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Autore: blackmiranda    28/06/2013    8 recensioni
Cinque mesi dopo la sonora sconfitta, Ade riesce finalmente ad uscire dal fiume infernale in cui Ercole l'ha scaraventato. Purtroppo per lui, i progetti di vendetta dovranno attendere: una nuova minaccia si profila all'orizzonte, preannunciata da una profezia delle Parche, unita a quella che ha tutta l'aria di essere una proposta di matrimonio...
“E' molto semplice, fiorellino. Vedi, sono in giro da un bel po', e, anche a seguito di recenti avvenimenti non molto piacevoli, mi sono ritrovato, come dire, un po' solo. E così ho pensato, ehi, perché non cercare moglie?”
Persefone rimase interdetta. La situazione si faceva sempre più surreale, minuto dopo minuto.
“Tu... vorresti sposarmi?” balbettò incredula.

Questa è la storia di Ade e Persefone, ovvero di un matrimonio complicato. Molto complicato.
Genere: Comico, Sentimentale, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Ade, Ercole, Megara, Persefone
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Cap. 12
Guilty as charged




Ercole controllò di aver messo nella sacca tutto il necessario per il viaggio.


Scompigliò affettuosamente la criniera di Pegaso, il quale nitrì, impaziente di partire alla volta di Olimpia.

“Arrivo subito, bello.” lo rassicurò lui, avviandosi verso la sala da pranzo dalle pareti finemente decorate con scene di caccia e di banchetti.

Al centro della stanza, Meg lo stava aspettando, seduta su una delle tante sedie in legno intagliato.

Quando lo vide, la giovane donna ammiccò, alzandosi in piedi.

“Oh, no, non c'è bisogno che ti alzi...” balbettò Ercole andandole incontro.

Meg gli sorrise. “Guarda che non sono mica malata.” disse mentre lui la afferrava delicatamente per la vita.

“Certo che no... Dico solo, non dovresti fare sforzi, ecco...” si giustificò lui, distogliendo lo sguardo.

Meg rise, scuotendo la testa. “Sei carino quando sei impacciato.” mormorò prima di scoccargli un bacio sulla guancia.
Lui le accarezzò dolcemente il viso. “Sei sicura che non ti dispiace che me ne vada per un paio di giorni?” le chiese guardandola negli occhi, serissimo.

“Sopravviverò.” rispose lei in tono scherzoso.

Ercole sembrava ancora poco convinto.

Meg alzò gli occhi al cielo. “Sono grande e forte, ricordi?” lo canzonò.

Lui le sorrise. “Già. Eccome se lo sei.” le sussurrò teneramente.

Si avvicinarono ulteriormente. Meg gli passò le braccia dietro il collo, alzandosi in punta di piedi, e posò le sue labbra su quelle dell'uomo che amava più di ogni cosa al mondo.

“Tornerò presto.” le sussurrò lui prima di sciogliere l'abbraccio.

Meg si poggiò entrambe le mani sul ventre.

La gravidanza era ancora ai primi stadi, ma già abbastanza evidente.

Herc si abbassò, posando la mano destra sopra a quelle della moglie. “Ciao ciao, piccolino. Papà torna presto.”  

Fece per andarsene, poi si fermò, rivolgendosi a Fil, che lo aspettava all'entrata della stanza.

“Mi raccomando, prenditi cura di lei finché sono via.” gli disse sottovoce.

Fil annuì. “Stai tranquillo, Herc. Non la perderò mai di vista.”

Meg protestò a gran voce. “Non ho bisogno di essere sorvegliata! Me la cavo benissimo anche da sola!”

Fil ridacchiò. “Adesso è meglio se vai, ragazzo. Pegaso mi sembrava irrequieto.”

Il ragazzo lo salutò ed uscì.

Meg si avvicinò al satiro, incrociando le braccia. “Di' un po', per quanto ancora hai intenzione di rimanere parcheggiato qui?” gli chiese in tono fintamente seccato.

