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Autore: LeFleurDuMal    11/01/2008    10 recensioni
“Diamond Dust!” Gridò Camus, con la sua voce limpida e fredda, come a evocare quella nebbia d’argento e averla per sé. Hyoga la guardò e la trovò stupenda. Come luna sbriciolata. Come diamanti ridotti in polvere.
Il ghiaccio si incrinò. Il ghiaccio infrangibile della Siberia. Sotto la Polvere di Diamanti creata da Camus.
Poi, scricchiolando, si spezzò in due.

Neve è un tributo amorevolissimo a Hyoga e a tutta la “Siberian Family”, tirando dentro anche Milo che la completa, pur restandone nella sua Atene. Copre il periodo dell’addestramento del Saint di Cygnus in Siberia con Camus e Isaac - e con Milo che si intrometterà, appunto, qualche volta - dal suo arrivo fino al ritorno a Tokyo.
Di tanto in tanto capiteranno capitoli Shonen Ai / Yaoi più espliciti. Non mi sembra il caso di cambiare il rating generale della storia, poiché episodi simili saranno molto rari ( l'unico Shonen-Ai/ Yaoi previsto riguarda la coppia MiloxCamus, quindi, considerata la presenza marginale di Milo, si tratta di una percentuale davvero scarsa sulla fanfiction ), ma li indicherò laddove si presenteranno, capitolo per capitolo.
[Unica considerazione forzata: si parla del regista Evgenij Bogratjonovic Vachtangov. In realtà Vachtangov muore mel 1922, quindi diversi anni prima della nascita di Hyoga. Gli ho DECISAMENTE allungato la vita. A voi, ora, decidere se ne è valsa la pena.]
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Aquarius Camus, Cygnus Hyoga, Kraken Isaac, Scorpion Milo
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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CAPITOLO: Come d'incanto

PERSONAGGI: Hyoga, Isaac, Camus, Milo.

IN PROPOSITO: Milo dalla Grecia cerca di raggiungere Peveck. Hyoga ed Isaac scontano una punizione.

COSE: Il quarto paragrafo, quello che costituisce un flash-back di Milo e Camus, non è di mia proprietà, ma un brano cambiato di tempo verbale tratto da una fanfiction di Leryu. Ovviamente con il suo consenso.





Camus non li aveva uccisi.
Non subito, almeno. A Hyoga venne il dubbio che volesse farlo lentamente e prendendosi tutto il tempo quando, la mattina dopo, il Maestro aveva intensificato gli allenamenti.

Li aveva portati dietro l’isba, a sud rispetto alla vasta distesa candida, verso le pareti scoscese del ghiacciaio e, senza una parola li aveva lasciati a guardare, coprendo la distanza che lo separava dalla montagna con poche ampie falcate, con la sua andatura elegante che non si scomponeva nemmeno in quelle circostanze così impervie. Sì, perché veniva giù una neve da far paura ad un orso bianco. Sferzava la faccia e i capelli.

No, non neve. Polvere di Diamanti.

Il Maestro aveva colpito la spessa coltre di ghiaccio con un destro ben piazzato.
Il destro ben piazzato di chiunque si sarebbe sfracellato contro la superficie gelida. Quello di Camus, no. Quello di Camus  non esitò nemmeno per un istante e sfondò il ghiaccio per un buon metro e mezzo di spessore, come d’incanto. Quando arretrò il pugno, aveva sulla faccia l’espressione vagamente soddisfatta di qualcuno che ha tirato giù dallo scaffale l’ultimo barattolo di pesche sciroppate. Sì, insomma, bel colpo, ma niente di speciale.

Hyoga aveva spalancato gli occhi azzurri ( E’ un mago! E’ davvero un mago! ) e aveva fatto un passo indietro, andando a sbattere contro il petto di Isaac, che avrebbe voluto levarsi di mezzo con la stessa prontezza: era  vero che lui aveva già visto Camus fare cose simili ed altre ben più sbalorditive, ma se qualcuno gliel’avesse chiesto, il ragazzo avrebbe giurato e spergiurato che erano spettacoli cui non ci si abituava mai.

