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Autore: BlueMagic_96    28/06/2013    3 recensioni
Ethan si è appena trasferito a Mermaid's Rock, una noiosa e minuscola cittadina arroccata sul mare, quando con sua enorme sorpresa scopre che questa nasconde un segreto molto più grande del previsto. E il segreto in questione è celato sotto litri e litri di acqua salata e schiuma di mare. Ma la vera protagonista della storia è lei, Aya: una ragazza dal lungo e triste passato, in cerca di qualcuno che la ascolti e che la ami. Tra loro nasce subito una forte intesa, e non ci sarebbe nulla di strano se non il fatto che al posto della gambe, Aya si ritrovi una coda squamata.
Riuscirà l'amore a prevalere sulla diversità, sul pericolo e sugli ostacoli che i due ragazzi dovranno affrontare?
Riuscirà Aya a capire ciò che il suo cuore nasconde, o resterà legata al passato che la rende schiava del mare?
Lo scoprirete solo leggendo ... :P
Genere: Fantasy, Malinconico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Lemon | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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TAN TAN TAN TAAAAAAAN!!!!

La storia che state per leggere si è classificata 2^a nel concorso 'Impossible Love' ( http://freeforumzone.leonardo.it/discussione.aspx?idd=10498197 )
di Gely_9_5 ( http://freeforumzone.leonardo.it/scheda.aspx?c=4642&f=4642&idu=3724724 )!
Personalmente sono molto fiera di quello che sono riuscita a sfornare!
La storia, logicamente è già completa ma pubblicherò un capitolo ogni due o tre giorni!
Che dire... spero che vi piaccia e... recensitee! Non vedo l'ora di sapere cosa ne pensate! :)







                                      PROLOGO
La tempesta si abbatteva spietata sul golfo, quella mattina, unendo cielo e mare in un unico immenso dipinto dai colori cupi e violacei.
Una ragazza, persa in mezzo a quell’insidioso quadro, lottava contro la corrente impetuosa che ad ogni bracciata la spingeva sempre più al largo, lontana dalla baia.
Allo stesso tempo, però, le possenti onde provenienti da ogni parte la spingevano pericolosamente verso l’aguzza scogliera di roccia nera, minacciando di sommergerla e trascinarla nelle profondità scure del mare.
I muscoli di braccia e gambe sembravano essere sul punto di strapparsi da un momento all’altro, mentre con tutte le forze che aveva in corpo  cercava di prevalere sulla furia del mare.
Una bambina, incuneata sotto al suo braccio, era ormai svenuta e si lasciava trascinare a peso morto.
Usando tutta la sua abilità la ragazza riuscì a rimanere a galla e, con un ultimo immenso sforzo, si aggrappò ad una roccia usando l’unico braccio libero: le punte taglienti si tinsero di rosso, dopo averle lacerato ripetutamente il palmo della mano con profondi solchi.
Un rauco grido le uscì dalla gola quando un’onda la investì con tutta la sua potenza, schiacciandola ancora di più contro la scogliera e riempiendole gli occhi di sale: due costole si erano frantumate sotto la pressione dell’acqua, aveva potuto udirne chiaramente il rumore durante l’urto con le rocce.
Una mano si sporse verso di lei: apparteneva ad una ragazza dai lunghi capelli bruni che nel frattempo le aveva raggiunte per aiutarle a risalire la scivolosa parete di roccia.
“Prendila, non ce la faccio a salire con lei!” gridò la ragazza appesa alla scogliera, rivolta all’amica bruna, sollevando il corpicino esanime della bambina che poco prima era caduta in mezzo alla tempesta e che ora si trovava fra le sue braccia.
La ragazza bruna si sporse per afferrarne la maglia fradicia e piena di sale: il suo volto era carico di paura per le sorti della sorellina, che non dava segnali di vita.
Una volta messa in salvo la bambina, la ragazza, ancora in bilico fra i massi appuntiti, ne approfittò per aggrapparsi più saldamente alla roccia.
Ora che poteva sfruttare entrambe le braccia sarebbe stato più facile risalire.
