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Autore: dreamlikeview    28/06/2013    19 recensioni
Harry ha una passione snaturata per i fiori fin da bambino, durante la sua crescita incontra Louis, un ragazzo leggermente sopra le righe che gli sconvolgerà l'esistenza. In seguito ad un aggressione, Harry perde la memoria, dimenticando tutta la storia d'amore avuta con Louis, e il suo migliore amico, Nick, approfitta della situazione per insinuarsi nella vita di Harry e portarlo via da Louis, che dopo un primo momento di scoraggiamento, deciderà di tentare il tutto per tutto per riprendere il riccio nella sua vita.
Ma Nick sarà davvero sincero con Harry?
Harry ricorderà Louis?
E Louis lo lascerà andare o si arrenderà?
[Larry as romance, con piccoli accenni Harry/Nick]
Genere: Angst, Fluff, Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU, OOC | Avvertimenti: Triangolo
- Questa storia fa parte della serie 'All about them.'
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Desclaimer: I personaggi non mi appartengono in alcun modo, non intendo offenderli nè di rappresentare in maniera veritiera il loro comportamento. Niente di tutto ciò è scritto a scopo di lucro, non ci guardagno niente - la soddisfazione personale non vale.

Credits: Totally a Lu ( _LUcy ) per il meraviglioso banner, as always.

Avvertimenti: One shot di 25 pagine e mezzo, conteggio parole 25.341.
Non potevo dividerla in più capitoli, quindi spero riusciate arrivare alla fine sani e salvi. 
(spero, comunque non ci siano errori, ho riletto, ma qualcuno scappa sempre, segnalateli se vi va!) 


Enjoy! 




 

First, you think the worst is a broken heart
What’s gonna kill you is the second part
And the third, Is when your world splits down the middle
And fourth, you’re gonna think that you fixed yourself
Fifth, you see them ut with someone else
And the sixth, is when you admit that you may have fucked up a little
oh no there ain’t no helping, to remember one’s self
(Six Degrees of Separation – The Script)

 

 
Harry non sapeva cosa significasse voler bene ad una persona. Lui era sempre stato un bambino taciturno, se ne stava sempre sulle sue, non aveva mai avuto un amico del cuore, come tutti i suoi compagni. All’asilo, tutti i bambini lo prendevano in giro, perché era riccio, perché era sempre silenzioso, e lo vedevano come un essere strano, cattivo. Harry ogni giorno si sedeva nel suo banchetto, prendeva i pennarelli e iniziava a disegnare. La cosa buffa era che, essendo un maschietto, avrebbe dovuto disegnare mostri, draghi, e tutte quelle cose che normalmente ad un maschietto piacevano, ma Harry aveva sempre disegnato solo fiori, coroncine di fiori, cose che normalmente piacevano alle bambine. Forse era per questo che era sempre stato preso in giro. Alle elementari, poi, aveva imparato ad intrecciare i fiori per creare piccole coroncine da regalare alla sua mamma, a sua sorella, all’evenienza anche alle cuginette, quando andavano a trovarlo. Adorava i fiori, era sicuro che da grande avrebbe fatto qualche lavoro che avesse incluso la cura dei fiori, magari avrebbe aperto un vivaio, o qualcosa di simile. Lui amava i fiori, cosa poteva farci?
Alle medie, le cose non erano cambiate, Harry continuava ad amare i fiori, arrivava a scuola sempre con una coroncina nei capelli, ed anche se veniva preso in giro, a lui non importava, perché lui era abituato a non avere amici, a non stare con nessuno. E lo stesso era stato al liceo. Nessuno osava avvicinarsi a lui, perché crescendo Harry aveva sviluppato una discreta muscolatura, e si era elevato in altezza, i suoi tratti erano più marcati rispetto a quando era più piccolo. Era diventato un bel ragazzo, solo, asociale, ma bellissimo. I capelli scuri e ricci gli contornavano il viso chiaro, mettendo in risalto i suoi occhi verdi, un verde intenso, come una pietra preziosa, come lo smeraldo. Era il punto debole di ogni ragazza, sebbene fosse asociale, nessuna di loro riusciva a non fermarsi imbambolata almeno per mezz’ora, quando lo vedeva passare per il corridoio della scuola, ma lui non aveva punti deboli, o meglio aveva solo un punto debole. Uno solo.
Il possessore di due occhi azzurri.
C’era un ragazzo, che c’era sempre stato, da che Harry ricordasse, che l’aveva rapito con uno sguardo. Un ragazzo dagli occhi azzurri, azzurri come il cielo, il ghiaccio e il mare fusi, degli occhi così belli che Harry aveva perso il fiato guardandoli, i capelli castani, decorati da un ciuffo rosso fuoco, il corpo tempestato di tatuaggi, le braccia muscolose e tatuate, messe in evidenza dalle canottiere che indossava anche inverno – chi se ne frega del regolamento scolastico e del freddo invernale? – le gambe grassottelle costantemente fasciate e messe in risalto da jeans strettissimi, i quali risaltavano anche tutte le forme del ragazzo. Tutto ciò lo rendeva uno spettacolo troppo bello per essere vero, quel ragazzo era troppo bello per essere vero. L’aria sempre imbronciata, la sigaretta sempre accesa, i piercing che gli decoravano un orecchio e il labbro inferiore, uniti al dilatatore all’orecchio destro e ai numerosi tatuaggi che possedeva, gli permettevano di essere una sorta di… adone greco, agli occhi di Harry.
Per uno scherzo del destino, un progetto di coppia di chimica – chimica, è una materia la chimica? – si erano incontrati. Era stato così, che Harry al liceo, dopo anni di ricerca aveva trovato un amico, un confidente, un ragazzo per il quale avrebbe fatto follie, un ragazzo che, in un certo senso, lo completava, essendo il suo netto opposto.
Harry non avrebbe mai immaginato, che proprio quel ragazzo, un giorno, sarebbe stato suo.
Harry aveva imparato cosa significasse voler bene una persona, o meglio, amarla.
 
 
 
 
Harry uscì dal magazzino degli attrezzi, rendendosi conto che quel giorno il sole era davvero alto nel cielo. Il sole picchiava forte, ed era un bene per le piante e i fiori del vivaio, avrebbero acquisito tutto il calore di cui necessitavano. Lavorava, come aveva sempre sognato, in un vivaio. Aveva studiato botanica al college, e poi insieme ad un suo compagno di studi, diventato il suo socio, Nick, aveva aperto il vivaio, dove curavano i fiori più pregiati, le piante più rare e soprattutto facevano consegne a domicilio, si accontentavano di poco, i guadagni non erano pessimi,  nel complesso il vivaio era un’ottima fonte di guadagno, però anche in quel campo, le limitazioni c’erano, il materiale era sempre più caro, ed Harry non poteva più andare avanti da solo. Certo, gli faceva piacere prendersi cura delle piante, e dei fiori, spesso con quelli caduti prima del tempo di raccolta, creava coroncine di fiori da dare in omaggio alle bambine, come le figlie dei fiorai che acquistavano generose quantità di fiori freschi, per Harry era conveniente avere buoni rapporti con la clientela. Quella mattina aveva un appuntamento, gli erano state ordinate una trentina di rose, per un matrimonio e doveva potarle prima dell’arrivo della donna che le aveva richieste. La donna gli aveva spiegato al telefono, che voleva acquistarle personalmente da lui, e non rivolgersi ad un fioraio. Certo, era una donna altolocata, aveva parecchi soldi, e voleva solo il meglio per il matrimonio della prima figlia  - Harry aveva il pregio di essere un ottimo ascoltatore – del quale la donna aveva parlato per mezz’ora al telefono con lui, facendo ridere Nick, che – non sia mai – alzasse il sedere da quella dannata sedia. Maledetto il giorno in cui avevano messo su il vivaio e Nick aveva detto che non avrebbe mai fatto i lavori manuali, ma avrebbe solamente fatto da contabile – grazie mille, Nick.
Si recò in fretta nella serra numero tre, quella con le rose, e ispezionò tutta la fioritura. Poteva essere orgoglioso, le rose erano profumate, belle e forti. Doveva solo scegliere le migliori, del colore giusto e tutto sarebbe stato perfetto. Si guardò un po’ intorno, e poi un sorriso comparve sul suo viso.
“Grimmy!” – strillò Harry dalla serra, rivolto all’amico, un ragazzo decisamente esuberante dai capelli neri e gli occhi grigi, che passeggiava tranquillamente tra i fiori, respirando il profumo fresco emanato da quelli.
“Haz!” – urlò di rimando agitando una mano, e facendo per raggiungerlo –“buongiorno, non credevo fossi già qui!”
“Ordini, oggi arriva la donna del matrimonio, voglio cogliere le rose migliori.” – sorrise facendo comparire quelle fossette che a Nick piacevano da morire – e a chi non piacevano? – e infatti, l’altro ragazzo sorrise guardandolo e…
“Haz, posso metterti la coroncina che hai fatto l’altro giorno? Oggi sembri… uhm, angelico.” – ridacchiò. Harry era abituato alle battute sui suoi gusti particolari da parte dell’amico, per questo annuì felice. Nick corse nel magazzino degli attrezzi e afferrò la coroncina da uno dei ripiani – Harry aveva l’abitudine di lasciarle sparse un po’ ovunque – e, appena ritornato da lui, l’adagiò tra i capelli riccissimi di Harry. –“ti sta davvero bene, cazzo, sembri, non lo so…” – Harry sapeva che Nick avesse un debole per lui da… tutta la vita, fin dall’università circa, ma lui era impegnato da sempre, sette anni per la precisione.
“E sarà meglio per te che tieni le tue zampacce lontano da lui, Grimshaw” – una voce che fece accapponare la pelle ad Harry, lo fece trasalire, e sussultare nello stesso tempo, facendo esplodere il suo cuore nel petto facendolo battere all’ennesima potenza, alla massima velocità. Quella voce che a distanza di sette anni, ancora gli scatenava quelle maledette farfalle nello stomaco, quei bruciori nelle parti basse e quella palpitazione infinita del cuore. Quella voce che apparteneva al ragazzo, che ormai rappresentava tutto per Harry, e per tutto, si intendeva davvero tutto.
“Tomlinson.” – sputò acido Nick, rivolgendo un’occhiataccia al ragazzo appena giunto che senza troppe pretese lo fissava con astio e fumava una sigaretta – “ancora non hai imparato che qui dentro non si fuma? E cazzo, non puoi fare sempre i cazzi tuoi!” – e Harry sapeva che se Nick ripeteva quella parola per più di due volte, voleva dire due cose: o era agitato o arrabbiato. In quel caso, probabilmente, era la seconda.
“Quello di Haz è mio, sicuro.” – sputò acido l’altro, buttando la sigaretta per terra e pestandola con il piede, guadagnandosi un’occhiataccia dal suo ragazzo, che per tutta risposta mise su il suo solito broncio.
“Non dirmelo. I fiori si rovinano, e blablabla” – sbuffò alzando il mozzicone spento da terra – “la solita nenia, gente.”
“Sei maleducato e irrispettoso! Noi ci facciamo il culo qui dentro!”
“Io mi faccio quello di Harry, tu no.” – sorrise allora, il ragazzo appena arrivato. Provava uno strano senso di felicità e soddisfazione nel vedere l’altro così arrabbiato. Stava volutamente ignorando quello del suo ragazzo, perché sapeva che la ramanzina sarebbe arrivata da lì a poco.
“Louis, smettila” – rimproverò infatti, il riccio –“e tu, Nick, non provocarlo.” – sbuffò agitando la testa, facendo notare solo in quel momento a Louis che avesse la coroncina di fiori in testa. –“comunque, cosa ci fai qui? Credevo odiassi i fiori. Ho del lavoro da fare quindi, lasciatemi in pace” – sbottò il riccio perdendo la calma.
Era un periodo nero, per lui. Non sapeva chi, ma lo perseguitava.
Di notte riceveva chiamate minacciose, e quella mattina aveva trovato un biglietto non proprio tranquillizzante sullo zerbino di casa, prima di uscire, ed era sempre all’erta. Temeva che qualcuno potesse colpire il suo vivaio, che potessero far del male a Nick, o peggio, a Louis. Non se lo sarebbe mai perdonato, Louis era tutto per lui. Non poteva rischiare di perderlo, per questo diventava intrattabile, odioso e acido. In più, conosceva l’indole del suo ragazzo. Non era il tipo da relazione fissa, la loro stessa relazione aveva avuto alti e bassi, con Louis che era sparito per mesi. Harry non aveva mai ricevuto un “ti amo” in sette anni, solo possessione, gelosia, e nient’altro. Harry lo conosceva, Louis non era il tipo da “ti amo”, coccole e baci, no, lui era un tipo diverso. Louis si svegliava la mattina, e decideva cosa fare. Non lavorava, viveva ancora con sua madre, non studiava, non prendeva mai nessuna responsabilità, ed Harry aveva sempre paura che un giorno avesse cambiato idea su di lui. Ogni volta che lo vedeva con qualcuno dei suoi amici, temeva che qualcosa andasse male, che qualcuno potesse portarglielo via, ma non aveva mai iniziato quel discorso con il ragazzo, semplicemente perché lo conosceva e avrebbe reagito male, avrebbe sbraitato, e Harry odiava quando qualcuno sbraitava in sua presenza, ma lo amava, lo amava dal profondo del cuore. Con i suoi occhi, seguiva tutti i movimenti del più grande, lo guardava in trance, rapito, e non riusciva mai – mai – a guardarlo in modo diverso, non riusciva proprio ad evitare di adorare ogni suo gesto, ogni suo capriccio, ogni sua sfaccettatura. Di lui, amava soprattutto i difetti, erano quelli a renderlo perfetto, eppure Harry aveva paura, dannatamente paura che qualcuno gli portasse via Louis, che nonostante tutto, era una delle poche ragioni dei suoi sorrisi quotidiani.
Louis, agilmente, si avvicinò al riccio e l’abbracciò da dietro. Harry si sorprese.
Louis non era il tipo da dolcezze, e abbracci. Doveva esserci qualcosa sotto, e infatti, la risposta ai pensieri di Harry, arrivò immediatamente, quando le labbra di Louis si posarono sul suo collo.
“Nervosetto, curly?” – soffiò sulla pelle del ragazzo, che si irrigidì impercettibilmente.
“Ho-ho solo t-tanto lavoro d-da fare, p-puoi spostarti?” – balbettò in un sussurro, senza opporre troppa resistenza alle mani dei più grande che gli accarezzavano i fianchi con dolcezza, con amore. Era una sensazione paradisiaca. Si sentiva in pace con il mondo. Era la sua dimensione preferita. Lasciò andare la testa all’indietro, posandola sulla spalla di Louis, e proiettò gli occhi smeraldo nelle pozze marine dell’altro, accennando un sorriso. Adorava essere quello più alto tra i due, ma adorava anche sentirsi protetto tra le braccia di Louis, nonostante fosse almeno dieci centimetri più basso di lui, e dovesse curvarsi sempre per poterlo osservare.
“Sei bello da geloso, lo sai?” – sussurrò, facendo sorridere l’altro ragazzo. Quello di Louis era uno dei sorrisi più belli che Harry avesse mai visto in tutta la sua vita, le labbra sottili di Louis si piegavano in un adorabile sorriso, gli occhi si assottigliavano, formando delle adorabili piccole rughe ai lati dei suoi occhi, e sulle guance compariva un accenno di fossetta. Si poteva dire, che quando Louis sorrideva, sorridesse con tutto il viso. Harry non riusciva a staccare lo sguardo da lui, era più forte di lui. Nonostante Louis fosse un tipo abbastanza stronzo, Harry non riusciva a smettere di provare qualcosa per lui, era più forte di lui. Louis era più forte di lui.
“Sono bello sempre.”  - ridacchiò il ragazzo dagli occhi azzurri e viva la modestia! – pensò Harry, perdendosi ancora in quegli occhi che da sempre lo avevano conquistato. Aveva paura di chiedere a Louis di vivere con lui, in modo da essere indipendente dalla madre, ma l’unica volta che l’aveva proposto, Louis s’era arrabbiato, urlando che non aveva bisogno della sua carità, che lui era indipendente e che non aveva bisogno di nessuno. Se n’era andato, di corsa, velocissimo. Aveva sbattuto la porta della casa di Harry, e non si era fatto vivo per le successive quattro settimane. Harry non si era presentato a lavoro per una settima filata, e allo scadere del settimo giorno Nick era andato da lui, l’aveva consolato, come ogni volta che Louis andava via, Nick aveva raccolto i pezzi che aveva lasciato dietro di sé, lo aveva aiutato e rialzato, come sempre; poi Louis era tornato, aveva chiesto scusa per la reazione, ed Harry, come al solito, lo aveva perdonato, e aveva deciso che non avrebbe mai rimesso in ballo l’argomento. Non voleva vederlo andare via in quel modo, non voleva sentirsi dire che non era niente per l’altro, sebbene lo sospettasse.
“Hai ragione, Lou…” – sorrise rassegnato – “dimmi, cosa sei venuto a fare qui? Non odiavi i fiori, tu?”
Il più grande lo voltò verso di sé, e gli sistemò la coroncina nei capelli, sorridendo genuinamente.
“Sì, ma sui tuoi capelli mi piacciono.” – gli lasciò un bacio delicato sulle labbra, ed Harry si sentì invadere dal calore. Non aveva mai fatto così, mai. Cos’era cambiato tra loro? Cosa c’era, ora? – “e comunque ero venuto solo per salutarti, domani parto.”
Harry spalancò gli occhi, iniziando a tremare. Lo stava lasciando? Di nuovo? Il cuore prese a battere forte e il labbro inferiore a tremare. Nick adocchiò subito la reazione dell’amico, e capì cosa stava per succedere.
“C-Come parti? M-ma non mi hai detto n-nulla, L-Lou…”
“Lo so, è stato deciso tutto all’ultimo secondo. Non ti dispiace, vero?”
“I-io, e-ecco, L-Louis…”
“Oh, perfetto, allora vado a dire ai ragazzi che domani si parte!” – gli lasciò un altro bacio sulle labbra, rapido, veloce salutandolo con un gesto veloce e un “ci vediamo stasera per i saluti definitivi” – voltò le spalle e si dileguò, senza salutare Nick, lasciandosi dietro un Harry scosso e solo. E mentre lo vedeva scomparire oltre la porta di vetro della serra, e poi sparire completamente dalla sua visuale, Harry si sentì morire dentro, come se fosse stato trafitto da mille lame. Louis non chiedeva mai la sua opinione. Decideva di partire? A chi importava se Harry ci stava male?
Nick con due passi gli fu accanto, capendo il suo stato d’animo, riconoscendolo, gli cinse i fianchi con le braccia, e lo abbracciò immediatamente, ma contrariamente alle altre volte, Harry appoggiò le mani sul suo petto, scacciandolo via con uno sbuffo. Afferrò un vaso con delle rose bianche, e uscì in fretta dalla serra. Non voleva pensare, voleva solo lavorare e non pensare.
Non voleva pensare di essersi innamorato della persona sbagliata, non voleva pensare che se si fosse innamorato di Nick non avrebbe mai sofferto così tanto, che se non avesse permesso a nessuno di entrare nella sua vita, come aveva sempre fin dall’asilo, in quel momento non sarebbe stato così male.
 
