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Autore: Friedrike    28/06/2013    4 recensioni
[Ispirata al film di titolo "Der Verdingbub."]
 
Campagne italiane, inizi del '900.
Ormai mandare avanti la fattoria da soli, sembra impossibile: è per questo che una coppia di coniugi non più giovani decide di farsi aiutare. Il parroco del piccolo villaggio in cui vivono affida loro due ragazzi, Ludwig e Felicia. 
Ben presto però i due adulti si riveleranno sfruttatori senza scrupoli che li umilieranno continuamente. 
-Tienimi con te- lo supplicò. -Non mi fido di nessun altro.- 
-Lo prometto- le rispose. -Rimarrai qui con me.-
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dovunque sarai, ti amerò per sempre.'
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CAPITOLO II
 
 
 
 
 
La ragazza era seduta su uno sgabello a tre gambe, sotto il capannone. 
I capelli castani erano sciolti e ancora un po' bagnati, lei li stava pettinando con cura, con aria assorta. 
Il sole splendeva alto, dopotutto era ormai primavera, e si specchiava in ogni rara pozza d'acqua, residuo d'inverno. 
Quel giorno c'era qualche nuvola in cielo.
Ludwig era appena stato nella stalla con i maiali, come ogni giorno a raccogliere i loro bisogni. Si sentiva sporco, puzzava, e aveva decisamente bisogno di darsi una ripulita. 
S'avvicinò dunque al lavabo esterno alla casa, ma lì notò lei, così si fermò quasi di colpo per osservarla. 
Era così bella... si domandò quanti anni avesse. 
Magari avrebbe potuto chiederlo, eppure la sua timidezza lo bloccava ogni volta che desiderava parlarle. Oltretutto, il padrone non faceva altro che rimproverarlo per le occhiate che le rivolgeva. 
Lui però non la guardava in modo particolare.
Era solo un po' curioso, tutto qui, quegli sguardi non erano nemmeno insistenti. Erano puri, semplici, non c'era alcuna attenzione morbosa nei confronti di quell'italiana né di nessun'altra.
Silenzioso, fece ancora qualche passo e si apprestò a sciacquare il viso ed i capelli. 
Felicia sussultò, non si aspettava di avere compagnia, però le sue labbra si inclinarono presto in un sorriso.
Era la prima volta che il biondo la vedeva con i capelli sciolti e si ritrovò a pensare che così stesse bene, ma non annunciò ad alta voce questo suo pensiero. 
-Ciao- lo salutò lei. 
-Non hai da lavorare?- le chiese lui. Anni di solitudine lo hanno fatto diventare un po' scontroso nei confronti degli estranei. 
Tuttavia lei frequentava quella casa da ormai due settimane e non le sembrò per nulla corretto quell'atteggiamento. 
Gonfiando le guance indispettita, lo rimproverò: -Guarda che volevo solo farti compagnia!- 
Il ragazzo non rispose. 
Cercò di pulirsi, l'acqua calda aveva fatto arrossare la pelle così sensibile sulle mani, sui polsi e nel volto. Quella pelle ne aveva comunque passate di peggio. 
Le violenze del padrone, inaspettate e spesso gratuite, non gli facevano più così paura, ma non riusciva comunque a tollerarle. 
Con un piccolo sospiro, si passò ancora una mano sul viso. 
Sentì un rumore ed il suo istinto gli suggerì di voltarsi verso l'entrata del capannone. 
L'uomo, innervosito, gli si avvicinò e lo schiaffeggiò almeno due volte, prendendolo poi per un braccio, il sinistro. 
-Sei un buono a nulla!- tuonò. -Stavi qui ad oziore, eh, schifoso? Ah, ma questo vizio te lo faccio passare io, schifoso bastardo!- 
Felicia li guardò terrorizzata, voleva tanto aiutare l'amico -perché ormai lo considerava tale- ma non sapeva come fare. La paura l'aveva immobilizzata.
Il vecchio si sfilò la cintura e spinse il ragazzino fino a farlo cadere per terra, dopo iniziò ad agitare la suddetta su di lui, unendo a questo gesto che forse non gli sembrava abbastanza, dei calci. 
Continuava ad insultarlo, mentre lui non poteva fare altro che cercare un po' di protezioni con le braccia. 
La donna uscì di casa e si avvicinò al capanno. 
Fece ancora qualche passo verso la mensola e ne recuperò alcuni barattoli vuoti, senza degnare di uno sguardo i due maschi poco distanti. Afferrò per il polso la ragazzina e la trascinò in casa.
-Devi aiutarmi, sbrigati- le disse. 
Quando il padrone si ritenne soddisfatto, col fiatone, si allontanò da lui e si sistemò la camicia e la cintura nei passanti dei pantaloni.
-Così impari, stupido tedesco del cazzo.-
Ludwig era ancora a terra, con gli occhi socchiusi, come se chiuderli potesse liberarlo da quelle violenze, Non si mosse.
-Non ti voglio più in questa casa. Da stasera dormi con quelli come te, coi porci, nel porcile. Mi sono spiegato?-
Il giovane mormorò: -S-sì...- sottovoce ed attese che lui se ne fosse andato per mettersi seduto. Sentiva male ovunque. Avvicinò una mano al viso e poi la osservò sporcarsi ancora di sangue. 
Quei segni se ne sarebbero mai andati? Sperava tanto di sì. 
 