Ma la parete rocciosa era più tagliente e scivolosa di quanto pensasse e la violenza delle onde non l’aiutava certo nella sua impresa:
“Erika! Aiutami!” l’amica doveva averla sentita e l’avrebbe aiutata a risalire, ne era certa!
Ma quando i loro sguardi si incontrarono, la ragazza capì di essersi sbagliata: gli occhi della bruna, carichi di lacrime, le stavano chiedendo perdono.
 Perdono per cosa?
Lentamente la ragazza cominciò a capire cosa stava succedendo:  aveva fatto la sua scelta, una scelta dettata dalla gelosia e dalla follia, e le stava chiedendo perdono proprio per quello.
“No, no, no! Erika! Che stai facendo, Erika! Aiutami, ti prego!” la voce della ragazza era roca e carica di disperazione.
Non poteva farle una cosa del genere!
 Eppure l’amica dai capelli bruni si era alzata in preda ai singhiozzi con la sorellina tra le braccia, voltandole le spalle pronta a correre lontana da quell’inferno di morte e distruzione: 
“Perdonami!” fu tutto quello che riuscì a dire prima di voltarsi e lasciarsi alle spalle la ragazza che per lungo tempo aveva invidiato.
“Erika!” un ultimo grido e, prima che potesse fare qualunque altra cosa, un’altra onda, più alta e violenta delle altre, le fece perdere la presa: con un tonfo ricadde in acqua, risucchiata dai gorghi e dalla corrente impetuosa.
La gola si riempì d’acqua, così come le narici, e ben presto si ritrovò impigliata in mezzo ad un gruppo di scogli: tagliandosi ripetutamente braccia e gambe, riuscì a divincolarsi dalla morsa infernale di quella strettissima insenatura tra le rocce,ritrovandosi boccheggiante a pelo d’acqua.
Era tutto finito.
La sua migliore amica l’aveva abbandonata.
Era sola. Sola contro la forza divina del mare.
Il corpo martoriato dai tagli e dalle contusioni non riusciva più a contrastare la corrente che, combinata al risucchio delle onde, la portava sempre più vicina alla rovina.
Ben presto si ritrovò nuovamente intrappolata: era un pesce in una rete di scogli, una rete fitta che non aveva via d’uscita se non la morte.
Ormai aveva capito: non c’era più nulla da fare.
Aveva lottato con tutta se stessa contro la furia del mare, ma aveva fallito.
Per lei non c’era più un futuro,se non quello che può avere un corpo senza vita sul fondale dell’oceano.
Perché era questo ciò che sarebbe diventata di lì a pochi minuti: un cadavere, cibo per pesci.
Questa consapevolezza le riempì il cuore di tristezza: non voleva morire, non così giovane e soprattutto non in quel modo.
Amava il mare, lo aveva sempre rispettato, e non aveva mai immaginato che potesse diventare la sua tomba.
Ben presto, però, le onde la sommersero, trascinandola sempre più in profondità: tentò comunque di riemergere, sfruttando tutte le proprie risorse, invano.
 L’acqua fredda del mare le inondò i polmoni, togliendole il respiro e chiudendole la gola in una morsa assassina.
La paura, d’un tratto, si impossessò di lei privandola di qualsiasi razionalità e gettandola nel panico più assoluto.
 Vita, vita, vita! Gridava silenziosamente, puntando lo sguardo atterrito sopra di sé, in cerca della luce.
Ma questa era ormai troppo lontana.
Portò le piccole mani bianche attorno alla gola e, in un ultimo gesto disperato, aprì la bocca in un grido muto di rabbia.
Quando la testa andò a sbattere contro lo spigolo di una roccia non se ne rese nemmeno conto: era troppo occupata a pensare a tutto quello che si stava lasciando alle spalle per pensare al dolore.
I suoi sogni. Le sue speranze. La sua vita.
Tutto perduto. Perché? Perché a lei? Non era giusto.
Nulla lo era.
D’un tratto pensò all’amica che, dopo averla guardata negli occhi, l’aveva consegnata al suo destino: come aveva potuto fare una cosa del genere alla persona che, tra l’altro, si era gettata in acqua per salvare la vita di sua sorella?