 
 
 
 
Harry era disteso sotto il corpo di Louis, gemeva forte ogni volta che le dita dell’altro gli sfioravano la pelle, ogni volta che le sue labbra percorrevano ogni centimetro del suo corpo, ogni volta che lo toccava in quel modo che solo lui conosceva, all’interno del petto del riccio un piccolo, ma grande organo prendeva la rincorsa, batteva freneticamente quasi senza lasciarlo respirare, quasi come se in quel momento non esistesse altro.
Solo lui e il ragazzo dagli occhi azzurri come il mare in tempesta.
“Louis…” – ansimò il riccio, affondando le mani nei capelli dell’altro, mentre quello divorava la sua bocca con quelle labbra così sottili, ma così perfette, così baciabili.
Louis si spingeva sempre più dentro al riccio, e gemeva di tanto in tanto, cercando sempre di sopprimere gli ansimi, per non farsi sentire dal ragazzo, non voleva mostrare le sue vere emozioni, non voleva che qualcuno gli desse del debole e finiva sempre per trattenersi e non mostrare mai nessun sentimento.
Harry stringeva gli occhi, si stringeva al ragazzo, lo baciava con dolcezza e con amore, lo baciava come se da lui dipendesse la sua vita, lo stringeva forte, possessivamente a sé, cercava di fargli sentire quello che il castano non aveva mai provato in vita sua, perché lui voleva che Louis si sentisse amato, lui voleva amarlo, lui voleva donargli tutto il suo cuore, voleva, e lo faceva, ma Louis restava impassibile.
Non appena Louis venne, svuotandosi dentro al riccio, come al solito, si alzò da lui, e iniziò a rivestirsi davanti al ragazzo che ad occhi chiusi riprendeva fiato per la nottata frenetica appena conclusa. Harry voleva fermarlo, spiegargli il motivo per cui non voleva farlo andare via, perché Harry non voleva che Louis partisse, non lo voleva affatto.
“Cosa c’è?” – sputò quello acido, guardando il riccio che aveva afferrato la mano e la teneva con evidente possessione e qualcosa che Louis non riusciva a leggere nei suoi occhi. Del resto, non era bravo con le sue emozioni, figurarsi con le emozioni degli altri.
“E’-è che mi chiedevo… s-se magari volessi, r-restare a dormire con me…” – balbettò – “f-fa freddo stanotte, t-tu domani te ne vai,  e-e…”
Il liscio scoppiò in una fragorosa risata.
Davvero gli stava chiedendo di rimanere a dormire con lui?
Per quale motivo? Un’altra scopata forse?
“Non ne hai abbastanza, piccolino…?” – sussurrò maliziosamente avvicinandosi a lui – “vuoi avermi ancora dentro di te…?” – sussurrò ancora provocatorio, mordendogli il labbro inferiore –“siamo vogliosi, oggi…?” – continuò a bassa voce “forse per prevenire l’astinenza che avrai quando non ci sarò?” – concluse facendo più pressione con i denti sul labbro dell’altro, facendo uscire una piccola goccia di sangue.
Harry tremò.
No, lui non voleva fare altro amore, perché per lui quello non era banale sesso, ma era amore.
Non voleva di nuovo Louis dentro di sé.
Voleva Louis con sé, accanto a lui.
Voleva coccolarlo, facendolo addormentare vicino a sé.
Voleva abbracciarlo forte.
Voleva appoggiarsi sul suo petto, sentire il battito del suo cuore.
Voleva solo Louis accanto a sé, non chiedeva altro.
Scosse la testa, in  modo frenetico, ma quello si rimise a cavalcioni su di lui, abbassandosi nuovamente i pantaloni.
“Posso accontentarti…” – sussurrò, mordendogli il lobo, poi il collo, e scese ancora fino ai pettorali, percorse con la lingua ogni centimetro del suo torace, lo stuzzicò come solo lui sapeva fare, ed Harry, contro la sua volontà, riprese a gemere sotto i tocchi dell’altro. Spesso si sentiva trattato come una prostituta, come un giocattolo, ma in fondo al suo cuore sapeva quanto si sbagliasse, che Louis era una brava persona, che a modo suo lo amava.
“Ti amo, Lou” – sussurrò come di routine. Louis captò il messaggio e fece un cenno rivestendosi.
Harry crollò, sfinito, sul cuscino, una lacrima a solcargli la guancia perlacea e paffuta, della quale il castano dal ciuffo rosso non si curò. Si addormentò dopo pochi istanti, prima di sentire che per l’ennesima volta, Louis se ne andava via da casa sua senza nemmeno salutarlo, e inconsciamente il suo cuore si ruppe ancora, per la millesima volta da quando conosceva il bellissimo ragazzo dagli occhi cielo.
Per quanto Louis scappasse, lo facesse soffrire, lo trattasse come una prostituta, Harry ci sarebbe sempre stato, non avrebbe mai chiesto nulla in cambio, nemmeno se l’altro l’avesse lasciato lì. Non gli avrebbe chiesto di restare, non l’avrebbe fatto.
Soffriva. Soffriva tantissimo, quel dolore non andava mai via, restava impresso nel suo cuore, ma lui metteva in secondo piano anche questo. Avrebbe compensato quello che Louis non gli dava, ma voleva amarlo, voleva viverlo, non poteva, ovviamente. Ma avrebbe preso il coraggio che gli mancava prima o poi, l’avrebbe affrontato, oh sì, si sarebbe fatto valere, avrebbe dato le sue motivazioni, l’avrebbe amato, si sarebbe fatto amare.
Ma poi, tornando con i piedi per terra, si rese conto che tutto questo non potesse essere possibile. Louis non gli avrebbe mai permesso di avere una relazione normale con gesti dolci e cioccolatini, ma Harry voleva chiederglielo, voleva saperlo, non sapeva perché, come, e quando si era irrimediabilmente innamorato di lui e voleva continuare a farlo, voleva amarlo come meritava, se solo il liscio gli avesse dato questa possibilità.
 “Cazzo, quanto ti amo” – mormorò nel sonno, dove poteva immaginarlo. Così com’era bellissimo, adorabile, stupendo. Tutto per lui, ma Louis era uscito dalla porta, lo aveva lasciato di nuovo da solo, come sempre.
Forse aveva ragione Nick, quando diceva che doveva lasciar perdere, che Louis non l’avrebbe mai amato. Forse aveva ragione, doveva dimenticare, doveva togliersi dalla mente Louis.
Ma come poteva smettere di amarlo?
 
 
 
 
Louis era partito da una settimana.
Né una telefonata, né un dannatissimo messaggio. Harry era in pena, ogni volta che provava a telefonargli, Louis aveva la segreteria telefonica. Era una dannatissima settimana che non si faceva sentire, e Harry non era preoccupato, di più. Le minacce non erano finite, anzi, erano aumentate e temeva che gli fosse accaduto qualcosa mentre era via, qualcosa che lui non aveva potuto evitare, qualcosa che lui temeva, ma sperava non arrivasse mai. Se avessero fatto male a Louis per colpa sua, non se lo sarebbe mai perdonato. Lui era troppo importante, era tutto. Anche se non lo amava come Harry avrebbe voluto, si accontentava, perché Louis era geloso, e la gelosia era segno di interesse, no?
Harry era spaventato, da morire. Voleva solo sentire la sua voce per un attimo, per essere sicuro, per confermare a se stesso che le sue erano solo seghe mentali, che niente era vero, che Louis stava bene. Lui non chiamava, ed Harry era preoccupato. Non si era nemmeno reso conto che, a causa della sua preoccupazione, avesse perso la cognizione del tempo, e si fosse fatto  buio. Doveva tornare a casa. Magari poteva chiamare uno degli amici di Louis, loro gli avrebbero risposto, gli avrebbero detto che Louis stava bene, e che tutto era a posto. Insomma, non poteva essere davvero successo qualcosa al suo ragazzo, lo sapeva, Louis sapeva difendersi bene, sapeva bene che arrivava spesso alle mani, quando si sentiva minacciato da qualcuno o da qualcosa. E l’avevano sperimentato, sia lui che Nick.
Un giorno, si era presentato alla serra ubriaco fradicio alle tre del pomeriggio, Nick teneva Harry per i fianchi, mentre quest’ultimo era intendo ad annaffiare i fiori. Era un semplice abbraccio, un po’ intimo, ma era un semplice abbraccio, e Louis, vedendoli, non aveva retto. Si era avvicinato, aveva spinto via Nick da Harry, spinto il riccio per terra, e aveva assestato un paio di pugni all’altro ragazzo, urlandogli contro. Non erano servite a niente le suppliche di Harry, Louis aveva semplicemente picchiato Nick per gelosia. Certo, non se n’era pentito, chiunque si sarebbe accorto dell’odio che scorreva tra i due. Louis aveva sempre sospettato che Nick provasse qualcosa per Harry, e sospettava che prima o poi avesse fatto qualcosa per portarlo via da lui, per questo reagiva con la violenza.
Harry scacciò dalla mente quel pensiero, sperando che Louis si facesse vivo, controllò il cellulare e il suo cuore fece un tuffo nel vuoto. C’era un messaggio non letto. Velocemente lo aprì, per leggerlo.
 
“Haz, basta lavorare! Vieni da me, non restare oltre al vivaio, a quest’ora è pericoloso. Non farmi preoccupare!
Nick. xx”
 
Harry sorrise alla premura del suo socio, ma un po’ ci rimase male che il messaggio fosse solo di Nick e non di Louis. Davvero, come faceva Louis ad odiarlo?
Era adorabile, semplicemente adorabile, se magari Harry si fosse innamorato di lui e non di Louis, qualcosa sarebbe andato nel verso giusto per lui. Si spostò dalle sue rose, dimenticò di togliersi la coroncina di fiori come al solito, e infilò il cappotto. Non appena uscì dalla serra, e chiuse con le chiavi, sentì dei passi dietro di sé.
Sicuramente è la mia immaginazione. – pensò.
Un altro fruscio.
Mi sto suggestionando, non è niente.
Passi veloci, rapidi.
E’ immaginazione, è immaginazione…
Fruscii sconnessi, passi vicini, forti, pesanti.
Merda, merda, merda…
Una voce. Altri passi, altri fruscii.
Sono fottuto.
Una botta, sulla nuca. Ad Harry si mozzò il fiato in gola, e si inginocchiò per terra, portando una mano dietro la testa. Non era stata tanto forte, non volevano stordirlo, questo era certo. Un calcio, dritto dietro la schiena, fu seguito da una mano che si posò sulla sua bocca, per evitargli di urlare. Seguirono altri colpi, violenti, duri, dolorosi.
Alla testa, alle braccia, alle gambe, ovunque.
Botte, frustate. Harry non sapeva cosa accadesse intorno a lui, non sentiva più nulla.
Non riuscì nemmeno a vederli in faccia, quando cadde all’indietro battendo la testa contro una pietra, forse messa lì di proposito, o forse già esistente. Semplicemente, divenne tutto buio.
 
 
 
 
Harry aprì gli occhi.
Si ritrovò in una sala completamente bianca, con una flebo nel braccio, e la testa dolorante. Non ricordava nulla.
Cosa diavolo era successo?
Perché era in ospedale?
Un gemito gli uscì dalle labbra. Un momento, da quando la sua voce era così roca? Non la ricordava mica così. Si sistemò sul lettino, e si guardò intorno, fino a che il suo sguardo non si soffermò su un ragazzo accanto a lui, addormentato alla bell’e meglio su una seggiola ospedaliera. I capelli erano castani, quasi neri. Aveva una fisionomia quasi familiare, forse conosceva quel ragazzo, ma la sua mente non riusciva a focalizzare dove l’avesse visto. Lo scosse lentamente per una spalla, e questo saltò dal sonno.
“Harry, mio dio, per fortuna ti sei svegliato.”
“Chi sei? Che è successo?” – chiese spaventato, rendendosi conto che non avesse mai visto in vita sua quel ragazzo.
“Come chi sono? Sono Nick, Nick Grimshaw, il tuo socio, il vivaio… Harry, non ti ricordi?”
“No, certo che no! Io non ho un vivaio. Io… non mi ricordo…” – andò in panico. E Nick sorrise quasi soddisfatto, e di slancio lo abbracciò –“non ricordi niente? Louis, me, il vivaio…?”
“Chi cazzo è Louis? E tu? Io sono Harry, lo so.” – sbuffò staccandosi violentemente dall’abbraccio dell’altro. Nick fece un sorriso tirato, e lo guardò dritto negli occhi, prendendogli il viso tra le mani. Gli spiegò brevemente che era caduto e aveva battuto la testa contro un sasso bello grosso al vivaio, e che avesse riportato un’amnesia temporanea, prima o poi avrebbe ricordato tutto, con un po’ di aiuto. Tutto quello che Nick voleva fargli ricordare. Harry pendeva dalle sue labbra, quel ragazzo era lì, di fronte a lui, e gli stava raccontando tutta, circa, la verità.
“Haz, sono Nick, il tuo socio al vivaio e…” – azzardò, poteva farlo – “il tuo ragazzo.”
Harry sorrise inconsapevolmente.
 