 
 
La notte non portò consiglio, ma si aprì con una sorpresa. 
Passata l'ora di cena alla quale il ragazzo non fu invitato, il buio cadde ben presto su tutta la fattoria e i dintorni e lui s'accoccolò su un po' di paglia per riposare. Non si sentiva ancora bene, ma gli conveniva essere comunque in forze, il mattino dopo non gli avrebbero fatto sconti di alcun tipo.
Quando sentì la porta aprirsi il suo cuore accelerò i battiti e sembrò voler uscire via dal suo petto. 
-Ludwig?- lo chiamò una voce. -Ludwig, dove sei?- 
Sussurrando, la ragazzina sporse la testa dentro ed annusando l'aria fece una smorfia per il cattivo odore. 
-Ludwig, non voglio farti mica male...- 
Stava quasi per rinunciare, girando il capo quasi usciva da lì, ma lui la richiamò.
-Sono qui...- 
Richiuse la porta alle spalle e tenendo la gonna con una mano, salì goffamente le scale fino ad arrivare ad un piccolo spazio sopraelevato nel quale provava a riposare il ragazzo. 
Scorto appena il suo volto, lei si sentì rabbrividire. 
Il ragazzo aveva, oltre al graffio sulla guancia, le labbra spaccate e un grosso livido sotto l'occhio destro. 
Ma si fece coraggio ed ugualmente gli si avvicinò. 
-Stai un po' meglio?- gli chiese. Lo vide annuire con poca convinzione, non era mai stato bravo a dire la bugie, strano, considerando davanti quali prove lo ha messo la vita. 
-Ho qui una cosa per te- gli disse ancora. Prese un pezzetto di cioccolato e glielo offrì. 
Lui, spalancando gli occhi azzurri, la osservò confuso, poi lo spezzò e ne mangiò metà lentamente. L'altra metà la fece sciogliere in bocca, aveva così tanta fame...
Felicia sorrise. Avvicinò la mano alla sua fronte per scostare una ciocca bionda, sporca di sangue, dai suoi occhi. Purtroppo però, lo fece sussultare, così s'affrettò a scusarsi.
-M-mi dispiace, non volevo metterti paura...-
-Non fa niente...- le rispode lui, concentrando la sua attenzione su qualcos'altro.
La ragazza aveva un fiocco tra i capelli sciolti, le illuminavano il viso, era così dolce da sembrare un angelo. 
E quell'angelo tirò fuori da una delle tasche del grembiule rosso, bagnato all'altezza di queste, qualcos'altro.
-Mostrami le tue ferite- gli chiese nel modo più dolce che conosceva. 
Lui non rispose. Il suono della sua voce era così melodioso che avrebbe voluto sentirla parlare per ore. 
-Voglio solo medicarti, poi andrò via, lo prometto- giurò.
Ludwig, suo malgrado, scostò le bretelle marroni e si sfilò la maglia sporca bianca sporca di sangue. Le rivolse le spalle.
Lei non commentò; si limitò a rivolgere a quella schiena così rovinata un'occhiata profondamente triste. Prese una pezza bagnata e gli ripulì delicata quelle ferite.
-Perché lo fai?- domandò lui, chiudendo gli occhi. 
Ormai il buio era sceso completamente anche lì.
-Beh, perché... non è giusto quello che ti hanno fatto. Adesso userò il disinfettante, farà un po' male, ma dopo starai meglio.- 
Gliene versò un po' sulla schiena, il biondo strinse forte la paglia sotto le sue dita per sopportare il dolore. 
Pochi minuti dopo, lei gli concesse di rivestirsi. 
-Felicia?-
-Mh?-
-Danke...-
Lei inclinò un po' il viso di lato, con questo suo gesto alcune ciocche scure le coprirono un occhio. -Cosa significa?-
-Vuol dire "grazie" in tedesco.-
-Ludwig? Perché parli tedesco? Da dove vieni?-
La ragazzina non aveva mai avuto modo di studiare, quel po' che sapeva glielo aveva insegnato la sua mamma e non era molto.
Forse non aveva un'istruzione, ma aveva un cuore grande grande, capace di contenere tantissimo amore. 
Lui accennò un sorriso triste. 
-Io sono nato in Germania, a Berlino. I miei genitori e mio fratello morirono in un incendio... mi affidarono ad un parente di mia madre che viveva qui, in Italia, ma lui ben presto mi abbandonò. Ho passato quattro anni in orfanotrofio... sono qui da due anni.-
Raccontò la sua storia senza guardarla nemmeno per un secondo e lei non cercò quegl'occhi chiari e belli. Si limitò ad ascoltare.
Poi lui le chiese: -Und du? Come sei finita qui?-
Felicia non voleva piangere ancora e si era ripromessa di non farlo, ma gli occhi le si riempirono di lacrime e non poté trattenerle. Le nascose con le mani e parlò lenta.
-Il mio papà è morto l'anno scorso. Mia mamma non è riuscita ad occuparsi bene di loro, perché non ha lavoro ed è sola, ma lei ce l'ha messa tutta, davvero! E invece quelle persone cattive hanno portato via me e mia sorella.-
-Tua sorella? Dov'è lei adesso?-
-Non lo so... vorrei tanto rivederla.-
Ludwig annuì con fare serio. -Anch'io vorrei rivedere mio fratello...- 
 
