la cortesia e prometterle di ficcarle una lama nel cuore.
Girolamo apparve sul sentiero che aveva appena percorso lei, scostando un ramo di salice quando finalmente la vide. Beatrice fece finta di non averlo nemmeno notato, continuando a sistemarsi i capelli e cercando di focalizzarsi sui suoi pensieri. Lui le si sedette accanto, appoggiando i gomiti alle ginocchia e alzando gli occhi verso il cielo. Sembrava meditabondo e quei pochi, rapidi sguardi che la giovane gli lanciò non vennero ricambiati.
Dopo aver imbastito una treccia veloce, Beatrice non sapeva più che fare per mostrarsi occupata così, semplicemente, alzò a sua volta gli occhi verso la volta celeste, puntellata di stelle che parevano diamanti. Si perse per un istante a fissarle, poiché il cielo era così scuro da renderle ancora più evidenti. Girolamo invece non stava più guardando quei punti luminosi; guardava sua moglie, come se ella meritasse molto di più quell’attenzione, in quanto di bellezza superiore. Allungò piano una mano, accarezzandole la spalla scoperta e percorrendo con i polpastrelli la linea del collo. Solo a quel punto, la ragazza si voltò a guardarlo, incontrando i suoi occhi.
“Credo d’essermi innamorato di te, Beatrice.”
Quella confessione, sussurrata a mezza voce con tono soppesato di chi sta scendendo a patti con una verità da poco scoperta, spiazzò del tutto la giovane. Essa lo guardò stravolta, domandandosi se avesse sognato tutto o se fosse realmente accaduto.
Mai, mai il Conte si era lasciato andare così, esternando un sentimento. Mai si era mostrato davvero preso di lei, seppure si fosse sempre comportato con riguardo.
Quella confessione la fece quasi piangere.
“Io invece sono certa d’amarti, Girolamo.”
Beatrice si sporse, appoggiando una mano sulla guancia del marito, ma lui si spostò come se non volesse baciarla. Scoraggiata tornò a ricomporsi, domandandosi perché mai non capisse quell’uomo. Le aveva appena detto di amarla, a modo suo, eppure sfuggiva ad un bacio.
“Devo farti una confessione” sbottò il Conte di punto in bianco, alzandosi in piedi.
Quella reazione esagitata mise in allarme Beatrice che, a sua volta, si alzò. Aveva del tutto abbandonato le formalità e nonostante si fosse dichiarato non riuscivano ad abbattere quel muro tra loro “Parla, quindi.”
“Io non t’ho sposata per porre fine alla guerra con Firenze.” Disse, dandole le spalle. Il cuore della ragazza prese a correre veloce. Che gli stesse dicendo che si era preso di lei con un solo sguardo, al matrimonio di Bianca?
Si mise dietro di lui, abbracciandogli i fianchi con un sorriso bellissimo sul volto “Volete dirmi che anche voi, che sembrate tanto un uomo di ghiaccio, credete nell’amore al primo sguardo?”
Lui le prese i polsi, sciogliendo l’abbraccio per poterla guardare negli occhi “L’ho fatto per portarti a Roma, perché sapevo che era nei disegni del Papa. Questo perché so chi sei.” Fece una piccola pausa, mentre lentamente, Beatrice iniziava a capire che l’amore non centrava nulla “So cosa sei in realtà. So dei Figli di Mitra e del destino che ti lega a loro.”
 
 


 

Continua

 
 
 
 
 
 
 
*Mi sono documentata, ‘Capuccetto Rosso’ è una fiaba che circola per l’Europa sin dal  quattordicesimo secolo u.u
 
 
 
 
 
Nda.
Lo so, ho rotto in capitolo in un brutto punto, sono una pessima persona ma veniva davvero troppo, TROPPO lungo.
Poi con questo effetto-pathos siete più invogliati a leggere e dirmi che ne pensate, vero? *occhioni*
Non mandatemi al diavolo xD
 
Che dire, mi sono mancati tanto Lorenzo e Giuliano, dovrei farli apparire più spesso! Mi manca molto anche Leonardo, vedrò che fare per compensare questa cosa u.u
Il prossimo capitolo chiarirà un paio di punti^^
Ho una paura tremenda di essere andata un po’ OOC col mio bel Riario, ma la mia beta, Eagle mi ha detto che secondo lei invece è perfetto così. Spero di non aver fatto danni insomma :D
Grazie come sempre a chi mi recensisce con amore ogni volta, ovvero: Yoan, Eagle, Lechartvert, Juliet96 e Nika deep!
Grazie anche a chi legge soltanto :D
 
 
Un abbraccione e a presto
J. 

  
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