Fil le scoccò un'occhiata sardonica. “Ehi, bellezza, io qui ci abitavo prima di te!” esclamò. “E poi,” aggiunse indicando la lussuosa sala da pranzo alle loro spalle, “chi me lo fa fare di tornare alla mia vecchia baracca, quando posso usufruire dei migliori comfort nella villa dell'eroe più famoso di tutta la Grecia?”

Meg sbuffò. “Credevo che voi satiri amaste i boschi, non le ville...”

Fil si accomodò su di un triclinio. “Sì, beh, io sono un tipo particolare.”

“Questo si era capito.” ribatté la giovane guardando fuori dall'uscio.

Pegaso spiccò il volo sotto i suoi occhi, diretto verso il tempio di Zeus ad Olimpia.

Uscita in cortile, volse il proprio sguardo verso nord.

Il monte Olimpo, sede degli dèi (e casa dei suoi suoceri), era molto distante da Tebe, e si scorgeva a malapena.

Ciò che si vedeva senza problemi, tuttavia, era l'ammasso di nubi scure che avvolgevano il monte e le terre circostanti.

Erano lì da parecchi giorni, ormai. A volte diventavano meno fitte, ma non andavano mai via del tutto.

Quello era il motivo per cui Herc aveva deciso di andare a parlare con suo padre.

Anche se lui non la dimostrava, Megara poteva percepire la sua preoccupazione. Si augurava che riuscisse a trovare le risposte che cercava.

***
Un gran capannello di divinità si era riunito attorno a Demetra, quella mattina.

La dea dell'agricoltura sembrava sul punto di svenire, mezza sdraiata com'era su di un morbido triclinio costituito interamente da soffici nuvole dorate.

Persefone, poco lontano, osservava la scena, seminascosta dietro una colonna.

Hermes era tornato a prenderla quella notte, e la prima cosa che aveva visto, una volta sbucata fuori dall'uscita dell'Oltretomba, era stato il timido chiarore dell'alba portata da Eos.

Rivedere il cielo, respirare di nuovo l'aria fresca, il profumo dei fiori baciati dal sole: improvvisamente tutte le sue disavventure nell'Oltretomba le erano sembrate appartenere ad un passato remoto ed indistinto, non più in grado di sconvolgere il suo presente.

Fiduciosa come non mai, era salita fino alla sommità del Monte Olimpo, impaziente di riabbracciare sua madre.  

Tuttavia, qualcosa era andato storto. Certo, Demetra l'aveva accolta con baci, abbracci, carezze e pianti, ma nel suo sguardo Persefone aveva scorto un'ombra, un misto di disappunto e orrore che conosceva fin troppo bene: era la stessa espressione che le si dipingeva sul volto ogni volta che si guardava allo specchio.

Delusa, la giovane dea si era chiusa in un mutismo fatto di scoramento e di rancore.

Piano piano, mentre sua madre rendeva note le sue lamentazioni all'intero Olimpo, e le altre divinità accorrevano a consolarla, si era allontanata e aveva finito per addossarsi ad una colonna, al margine esterno della grande sala circolare in cui si trovavano.

Si sentiva terribilmente a disagio.

Odiava ammetterlo, ma, dopo un primo sguardo, l'Olimpo iniziava a sembrarle troppo luminoso, troppo aperto e arioso.

La cosa la faceva sentire fuori posto, messa in evidenza, quando tutto quello che voleva era starsene da sola e in pace.

Lanciò un'occhiataccia in direzione della sala del trono.

Zeus e Ade erano chiusi lì dentro da più di un'ora, a confabulare di chissà cosa.

E pensare che lei si era figurata un processo in grande stile, con tanto di giuria e testimoni..! Non vedeva l'ora di vedere il suo rapitore in catene e di conoscere la pena che gli sarebbe stata inflitta.

“Non è giusto!” esclamò battendo con violenza il piede sul pavimento. Si sentiva tradita, da tutto e da tutti.