“Adesso fatelo voi.” Aveva detto Camus, girandosi, ancora con l’espressione da pesche sciroppate.

Fare cosa? Hyoga doveva avere guardato il Maestro come un pazzo pericoloso, perché Camus l’aveva fulminato sul posto.
”Prego, tocca a voi.”

Era stato Isaac a muoversi per primo. Aveva afferrato Hyoga per le spalle e l’aveva spinto in avanti, con sé, fino ad affiancare il maestro. Aveva lanciato al compagno uno sguardo rassicurante e poi annuito in direzione di Camus a dirgli che era pronto, che andava tutto bene.

Camus aveva ricambiato il gesto, in perfetto silenzio.

Isaac, i capelli castani spinti in avanti dal vento impietoso, aveva iniziato a colpire il ghiacciaio, un colpo dopo l’altro. Non c’erano state voragini, crepe, né una scalfittura piccola piccola. Al contrario, Hyoga aveva visto i piccoli pugni fasciati di fresco dell’amico sporcarsi di rosso sulle nocche e lasciare l’oltraggioso omaggio sulla parete di ghiaccio: sangue.

Ma anche senza produrre voragini, crepe o scalfitture, Hyoga aveva notato una cosa molto strana: anche solo per il fatto di allenarsi per diventare come Camus, Isaac aveva riprodotto la stessa faccia delle pesche. Ne rimase colpito.

“Avanti, Hyoga. Anche tu.” Camus era stato irremovibile e aveva incrociato le braccia sul petto, “che questo vi serva di lezione a rispettare i miei insegnamenti e gli orari che vi impongo.

Hyoga diede il primo colpo contro la barriera ghiacciata.

“Ma porc…”

“Cosa, Hyoga?”

“Niente, Maestro Camus.”

 

L’aeroporto di Vnukovo era chiassoso quanto una bolgia infernale. Atterrato a Mosca, l’aereo vomitò il suo carico di passeggeri proveniente da Atene e rimase in pista. Milo, spettinato ed esausto, raggiunse il più in fretta possibile la hostess più vicina, sistemandosi la giacca stropicciata dal viaggio.

Disse qualcosa in greco e la guardò speranzoso.

La ragazza sorrise imbarazzata.

Milo sospirò. Tentò il greco antico, ma l’espressione sulla faccia di lei sfiorò la disperazione.

“Va bene, va bene” articolò nell’inglese migliore che riuscì a produrre “Proviamo così.”

Vide il volto di lei rilassarsi: “Mi dica” cinguettò. L’inglese. L’inglese è una gran cosa quando un greco cerca di comunicare in Russia.

“Ho un disperato bisogno di andare in Siberia. Siberia Orientale.”

Lei conobbe nuova disperazione. “La Siberia è grande.”

“Quanto il mio bisogno di andarci.”

La ragazza annuì, molto professionale. “Immagino non sappia dove, esattamente, signore, vero?”  Per quanto Milo dimostrasse poco più dei suoi quattordici anni, se aveva il biglietto per l’imbarco o i soldi per procurarselo, per la hostess sarebbe rimasto un signore. Anche se sotto la giacca indossava quell’assurda felpa dei Guns’n’Roses.

“Ho solo il nome di un villaggio. Ma è piccolo. Peveck.”

“Se non compare sulla cartina bisogna fare una ricerca, una ricerca prevede tempo e noi non…”

Milo le prese le mani tra le sue: “Per favore. E’ importante.”
Lei arrossì, si umettò le labbra –cosa che faceva di rado- e abbassò gli occhi dallo sguardo di lui, troppo azzurro troppo intenso per essere sostenuto.

Un quarto d’ora dopo, Milo lasciava l’aeroporto di Vnukovo  diretto verso la stazione. Tra le mani aveva una dettagliatissima cartina della Siberia Orientale - su cui l’hostess aveva circondato Peveck con il segno grosso di un pennarello blu- e una bottiglia di vodka ottenuta al free duty.