Come aveva potuto rinnegare la propria umanità per una così futile e banale gelosia?
Era questo che voleva dire essere umani? Era questa la vera faccia delle persone?
 Una lacrima, unica testimone del suo tormento, si fece strada tra le lunghe ciglia scure e si mescolò all’acqua rabbiosa intrisa di sangue, lasciandola così, sospesa in quel limbo di dolore e rimorso che la portava sempre più a fondo, in un lento calare di luci.
La tempesta continuava ad abbattersi spietata sul golfo e cielo e mare erano uniti in un unico dipinto dai colori cupi e violacei.
All’orizzonte, un timido raggio di sole filtrava tra le nubi.


                                                 *****************************************


Mermaid’s Rock, la Rocca della Sirena: era lì che abitava, ora.
 Una microscopica cittadina arroccata su un promontorio perennemente coperto di nuvole: all’inizio il pensiero di dover vivere in un posto del genere lo aveva tormentato.
 Non voleva separarsi dal traffico caotico delle automobili e dagli svaghi che una grande città come Miami poteva offrire, eppure si era trovato costretto:
sua madre era archeologa e storica, lavoro che spesso implicava spostamenti lavorativi.
 Era sempre la stessa storia: qualche importante associazione storico- scientifica si metteva in contatto con lei per farle analizzare reperti e nuove scoperte, e lui doveva seguirla in tutti i suoi spostamenti.
Di solito erano cose momentanee, ma quella volta sua madre l’aveva preparato ad una lunga permanenza:
“Questa volta si tratta di qualcosa di grande: a quanto pare hanno ritrovato tracce di una civiltà nuova … hanno parlato di geroglifici e simboli su roccia, e di alcune strutture rinvenute vicino alla spiaggia!”
 Così aveva detto.
Il mondo gli era crollato addosso e aveva faticato molto ad adattarsi nel nuovo ambiente.
Sua madre pretendeva che andasse a scuola per integrarsi meglio e farsi nuove amicizie, e lui l’aveva odiata per questo: non solo lo faceva viaggiare come un piccione, ma lo obbligava persino ad integrarsi in luoghi dove non sarebbe rimasto per più di un anno! Che senso aveva?
Da quando aveva conosciuto Aya, però, le cose erano cambiate: lei gli aveva salvato la vita, permettendogli di osservare il mondo sotto un’altra prospettiva. Gli aveva rubato il cuore, e nemmeno lui riusciva a capire come fosse potuto succedere: era tutto così strano!
Tutto quello in cui credeva, la storia, la scienza, la realtà che riteneva vera … in realtà era tutta una finzione.
Aya ne era la dimostrazione.
Come tutti i pomeriggi l’aveva trovata là, seduta sulla scogliera, intenta ad intrecciarsi i lunghissimi capelli argentati: dalle labbra violacee, così ben disegnate, usciva una lenta melodia mentre con lo sguardo osservava l’orizzonte, persa in chissà quali pensieri.
D’un tratto la vide voltare lo sguardo e puntare i grandi occhi grigi nei suoi: ogni volta che la guardava, quei suoi occhi d’argento lo catturavano,
inghiottendolo in un vortice infinito dal quale faticava ad uscire.
 Non erano occhi normali. D’altra parte, nemmeno la lunga coda di pesce su cui era seduta lo era.
Quando l’aveva vista per la prima volta aveva pensato di essere morto e di avere le visioni, ma poi si era dovuto ricredere: era proprio vera!
 Le storie raccontate dagli abitanti di quella strana cittadina non erano frottole da manicomio: erano reali.
Una sirena, sì.
Una creatura bellissima, figlia delle onde.
Figlia della morte.
Sapeva che era pericolosa, imprevedibile e soprattutto molto diversa da lui, ma nonostante tutto rimaneva la sua sirena, e le terrificanti leggende
sul suo conto non avrebbero potuto spegnere l’amore che provava per lei.


                                                     ************************************


L’orizzonte. Che meraviglia!
Mi chiedevo spesso cosa potesse esserci oltre quella linea infinita a pelo d’acqua, e se mai avessi potuto raggiungerla.