 
 
 
Erano tre giorni che Harry riceva delle telefonate da un numero sconosciuto.
Appena dimesso dall’ospedale, si era trasferito a casa di Nick, che gli diceva sempre di non rispondere, eppure lui sentiva che dovesse rispondere a quelle telefonate. Doveva rispondere, doveva sapere chi era che lo chiamasse così insistentemente. Nick  gli raccontava tutto, di come si erano conosciuti, di come fossero cresciuti insieme, e di come lui lo avesse aiutato, di come avessero aperto il vivaio, insieme, con la forza del loro amore, e di come tutto quello si era realizzato.
Eppure Harry sentiva che c’era un fondo di menzogna.
Non riusciva proprio a focalizzare la parola amore con Nick. Era… sbagliato.
Per questo, una sera, decise di non ascoltare più Nick, e di rispondere al cellulare. Doveva sapere chi lo cercasse così insistentemente, doveva capire, doveva farsi una ragione. Lo stesso numero chiamava ogni giorno, a tutte le ore. Inviava anche dei messaggi scrivendo cose come “ti prego, rispondi” o  “perdonami, ti prego” o ancora “ti prego, ho bisogno di te, rispondi”, e non riuscì a resistere oltre. Una sera, il cellulare squillava, Nick era sotto la doccia, Harry era sul letto, una coroncina di fiori nei capelli, e solo un paio di boxer addosso, si rigirava il cellulare tra le mani, che squillava incessantemente, quel numero ancora sul display.
“Pronto?” – sussurrò per non farsi sentire da Nick, nonostante egli avesse lo scrosciare della doccia nelle orecchie, non voleva che Nick si arrabbiasse con lui in qualche modo.
“Harry, oh Harry, piccolo mio, hai risposto, finalmente, hai risposto!” – una voce che Harry non riconobbe, una voce sconosciuta, ma bellissima, una voce dolce, acuta, un po’ femminile a dir la verità, una voce che nonostante fosse sconosciuta, fece mancare un battito nel petto di Harry.
“C-Chi sei?” – sussurrò il riccio, strofinando una mano sul petto, cercando di fermare il battito del suo cuore. Quella voce era troppo per lui, non sapeva chi fosse, ma gli aveva mandato il cuore e il cervello in pappa.
“Come chi sono?” – sbottò la voce – “sono Louis, chi altri dovrei essere?”
Louis, Louis, Louis… dove ho sentito questo nome?
“Louis…?” – chiese.
“Sì, sono Louis, Harry, ma sei rincoglionito o cosa?” – sbottò ancora, irato –“piuttosto muovi il culo e torna a casa tua, mi manchi, ho bisogno di te.”
“Ma io…” – tentò il riccio.
“Non voglio scuse, devi spiegarmi perché sei sparito così!” – strillò lo sconosciuto al telefono. Harry si morse il labbro per non rispondere a tono. Poi il rumore del getto dell’acqua si interruppe, e il fischiettio di Nick raggiunse le sue orecchie. Doveva muoversi a chiudere la telefonata. – “Harry?” – chiese lo sconosciuto, notando l’assenza del riccio.
“Non conosco nessun Louis, mi dispiace, hai sbagliato numero.”
Si affrettò a chiudere la telefonata e ad aprire un’applicazione a caso del suo cellulare, cercando di non mostrarsi visibilmente scosso per quanto avesse scoperto in quel momento.
Chi diavolo era Louis?
Perché aveva urgenza di vederlo?
Perché lo supplicava di perdonarlo nei messaggi?
Perché il suo cuore batteva a mille?
Perché sentiva che era una cosa fottutamente sbagliata, ma anche meravigliosa?
Troppi perché attanagliavano la sua mente, non riuscì a far altro che addormentarsi, appoggiandosi al petto di Nick che si era appena disteso accanto a lui, e l’aveva appena abbracciato.
Perché stare con Nick sembrava così giusto, ma così fottutamente sbagliato?
 
 
 
 
Louis fissò il telefono senza capire.
Perché Harry aveva risposto in quel modo? Perché non aveva risposto precedentemente alle telefonate? Perché non aveva risposto? Non si era mai comportato così. Forse, perché non aveva risposto a nessuna delle sue chiamate, ma Louis aveva bisogno di restare solo, di schiarire la mente, e di non pensare a nulla. Ne aveva bisogno per un motivo apparentemente futile. Erano sette anni che stava con Harry. Era una relazione particolare la sua, Louis lo sapeva, sapeva che Harry lo amasse con ogni fibra del suo corpo, e per questo se ne approfittava, spesso e volentieri, arrivando anche ad usarlo come la propria prostituta personale. Così come arrivava, spariva.
Era già capitato diverse volte che andasse via, e lo lasciasse solo, ma Harry non si era mai arrabbiato, non aveva mai fatto niente di considerato, non l’aveva mai lasciato, cos’era cambiato, ora?
Perché aveva fatto finta di non riconoscerlo? Perché aveva finto di non sapere chi fosse?
Louis, seduto sul suo letto, si prese la testa tra le mani.  Harry non lo aveva dimenticato, non poteva essere possibile, quanto tempo prima era andato via? Poco più di una settimana.
Aveva riflettuto, ed era giunto alla conclusione che non fosse pronto – non ancora, non dopo solo sette anni - a confessare al riccio che forse lo amasse, no, questo no. Ma forse, avrebbe potuto dirgli di essere felice, e forse sarebbe rimasto con lui una sera, invece di scappare, come al solito. Lo sapeva, sapeva benissimo di ferirlo ogni volta, sapeva che ogni volta che se ne andava un pezzetto del cuore del riccio si spezzasse, ma non aveva il coraggio di ammettere l’errore, nemmeno in quel momento, quando si stava rendendo conto di averlo perso.
Non poteva perderlo, nonostante tutto, era l’unica costante della sua vita. In qualsiasi cosa facesse, giusta o sbagliata che fosse, sapeva di poter contare sempre sull’appoggio del riccio, era quasi un bisogno fisiologico il suo, necessitava quasi di ricevere il supporto del riccio, non poteva farci niente, ma sapeva che nel bene o nel male Harry l’avrebbe supportato. Non ammetteva di amarlo, non ancora.
Afferrò il telefono e digitò il numero di Grimshaw.
Lo detestava, lo detestava con tutto il cuore, perché era maledettamente geloso. Nessuno, a parte lui, doveva toccare il suo Harry. Era maledettamente sbagliato che qualcuno lo toccasse, era fuori qualunque logica.
Harry era solo suo, e lo sarebbe dovuto essere sempre. Quel Grimshaw tentava sempre di portarglielo via, cercava sempre di fare di tutto per fargli cambiare idea su di lui, ci provava spudoratamente con lui, e Harry non se ne accorgeva, toccava quindi a Louis fare in modo che Harry non dimenticasse mai a chi appartenesse. E ammise a se stesso che spesso era stato fin troppo crudele con il riccio, specialmente quando perdeva la pazienza e andava via senza farsi vedere per giorni, settimane, a volte anche mesi, e sapeva che reagendo in quel modo, avrebbe spinto Harry tra le braccia di Grimshaw, ma non poteva permetterlo, Harry era suo, maledettamente suo. Non poteva appartenere ad un altro, Louis non l’avrebbe mai permesso. Si sentiva strano, quasi come se fosse solo. Senza Harry si sentiva solo.
Digitò in fretta il numero di Grimshaw, e nonostante la sua mente gli dicesse di non farlo per nessun motivo al mondo, Louis lo fece, lo chiamò.
“Pronto?” – rispose, e quella voce odiosa fece capolino nelle orecchie di Louis, facendogli salire un istinto omicida dal profondo del suo cuore.
“Grimshaw, che cazzo hai detto ad Harry, eh? Come l’hai convinto a fargli credere che io non sia nessuno?!” – sbraitò, senza complimenti.
“Tomlinson, abbassa la tua voce da checca isterica, non mi serve sentirla.” – fece l’altro pacato – “Harry ha un’amnesia.” – disse quello – “è stato aggredito una settimana dopo che sei partito, fuori dal vivaio” – Louis strinse il pugno libero, chiunque avesse fatto del male ad Harry, l’avrebbe pagata cara – “e diciamo che sei sparito dalla sua vita, Louis, ho vinto io.”
La rabbia di Louis salì ad un livello elevatissimo. Si alzò dal letto, e si avvicinò alla finestra, gettando via il mozzicone della canna appena fumata, e ebbe la necessità di accenderne un’altra, per non uccidere Grimshaw attraverso il telefono.
Nick aveva mentito ad Harry, gli aveva raccontato un milione di bugie, e non sapeva nemmeno cos’avesse detto su di lui e in quel momento il mondo gli crollò sulle spalle.
Lo aveva perso.
“Ascoltami bene, tu non mi porterai mai via Harry, lui si ricorderà di me, lui mi ama!” – strillò, mentre Nick iniziava a ridere soddisfatto. Louis si affrettò a chiudere la chiamata, e a tirare ancora il fumo, che iniziò a rilassarlo, non come sperava, però, sentendo che tutto quello che era accaduto era un fottuto errore, un sogno, o meglio, un incubo, qualcosa di non reale, qualche strano effetto della canna che stava fumando, forse due erano davvero troppe anche per lui, che era ormai abituato.
Poi, una consapevolezza, sebbene la sua mente fosse annebbiata dalla droga che ora aveva ripreso a circolare nelle sue vene, lo colse, lo ferì.
Harry aggredito. Non l’ho protetto.
Harry amnesia. Mi ha dimenticato.
Harry con Grimshaw. L’ho perso.
Ha vinto. Lui ha vinto.
Mi ha portato via tutto.
Nick ha vinto.
Louis crollò sulle sue ginocchia davanti alla finestra, lasciando cadere il resto della canna che stava fumando. Aveva perso Harry, aveva perso tutto, niente sarebbe stato più lo stesso da quel momento in poi.
Per la prima volta nella sua vita, Louis Tomlinson pianse.
Ho perso.
 
 
 
 
Harry era nel giardino di casa sua, con una coroncina di fiori, la solita, tra i capelli, e una pompa d’acqua tra le mani. Stava innaffiando i fiori sul vialetto, e annusava il delizioso profumo che essi emanavano. Era una tranquilla giornata di metà maggio, il sole era tramontato da poco, e lui poteva innaffiare i fiori senza alcun problema – i fiori e le piante, in generale, non andavano mai innaffiati con la luce del sole, altrimenti sarebbero appassiti – quando di tutta corsa, la sua vicina, una ragazza graziosa, dai lunghi capelli castani, era corsa da lui agitata, dicendogli di muoversi, perché nella casa di fronte era appena arrivato un ragazzo ‘figo’, come lo aveva definito lei, e lui doveva aiutarla, a far colpo. Il riccio non capì bene cosa volesse, ma la ragazza gli afferrò una mano, trascinandolo verso il suo garage, facendogli cadere la pompa dalle mani, che inondò tutto il giardino e il vialetto di casa Styles. Harry avrebbe dovuto trovare una scusa con sua madre per quel macello.
“Eleanor, ma cosa…?” – tentò di chiedere il ragazzo, e cercando anche di fermarla, non gli piaceva il contatto fisico.
“Dai, Harry, lo so che non ti piace socializzare, ma a me sì, e sei l’unico in grado di suonare una chitarra nel raggio di due metri!” – strillò la ragazza, mettendogli una chitarra elettrica tra le mani – “fammi fare bella figura con il figo appena arrivato, dai, che ti costa?”
“Niente, niente…” – borbottò Harry. Da dove fosse uscita quella chitarra, non lo sapeva. Non sapeva perché assecondasse quella ragazza, in fondo, non erano nemmeno amici.
Harry impugnò la chitarra, e strimpellò un paio di note, prima di alzare lo sguardo e sbarrare letteralmente gli occhi. Di fronte a lui, c’era un dio greco, santo cielo.
Un ragazzo non molto alto, e nemmeno troppo muscoloso, ma pieno – pieno - di tatuaggi, dai capelli metà castani e metà rossi, che teneva tra le mani un tosaerba, e lo trascinava sul prato del giardino abbastanza malmesso.
Aveva gli occhi chiusi, un paio di cuffie nelle orecchie, ed era senza maglietta. Harry non aveva mai nascosto la sua omosessualità a nessuno, e non si imbarazzò per niente, quando sentì un accenno di eccitazione nei suoi pantaloni, quel ragazzo era davvero meraviglioso. Forse il più bello che Harry avesse mai visto, ed era nuovo nel quartiere, certo. Non che Harry conoscesse tutto il vicinato, ma di certo un figo del genere non l’avrebbe dimenticato.
“Styles, ci sei?!” – strillò la ragazza, afferrando un microfono, mentre Harry tornava bruscamente alla realtà. Dannazione, quel ragazzo era la fine del mondo, era stupendo. Ed Harry si interrogò sul suo carattere, perché per lui era una cosa fondamentale in una persona, tuttavia, non riusciva a staccare gli occhi da lui.
Deglutì un paio di volte, prima che Eleanor gli tirasse uno schiaffo sul viso, facendogli staccare gli occhi da quella meraviglia.
“Allora, mi ascolti, sì o no?”
Ora Harry ricordava perché odiasse così tanto le ragazze, femmine. Erano petulanti e insopportabili, come Eleanor.
“Sì, ti ascolto, devo, uhm, suonare?”
“Ho detto che facciamo finta di fare delle prove della band! Ho radunato anche Josh per la batteria e Niall per il basso, ma ci sei o ci fai?!”
Harry si trattenne dal rispondere male, e fece un cenno ai due amici della ragazza, che non aveva mai visto in vita sua, ma la cosa non gli importava minimamente. I suoi occhi avevano altro da guardare, fissare, adorare.
“E cosa suoniamo?” – chiese quello seduto sulla batteria, che probabilmente era Josh.
“Long live di Taylor Swift, che domande!” – tutti e tre I ragazzi sbuffarono in sincrono, a nessuno dei tre piaceva quell’artista probabilmente, ed Harry era il primo.
“Non la conosciamo, Eleanor!” – ribatté l’altro, forse Niall.
La ragazza sbuffò roteando gli occhi, e si avvicinò ad un PC, mettendo solo la base della canzone e: “Fate solo finta di suonare, io faccio il resto!” – disse spazientita, mentre i tre ragazzi si stringevano nelle spalle, non potevano farci niente se non conoscevano la canzone. Iniziarono a fingere di suonare e Eleanor iniziò a cantare – stonando - ma nessuno fece caso a questo. Eleanor non si era nemmeno accorta che il ragazzo di fronte aveva ancora le cuffie nelle orecchie, come poteva fare colpo su di lui, se nemmeno perdeva due secondi ad osservarlo in tutto il suo splendore?
Il ragazzo sconosciuto aprì gli occhi di scatto, ed Harry non riuscì a non cercare di guardarglieli, ma da lontano non riusciva a distinguere il colore di quegli occhi, sapeva che dovevano essere necessariamente bellissimi, perché non potevano essere brutti, non su quella meraviglia della natura. Per un attimo lasciò andare la chitarra, perdendosi letteralmente. Quello si tolse le cuffie, e si appoggiò ad un auto sul vialetto di casa sua, incrociando le braccia al petto, ad Harry manco il fiato nei polmoni, specialmente quando ammiccò nella sua direzione.
Eleanor fraintese il gesto del ragazzo, perché alzò il tono della voce, facendo stringere gli occhi ai tre ragazzi che fingevano di suonare, e al ragazzo che guardava lo ‘spettacolo’ raccapricciante di quella ragazza stonata come una campana, che tentata di cantare una canzone per far colpo sul figo della situazione. Quello trattenne una risata, ma un sorriso divertito si delineò sulle sue labbra rosee e sottili. Il sudore si rifletteva sulla sua pelle, facendolo quasi risplendere alla luce del sole. Era meraviglioso, davvero. Ed Harry non riusciva a spiegarsi come mai si sentisse così strano di fronte a lui. Il ragazzo con una lentezza estenuante si staccò dall’auto, e si avvicinò con passo lento e cadenzato verso di loro. Eleanor si era spostata una ciocca di capelli dietro l’orecchio, e si preparava a parlare con lui, a dargli il suo numero, ma lui non badò a lei. La superò e sorrise al riccio, guardandolo negli occhi. Ed Harry capì che sarebbe diventato dipendete da quegli occhi. Azzurri come il cielo, il ghiaccio, e il mare fusi insieme, Occhi magnetici, meravigliosi, risplendenti di luce propria, che fecero perdere Harry per un tempo indeterminato, poi un sorriso divertito sulle labbra, ora il riccio poté notarlo, decorate da un piercing, e una mano del ragazzo si allungò verso di lui.
“Louis” – disse semplicemente, la sua voce provocò mille brividi nel corpo del riccio, che non riuscì a fingere che quel ragazzo gli fosse indifferente, e lo sconosciuto con quel movimento gli porse un foglietto. Harry allungò la mano verso di lui e la strinse.
“Harry” – rispose, prendendo il foglietto tra le mani.
“Chiamami!” – esclamò, sorridendo ancora e andando via così com’era arrivato, lasciandosi dietro un Harry imbambolato con un sorriso ebete sul viso, un’Eleanor arrabbiata, e gli altri due musicisti piegati in due dalle risate.
 