 

Hyoga si controllò prima una mano e poi l’altra, cercando di capire se aveva ancora l’uso dei polsi. Camus osservò con discreta attenzione l’esame e, quando pervenne il risultato positivo, ebbe per i suoi allievi un sorriso dolcissimo e inquietante.

“Vedo che siete resistenti, come si conviene a dei futuri Santi d’Athena.” Le parole che seguirono cancellarono dalla faccia di Isaac la soddisfazione che aveva provato a quell’affermazione: “Adesso riprendete. Altre mille volte.”

Disegnò con l’indice un piccolo cerchio nell’aria, a mostrare a propri allievi la parete di ghiaccio verso cui si sarebbero dovuti girare.

Hyoga ubbidì, troppo stanco per riuscire anche solo a pensare, e fu lui il primo a colpire il bersaglio con la manina gelida, quasi insensibile.
Isaac rabbrividì. E non fu per il freddo.

Da parte sua, Camus, i capelli rossi come fuoco nel mattino catturati dal vento, raggiunse alle spalle dei suoi allievi un punto isolato, dove potesse controllarli senza distrarli.

Solo a quel punto infilò la mano in tasca ed estrasse le lettere.

Le guardò a lungo, studiando ancora una volta lo spessore della carta, il bordo che aveva strappato, la calligrafia che tracciava il mittente: Atene.
Non si accorse di avere incrinato la maschera di neutra indifferenza che aveva sul volto, aggrottando le sopracciglia e adombrando lo sguardo.

Non si accorse nemmeno di avere dischiuso le labbra per la preoccupazione. Atene.

Come aveva fatto la sera, prima scorse la punta del dito sulle lettere che componevano il suo nome, sulla busta.

C’erano il suo nome, il nome della locanda e il nome del villaggio, Peveck, Siberia Orientale.

E basta.

Come avessero fatto quelle lettere a raggiungerlo risultava un mistero vero e proprio. Anche se la sua preoccupazione era notevolmente aumentata, si era sorpreso a sorridere.

Estrasse i fogli, uno per uno, per rileggerli.

La sera prima, quando aveva ricevuto le lettere dai suoi allievi ritardatari, aveva pensato che quelle lettere fossero dispacci del Grande Sacerdote di Atene, o ordini da eseguire. Ma solo per qualche istante.

Gli era bastato averle tra le mani, per sentirne – il peso, il calore, l’odore, la consistenza della carta e della penna che la carta aveva vergato -  la differenza dalle missive già ricevute dal Santuario.

Aveva cercato di allontanare il pensiero, strappando il bordo ed estraendo le lettere dalle buste, Camus, ma la verità era che già sapeva, come d’incanto.

Lo sapeva già da prima di leggerne l’incipit, prima di riconoscerne la scrittura, prima di scendere fino in fondo, lasciando la lettura per dopo, per trovare quel nome, Milo, svolazzante e leggero.

Aveva piegato all’insù gli angoli della bocca, in un sorriso appena accennato.

Poi il sorriso si era gelato lì.

Perché nella terza missiva la frase che regnava inquietante era: “Non ricevo risposte, Camus, non capisco se è colpa delle poste o se sei tu ad ignorarmi bellamente. Sai una cosa?” Camus aveva notato che il tono convulso di Milo era aumentato in maniera proporzionale di lettera in lettera “Non importa: se la colpa è delle comunicazioni, sarà una bella sorpresa. Se invece mi stai ignorando, affari tuoi, te la sei cercata: ho preparato tutto e sto venendo da te.”

Se lo sarebbe trovato di fronte, senza preavviso. Come d’incanto.

Camus si era sentito sull’orlo del precipizio.

Aveva guardato Isaac e Hyoga, davanti a lui, come se potessero fare qualcosa, e per un istante aveva quasi dimenticato il loro ritardo. Quasi.