Ci avevo provato più di una volta, ma sembrava irraggiungibile, come un’effimera striscia di luce.
Seduta sulla scogliera, mi stavo pettinando i capelli in attesa di non essere più sola.
Quando riconobbi il  suono irregolare e goffo dei suoi passi sulle rocce acuminate drizzai la schiena, ansiosa di vederlo:  stare con Ethan era l’unica cosa che mi facesse sentire nuovamente umana, nuovamente viva.
Dal giorno in cui lo avevo salvato dalla furia delle onde non me l’ero più cavato dalla testa, e non riuscivo a darmi una spiegazione: a dir la verità non sapevo nemmeno perché l’avessi salvato!
Ciò che avevo fatto era sbagliato: avevo strappato al mare la sua preda ma non riuscivo a sentirmi in colpa!
Per lui non ero il ‘mostro della corrente’ e nemmeno la ‘serpe delle onde’: per lui ero solo Aya, una ragazza con la coda di pesce che viveva in mezzo al mare, con la sola compagnia di pesci e gabbiani.
A differenza delle persone del luogo Ethan non mi vedeva come una maledizione, bensì come una meraviglia di cui riempirsi gli occhi fino allo sfinimento. Veniva a trovarmi ogni giorno e mi raccontava quello che succedeva sulla terra ferma: grazie ad Ethan avevo ritrovato la capacità di sorridere e di cantare e di questo gli sarei stata grata per sempre.
E sempre è un tempo molto lungo per chi può viverlo …
Erano passati ormai due millenni dal giorno in cui il mare mi aveva fatta sua prigioniera, ma il ricordo sarebbe rimasto vivo nella mia mente per sempre:
non potevo dimenticare la paura, la disperazione e la rabbia con cui me n’ero andata!
 Sebbene mi avesse restituito alla luce, il mare non mi aveva restituito la vita: sarei rimasta intrappolata per sempre in quel golfo che me l’aveva strappata, destinata ad un futuro di solitudine e rimpianto.
Ero morta per sempre. Eterna fuggitiva.
Comparì dopo pochi secondi da dietro un alto scoglio e quando mi voltai a guardarlo i miei occhi si persero nei suoi: occhi marroni,
così semplici eppure così luminosi … umani!
 Anche io avevo occhi simili, prima che il mare mi trasformasse nella creatura che sono diventata …
Il viso del ragazzo si illuminò, vivo come non mai, mentre il vento marittimo gli scompigliava i corti capelli castani: era così bello!
 “Aya!” la sua voce rauca risuonò tra le rocce, riempiendomi le orecchie di quel suono così rassicurante e … familiare.
 Mi ero chiesta spesso cosa avesse quel ragazzo di così speciale da guadagnarsi la mia fiducia e da attrarmi così tanto: di esseri umani ne avevo visti tanti,
e li avevo odiati tutti quanti, ma lui … lui era diverso!
Avevo subito avvertito la solitudine che artigliava il suo cuore, la tristezza e l’amarezza che gli aleggiavano intorno; ma quello che più mi aveva colpita e che forse aveva scatenato in me quell’irrefrenabile voglia di salvarlo dalla morte era stato proprio lo sguardo: lo sguardo vacuo di chi non si gusta la vita ma allo stesso tempo non è disposto a perderla per nessun motivo.
Lo sguardo di un combattente, un combattente ferito: proprio come me.
“Aya! Che bello rivederti! Scusami se ieri non sono venuto ma ho avuto dei problemi a scuola e …”
Istintivamente aprii la bocca per chiedergli cosa fosse successo, ma prima che potessi trovare le parole venni bloccata dal suo dito sulle labbra:
“Calma, calma! Nulla di grave! I soliti piantagrane che non la smettono di darmi fastidio!” Nell’udire quelle parole il mio cuore si strinse, carico di rabbia e disappunto: era da troppo tempo che gli ronzavano attorno, quei tizi, e dovevano pagarla cara!
 “Aya, calmati! Mi fai paura quando fai così: i tuoi occhi sono diventati … strani! Devi stare tranquilla!” mi disse lui, portandomi una mano alla guancia e accarezzandomi con delicatezza quasi inumana. Quanto mi piaceva sentire il suo tocco caldo sulla pelle!