***
“Ti avverto, la mia pazienza ha un limite!” tuonò Zeus rivolto al fratello.

“Ehi, ehi, rilassati, grand'uomo. Non puoi fare nulla per disfare la faccenda, quindi perché alterarsi così?” replicò Ade.

Zeus boccheggiò, cercando di trovare le parole adatte ad esprimere l'ira che sentiva dentro.  

“Tu...” esordì il padre degli dèi. “Ti rendi conto che stiamo rischiando una carestia di proporzioni continentali? E tutto perché hai deciso di applicare una legge vecchia di millenni, che nessuno si sognerebbe più di adottare!”

Ade fece una smorfia. “Punto uno: nel caso di una carestia, io mi limiterei a fare il mio lavoro, al contrario di drama-queen-Demetra là fuori. Punto due: forse, una volta salito al trono, qualcuno avrebbe dovuto impegnarsi ad abrogare un po' di leggi che non gli andavano più a genio, invece di limitarsi a fare la bella vita dei ricchi e famosi...”

“BASTA!” ruggì Zeus, fulminandolo con lo sguardo. “Ne ho abbastanza di te, Ade.” aggiunse portandosi una mano alla fronte.

“Dillo a me. Sei tu che continui a convocarmi quassù...” borbottò Ade tra sé e sé.

Zeus sospirò gravemente. “Si può sapere perché hai deciso di prendere moglie, così su due piedi?”

Ade alzò gli occhi al cielo. “Che c'è, uno non può volere un po' di compagnia, una volta tanto?” chiese fingendosi stizzito.

Zeus, suo malgrado, gli rivolse un'occhiata sorpresa. Possibile che avesse davvero sofferto la solitudine? Certo, con un regno del genere a cui badare, chiunque si sarebbe fatto prendere dallo sconforto. Ma Ade? Non poteva credere che fosse capace di simili emozioni.

Il dio scosse la testa, confuso. “Beh, compagnia o meno, resta sempre il problema di Demetra.” sbottò, incrociando le braccia.

“Beh, in questo caso, forse dovresti parlarne a Demetra.” replicò il dio dei morti, la voce traboccante di sarcasmo.

“Oh, andiamo, Ade! Non dirmi che hai passato secoli senza nessuno al tuo fianco e adesso non riesci a separarti da Persefone neanche per un attimo!” esclamò Zeus, alzando le braccia al cielo in segno di frustrazione.

Ade rimase in silenzio per qualche istante, ponderando la faccenda. “... Si potrebbe fare un piccolo compromesso.” azzardò infine, sfoderando uno dei suoi migliori sorrisi.

“Un compromesso?”

“Se Demetra ci tiene così tanto a riavere sua figlia indietro, potremmo, per così dire, dividercela. Sei mesi ciascuno, ad esempio. Ad una condizione, ovviamente.”

“E sarebbe..?”

Il sorriso di Ade si fece ancora più largo. “La mia libertà.”

Zeus rimase interdetto. Ade continuò, tranquillamente, ad esporre i termini dell'accordo: “Facciamo così. Seph, pur restando mia moglie, passa sei mesi all'anno con la cara mammina - qui, a Nysa, dove preferisce, non mi interessa -, a condizione che io possa di nuovo muovermi dai confini del mio regno alla terra, senza restrizioni di alcun tipo o genere. Scaduti i sei mesi, torna nell'Oltretomba con me, per poi tornare da sua madre dopo altri sei mesi, e così via. Cosa ne dici?”

Zeus soppesò la cosa attentamente.

Gli sembrava un compromesso vantaggioso, persino favorevole, per uno come Ade.

D'altronde, avrebbe significato l'annullamento della pena giustamente inflittagli, cosa che trovava molto sconveniente, oltre che terribilmente irritante.

“E se Persefone stesse già da adesso con Demetra? In primavera e in estate, per esempio?” propose Zeus, ancora dubbioso.