 
 
Il tedesco continuò a dormire nel porcile nei giorni successivi. 
I suoi padroni, che ancora era costretto a chiamare "signore" e "signora", come se loro lo meritassero, gli avevan detto che se voleva mangiare, allora poteva avere quello che avevano i maiali.
Lui si rifiutò categoricamente di mandar giù quella robaccia, ma presto la fame prese il sopravvento e fu costretto ad accontentarsi. Credeva che persino il cane mangiasse meglio.
Lo avevano punito e lui non aveva ancora capito bene perché. Forse semplicemente non lo volevano in giro mentre per casa c'era lei, la ragazza. 
Era una notte che sembrava non trascorrere mai ed era appena iniziata. 
Non riusciva proprio a chiudere occhio e si sentiva parecchio solo. I maiali non fanno compagnia. 
Rigirandosi inquieto tra la paglia, si decise infine ad alzarsi. Scese la scaletta ed uscì dal porcile, vagando un po' per i prati, solitario. 
Osservò la casa, finalmente anche l'ultima luce si era spenta. Accennò un sorriso. Magari poteva andare da lei. "Chissà se è sveglia..." rifletté tra sé. 
Comunque sia, corse svelto verso la casa e camminando silenziosamente vi entrò. Sapeva bene che il terzo gradino scricchiolava, così passò dal secondo al quarto e finì la rampa di scale. Nel silenzio della sera, non sentì nulla.
Poi quella tranquillità venne rotta da gemiti soffocati. Qualcuno stava ansimando. 
Lui non si fece troppe domande, ma si stupì leggermente considerando l'età dei due coniugi. Il suo istinto gli stava dicendo qualcosa. Gli gridava di andarsene.
Gli aveva sempre dato retta e lo avrebbe fatto anche stavolta.
Sentito un rumore, infatti, scese le scale e tornò in giardino, più velocemente possibile.
Felicia aveva ancora le guance sporche di lacrime, non aveva capito subito la situazione e quando riuscì a comprendere era ormai troppo tardi.
L'uomo era entrato qualche momento prima senza fare il minimo rumore nella sua piccola stanza e le aveva tappato la bocca con la mano, così grande, rovinata da anni e anni di duro lavoro. 
L'aveva guardata negli occhi e le aveva sussurrato di non muoversi. Aveva infilato la mano libera sotto le coperte ed aveva sollevato la veste bianca da notte. Dopo aveva iniziato a toccarla.
La ragazzina non riusciva a togliersi quell'immagine dagli occhi.
Si sentiva così sporca, così sola, mentre rimaneva lì, rannicchiata tra le coperte, quasi a volersi proteggere. Aveva cercato di reagire, ma non era servito. Singhiozzando, strinse forte il tessuto del lenzuolo, come a cercare un po' di conforto. Non sentiva altro che il bisogno di lavarsi. 
Avrebbe solo voluto che la sua mamma fosse lì con lei, per consolarla, o che la sorella la tirasse su di morale. Ma alla fattoria non aveva amici.
C'era solo lui, Ludwig. E non avrebbe mai potuto confessargli una cosa talmente grande.
Forse, dopotutto, i maiali fanno compagnia, in un modo o in un altro.
 
 
  
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