I miei occhi, che prima dovevano essersi illuminati di rabbia, tornarono alla normalità: Ethan aveva lo stranissimo potere di farmi calmare ogni volta che l’istinto di sirena prendeva il sopravvento.
“Io … devono pagare … non permetterò che ti facciano male!” tentai di dire.
Era sempre difficile trovare le parole giuste per farmi capire da lui: dopo tanti anni di isolamento e silenzio mi ero persino dimenticata come si parlava e all’inizio non conoscevo la lingua di Ethan.
Lui però si era impegnato ad insegnarmela e, anche se non la parlavo benissimo, ora potevamo parlare come due persone normali.
Certe volte, però, mi trovavo costretta a comunicare con lui per secondi mezzi: ero capace di inviare ricordi, immagini, sensazioni ed emozioni a qualsiasi essere vivente con un semplice contatto fisico,ma era un processo pericoloso e per questo cercavo di usarlo il meno possibile, almeno su Ethan!
Avevo imparato che la manipolazione mentale sugli umani poteva avere effetti disastrosi e non volevo rischiare di fare del male alla mia unica fonte di felicità! Il mio rapporto con l’umanità non era mai stato dei migliori e sin da subito era stato alimentato dall’odio e dalla rabbia:
 quando la voce dell’esistenza di una ‘strana creatura’ alla scogliera si sparse, il mio capoclan volle venire di persona a vederla e non appena mi riconobbe tentò di uccidermi, spalleggiato dal resto del clan, compresi i miei amati genitori.
A quanto pare non potevano sopportare la vista di quell’abominio.
Perché è così che ero considerata: un abominio.
Prima la mia amica Erika,poi la mia famiglia e il mio clan.
Erano tutti uguali, gli uomini, pronti a tradire chi è diverso senza alcuna esitazione!
Ma la mia vendetta l’avevo avuta. Li avevo presi tutti, senza tralasciarne nessuno: la prima che trascinai insieme a me negli abissi fu mia madre, seguita da mio padre e da tutti gli altri membri del clan.
Poi fu il turno del capoclan, colui che solo tre mesi prima mi aveva ritenuta abbastanza bella da diventare la sposa di suo figlio contro il mio volere: non l’avevo mai voluta quell’unione!
E pensare che proprio quello stupido matrimonio aveva scatenato la gelosia di Erika, innamorata follemente del mio futuro sposo!
 Oh, ma la giustizia era arrivata anche per lei! Me l’ero tenuta per ultima perché volevo essere sicura che vivesse gli ultimi giorni della sua vita nel terrore e nella consapevolezza che la stessa sorte di tutti i suoi affetti sarebbe toccata a lei. Così la attirai allo scoglio e feci ciò che andava fatto:
“Perdonami.” le dissi prima di osservarla affogare.
Una volta placata la mia sete di vendetta avevo tentato di riappacificarmi con il genere umano: la solitudine mi tormentava e tutto quello che desideravo era un amico con cui parlare e a cui mostrare tutto il mio dolore. Riuscii a trovarlo in un bambino che veniva spesso alla scogliera per pescare granchi: voleva aiutarmi ad essere più felice e io gliene ero molto grata, tanto che un giorno decisi di mostrargli il mondo in cui vivevo, il mare!
Lui mi disse che non sapeva nuotare e che aveva paura del mare ma io insistetti e, prima che potesse andarsene, lo presi per un braccio e lo portai con me. Ero felicissima: finalmente potevo condividere i miei segreti con qualcuno, potevo avere un amico!
Volevo fargli vedere il fondale e tutto quello che nascondeva, e lo trascinai con me sott’acqua, ma mi accorsi troppo tardi dell’errore che avevo commesso.
Da quel giorno, quello in cui uccisi il mio unico amico, tutto cambiò: portai il suo corpo senza vita sulla spiaggia e aspettai che qualcuno venisse a prenderlo, per scusarmi di ciò che avevo fatto.