“Certo, come vuoi.” acconsentì Ade senza battere ciglio.

Un pesante silenzio calò tra i due.

Ade fece del suo meglio per restare impassibile, ma dentro di sé stava esultando: ce l'aveva fatta, aveva superato anche quell'ultimo ostacolo.

E, ciliegina sulla torta, non avrebbe dovuto sorbirsi i fastidiosi atteggiamenti della novella sposina per i seguenti sei mesi.

Meglio di così non poteva andare.

Infine, come aveva previsto, Zeus acconsentì. “Ma voglio mettere in chiaro una cosa, fratello.” disse in tono grave.

Ade si irrigidì. Non gli piaceva che Zeus lo chiamasse fratello.

Zeus gli piazzò una mano sulla spalla. “Questa è l'ultima goccia. La mia pazienza si è esaurita. Ricordalo.”

Ade si liberò a fatica dalla sua stretta. Quando voleva, anche Zeus sapeva essere minaccioso: quasi se l'era dimenticato, dopo tutti quei secoli.    

“Lo appunterò sulla mia agenda.” gli rispose, ostentando una sicurezza che in quel momento non possedeva.

Zeus parve non udire quell'ultimo commento.

Ade gli voltò le spalle, cercando di guadagnare l'uscita.

“Un'ultima cosa. Cosa sai della profezia?” chiese infine il padre degli dèi.

Ade si sentì gelare. Come faceva Zeus a sapere della profezia delle Parche?

Possibile che fosse a conoscenza della vera ragione per cui aveva sposato Persefone?

“... Profezia?” sibilò il dio dei morti, voltandosi lentamente in direzione del fratello.

***
“Tesoro?” la chiamò timidamente Demetra.

Persefone, riluttante, sbucò da dietro la colonna. “Sì, mamma?”

Demetra le sorrise, titubante. “Vieni, tesoro. Non sei stanca? Andiamo in camera, così potrai riposarti.”

“... Posso stare qui ancora un po'?” chiese Persefone, guardando di sfuggita la porta della sala del trono.

Demetra rimase in silenzio per qualche secondo, poi annuì stancamente. “Immagino di avere bisogno anche io di un po' di riposo.” osservò mestamente.

Si avvicinò alla figlia, scoccandole un bacio sulla fronte. “Vieni quando te la senti.”

Persefone annuì. “Grazie, mamma.” Abbassò lo sguardo. “Mi piacerebbe tornare a Nysa il più presto possibile.” aggiunse, abbozzando un sorriso.

Demetra, che le aveva già voltato le spalle, si fermò di botto. “Non credo sia una buona idea, Kore.”

Persefone sgranò gli occhi. “Perché no?”

Demetra sospirò. “Non so nemmeno quanto potremo stare insieme. Voglio averti sempre vicina, d'ora in poi. Non ti lascerò mai più da sola.”

Persefone stava per replicare, quando la porta della sala del trono si aprì.

Zeus uscì per primo, dirigendosi prontamente verso Demetra. I due cominciarono subito a confabulare.

Ade uscì qualche secondo dopo. Persefone non gli staccò gli occhi di dosso nemmeno per un istante.

Voleva che la guardasse, voleva vedere con quale espressione, con quale stato d'animo fosse riemerso dalla conversazione privata con Zeus...

Le sue aspettative furono deluse ancora una volta.

Ade non parve neanche rendersi conto di essere osservato. Non un cenno, non una parola.

Sparì dalla sua vista in un attimo e lei rimase lì, immobile, ad aspettare un confronto che non si sarebbe mai verificato.

***
“Padre, rispondimi se puoi!” esclamò Ercole rivolto alla gigantesca statua marmorea di Zeus.

Era ormai calata la notte sulla Grecia; il giovane era giunto ad Olimpia nel tardo pomeriggio e aveva fatto riposare Pegaso in una stalla non molto lontana dal tempio.