Poi aveva recuperato il controllo di sé stesso.

 

“Non essere infantile. Non starò via per l’eternità.”

“Lo so anch’io, questo, dannazione!” replica sbuffando il Saint dello Scorpione. “Lo so benissimo!”

“Qual è il problema, allora?”

“…”

Non riceve risposta, ma non ce n’è bisogno. La sa benissimo anche lui, la risposta.

Il problema non è spiegabile, non è nemmeno udibile. Esiste e fa male. Un male pungente, lacerante. Non razionale. Non c’è nessuno che lo possa capire. Andava al di là del bene e del male. Andava al di là del Cosmo stesso.

“… Camus… io ti…”

Camus sbarra gli occhi per un istante, e lo interrompe.

“Non dirlo” Lui tace subito, confuso.  “… perché…” dice, con un filo di voce ma in fretta, per impedire che quei secondi uccidano il senso di ciò che sente, che deve dire da molto, troppo tempo. “Pronunciando queste parole rischieresti di rovinarle. Non voglio che si scalfiscano, col tempo, svilendosi.” Il Cavaliere dello Scorpione volta la testa da un lato, per impedire che l’altro si accorga che sta arrossendo fino alla punta dei capelli, ma Camus gli si avvicina, toccandogli una guancia e costringendolo a guardarlo negli occhi. “Milo, noi abbiamo sempre fatto a meno delle parole.” sorride lievemente davanti alla sua espressione vagamente imbarazzata, e gli sfiora il volto in una carezza timida. “E stavolta non sarà diverso.”

 

Milo si svegliò, l’espressione contrita.

Ci mise una manciata di istanti per ricordarsi di non essere al Santuario dove aveva salutato Camus, prima che partisse per la Russia, in quel modo così strano e doloroso.

Ci avrebbe messo una manciata di giorni per raggiungere la Siberia Orientale.

Cercò una posizione migliore su quel diavolo di sedile che cercava di inglobarlo e così facendo spinse il proprio piede tra quelli del passeggero di fronte a lui.

“Chiedo scusa”, lo ritirò in fretta, sedendosi in maniera più ortodossa.

Si stiracchiò e lanciò un’occhiata fuori dal finestrino, nel paesaggio così straniero, ai suoi occhi. Come d’incanto, era già Russia, e per il momento bastava.

Transiberiana, diceva il suo biglietto.

Dagli Urali alla Siberia Orientale.

Milo sospirò.

La Transiberiana era atrocemente lunga.

 

 

Allora, mi metto a ringraziare qui, se no imbratto spazi vari.
RenChan, Camus, tomoyo: i tuoi bambini sono adorabili, sì, ma non come te.Grazie per pazientare tanto. Arriveremo al momento clue, vedrai. *O*
Grazie alla splendida Kijomi: Phro, sei sempre il benvenuto, anche perchè ti colonizzo il divano.
Sam89, grazie per i complimenti e l'affetto, sei graditissima. Ebbene sì, qui scopri chi è quello che spedisce dal Grande Tempio. Come lo scopre Camus. Sì, ho letto la tua storia e l'ho trovata tenerissima: i momenti di intimità di Camus con gli allievi in Siberia sono semplicemente splendidi. Scriverai ancora, su di loro?
Shinji, grazie per i complimenti e per le tue parole, sei stato particolarmente carino con storia e autrice. Tanti auguri anche a te, in ritardo mostruoso, scusami. o_o;
Grazie, HyogaChan, felice che tu abbia apprezzato l'immagine *O*
Howl, grazie per essere passato. Sì, sono adorabili, ma già di loro. çOç e sì, beh, Hyoga lo diventerà. Anche Isaac a suo modo. ò_o Vediamo se lo diventerà qui.
Eli0023, grazie anche a te per i complimenti. Farò del mio meglio per non deluderti. èOé
....ah.
Camus, tomoyo. PREPARATI. IO STO ARRIVANDO.


   
 
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