Harry spalancò gli occhi, guardandosi intorno.
Era a casa sua, o meglio, la casa che condivideva con Nick da… quanto tempo stavano insieme?
Non lo sapeva, non lo ricordava, ma lui non ricordava niente della sua vita. Non poteva sospettare di Nick, in fondo, gli stava facendo recuperare pezzo dopo pezzo la sua memoria, gli aveva mostrato gli album, le foto, tutto. Aveva sorriso, e quando erano stati a casa di sua madre, la donna aveva esultato per il fatto che Harry avesse messo la testa a posto e avesse scelto un bravo ragazzo come Nick e non uno come “quello sconsiderato pieno di tatuaggi” ma nessuno aveva voluto dirgli chi fosse tale ragazzo. Forse qualche suo ex. Non lo sapeva.
Quando l’aveva chiesto a Nick, lui aveva tagliato corto, dicendogli che non era qualcosa di importante, ma Harry sentiva che oltre alla sua memoria, c’era qualcosa che non andasse in lui, qualcosa che lo spingeva a chiedere e fare domande, ma le risposte non gli arrivavano. Qualcosa.
Un qualcosa che Harry voleva assolutamente scoprire, era come se mancasse una parte del suo cuore, e sapeva che le risposte le avrebbe avute, oh certo, le avrebbe cercate.
Aveva fatto questo strano sogno, ora, a distanza di un mese da quando aveva perso la memoria.
Un certo Louis. Louis. era un nome così bello, così soave, quasi poetico.
Aveva fascino, ed Harry era sicuro di averlo sentito altre volte nella sua vita, forse un poeta, o qualche scrittore famoso, o forse il personaggio di un’opera teatrale, o forse qualche suo compagno del liceo.
Non lo sapeva, ma il nome Louis gli era familiare, lo conosceva. Perché solo quel nome riusciva a scatenare nel suo corpo un milione di brividi, e sensazioni diverse, solo quel nome era una specie di droga per le orecchie di Harry.
Sarebbe stato lì ore, ad ascoltare quel nome che rimbombava nella sua testa.
Louis, Louis, Louis, Louis, Louis, Louis.
Nick dormiva profondamente accanto a lui, e non sospettava nemmeno cosa stesse accadendo al ragazzo accanto a lui. Harry non sapeva come fare, voleva delle risposte, ma non sapeva dove trovarle, per questo afferrò il telefono e cercò il numero del ragazzo aveva chiamato, ricordava si chiamasse Louis, gli era venuto un flash in mente. Quel ragazzo che aveva chiamato dicendogli di avere bisogno di lui, che Harry aveva ignorato, quel ragazzo che aveva suscitato in lui mille emozioni, molto diverse da quelle che provava con Nick, si chiamava Louis.
Erano le tre di notte, ma lui era sudato, affaticato, e proprio non se la sentiva di svegliare Nick. Non voleva disturbarlo a quell’ora di notte, era… sbagliato.
Strisciò il dito sul numero una volta trovato, e portò il telefono all’orecchio, attendendo istanti infiniti, che il ragazzo dall’altro lato avesse ancora il suo numero e rispondesse. Passarono forse più di dieci secondi, perché per un attimo, pensò che la telefonata cadesse a causa dell’attesa, cosa che non avvenne, Harry tirò un sospiro di sollievo quando questo non avvenne e qualcuno dall’altro lato rispose.
“Pronto…?” – biascicò quella voce, facendogli perdere altri battiti del cuore.
“S-sono Harry…” – sussurrò il ragazzo. Non aveva pensato a cosa chiedere, perché aveva semplicemente preso il telefono e aveva chiamato l’altro ragazzo, voleva delle risposte, ma lui non sapeva nemmeno cosa chiedere.
“Harry? Harry, Harry…” – sussurrò il ragazzo dall’altro capo del telefono – “Harry, come mai chiami? Che succede? Quel coglione ti ha fatto del male?”
“N-no, se ti riferisci a Nick, ma non mi dice niente, i-io non ricordo… non ricordo niente, prima del risveglio all’ospedale, e non lo so… credevo che tu… avessi risposte…” – sussurrò senza farsi sentire da nessuno, come se quello che stesse facendo era qualcosa di illegale.
Louis ascoltò la supplica di Harry, ma scosse la testa, consapevole che il riccio non potesse vederlo. Harry meritava di essere felice, Harry meritava di non soffrire a causa sua, meritava tutto ciò che Louis non poteva dargli. Louis in quel momento, lottò contro se stesso, contro la voglia di confessargli tutto, di dirgli quanto davvero lo amasse, perché finalmente lo aveva capito, ma doveva farlo per lui. Se lo amava davvero, l’avrebbe lasciato andare. Lui non poteva offrirgli nulla, era un’indecisione continua, prima la pensava in un modo, poi in un altro, non lavorava, non era indipendente, era dipendente dalla droga e dall’alcol. Non avrebbe potuto offrirgli niente, se non sofferenza e dolore.
“Io? No, Harry, non so niente.” – sospirò – “eravamo amici.”
“M-ma la tua voce…”
“La mia voce è odiosa. Io sono una brutta persona, non dovresti avere niente a che fare con me, pi-” – tossì scuotendo la testa – “ehm, Harry. Torna da Grimshaw, e sii felice, te lo meriti” – sussurrò.
“Oh…” – fece il riccio – “d’accordo, allora, buonanotte, scusa il disturbo.”
“Nessun disturbo, buonanotte, Harry” – sussurrò, ‘ti amo’, pensò.
Harry sospirò e chiuse la telefonata, per nulla convinto delle parole dell’altro ragazzo. perché tutti si ostinavano a nascondergli qualcosa sul suo passato? Perché nessuno voleva dirgli  la dannatissima verità?
Perché non volevano fargli scoprire cos’avesse dimenticato? Aveva, forse, ucciso qualche persona? Aveva amato qualcuno di sbagliato? Aveva fatto un errore imperdonabile? Aveva fatto del male a qualcuno?
Non lo sapeva, nella mente aveva un blackout, un buco nero, qualcosa da cui non era più possibile uscire, fino a che qualcuno non gli dicesse la verità. Doveva saperla, era un suo diritto. Non voleva lasciare tutti i suoi ricordi dietro di sé, senza conoscerli. Se avesse dovuto vivere con Nick, allora bene, l’avrebbe fatto, ma lui non si fidava, nemmeno di Nick, chi era questo Louis? Perché diceva di essere una brutta persona? Dentro di sé, sapeva che c’era un collegamento tra il ragazzo del telefono e quello del sogno. Non sapeva cosa, ma qualcosa li accomunava, e non era solo il nome. Doveva solo scoprire cosa fosse, e se Nick non gliel’avesse detto, lo avrebbe fatto da solo.
Doveva scoprire, voleva scoprire, voleva delle risposte.
Si rimise a letto, restando a distanza di sicurezza da Nick, e sperò che quelle visioni tornassero. Voleva saperne di più, voleva a tutti i costi sapere cosa fosse successo nella sua vita, prima di quell’incidente.
 
 
Harry era in classe. Era seduto da solo al suo banco e stava prendendo appunti di chimica durante la lezione, quando la porta dell’aula si aprì.
Un ragazzo fece la sua entrata.
Harry spalancò la bocca, era lo stesso ragazzo che gli aveva dato il numero qualche settimana prima, quando ancora era estate. Si era appena trasferito, e cavolo, era nella sua stessa scuola, nella sua stessa classe.
Era un sogno o era reale?
“Chi saresti, tu?” – chiese il professore di chimica, alterato, perché il nuovo ragazzo, Louis, ricordò Harry, era entrato mentre lui spiegava quelle noiosissime reazioni di ossido-riduzione, che Harry non capiva assolutamente, perché – dannazione – erano complicate. E non doveva nemmeno lamentarsi, aveva scelto lui quel corso.
“Louis Tomlinson” – rispose quello, con un sorriso sbarazzino dipinto sul viso. Il professore annuì e gli indicò l’unico posto libero, quello accanto ad Harry, che non appena notò gli occhi dell’altro su di sé, avvampò immediatamente. Aveva il numero di quel ragazzo nel portafogli, e non l’aveva mai preso, né digitato. Si vergognava troppo.
“Ciao!” – fece Louis, facendo cadere pesantemente la cartella quasi vuota sul banco – “non mi hai chiamato” – osservò.
“Ehm, Oops?” – sorrise in imbarazzo l’altro, a causa della sfacciataggine del nuovo arrivato, che sorrise di rimando e si sedette accanto a lui. Harry si sentiva strano, felice, come se quel ragazzo avesse portato con sé una  ventata di novità. Era meraviglioso, nonostante il look tendente al punk, era davvero – davvero – bello.
“Quindi, sei Harry…?” – chiese a bassa voce. Il riccio annuì con il sorriso stampato sul volto. Quanto tempo era che non sorrideva così? Mostrando addirittura le fossette? Forse non aveva mai sorriso così, non aveva mai mostrato le fossette, e non era mai stato davvero felice. Come poteva? Nessuno gli aveva mai rivolto la parola.
Era passato dall’essere il preso in giro all’asilo e alle elementari, per finire ad essere l’asociale alle medie e alle superiori. Non aveva mai provato interesse verso qualcuno tanto quanto nessuno aveva provato interesse verso di lui. E ora, questo ragazzo giunto dal nulla, per la prima volta gli aveva rivolto la parola, gli aveva detto di chiamarlo, e ora – nonostante Harry non l’avesse chiamato – gli stava parlando, era… wow!
“Harry, Harry Styles!” – sorrise il riccio, alzando la testa dal suo quaderno degli appunti, rivolgendo un’occhiata al ragazzo accanto a sé, che lo guardava con quei occhi dannatamente azzurri.
“Prima volta dell’ultimo anno?” – chiese ancora.
“Uhm, sì, suppongo che sia l’ultimo e non sono mai stato bocciato” – sorrise mostrando le fossette ancora una volta, ed erano già due volte che le mostrava… assurdo! – “è questo che intendi, con prima volta, vero?” – chiese –“perché tu… non è la prima?”
“No, diciamo è… non è la prima volta che frequento l’ultimo anno.”
“Bocciato?”
“Tre volte.” – ridacchiò l’altro. Ed Harry spalancò gli occhi. Louis era più grande di lui di ben tre anni, era più grande, più maturo, più… eppure non sembrava molto più grande, era discretamente più basso, e meno muscoloso di lui, come poteva essere di ben tre anni più grande?
“Wow” – si lasciò sfuggire Harry, mentre Louis ridacchiava sommessamente godendosi l’espressione stupita del più piccolo, che imbarazzato – notando che l’altro lo guardasse – abbassò lo guardo arrossendo vistosamente.
“Sei proprio carino, Harry Styles.”
Harry arrossì fino alla punta dell’ultimo riccio sulla sua testa, sorridendo come un ebete al ragazzo che gli stava accanto, sì, decisamente non si riconosceva in quel momento, ma fondamentalmente non gli importava, quel Louis era davvero… diverso da tutti quelli che aveva incontrato.
Trascorsero insieme tutta l’ora di chimica, chiacchierando, conoscendosi, e ridendo tra loro come se si conoscessero da una vita. Louis solo alla fine della lezione notò che Harry indossasse la coroncina, e gliela sistemò sul capo, come un principe con una principessa.
“Bene, come primo progetto, voglio che facciate una pila artigianale, con zinco e rame. Se sarete in grado di far passare un minimo di elettricità tra essi, allora, avrete un voto per il primo trimestre. Lavorerete in coppia, avete un mese di tempo.” – esordì il professore, guardando gli studenti. Senza pensarci due volte, Harry si girò verso Louis, che sorrise annuendo. Si avvicinò al suo orecchio e…
“Donano più a te che ad una ragazza le coroncine” – sussurrò. Il riccio perse mille battiti del cuore, quello parve fermarsi del tutto, facendo così mancare il fiato ad Harry, facendogli mancare l’ossigeno al cervello, perché i suoi sensi parvero fermarsi del tutto –“ci rivediamo, principessa, chiamami” – sussurrò ancora al suono della campanella, quando il professore uscì, Louis si alzò, raccolse la sua cartella e ne estrasse una sigaretta – che agli occhi di Harry parve essere una canna – l’accese aspirando e liberò dalla bocca il fumo, sorridendo al riccio, ancora una volta.
Il ragazzo rimase totalmente ammaliato da quei movimenti. Il modo in cui Louis fumava aveva un… qualcosa di affascinante, accattivante, che ti faceva posare lo sguardo su di lui, senza darti modo di staccarlo di nuovo. Era maledettamente eccitante in tutte le sue forme. Fece un cenno al compagno di banco e si dileguò, movendo il sedere in maniera quasi perfetta, sublime… come una donna.
“Mio dio, quel ragazzo è stupendo” – mormorò tra sé e sé Harry, portandosi una mano nei capelli, sulla coroncina che Louis aveva volutamente toccato, sistemato, facendogli anche un complimento. Nemmeno sua madre glieli faceva. Ed Harry era più che felice di sapere che a qualcuno piacessero le coroncine. Non seppe cosa lo spinse ad afferrare il cellulare e il portafogli dai pantaloni, cercare rapidamente un foglietto, aprire la casella dei messaggi e digitarne uno con assoluta fretta e impazienza.
 
“Vediamoci a mensa, oggi. Mi farebbe piacere chiacchierare ancora con te, mi sei simpatico, Louis Tomlinson,
Harry Styles, x”
 
Harry Styles, l’asociale per eccellenza, aveva appena stretto amicizia con un ragazzo.
 
 
 
Era successo di nuovo, maledizione. Aveva avuto un altro flashback. Non potevano essere coincidenze, non potevano essere sogni, perché era umanamente impossibile che sognasse per due volte di seguito la stessa persona, e poi non era tutto casuale, gli sembrava di aver già vissuto quei momenti, come se tutto fosse già passato, come se l’avesse dimenticato. Perché sentiva che tutto quello era maledettamente sbagliato, come poteva non ricordare alcuni momenti della sua vita, e riviverli in mente? E sapeva che quel Louis c’entrasse qualcosa con lui, era una convinzione fortissima, ma non sapeva come ricordare.
Sospirò, abbassandosi per raccogliere il vaso che gli era caduto per nervosismo.
“Scusa, piantina” – mormorò sedendosi per terra e raccogliendo i cocci –“cosa dovrei fare? Perché nessuno vuole dirmi nulla?” – raccolse il terreno con le mani e notò che i petali del fiore contenuto nel vaso fossero spezzati, esattamente come si sentiva lui. Spezzato, rotto, senza vita. Era come se dopo quell’incidente avesse perso una parte di sé, come se dopo quell’incidente non avesse più un motivo per andare avanti. Certo, Nick gli stava accanto, era quasi sicuro che lo amasse davvero, non gli faceva mai mancare nulla, era premuroso, gli raccontava qualcosa, ma era come se Harry non si sentisse parte i quei ricordi. Ciò che Nick raccontava, non era mai ciò che Harry aveva avuto la sensazione di vivere. Non poteva essere sicuro, non poteva sapere davvero quale fosse la sua storia, solo sua madre poteva dirglielo, la donna che più di tutti, doveva necessariamente sapere qualcosa, le madri non sapevano sempre tutto dei propri figli? Da lei avrebbe trovato le risposte, ne era certo.
Non poteva sapere che la madre avesse detestato da sempre Louis, fin da quando l’aveva visto la prima volta, non l’aveva mai considerato davvero il fidanzato di Harry, non l’aveva mai accettato, considerandolo troppo sopra le righe, ma Harry non lo sapeva, viveva nel suo piccolo mondo, che stava ricostruendo, o almeno tentava di ricostruire. Quella sera, non aspettò il ritorno di Nick a casa, gli mandò un messaggio, dicendogli che sarebbe passato da sua madre, e quindi di non aspettarlo sveglio, che avrebbe dormito da lei.
Si presentò a casa sua, il cui giardino aveva ritrovato in uno dei ricordi che gli avevano affollato il cervello, e quando la donna gli aprì la porta, e lo accolse in un abbraccio caloroso, lui si sentì a casa, e parte del vuoto che aveva parve diminuire.
“Harry, caro, cosa ci fai qui? E dov’è Nick?” – chiese immediatamente la donna, facendolo entrare in casa. Harry alzò le spalle sorridendo.
“Mi andava di venire un po’, sai, mamma ultimamente mi sento un po’ strano, come se avessi dimenticato qualcosa di importante.”
La madre annuì, facendo un sorriso strano, sapeva cosa volesse il figlio, ma non voleva né poteva dirgli nulla.
Lo fece accomodare, e gli disse di sedersi in cucina, e dopo pochi minuti lo raggiunse. Harry già si era versato un bicchiere di succo di frutta e la guardava con un sorriso tutto fossette sul viso.
“Mamma, dimmi, chi è Louis?” – chiese a bruciapelo, mentre la donna stava per sedersi. Le scappò un colpo di tosse finto. Era esattamente ciò che sospettava, quel ragazzaccio si era rifatto vivo nella vita di suo figlio, e lei non voleva né poteva accettare una cosa del genere. La sua amnesia era stata positiva in un certo senso, non ricordando chi fosse quel Louis, e non era più tornato da lui, anzi si era sistemato con Nick, e la cosa andava più che bene alla donna, che non aveva mai visto di buon occhio il ragazzo dai capelli colorati, non aveva mai apprezzato il fatto che usasse il figlio a suo piacimento, facendolo stare bene un giorno, e per i giorni seguenti lo ignorava.
“Un tuo compagno di studi del liceo, perché?” – chiese.
“Niente, è che mi ha telefonato, diceva di aver bisogno di me, credevo fosse importante.”
“Oh no, avrà sbagliato numero. Tu e Louis non avete niente da dirvi.” – mentì la donna, senza guardarlo negli occhi, ed Harry intese che nemmeno sua madre voleva che lui sapesse – “promettimi che non lo sentirai, non è una bella persona.”
Harry annuì, sospirando. Quindi questo Louis gli aveva fatto qualcosa di male, Nick gli impediva di rispondere al telefono, la madre gli intimava di non sentirlo né vederlo, e invece a lui, quel ragazzo sembrava l’unica risposta a tutte le sue domande, ma nemmeno lui voleva dargli le dannatissime risposte.
Perché non c’era nessuno che lo aiutasse a ricordare?
Perché nessuno si sforzava di capirlo, di aiutarlo?
A nessuno sembrava importare nulla di lui, tutti volevano solamente proteggerlo da una minaccia che non esisteva. Da chi poteva venire? Da un ragazzo che lui apparentemente non conosceva, che forse era l’unico che poteva dirgli che diavolo era successo nella sua vita, prima di quel maledettissimo incidente?
Non lo sapeva, sapeva solo che voleva risposte. Solo risposte, maledette risposte che non arrivavano mai. Nessuno lo aiutava, e lui si sentiva sempre più perso, sempre più solo. Voleva che quel Louis lo chiamasse ancora, e gli desse qualche risposta.
“Ha fatto qualcosa di male?” – chiese in un sussurro.
“Tante cose cattive.”
Harry non riuscì a credere alle parole della madre. Quella voce era troppo dolce per appartenere ad un cattivo ragazzo, la dolcezza con cui gli aveva parlato – per pochi minuti – l’aveva convinto che non fosse un cattivo ragazzo, c’era qualcosa che sua madre e Nick non volevano dirgli, e lui voleva assolutamente scoprirlo. Voleva sapere, voleva quelle dannatissime risposte che nessuno gli dava.
Nick doveva parlare e confessare tutto, altrimenti, oh sì, Harry lo avrebbe lasciato, e avrebbe cercato da solo le risposte. Perché sentiva di non amare Nick e gli diceva il contrario? Perché sentiva che Nick gli nascondesse qualcosa? Perché sentiva che sua madre mentisse? Perché nessuno voleva che ricordasse il passato?
Perché sentiva che avrebbe ritrovato ciò che voleva, solo con il tempo e il ricordare?
E se ci fosse voluta tutta la vita, per ricordare ciò che era già accaduto?
 