Quando mi videro di fianco al piccolo cadavere, ormai in via di putrefazione, nessuno mi lasciò il tempo di parlare: scapparono, gridando come un ossesso, implorando il mare di perdonare i loro peccati e di liberarli da quel flagello.
Da me.
 Presto cominciarono le processioni sacrificali: tribù intere di uomini, donne e bambini venivano alla scogliera per implorarmi di lasciarli in pace, portando doni e sacrifici umani e gettandomeli in mare.
Tutto quello mi faceva solo arrabbiare maggiormente: non volevo essere temuta, volevo solo essere capita e ascoltata! Volevo sentirmi normale, come lo ero prima! Perché nessuno lo capiva?!
Un’altra volta, il mio istinto di sirena prese il sopravvento e cominciai a scatenare terribili tempeste sull’isola, per tenere lontani tutti quei fanatici che continuavano ad irritarmi con i loro stupidi tributi!
Chi osava avvicinarsi troppo a me e al mare lo trascinavo negli abissi e col tempo anche le cerimonie sacrificali ebbero fine.
I secoli passarono, gli uomini avevano abbandonato la credenza negli dei, e cominciarono per me gli anni della caccia: la gente mi considerava un mostro da eliminare e ogni volta che mi mostravo a qualcuno, questo spargeva la voce e mandava  cacciatori con arpioni, frecce e pugnali ad eliminarmi.
Fu in quegli anni che imparai a nascondermi dagli umani e a non farmi vedere: fra loro nessuno sarebbe mai potuto diventare mio amico.
Nonostante fossero passati non so quanti anni, non erano cambiati di una virgola: avidi, crudeli, sadici e traditori. Questo erano gli umani, e questo sarebbero sempre stati.
Vennero poi gli anni delle scoperte scientifiche: cominciarono a cacciarmi non solo per il gusto di vedermi morta, ma per strani esperimenti e ricerche. Volevano che diventassi una loro cavia da laboratorio, uno strumento nelle loro mani!
Pazzi, ecco cos’erano!
Se c’era una cosa che avevo capito in quegli anni era proprio che degli uomini non ci si poteva fidare e che non saremo mai potuti andare d’accordo: o mi temevano, o mi cacciavano.
 E queste erano le stesse cose che cominciai a fare anche io: temerli e cacciarli, se mi infastidivano.
Molte di queste cose, come l’episodio del bambino e il piacere che avevo provato nello sterminare la mia famiglia, avevo deciso di tenerle per me e di non rivelarle a Ethan, per paura di spaventarlo: era pur sempre un essere umano e dirgli che mi piaceva attirare alla scogliera le persone con il mio canto e poi guardarle affogare per pura vendetta, ricavandone piacere … beh, avrebbe potuto fargli cambiare opinione sul mio conto.
Sapeva che avevo ucciso la mia famiglia e moltissime altre persone, questo non me l’ero sentita di ometterglielo, ma aveva capito le mie ragioni e aveva addirittura preso le mie difese, dicendo che era più che comprensibile, la mia insaziabile sete di vendetta.
Certe volte mi chiedevo se era un essere umano o una creatura strana quanto me …


Aaaaallora gente! spero vi sia piaciuta e che continuate a seguire la pubblicazione dei capitoli! Non ce ne sono tanti, quindi presto finirò di postarli ...
NB: Per chi di voi seguisse Fire Circle e/o The Caress of the Wind:
LO SO, LO SO ... avete il permesso di insultarmi e torturarmi come meglio credete! Non opporrò resistenza! Le ho lasciate entrambe a metà per dedicarmi alla stesura della storia che avete appena cominciato a leggere e, soprattutto, per la fottutissima scuola. Ora che è arrivata l'estate PROMETTO che andrò avanti e cercherò di fare del mio meglio per essere rapida, ma ammetto di avere perso un po' il filo quindi....
PERDONO! CHIEDO UMILMENTE VENIA! *si prostra ai piedi di chiunque abbia la tentazione di aprirle la pancia con un coltello da dolce*
 
NB 2, il ritorno: Per chi non seguisse le storie sopra citate... beh... perchè non fare un saltino sulla mia pagina a controllare?? *____*


 
  
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