Dopo aver cenato, con il favore delle tenebre, era entrato nella cella in cui era custodita la statua di suo padre: quello era l'unico posto in cui padre e figlio potevano comunicare, ammesso che Zeus fosse in ascolto.

Le sue speranze non furono deluse: di lì a poco, come di consueto, una potente scarica elettrica si abbatté con fragore sulla statua, animandola.

“Figlio mio! Cosa ti porta dal tuo vecchio?” lo accolse il vocione di Zeus, caloroso come sempre.

Il ragazzo sorrise, rinfrancato dall'affetto che il padre dimostrava nei suoi confronti.

“Ciao, papà.” lo salutò. “Sono venuto perché... Beh, ero preoccupato, sono giorni che l'Olimpo è avvolto da nuvole scure... Sta succedendo qualcosa?”

Zeus corrugò la fronte. “Abbiamo avuto qualche... inconveniente, di recente. Ma adesso è tutto sistemato, non preoccuparti.”

Il giovane aggrottò le sopracciglia. “Che genere di inconveniente?” insistette, curioso.

Zeus fece un profondo, cavernoso sospiro. “E' complicato, figlio mio. C'è questa profezia che stiamo tentando di decifrare ma che non ci è ancora ben chiara, e ci si è messo in mezzo anche Ade, e...”

“Ade?! Vuoi dire che è tornato?” esclamò lui, sconvolto dall'improvvisa notizia.

“Cosa? Oh, sì, sì... Non te l'ho detto..?” borbottò Zeus, sovrappensiero. “Comunque non preoccuparti, è tutto sotto controllo.”

Ercole non sapeva che dire. Anche Pegaso sembrava scioccato: scalpitava e sbuffava piuttosto rumorosamente.

“Padre, ma come è possibile? Credevo di averlo intrappolato per sempre...” disse infine il ragazzo.

Zeus pareva distratto. “Oh, no, non basta certo lo Stige per intrappolare un dio... E poi, figlio mio, sempre è una parola piuttosto grossa.” replicò, una nota di rammarico nella voce.

Ercole scosse la testa, incredulo.

Zeus lo osservò in silenzio per qualche istante. “Torna a casa, figliolo. E' lì che c'è bisogno di te.” Detto ciò, si congedò bruscamente. In un attimo, la gigantesca statua tornò immobile e inanimata, lasciando dietro di sé solo l'eco di un poderoso tuono.  

Il giovane strinse i pugni con forza, abbassando lo sguardo.

Pegaso gli si avvicinò, strusciando affettuosamente il muso sul suo braccio destro.

Il ragazzo lo guardò, facendo un mezzo sorriso. “Papà ha ragione, Pegaso. Andiamo a casa.”

Le parole gli morirono in gola quando un pensiero gli si fece prepotentemente strada nella mente.

Impallidì. “Meg.” mormorò, un secondo prima di salire in groppa a Pegaso.           









Ed eccoci qui, ragazze. Con questo capitolo si conclude il primo arco della storia: il prossimo capitolo sarà una specie di "capitolo bonus" per evidenziare lo stacco tra il primo e il secondo arco. Questo casca giusto a fagiolo, perché a metà luglio parto per il mare e non avrò internet a disposizione (vado in campeggio, è già tanto se avrò l'acqua corrente e il gas xD). Prevedo quindi che uno stacco, materialmente, ci sarà anche nelle tempistiche di pubblicazione. Mi dispiace un sacco, ma vi prometto che farò del mio meglio per prendermi avanti con la scrittura dei prossimi capitoli. :3

Dedico questo capitolo a Estatemeravigliosa, con l'augurio di buone vacanze. A voialtre lettrici farò un ringraziamento a parte nel prossimo capitolo, altrimenti le note autore diventano più lunghe del capitolo. xD

Spero, come sempre, di avervi intrattenuto. Personalmente non mi pare che questo sia uno dei capitoli migliori che io abbia scritto... :S Sapete dove andare a lamentarvi, in caso. :P    

   
 
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