 
 
Louis si guardava intorno, spaesato.
Aveva semplicemente paura, paura di cosa, poi?
Nulla, ed era questo a fargli paura, il nulla, la solitudine, il sentirsi perso, questo gli faceva paura. Non sapeva cosa sarebbe accaduto da quel momento in poi, non sa chi avrebbe incontrato, sapeva solo di avere una paura terribile.
Paura di sbagliare, paura di fallire, paura di incontrare persone sbagliate – ancora più sbagliate di quelle che aveva già incontrato nel corso della sua vita - paura di essere considerato ancora quello inadatto, paura che lo giudicassero per ciò che era, perché sapeva che solo lui l’aveva sempre accettato con pregi e difetti che fossero, solo lui lo amava davvero, paura, pura semplice e incontrollabile paura.
Paura che gli attanagliava il cuore, lo stomaco e le viscere. Una paura sconfinata, qualcosa che non poteva controllare con la sua razionalità, semplicemente perché era terrorizzato.
Louis aveva paura della paura stessa.
Louis provava tristezza.
Non sapeva perché, sentiva che gli occhi bruciavano, le lacrime che volevano uscire, e non sapeva perché. Forse lo sapeva, ma non voleva ammetterlo. Sentiva dentro un vuoto, incolmabile. Non riusciva a capire da cosa dipendesse, ma era un vuoto, nello stomaco, nel cuore, che lo costringeva a sembrare ciò che non era.
Fondamentalmente Louis era un ragazzo triste, lo era diventato senza di lui.
Sapeva che niente avrebbe potuto salvarlo, allora si lasciava sprofondare.
Sapeva che tutto ciò accadeva per un motivo, e allora lo viveva e riviveva sulla sua pelle, perché era così che doveva essere, lui era sbagliato, non poteva essere diversamente.
Sapeva che era colpa sua e meritava di essere triste, perché lui l’aveva spinto tra le braccia di un altro.
Louis si sentiva insicuro, maledettamente insicuro, per la prima volta nella sua vita. Non sapeva come comportarsi, sapeva che qualsiasi cosa avesse fatto, l’avrebbe sbagliata, come sempre da quando lo conosceva, e tutto ciò lo lasciava in uno stato di inquietudine, e insicurezza che non voleva spiegarsi. Si sentiva vinto da tutto. Tutto era più forte di lui, tutto era molto meglio di lui, tutti erano migliori, persino quel tizio che lui non sopportava.
Era caduto in un abisso,  e non risaliva più, non ci riusciva, non da solo, non senza di lui, non voleva senza di lui.
Perché l’aveva lasciato andare? Se non fosse stato così insicuro, nulla sarebbe successo, ed era tutta colpa sua.
Aveva fatto l’errore più grande della sua vita, e ora ne pagava le conseguenze.
Ora stava fottutamente male senza di lui, era incompleto, solo, niente.
Furono urla quelle che fuoriuscirono dalla sua bocca, quando realizzò completamente tutto.
Furono urla di disperazione, di rassegnazione, urla che non avrebbe mai voluto tirar fuori, il suo malessere risiedeva in esse. Non poteva farne a meno, doveva liberarsi, perché se era solo, senza di lui, era solo colpa sua, l’aveva lasciato solo, l’aveva abbandonato, e ora doveva necessariamente pagarne le conseguenze.
Perché lui era lo stupido, idiota, e innamorato – nonostante se ne fosse reso conto tardi - della situazione, ma era lui che aveva fatto una stronzata dietro l’altra per la sua bassa autostima, nascosta da un voler vincere tutto e tutti, e da un’ostentata sicurezza che l’aveva reso il ‘ragazzaccio’ che era. Era stato lui troppo geloso per tutta la sua vita, da attaccarsi fisicamente alle persone, pretendendo che esse facessero qualcosa per lui, che lui non ricambiava nemmeno con dei piccoli gesti, era lui, che l’aveva fatto soffrire. Era sempre colpa sua, qualsiasi disgrazia, era colpa sua, se ne rendeva conto solo in quel momento.
Anche questo, tutto questo era colpa sua e non poteva evitarlo, doveva soffrire, doveva urlare, perché l’aveva voluto, e lui l’aveva fatto prima di lui. Quante lacrime avrebbe potuto fermare, senza il suo comportamento da stupido? Quanti ‘ti amo’ avrebbe potuto ricambiare? Quante carezze avrebbe potuto fare? Tante, troppe, ma non l’aveva mai fatto, e ora doveva pagare, e il prezzo era stato caro: l’aveva perso.
Senza di lui era niente, senza di lui era come una scarpa senza lacci, era come un quadro senza tela, era come un palazzo senza fondamenta, era come il cielo senza stelle, non era niente, e se n’era reso conto tardi, se n’era reso conto quando lo aveva perso.
Tutto ciò che sentiva era vuoto. Tutto ciò che provava era come un buco nero, che lo risucchiava nel nulla, nel vuoto. Non sapeva cosa significasse, sapeva solo che doveva essere risucchiato, sapeva che doveva sprofondare, perché il male che aveva fatto lui era dieci volte maggiore. Aveva distrutto una famiglia, un amore, una vita. Non meritava di essere vivo, non meritava nulla.
Meritava solo di sprofondare nel buco nero da lui creato, nient’altro. Meritava tutto il male del mondo, meritava questo ed altro, era colpa sua, solo colpa sua. Il buco nero non si sarebbe mai aperto, se lui non avesse fatto il cretino, se non avesse ferito nessuno.
Tutto ruotava, tutto crollava e lui rimaneva lì, senza far nulla, se non a disperarsi.
L’aveva perso, non poteva fare altrimenti.
Doveva sprofondare.
Erano lacrime quelle che Louis versava solo nella sua stanza.
Erano calde, amare, copiose lacrime quelle che non riusciva a fermare.
Erano stupide lacrime quelle che scorrevano giù dai suoi occhi, aveva perso tutto, e non poteva far altro che piangere, e piangere e piangere, fino a che il suo corpo non fosse per la stanchezza, e lui si fosse addormentato. Ma il sonno non voleva prenderlo per nulla, e continuava a piangere, lui che in tutta la sua vita non aveva pianto nemmeno quando gli era morto il pesce rosso.
Pianse anche quando non ebbe più lacrime da versare, pianse anche quando il suo corpo rimase ormai immobile sul letto, quasi addormentato, pianse anche quando una mano si posò sul suo capo e cercò di calmare i suoi singhiozzi. Ma Louis non ci riusciva a calmarsi, e allora pianse ancora.
Perché l’aveva perso, era tutto ciò che sapeva.
Adesso era davvero niente. Solo un anima che camminava senza meta precisa alla ricerca del suo amore, nient’altro.
 “…Harry, dove sei?”
 
 
 
Harry rideva.
Non si era mai sentito così leggero, così felice, così… bene. E doveva tutto al ragazzo che ora se ne stava con la schiena appoggiata sul piccolo prato nel giardino antistante casa di Harry. Si erano riuniti per studiare, per finire il progetto. Erano passate quattro settimane da quando Harry e Louis si conoscevano, erano passate quattro settimane di lavoro – solo da parte di Harry – per quella pila artigianale, erano passate quattro settimane in cui Harry aveva trovato un amico, quattro settimane, le più belle della vita di Harry Styles.
Louis sembrava etereo in quella posizione. La canottiera che lasciava scoperte le braccia abbastanza muscolose e tatuate, risaltandole, una pancetta ‘alcolica’ semplicemente adorabile, le gambe lunghe e snelle distese per terra, i capelli rossi, tinti, che si perdevano nel prato verde, lo sguardo azzurro, penetrante, contornato da un leggero velo di rosso, conferito dalla canna che stava fumando in quel momento – la terza che Harry aveva contato da quel pomeriggio – che si rifletteva in quello di Harry, che ne era rapito, ammaliato. Era come se fosse dipendente da quello. Per questo, pensava a lui mentre intrecciava la coroncina di fiori.
“Che fai?” – chiese Louis, notando che il giovane avesse preso ad intrecciare qualcosa.
“Nulla, tranquillo” – ribatté l’altro con l’aria assorta, di chi la sapeva lunga. Doveva riuscirci, voleva fare un regalo a Louis, ma nulla gli impediva di regalargli qualcosa che lui stesso adorasse.  –“come mai mi hai parlato, un mese fa?” – volle sapere il riccio, cambiando repentinamente argomento.
“Mh… non lo so, sei un tipo interessante, Harry Styles.”
“Ti prego, chiamami solo Harry.”
“E se ti trovassi un soprannome?”
“Mh… okay!” – concesse il riccio, ridendo ancora.
Harry non era tipo da soprannomi, o meglio, fin da piccolo lo avevano chiamato con appellativi come ‘femminuccia’, ‘capriccio’, ‘buffo’, ‘strano’, ‘frocio’, e temeva che anche Louis definisse quelli soprannomi. Attese in ansia, mentre Louis tirava ancora – in quel modo provocante e affascinante – una boccata di fumo, e poi la sbuffava via, creando piccole nuvolette grigiastre davanti a sé, facendole scontrare anche con il viso del riccio, che era lì vicino a lui, che ad ogni sbuffo di fumo tossiva convulsamente. A Louis veniva da ridere, perché era buffo che qualcuno non sopportasse il fumo come Harry, ma il riccio gli aveva confessato di soffrire d’asma, per questo né fumava, né sopportava il fumo degli altri.
“Haz.” – dichiarò infine, facendo cadere a terra il mozzicone della canna.
“Louis. Posacenere. Ora.” – sibilò il riccio. Mai – mai – nuocere alla salute delle sue piante e dei suoi fiori, quelli erano tutto il mondo di Harry, anche se Louis stava iniziando ad occuparne una buona parte, e vi era entrato senza permesso, con naturalezza. Louis si alzò, raccolse il mozzicone da terra e si avvicinò alla finestra spalancata, aggiunse il mozzicone agli altri presenti nel posacenere e allungò la testa all’interno della casa, di sicuro alla signora Styles non sarebbe dispiaciuto se usufruiva della sua ospitalità e sgraffignava qualche biscotto. Effetti collaterali della droga? Una gran fame dopo. Prese la busta di biscotti aperta, lasciata sul bancone della cucina, esattamente sotto la finestra, e tornò da Harry, sedendosi accanto a lui. Solo in quel momento lo notò. Harry stava intrecciando una coroncina di fiori con delle margherite cadute dal vaso e con dei fiori gialli che Louis non riuscì a distinguere, conosceva già le margherite ed era tanto.
“Allora, ti piace Haz, come soprannome?” – chiese con un sorriso, facendo sorridere immediatamente l’altro ragazzo, che si morse il labbro visibilmente contento.
“Credevo usassi un appellativo come ‘strano’, ‘femminuccia’ e simili…” – borbottò. Louis appoggiò le mani sulle sue spalle e sorrise. Scosse la testa, posando un bacio dolce sulla fronte del riccio, che avvampò immediatamente, come faceva ogni volta che Louis faceva qualcosa nei suoi confronti.
“Non sono quel tipo di persona.” – sorrise.
Tra chiacchiere, biscotti per entrambi, canne e/o sigarette per Louis, e coroncine di fiori per Harry, il resto del pomeriggio trascorse. Senza volerlo, i due ragazzi si ritrovarono ad osservare il tramonto seduti sul prato di casa Styles. Nessuno dei due aveva mai vissuto una cosa più romantica di quella, ed era una bella sensazione.
Harry, ad un certo punto, allungò le braccia sul capo di Louis, depositandovi la coroncina che aveva finito di intrecciare. Il più grande strabuzzò gli occhi, non aspettandosi quel gesto, ma quando vide il sorriso sul viso dell’altro, non poté far altro che assecondarlo, sorridendogli in maniera innocente, come lui.
“Per te, siamo amici, è giusto che anche tu abbia…” – fece, interrompendosi.
Louis non gli fece finire la frase. Harry spalancò gli occhi quando lo vide così maledettamente vicino a lui, era… etereo. Gli afferrò il viso tra le mani, e lo baciò sulle labbra. Inizialmente fu un bacio a stampo, poi le labbra di Louis presero a muoversi contro quelle di Harry, la sua lingua tracciò il contorno delle labbra dell’altro, che le dischiuse senza troppi problemi, e allora i sapori si mischiarono, si fusero, le bocche si incontrarono, lottarono quasi tra loro, con sempre maggiore passione. Harry era alla sua prima esperienza con un bacio, mentre Louis… beh, non era esattamente il primo bacio per lui. Si baciarono, ancora, ancora e ancora, fino a che il sole non tramontò su di loro. Louis sistemò la coroncina sulla testa di Harry, che si era spostata nella foga del bacio, mentre il riccio fece la medesima cosa con quella di Louis.
“A dire il vero, non voglio essere solo tuo amico, Haz.” – confessò Louis, sorridendo appena.
“E cosa…?” – chiese incerto il riccio, guardandolo negli occhi. Il suo cuore prese a battere davvero forte, non se l’aspettava mica da Louis, cioè, significava andare incontro all’ignoto. Harry ne aveva paura. Non faceva mai nulla, se non era assolutamente sicuro della riuscita delle sue azioni, ma con Louis, tutto era diverso. Niente era uguale, Louis era… speciale. Louis era tutto ciò di cui aveva bisogno, non avrebbe mai chiesto niente di meglio di lui.
“Vuoi frequentarmi?”
“Io…” – lo guardò negli occhi, perdendosi –“dio, sì! Sì!”
 
 
Harry sobbalzò, facendo cadere una pentola. La sua mente si era annebbiata, le immagini di quel pomeriggio erano tonate violente nella mente. Nick gli aveva detto che era il loro anniversario, sebbene Harry non sentisse che quel giorno fosse speciale, sebbene credesse che Nick mentisse, era rimasto a casa, quel giorno e aveva iniziato a preparare la cena. Ricordava come si cucinava, ma non ricordava perché avesse imparato a farlo. Non era tipico di un ragazzo cucinare, ma mentre preparava la cena, aveva avuto l’ennesimo flashback. Quella sera avrebbe chiesto spiegazioni a Nick, gli avrebbe raccontato dei flashback. Ormai aveva capito, tra lui e Louis c’era stato qualcosa di sentimentale, c’era stato qualcosa che nessuno gli aveva spiegato, c’era stato molto di più che semplice amicizia, e quel flashback glielo ricordò. Un bacio c’era stato. E l’aveva appena ricordato, in più Louis gli aveva chiesto di stare insieme, di frequentarsi, e sapeva che la risposta giaceva in quelle frasi. Giaceva in quel ricordo. Se solo avesse ricordato altro, se solo non ricordasse così a scatti, se solo non fosse così solo in quel momento, l’avrebbe collegato a qualche avvenimento a qualcosa, qualsiasi cosa che avesse significato qualcosa nella sua vita prima dell’incidente. Qualcosa doveva esserci, qualcosa che lui non conosceva, qualcosa che… gli avrebbe cambiato la vita, lo avrebbe tirato fuori dal buco nero, l’avrebbe aiutato,  che forse gli avrebbe fatto capire perché si sentiva così maledettamente infelice in quel momento.
I suoi pensieri furono interrotti da Nick, che rientrò un decisamente più tardi quanto credesse – aveva detto che avrebbe staccato alle sette, per passare del tempo con lui, ma erano le otto passate quando tornò – e lo accolse con un sorriso smezzato, che Nick non colse subito.
“Ehi Haz, ti ho preso un regalino!” – esclamò l’altro ragazzo, ed Harry si sentì in colpa. Già stava pensando male di lui, credendo chissà cosa stesse facendo. Nick si avvicinò velocemente a lui, e gli porse quello che sembrava un cd.
La testa bruciò, ed Harry strizzò gli occhi sperando che non stesse arrivando un altro di quei momenti.
 
 
Era il 24 dicembre, il giorno del compleanno di Louis. Harry era fuori la casa di fronte alla sua, e sorrideva come un ebete. Nonostante ci fossero almeno meno dieci gradi sotto zero, la neve cadesse lenta sulla sua testa, il giubbotto pesante, il cappello di lana e la sciarpa non bastavano a riscaldarlo. In una mano stringeva un vassoio di cupcake fatti in casa e una busta contente due cappuccini caldi, nell’altra la confezione di un cd. L’aveva fatto lui, questo lo sapeva. Aveva perso ore al PC cercando quelle dannate canzoni, cercando di metterle nel cd, alla fine ci era riuscito, ed era piuttosto soddisfatto del risultato, lo aveva impacchettato con della carta da regalo comprata il giorno prima e poi ci aveva applicato una coccarda colorata sopra, scrivendoci su ‘Per Louis, da Haz’. E ora aspettava fuori dalla porta, con tutto ciò che aveva preparato tra le mani, sorridendo dolcemente, attendendo che il ragazzo aprisse la porta, perché dannazione, era eccitato all’idea di dover fare un regalo a Louis e di averlo fatto con le sue mani.
Quando la porta si aprì, trovò ad accoglierlo un Louis in boxer – in pieno inverno – con tutti i tatuaggi in bella mostra, sfatto, con i capelli arruffati, l’espressione ancora mezza addormentata e decisamente troppo fatto, con i postumi di una sbornia bella forte, ed Harry trattenne il fiato a quella visione. Com’era possibile che quel ragazzo fosse sempre maledettamente bellissimo? Anche in quello stato, Louis era bellissimo agli occhi di Harry, visione più bella di quella, non l’aveva mai avuta.
“Harry…?” – biascicò sbadigliando –“cazzo, entra dentro si gela” – borbottò tremando appena, ed Harry si affrettò ad entrare in casa, rendendosi conto che i caloriferi fossero accesi al massimo, e in quella casa c’era un’atmosfera quasi estiva. Il riccio si sbrigò a togliersi tutti gli indumenti pesanti, restando semplicemente con la camicia.
“Buongiorno, Louis!” – fece riprendendosi –“buon compleanno!” – sorrise, porgendogli prima la colazione.
“Sei il mio salvatore, piccoletto.” – sorrise attirandolo a sé – “grazie…” – sussurrò baciandolo, per poi spingerlo contro il muro. Nel bacio, Harry percepì tutte le sfumature del sapore di Louis. Tabacco, erba, alcol e quel sapore che distingueva sempre lui, cioccolato. Louis sapeva anche di cioccolato.
“L-Lou, ma cosa…?”
“Shh… voglio ringraziarti come si deve, dopo.” – scese sul suo collo, lasciandovi un succhiotto – “ma prima, facciamo colazione, ho un sapore terribile in bocca, vero?”
“N-no, sei sempre buono.” – balbettò imbarazzato Harry.
“E tu troppo dolce, cupcake.” – sorrise, afferrando la busta e il cd, rigirandoselo tra le mani, facendo così sorridere Harry, specialmente quando gli sorrise, facendogli un cenno affermativo con il pollice alzato a mo’ di ‘ok’.
E io ti amo – pensò Harry, mentre lo guardava andare in cucina con la busta.
Fecero colazione insieme, e Louis di tanto in tanto sorrideva nella direzione del riccio, facendolo sentire incredibilmente voluto, appagato… bene.
“Lou, ma noi cosa siamo?” – chiese ad un certo punto Harry. Era da circa ottobre che si vedevano, uscivano, si baciavano, e… basta.
“Uhm… è ciò che è, Haz.”
 
 
“Harry, ehi, Haz, piccolo, stai bene?” – chiese allarmato Nick, sorreggendo il ragazzo dalla schiena, aiutandolo a rimettersi in piedi. – “sei svenuto, tutto okay?”
“Mi fa male la testa…” – mormorò Harry, portandosi una mano alla tempia e massaggiandola lentamente. Nick lo aiutò a rimettersi in piedi, e lo fece sedere su una sedia, prendendogli dell’acqua fresca dal frigo, attento a non scivolare sul sugo caduto a terra poco prima del suo arrivo.
“Ho avuto un flashback, a dire la verità è… il quarto” – confessò.
“Hai avuto dei flashback, e non mi hai detto nulla?”
“Non potevo, credevo fossero sogni. Invece oggi me n’è venuto uno vicino al piano cottura, mi è caduto il sugo a terra!” – alzò la voce, per difendersi automaticamente dalle accuse di Nick. Non sapeva perché, ma con Nick stava sempre sulla difensiva. Sentiva, dentro di sé, che Nick ogni tanto tentasse di rinfacciagli qualcosa, di fargli capire che era un cattivo fidanzato, o cose simili, e ad Harry dava fastidio. Perché lui aveva dimenticato, ed era compito di Nick aiutarlo con la memoria, e invece gli impediva di ricordare qualcosa, qualcuno. Ora lo sapeva, era quasi sicuro che quel Louis fosse stato qualcosa di importante. Decise che quello era il momento per chiedere, per sapere. Lui voleva sapere.
“Chi è Louis? Voglio la verità, Nick.” – chiese autoritario il riccio, guardandolo dritto negli occhi, in attesa di una risposta, che lui non aveva, ma che voleva ardentemente, con tutto il cuore.
“Harry, Louis… lui… vedi…” – balbettò incapace di trovare una risposta. Era stato bravo a fingere che il ragazzo non avesse mai fatto parte della vita di Harry, che non ci fosse mai stato, che Harry non lo avesse mai amato, e non aveva previsto la domanda di Harry, non aveva previsto i flashback, tutto il suo progetto stava fallendo, tutto il suo progetto iniziale stava a poco a poco crollando.
“Allora?” – insisté il riccio.
“Era il tuo ex. Al liceo.” – mentì – “siete stati insieme un paio d’anni, credo.” – inventò al momento – “poi tu l’hai lasciato, perché non volevi che intralciasse il tuo sogno.” 
“Il vivaio?”
“Sì, il vivaio. Louis era svogliato, non voleva che tu studiassi, e che poi trovassi un lavoro. E tu l’hai lasciato.”
Perché non riusciva a crederci? Perché sentiva che c’era un fondo di bugia in tutto quello che diceva? Perché Nick non gli raccontava mai la verità?
“Harry, mi dispiace, avrei dovuto dirti la verità. Vedi, non sei caduto.” – disse – “quando hai perso la memoria, sei stato aggredito, picchiato e colpito. Poi hai battuto la testa”
Harry spalancò gli occhi e improvvisamente ricordò la notte dell’aggressione. Sì, erano state botte quelle che aveva ricevuto, e aveva ricevuto un messaggio di Nick che lo incitava a tornare a casa al più presto, come un bravo fidanzato premuroso. In quel momento, si rese conto di aver frainteso tutto, di aver dato delle colpe a Nick che non erano propriamente sue, di aver dubitato del ragazzo che lo amava, di aver dubitato del suo Nick, specialmente quando quello lo guardò negli occhi con gli occhi lucidi.
“E ho scoperto, che li mandava Louis, il tuo ex.” – fece con la voce tremante, da bravo attore che era – “è stato lui, per gelosia. E-e mi dispiace, avrei dovuto dirtelo prima, mi dispiace, ma volevo proteggerti. Sei tutto ciò che ho…” – finse un singhiozzo – “e-e se ti avessi permesso di sentire ancora quel tipo, allora… sarebbe stato tutto inutile, per questo ho cancellato il suo numero dal tuo cellulare, ti prego, Haz, perdonami…” – supplicò il moro – “non volevo mentirti, volevo solo proteggerti…”
“Nick, Nick, calmati…” – sussurrò mortificato Harry, allungando le braccia intorno al collo dell’altro ragazzo abbracciandolo forte, avvicinandolo al suo petto e stringendolo.
“Io ti ho raccolto quando con Louis è finita, eri distrutto, piccolo, ho riparato il tuo cuore spezzato, per questo ti sei innamorato di me, e non sai quanto fottutamente male faccia sapere che tu non ricordi di amarmi…” – singhiozzò contro il petto del riccio, che ora lo stringeva convulsamente tra le braccia, che cercava di calmarlo, perché, dannazione, era tutta colpa sua se Nick stava così male, ora. Era tutta colpa sua, e ora si sentiva così maledettamente in colpa, così stronzo, così cattivo ad aver dubitato di Nick, proprio di lui, che voleva solo proteggerlo.
Tutto fu chiaro nella sua mente, anche l’atteggiamento restio della madre, e quel Louis che al telefono si era pentito di ciò che aveva fatto. Harry era sicuro che non avrebbe mai più dubitato del suo ragazzo, non più, non dopo quello che gli aveva raccontato. Nick aveva riparato il suo cuore, lo aveva salvato, e lo stava proteggendo da un ex troppo geloso e possessivo, lo stava proteggendo dal passato, dal dolore. E lui come ringraziamento che aveva fatto? Aveva fatto piangere Nick. Cercava di cullarlo, di rassicurarlo, di fargli capire che c’era, che non l’aveva lasciato.
“Nick, mi dispiace, farei qualsiasi cosa per farmi perdonare, ora. Tutto, te lo giuro.” – sussurrò staccando il viso dal suo petto e guardandolo negli occhi. Asciugò una lacrima con il pollice e poi gli diede un bacio sulle labbra. Non lo baciava da tanto, e sentiva che in quel momento, quel bacio era l’unica soluzione. Nick nascose un ghigno soddisfatto e ricambiò il bacio con strana foga per essere uno che fino a due minuti prima stava piangendo a singhiozzi.
“Tutto, Haz? Tutto?” – chiese contro la sua bocca, con la voce ferma, non di chi aveva pianto, ma Harry non se ne curò, non avrebbe mai più avuto dubbi su di lui, non poteva averne proprio ora.
No.
“Sì, tutto…” – sussurrò, ricambiando il bacio, ancora e ancora e ancora, fino a che Nick, inginocchiato davanti a lui, estrasse una scatolina dalla tasta della felpa e l’aprì davanti agli occhi del riccio.
“Dimostrami che vuoi ricordare, ricordarmi, ricordarci” – fece in un sussurro – “dimostrami che mi ami, come io amo te, anche se non lo ricordi, dentro di te lo sai” – continuò – “dimostrami che nessun Louis si metterà mai più tra di noi.” – deglutì, quando pronunciò quel nome – “dimostrami che sei solo mio.” – sorrise – “sposami, Harry Styles.”
Harry lo guardò spalancando gli occhi. Nick gli stava chiedendo di sposarlo.
Ma Nick era la sua felicità? Non doveva avere dubbi, non doveva.
Non voleva averne.
Non poteva averne.
Guardò prima il moro, poi l’anello, poi di nuovo il moro, poi ancora la scatolina con l’anello, poi chiuse gli occhi, e seguì quello che il cervello gli diceva, andando contro al cuore che gli diceva tutt’altro. Quella non era la sua strada, quella non era la sua vita, ma il cervello suggeriva di sì, era la strada più facile. Vivere nella menzogna, e dimenticare tutto. Quella era la soluzione, ne era certo. Non avrebbe mai saputo tutta la verità su Louis, ma non voleva far piangere ancora Nick, non dopo tutto ciò che aveva fatto per lui. Non poteva proprio.
Evidentemente, quello era il suo destino, quella era la sua vita, e lui non poteva far nulla per cambiarla, aveva tentato di trovare la felicità, di trovare risposte, ma non erano arrivate.
Era diventato un’anima in pena alla ricerca di un corpo da completare.
Che questo fosse Nick?
Dopo minuti intensi di riflessione, di rimugino, di dubbi costanti, Harry prese una decisione, sorrise fintamente e annuì energicamente, prima di esclamare:
“Sì, ti sposo!”
 
 
 
 
Louis era disperato.
Erano giorni che se ne stava rintanato in camera sua, a fumare e bere. Usciva solo per rifornirsi di birre, di fumo ne aveva a sufficienza. Si sentiva totalmente perso. Harry aveva rappresentato per sette anni una costante della sua vita, era stato colui che l’aveva amato incondizionatamente, e ora l’aveva perso. Perché lui l’aveva abbandonato, era stato aggredito, e aveva battuto la testa.
Nel delirio da alcol e fumo, rifletté su quanto accaduto sei mesi prima. Chi poteva essere stato?
Di certo, la gente non si svegliava la mattina e decideva di aggredire un ragazzo solo.
Harry non era la persona che si faceva nemici, di nessun genere.
Un momento.
E se li avesse mandati qualcuno?
E se qualcuno avesse tramato alle loro spalle prevedendo questo?
Qualcuno dalla mente subdola, cattiva, qualcuno che puntava solo a dividerli, che da sempre non aveva sopportato la presenza di Louis nella vita del riccio?
Qualcuno di così… meschino?
Grimshaw.
Doveva arrivarci prima, doveva impedire che quell’idiota gli portasse via Harry, doveva agire, doveva farlo. Non poteva lasciare Harry nelle mani di quello. Non era colpa sua, non aveva portato lui lontano Harry da sé, era stato Grimshaw, era stato lui, sempre. Aveva aspettato, aveva cercato di dividerli da sempre, aveva cercato di farli lasciare, e finalmente ci era riuscito. Avrebbe scommetto tutto quello che aveva, che avesse dato tutta la colpa a lui. E l’avrebbe pagata, ne era certo.
Quant’è vero che mi chiamo Louis Tomlinson, la pagherà.
Si alzò dal letto con uno scatto, e aprendo la porta di camera sua, si diresse nel bagno, per farsi una doccia lunga. Doveva indagare, doveva capire cos’avesse fatto Grimshaw, e soprattutto come avesse fatto. E una cosa era certa, si sarebbe ripreso Harry. Era suo, fottutamente suo, e anche se l’aveva capito tardi, doveva fare qualcosa per porre rimedio ai suoi errori. Harry non poteva pagare ancora. Aveva creduto che lasciandolo andare, avrebbe fatto per la prima volta qualcosa di positivo per lui, ma lui sapeva, sapeva che Harry non sarebbe stato felice senza di lui, forse era un pensiero egoistico, forse era davvero egoista, menefreghista, e anche stronzo, ma una cosa era certa, la sua vita senza Harry era vuota, e sapeva che anche quella del riccio fosse altrettanto vuota di lui. Peccava di presunzione? Probabile, ma Harry non sarebbe mai stato felice con Nick, e in quel caso, solo in quel caso, nel caso che Harry fosse stato davvero felice con Nick, allora lo avrebbe lasciato andare, e l’avrebbe fatto essere felice senza di lui, ma finché era convinto che fosse lui la felicità di Harry, allora avrebbe lottato, in fondo, l’aveva capito. Si era reso conto di tutto, perché non tentare di farsi perdonare e non buttare via ben sette anni di relazione, se relazione poteva chiamarsi quello che c’era stato tra loro, ah già, ‘è ciò che è’ come lo chiamava lui, per non immischiarsi tropo sentimentalmente nella relazione, senza accorgersi che ci stava cadendo dentro con tutte le scarpe. Era anche vero che Louis non aveva totalmente ignorato Harry, insomma, lo aveva anche supportato. Un sorriso gli scappò al ricordo del giorno della laurea di Harry, era così bello con lo smoking  nero, la tonaca nera e il cappello da laureando in testa. Ricordava di avergli posato una coroncina di fiori tra i capelli, e di averlo visto sorridere davvero. Come aveva fatto ad essere così cieco? Come aveva potuto farlo soffrire?
Quale essere dotato di cuore l’avrebbe mai fatto?
Ma Louis aveva appena scoperto di possedere un cuore, sei mesi prima credeva che stare con Harry fosse un’abitudine, una piacevole abitudine. All’inizio era stato anche bello, si era divertito, e non si era accorto che Harry, lentamente, era entrato nella sua vita, insidiandosi in essa, rendendola bella con piccoli gesti, e poche parole, era diventato morbosamente geloso di lui, tanto da non sopportare che nessun essere vivente gli stesse intorno, spesso – purtroppo per lui – era stato anche violento, e se ne pentiva, se ne pentiva tantissimo. Era stato stupido, cieco, e stolto. Non avrebbe mai dovuto far del male a quel ragazzo, non avrebbe mai dovuto farlo soffrire. Lasciò che l’acqua scorresse su di lui, lasciando cadere via la puzza di fumo e alcol, lasciando cadere via i brutti ricordi, e i sei mesi di solitudine e gli ultimi giorni di depressione, lasciò cadere tutto con l’acqua calda che scorreva lenta sulla sua pelle macchiata da segni indelebili, accarezzò quello sul petto, che partiva dalla scapola e arrivava all’altra, una scritta che per lui prima rappresentava solo una canzone, ora rappresentava la verità “It is what it is”, recitava “è ciò che è”, lui ed Harry. Quando fu convinto di essere abbastanza pulito, uscì dalla doccia, e si asciugò. Da dove poteva partire per le indagini? Da dove poteva iniziare per smascherare Nick? Non lo sapeva, ma doveva farlo, al più presto e doveva aiutare Harry a ricordare di lui, di loro. Non poteva lasciare la questione irrisolta. Una volta asciutto, sistemò i capelli rossicci che si erano schiariti leggermente nel solito ciuffo alto, indossò una delle sue canotte, un paio di bermuda, le converse e si guardò allo specchio. Le occhiaie erano ancora evidenti, ma non importava, doveva assolutamente uscire da casa, e scoprire cos’avesse fatto quel poco di buono di Grimshaw. Lo aveva sempre odiato, secondo Harry senza motivazioni valide, solo perché era troppo geloso, ora aveva una motivazione, eccome se l’aveva.
Quando uscì dal bagno, era fresco e pulito, anche se visibilmente stanco e provato. Aveva di sicuro visto giorni migliori, e quello non era uno di quelli. Quando arrivò in salotto, la madre gli rivolse un sorriso dolce.
“Lou!” – esclamò – “finalmente sei uscito da quella stanza, ti è arrivato un biglietto, stavo per portartelo.”
“Da chi?”
“Harry!” – Louis trattenne il fiato sentendo il fiato – “e un certo Nick, credo sia una partecipazione o qualcosa del genere.”
Il ragazzo spalancò gli occhi e afferrò bruscamente la busta bianca dalle mani della madre, e l’aprì in fretta, sperando non fosse ciò che lui temeva.
 
“Nick Grimshaw ed Harry Styles, ti invitano al loro matrimonio, il giorno 07/07/2020 presso il Vivaio ‘Gryles’, proprietà di Harry Styles e Nick Grimshaw,
non  mancare!”
 
“P.S. Tomlinson, ho vinto io.
 
 
 
“Louis, non è vero!” – urlò Harry, schiacciandosi contro il muro, mentre il suo ragazzo, Louis, si avvicinava minacciosamente. Puzzava di fumo e di alcol quella era, Nick gli aveva dato un passaggio a casa, perché la sua auto si era rotta, ed Harry aveva trovato Louis in quello stato a casa.
“Ah no?!” – urlò avvicinandosi e spingendolo ancora di più verso il muro – “non ti ha salutato con un bacio sulla guancia?” – lo spintonò, facendogli male – “non eravate nella stessa auto?!”  - e ancora spinte, spinte che gli facevano male fisico, ma anche sentimentale, sentiva il suo cuore dilaniato, perché Louis non si fidava di lui, perché Louis sostenesse che lo avesse tradito.
“L-Lou, ti prego, sei ubriaco, e-e hai fumato, ti-ti prego, calmati…” – deglutì, cercando di spostare le mani di Louis dalle sue spalle, per evitare che lo sbattesse ancora contro il muro. Sì, Harry era più alto di Louis, e forse anche più forte, ma con lui vicino diventava vulnerabile, tanto da non potersi più muovere, tanto da non riuscire a far altro che assecondare il ragazzo in ogni cosa facesse, non riusciva ad opporsi a lui, solo perché era troppo innamorato di lui, che non se ne accorgeva mai. Lo trattava sempre male, specialmente quando era ubriaco. Sì, c’erano stati momenti in cui Louis l’aveva accontentato, erano usciti anche tenendosi per mano, ma Harry spesso aveva forti dubbi sull’amore che Louis provava per lui. Aveva paura, paura che Louis lo lasciasse andare, per questo sopportava anche le sue scenate di gelosia, lo amava troppo. Lo amava incondizionatamente, e non riusciva a vedere la tua vita senza di lui.
“Baciami.” – ordinò.
Harry timidamente gli prese il viso tra le mani tremanti, e lo avvicinò al suo. Louis con un gesto violentò le allontanò, facendogli male. Harry spalancò gli occhi spaventato, e una mano di Louis raggiunse la sua guancia, producendo un suono sordo. Harry si ritrasse spaventato, appoggiando una mano sulla guancia rossa. Louis gli aveva appena tirato uno schiaffo, solo per una scenata di gelosia che non aveva senso. E Louis gli stava facendo male, anche fisico stavolta.
“Ti ho detto che non sopporto quando esiti!” – strillò con la voce raschiata a causa dell’alcol – “e tu che cazzo fai?” – domandò retoricamente – “esiti!” – urlò, colpendogli involontariamente le gambe, facendolo piegare a metà.
“Che cazzo fai ora? La femminuccia?” – e lo colpì ancora. Harry era scivolato lungo il muro, cercando di proteggersi dai colpi di Louis, che continuavano a colpirlo ripetutamente.
“Lo-Lo-Lou, mi spaventi, t-ti prego” – supplicò sull’orlo delle lacrime – “m-mi fai male, ti prego…”
Louis parve non ascoltarlo, anzi, i suoi colpi divennero sempre più violenti, faceva sempre più male. La gelosia di Louis era incontrollabile, specialmente quando beveva, per non parlare della sua rabbia repressa, che tirava fuori solo quando Harry lo faceva ingelosire fin troppo. Come quella sera che era tornato con Grimshaw, l’aveva abbracciato e addirittura baciato sulla guancia.
‘Inconcepibile, vero?’
“Non sopporto quando mi tradisci, Harold!” – urlò, riservandogli un pugno nello stomaco – “sei una cosa mia, mia. Hai capito? Mia!” – urlò sovrastando l’urlo di prima e i singhiozzi di Harry, che ormai erano incontrollabili. Lo afferrò per il colletto della maglietta che portava e lo tirò su – “allora, a chi appartieni?” – sussurrò vicino al suo viso, asciugandogli con un dito un rivolo di sangue che usciva dal labbro spaccato per i pugni e i calci – “dillo, a chi appartieni?”
“A-A t-te, s-sono tuo, so-lo tuo…” – singhiozzò, facendo sorridere l’altro, che lo baciò con irruenza, facendogli anche male alle labbra. Louis gli morse le labbra a sangue, infilò con prepotenza la lingua nella bocca di Harry, che non oppose resistenza, né esitò. Si scambiarono quel bacio irruento e violento, fino a che Louis non decise che fosse ora di smetterla. Si staccò da Harry, e lo lasciò lì, a piangere, buttandosi sul divano a peso morto, chiudendo gli occhi.
Harry strisciò per terra fino a lui, e lo guardò supplichevole.
“P-Posso dormire co-con te…?” – singhiozzò. Louis lo guardò annuendo e addolcendosi. Con lentezza allungò un braccio verso l’esterno del divano, ed Harry subito si alzò tremante e dolorante, accucciandosi tra le sue braccia.
Sapeva che l’avesse fatto solo per nervosismo, sapeva che non voleva davvero fargli male, e nonostante gliene avesse fatto, e in quel momento gli facesse paura, sapeva che era l’unico che l’avrebbe sempre protetto. Era geloso, dopotutto, no?
Si strinse convulsamente a lui, stringendosi al suo petto, e lasciando che nonostante il dolore, il braccio del ragazzo lo stringesse con una strana protezione e possessività. Non sapeva da cosa dipendesse, ma sapeva che era qualcosa che gli faceva perdere totalmente il senno, la ragione. Louis in generale gli faceva perdere il senno e la ragione.
Si addormentò tra i singhiozzi stretto a lui, mentre Louis inconsciamente gli accarezzava i ricci, portandolo a rilassarsi e ad addormentarsi tra le sue braccia.
Ti amo anche quando fa il violento e il possessivo, ti amo, Louis, ti amo… - pensò prima di addormentarsi profondamente.
La mattina dopo, Harry si svegliò sul divano, supino, con delle bende sui lividi e un biglietto che recitava:
‘Perdonami, ero completamente fatto, stasera mi faccio perdonare, lo prometto.
Ti ho medicato tutti i lividi, mi sentivo in colpa.
Buongiorno, cupcake!
Louis, xx”
Harry sorrise dolcemente leggendolo. Lo sapeva, a modo suo, Louis si prendeva cura di lui. Erano quattro anni che stavano insieme, come poteva credere che Louis volesse fargli del male di proposito? No, Louis non l’avrebbe mai fatto, lui l’avrebbe sempre protetto a modo suo.
L’avrebbe amato a modo suo.
Harry l’avrebbe accettato lo stesso, perché era maledettamente, pazzamente, e terribilmente innamorato di lui.
 
 
Harry spalancò gli occhi. Di nuovo, quel Louis era tornato nei suoi sogni.
E stavolta, era tornato in maniera prepotente, aggressiva. Non aveva mai avuto tanta paura in vita sua, era come terrorizzato. Si avvicinò a Nick e si strinse al suo fianco, cercando un briciolo di protezione. Era sudato, e aveva la gola secca, per questo non riusciva a parlare, a reagire.
Nick lo sentì e si girò verso di lui, accese l’abat-jour e lo guardò preoccupato.
“Piccolo, che succede?” – chiese – “hai avuto un incubo?” – si preoccupò.
Harry si limitò ad annuire e a stringersi ancora di più a Nick, tremando.
Perché la sua mente gli diceva di volere Louis in quel momento? No, Nick aveva ragione, Louis gli aveva solo fatto del male, Louis non poteva ancora essere nella sua testa, doveva sposare Nick, e lui non doveva più pensare a Louis in quei sogni, o incubi, o flashback che fossero. Gli aveva fatto del male, e ora lo aveva ricordato. Forse il suo pensiero era contagiato e sporcato da ciò che Nick gli aveva raccontato, ma aveva ricordato, forse, uno degli episodi più violenti della sua ‘relazione’ con Louis, ed era provabilissimo che avesse a che fare con la sua aggressione, con il giorno in cui aveva perso la memoria. Ora, più che mai, credeva a Nick e a quello che gli aveva detto.
“S-Stringimi” – sussurrò impaurito tremando, mentre Nick gli rivolgeva un sorriso dolce e lo avvolgeva tra le sue braccia, facendogli appoggiare la testa sul suo petto, cullandolo tra esse cercando di trasmettergli un po’ di sicurezza, appena lo strinse, il riccio si sentì leggermente sollevato.
La sua mente continuava a ripetere: Louis, Louis, Louis, il suo cuore si univa al grido interno: Louis, Louis, Louis, il suo corpo cercava un unico corpo, che non era quello di Nick, e anche le sue viscere urlavano: Louis, Louis, Louis.
Louis. Mi ha fatto del male.
Louis. Mi ha picchiato.
Louis. Ha medicato le mie ferite.
Louis. Louis. Louis.
No! No! Nick, Nick. – si sforzava di pensare –Nick mi ama, Nick mi ha salvato, Nick vuole rendermi felice.
Louis, Louis , Louis.
No, dannazione, Nick, Nick, Nick!
Basta, Harry, basta! Louis, Louis… no, Nick, cavolo, Nick!
“Nick, baciami” – ordinò con un filo di voce. Il più grande non se lo lasciò ripetere due volte, lo tirò leggermente più su, e posò le labbra su quelle di Harry, che si affrettò a ricambiare il bacio con irruenza, come era stato il bacio regalatogli da Louis nel ‘sogno’, e strinse le spalle di Nick tra le mani, facendolo gemere appena. Neppure Harry stesso sapeva cosa stesse facendo, voleva solo drogarsi di Nick, per non pensare più a Louis.
Louis, Louis, Louis…
Il fatto era che lui voleva sentire Nick, voleva sentirlo, ma tutto quello che sentiva era: Louis.
Louis ovunque.
Louis in mente, Louis nel cuore, Louis nel corpo. Perché Louis era ovunque? Perché i suoi ricordi portavano tutti a lui? Perché sentiva che c’era qualcosa che ancora non quadrava, ma doveva dimenticare Louis, gli aveva fatto del male, doveva solo dimenticarlo, e basta. Nick era il suo futuro, ne era consapevole. La sua mente era come un dedalo senza soluzione, in cui perdersi e non ritrovare l’uscita, finendo per trovarsi in un vicolo cieco o divorati dal Minotauro. Non capiva più quale fosse la scelta giusta per lui, o quale la sbagliata, non sapeva più nulla. Dove sei, Louis?
Sapeva che solo lui potesse dargli le risposte che tanto agognava. C’era sicuramente un fondo di verità in ciò che Nick aveva detto ma… no, no, no! Non posso dubitare di lui, è solo suggestione, non posso farlo piangere ancora, Nick ha fatto tanto per me, non posso fargli questo. Il labirinto si intricava, più Harry pensava, più nuove vie si presentavano davanti a lui, due le più definite: Nick, Louis.
Nick gli avrebbe dato certezze, amore, e l’avrebbe reso felice, sicuramente. Era la vita più facile da seguire. Nick era perfetto, gli era stato accanto e ancora gli stava accanto, nonostante nella sua mente ci fosse la confusione più assoluta. Nick era sempre presente, in qualsiasi cosa Harry facesse, lo aveva letteralmente salvato. Forse doveva smetterla di farsi domande e vivere con lui, era la soluzione facile.
Dall’altro lato c’era Louis, l’ignoto. Non ricordava niente di lui, e nonostante Nick gli avesse detto che quello era il responsabile della sua amnesia, Harry voleva parlargli, e almeno chiarire. Non poteva ridursi così una relazione, o meglio, l’ ‘è ciò che è’ che c’era stato tra loro due. Aveva dimenticato, sì, ma non per questo non voleva ricordare quel periodo della sua vita, ma era la soluzione più difficile, la strada più tortuosa, perché significava ricominciare tutto da zero, da un punto morto, dal nulla, e ricordare tutto, nei dettagli.
Era complicato, troppo complicato.
Harry, in quel momento, aveva bisogno di certezze, di qualcuno che lo guidasse, lo aiutasse.
Doveva prendere una decisione razionale, e basta. Doveva seguire le sue esigenze, non i suoi capricci. Doveva scegliere, e l’aveva fatto.
Nel momento in cui aveva baciato Nick, aveva preso la sua decisione. Prendeva la via più facile, quella con dubbi e incertezze sul passato, ma sul presente sicuro, certo, con risposte – sicuramente false, ma Harry non poteva saperlo – e prima o poi il suo passato sarebbe venuto allo scoperto.
Era certo, ormai. La sua decisione l’aveva presa.
Niente più Louis, niente più sogni strani, niente più dubbi, niente più problemi.
La sua amnesia sarebbe scomparsa da sola, lui avrebbe ricordato tutto, perché dannazione il dottore aveva detto che era temporanea, doveva passare. Prima o poi la sua memoria sarebbe tornata.
Spense la mente, e approfondì il bacio con Nick, sigillando con quello la sua scelta.
Scegliere Nick, era la cosa migliore in assoluto per lui, e la sua sanità mentale.
 
 
 
 
Louis aveva scoperto tutto.
Un giorno, per puro caso, nei bassifondi di Doncaster, aveva sentito Niall Horan, e quelli della sua banda, ridere di come ‘quel coglione di Tomlinson avesse perso quel sempliciotto di Styles, solo grazie a Grimshaw’, e una volta sentite quelle parole, come al solito, la rabbia aveva prevalso sulla ragione e Louis lo aveva minacciato, non proprio minacciato, ma era stato chiaro, la sua intenzione era una sola: sapere. Quindi o Horan parlava, o parlava, la scelta era semplice, no? Non c’era voluto molto, Horan era uno tutto parole e niente fatti, non aveva messo molto a cedere e confessare tutto. Grimshaw aveva pagato quei ragazzi, affinché minacciassero Harry, e una volta che lui si fosse allontanato, l’avrebbero colpito. Di certo, non poteva prevedere il vuoto di memoria – certo che no, quello era stato solo un corpo di fortuna dello stronzo – ma la paura di Harry sarebbe stata tale da non fidarsi più di nessuno, e all’evenienza avrebbe dato tutta la colpa a Louis, che non c’era quel giorno. Non sapeva come fare, stavolta non lo sapeva proprio. Tutto sembrava essere contro di lui. Nick aveva detto – sicuramente – ad Harry che l’aggressione fosse stata colpa sua, o peggio, che avesse mandato lui stesso quei ragazzi a picchiare Harry, quindi, cosa poteva fare? Doveva trovarsi da solo con Harry, doveva rimanere solo con lui, in qualche modo. Si buttò stancamente sulla sedia della cucina, sospirando, non sapeva cosa fare, stavolta non lo sapeva proprio.
“Lou, che succede?” – chiese sua madre, guardandolo.
“Niente, mamma, è che… Harry, credo, mi odi, a causa di Grimshaw.” – sospirò – “mamma, sai quando ti accorgi che vuoi una persona, ma è troppo tardi?” – chiese, e la donna annuì – “sono in quell’esatta situazione. Mi sono accorto di… amare Harry. Lo amo, mamma…” – sospirò, e la donna sorrise genuinamente. Il figlio, un ragazzo decisamente sopra le righe, l’aria da duro, e tatuaggi e piercing ovunque, stava soffrendo per amore, rivelando quale fosse la sua più grande debolezza. Per una volta, il figlio non sembrò quel ragazzo tutto d’un pezzo, quello sicuro di non voler fare niente della sua vita, quello che aveva usato una persona a suo piacimento. Sembrava misteriosamente diventato un uomo. Avrebbe ringraziato Harry, un giorno.
“Louis, tesoro, hai venticinque anni.” – disse – “non posso aiutarti, sei un uomo, ma… in questi casi, le sorprese romantiche aiutano.” – concluse la donna superandolo e rivolgendogli un sorriso materno.
Era sicura che suo figlio avesse finalmente messo la testa a posto, e prima o  poi sarebbe andato via da lì, forse proprio insieme ad Harry.
Sorpresa romantica. Harry.
Io non sono un tipo da sorprese, suvvia.
Romantico? Non se ne parla proprio.
Farò alla Louis Tomlinson, ovviamente.
“Grazie della dritta, mamma, ma farò alla Louis Tomlinson.” – disse sicuro di sé, sorridendo. Si alzò, e si diede una sistemata ai capelli – erano la sua fissa più grande – dopo aver rivolto un sorriso dolce, carico di gratitudine alla madre, uscì di casa andando a cercare ciò che gli serviva per quella sorta di ‘sorpresa’.
Stavolta Harry, sarebbe tornato con lui, volente o nolente che fosse Grimshaw.
 
Louis era agitato. Mancava davvero poco al momento cruciale.
Dopo una settimana esatta, Harry sarebbe convolato a nozze con Nick, e lui doveva agire prima. Si era appostato fuori casa Styles-Grimshaw, e aspettava solo che lo sfascia-coppie uscisse di casa.
 
 
Harry aveva appena salutato Nick. Era rimasto da solo a casa, perché il più grande aveva detto di volergli fare una sorpresa, e per questo lui sarebbe dovuto restare a casa. Harry aveva deciso di rassettare la casa. Nick gli aveva detto che quella sera, i suoi genitori sarebbero andati da loro, ed Harry non voleva assolutamente fare brutta figura con i suoi futuri suoceri. Iniziò dalla sala da pranzo, dove la sera precedente avevano lasciato di tutto. Harry si sentiva malinconico, Nick non gli permetteva di andare al vivaio, diceva che fosse ancora troppo debole per andarci, e non voleva farlo affaticare, il riccio, però, aveva la sensazione che Nick volesse limitarlo, fargli fare solo ciò che voleva lui, che non lo facesse essere se stesso. Sentiva che Nick lo limitasse, facendolo restare a casa, che cercasse di tenerlo lontano da qualcosa, o qualcuno. Perché nonostante si fosse ripromesso di non avere dubbi su Nick, quelli c’erano sempre e lo tormentavano. Aveva sempre qualche dubbio su quel ragazzo, ma non capiva perché li avesse. Accese la radio con il cd che gli aveva regalato Nick al loro anniversario, e strabuzzò  gli occhi. Non lo aveva ancora ascoltato, sebbene avesse detto al ragazzo di averlo già fatto, e non riuscì a credere alle sue orecchie. Quella che andava non era la sua canzone preferita, o meglio, non era quella che lui davvero adorava, era quella che diceva a tutti, per non sembrare infantile. Com’era possibile che non l’avesse mai detto a Nick? Se erano in intimità, Nick doveva saperlo per forza, era una cosa personale.
Scosse la testa energicamente. Non doveva avere dubbi su Nick, non doveva affatto. E invece gli stavano tornando, tutti i dubbi, insieme, pronti a fargli avere dubbi su Nick, la situazione era questa: più non voleva avere dubbi su Nick, più la sua mente ne elaborava. Sembrava che la sua mente lavorasse per produrre sempre più dubbi, e farlo sentire sempre più fuori luogo nella casa di Nick. Si sentiva appresso, senza futuro, senza vivaio, senza vita.
Si sentiva spezzato, rotto, distrutto, con una parte mancante.
Sospirò alzando un cuscino da terra e battendo una mano sopra, tenendolo fermo con l’altra, per farlo cadere per terra, mentre mille pensieri gli affollavano il cervello. Era stanco di non ricordare nulla, era stanco di vivere delle bugie di Nick, perché sapeva che non gli dicesse al cento per cento la verità, ma era convinto lo facesse per proteggerlo, come aveva fatto per quel Louis, ma sapeva che mancasse qualcosa, un dettaglio, un indizio per farlo stare davvero bene, per aiutarlo a ricordare, per permettergli di essere davvero felice.
Poi, la porta trillò.
Con passo agitato, Harry corse ad aprire, credendo che Nick fosse già di ritorno, era uscito da poco più di un’ora e con lui lì, i dubbi non arrivavano mai. C’era lui a farglieli passare. Senza nemmeno chiedere chi fosse, aprì la porta, e quello che si ritrovò davanti, non era affatto Nick.
C’era un ragazzo dai capelli rossicci, sicuramente tinti, il labbro inferiore decorato da un piercing, l’orecchio da un dilatatore in basso e un piercing in alto, due occhi azzurri che lo scrutavano, gli stessi occhi azzurri che lo tormentavano, gli occhi azzurri che vedeva nei suoi flashback, gli sembrava di essere caduto in uno di quelli, gli sembrava di riviverlo. Lo scrutò dall’alto al basso. Le braccia leggermente muscolose e tatuate erano messe in evidenza dalla canotta grigia, sotto un paio di jeans strettissimi, era più basso di lui ed era estremamente familiare. Conosceva quel ragazzo, era sicuro di conoscerlo.
“Louis…” – il nome uscì dalle sue labbra come se fosse una cosa normalissima. Teoricamente, non l’aveva mai visto, ma tecnicamente, nei suoi flashback l’aveva visto eccome. Credeva di non vederlo mai più, se non nella sua fantasia, e ora non riusciva nemmeno a respirare. Non aveva notato che tra le mani dell’altro ragazzo ci fossero dei cartoncini bianchi, fino a quando quello non li alzò e li portò davanti al busto, con un sorriso timido sul viso.
 
Sono un coglione. – diceva il primo.
Il cuore di Harry batté ancora più forte, se possibile, facendogli inarcare le sopracciglia.
Quello lo fece cadere per terra, rivelando il secondo.
Ho fatto un casino dietro l’altro con te, e me ne pento.
Gli occhi di Harry aumentarono di volume, man mano che leggeva.
Non era possibile. Era… un sogno?
So tutto di te, Harry Styles. – Harry strabuzzò gli occhi. Cos’era uno stalker?
Il tuo film preferito. – impossibile, nemmeno Nick lo sapeva.
La tua canzone preferita. – certo, anche lui avrebbe detto ‘The Reason’ come Nick. Nessuno conosceva la sua vera canzone preferita, era un segreto solamente suo quello.
Il tuo cibo preferito. – non era una novità, tutti sapevano cosa gli piacesse.
La tua bevanda preferita. – banale. Lo sapeva anche Nick.
Adori le coroncine di fiori. – un sorriso gli scappò. Quella era una cosa che sapevano tutti, ma nessuno l’aveva mai  preso in considerazione per quello.
La tua canzone preferita è ‘Accidentally in Love”, anche se dici che non sia quella, ma ‘The Reason’ perché dici che la prima è la colonna sonora di un film per bambini. – i suoi occhi si spalancarono. No, non era possibile. Perché lo sapeva? Come faceva a saperlo? No, era impossibile. Nessuno, nemmeno sua madre sapeva quale fosse la sua canzone preferita.
Adori Shrek, il secondo, per la precisione, perché c’è il re che si chiama Harold, come te. – Harry sorrise appena. Era decisamente una cosa imbarazzante, eppure quel ragazzo faceva cadere i cartoncini come se tutte quelle cose fossero estremamente importanti.
Ti diverti a ballare le canzoni dei musical. – il riccio arrossì furiosamente. Ecco, quello era un dettaglio davvero – davvero – imbarazzante.
Adori il cinese, ma dici che ti fa schifo, perché a me non piace. – cosa c’entrava lui? Era vero che lui dicesse che non gli piacesse il cibo cinese, ma non ne aveva mai capito il motivo da quando aveva perso la memoria.
Non bevi alcolici, dici che fanno i denti gialli. – era vero… santo cielo, chi era quel ragazzo? Come faceva a sapere tutte quelle cose di lui?
Non fumi. Sei troppo puro per farlo. – anche questo era vero. Non fumava, e non beveva nemmeno, lui lo sapeva. Nick no, per Nick era normale che Harry facesse il bravo ragazzo, lui conosceva tutti i suoi punti deboli e tutte le sue motivazioni assurde.
Soffri d’asma. – anche… Nick non lo sapeva, l’avrebbe trattato come un malato, e non voleva che lui lo trattasse come tale, e non gli aveva mai detto di avere l’asma, semplicemente per Nick era normale che lui avesse un inalatore sempre in tasca.
Da bambino eri solo, perché ti piacevano le coroncine di fiori, poi sono arrivato io.– sapeva anche questo. Harry deglutì, trattenendo il fiato.
Sei incredibile, Harry Styles. – il cuore sembrò fermarsi. Quel ragazzo era troppo – troppo – per essere reale, sapeva troppe cose, sapeva praticamente tutto.
Non mi sono mai accorto di ciò che provassi per te. – ecco, forse iniziava ad arrivare la parte triste di tutto quello? Non si era mai accorto di provare qualcosa per lui, quindi cos’era stato?
Ma la verità è che…  - Harry trattenne il fiato a lungo. Cosa stava per sapere? Qualcosa che gli avrebbe cambiato totalmente la vita?
Ogni tuo sorriso è un mio sorriso, ogni tua battuta è una mia risata, ogni tuo gesto dolce è il mio cuore che si distrugge, alcuni dei miei tatuaggi sono dedicati a te, inconsciamente, ma lo sono. Ogni volta che mi guardi il mio stomaco si contorce. La mia vita è buia senza di te, mi sento un cretino ad averti lasciato solo tutte quelle volte, e mi sento un cretino per aver pensato di poterti lasciare andare. – quelle erano le parole più belle che qualcuno gli avesse mai detto, nemmeno Nick gli aveva mai detto qualcosa di tanto bello. Quando le lesse, il suo fiato mancò.
Sei il mio sole, Harry Styles. – era il suo sole. Illuminava la via di qualcuno, davvero ne era capace? Com’era possibile che proprio lui fosse qualcosa del genere per una persona?
‘E’ ciò che è’ ricordi? Noi siamo ciò che siamo. – Harry trattenne il fiato. Quella frase l’aveva sentita in uno dei suoi flashback… oh, Louis…
Ci apparteniamo. – forse poteva essere vero. Forse un fondo di verità c’era. Forse… si appartenevano davvero.
Ti prego, ricordami, sceglimi, amami. – Harry non riusciva a respirare, tutto il suo corpo era immobile, solo il suo cuore sembrava impazzito.
Ti amo.  – arrossì all’inverosimile, e il suo cuore prese a battere ad un ritmo incessante. Era qualcosa di… meraviglioso, troppo meraviglioso.
P.S. so di essermi reso ridicolo, ma se tu ricordassi un po’, sapresti che sono una frana con le parole, e quindi ho scritto tutto. – trattenne una risata, mentre l’ultimo cartoncino cadeva dalle mani dell’altro ragazzo.
Per tutto il tempo, il suo fiato aveva vacillato, da momenti di assenza totale, a momenti di affanno cronico. E il suo cuore? Non ne poteva più di battere a quel ritmo incessante, tutte sensazioni scaturite in lui a causa di quel maledetto riccio che era lì davanti a lui. No, non voleva ricascarci, non poteva avrebbe fatto ancora un errore madornale, e no, non poteva assolutamente per mettersi una cosa del genere. Avrebbe tradito la fiducia di Nick, e non voleva farlo, non ora che iniziava lentamente a credere che Nick dicesse la verità – ma non aveva pensato solo mezz’ora prima che Nick mentisse? – la testa di Harry era in totale confusione, e quel ragazzo davanti a lui, di certo non aiutava.
Il ragazzo fuori dalla porta lo scrutava con attenzione aspettandosi una reazione da lui, mentre Harry si perdeva poco a poco nei suoi occhi azzurri. Quell’azzurro che segretamente aveva bramato, aveva amato nel suo subconscio, quegli occhi azzurri che ancora lo perseguitavano, che gli facevano contorcere le budella, per non parlare delle parole che non aveva mai sentito da lui, quelle parole che lui dentro di sé  aveva sempre voluto sentirsi dire da Louis, e finalmente aveva avuto.
“Ti prego, di qualcosa, mi sento un cretino, davvero.” – fece il più grande, facendo spalancare gli occhi al riccio, che finalmente sentiva la sua voce. Era così… bella, acuta, alta e squillante, decisamente in contrasto con il suo abbigliamento leggermente cupo e scuro e il suo look. Harry deglutì, senza riuscire a dire nulla, rimase lì a fissarlo, quasi in trance, mentre l’altro aspettava solo una risposta, qualcosa che gli dicesse che non aveva fatto una cazzata tornando da lui, qualcosa che gli dicesse che non stava sbagliando tutto.
“E’ tardi, Louis” – riuscì a dire Harry, quando l’ultimo flashback che aveva avuto gli tornò in mente. Non voleva più rivivere quel momento, non voleva più sentire i suoi pugni, schiaffi e calci, non voleva più supplicarlo per qualche coccola, non voleva più star male per lui. Vedendolo lì davanti a sé, aveva rivissuto sulla pelle tutte le sensazioni negative della loro storia. Aveva rivissuto tutto, sentendosi uno scarto, e era arrivato finalmente alla decisione giusta: Nick era la decisione giusta.
Louis dal canto suo, che si era impegnato per scrivere tutti quei fogli, si era impegnato per metterci tutto il suo sentimento in quelli, davvero non era bravo con le parole, era sempre stato una frana con i sentimenti, e si sentiva come una ragazzina che doveva dichiararsi vergine al primo fidanzatino, ma nel momento in cui Harry gli disse quelle due parole, quell’ ‘è tardi’, il mondo gli crollò sulle spalle, sentì un macigno cadergli sul cuore, e fracassargli quello insieme a tutti gli organi, alle ossa, e ai muscoli. Tutto crollò, tutte le sue sicurezze, tutto quello che sperava di ricostruire era crollato come un castello di sabbia con l’alta marea.
Senza dire altro al più piccolo, voltò le spalle facendogli un cenno, raccattò i cartoncini, e aspettò qualche istante prima di scappare via, lontano dall’umiliazione appena subita. Lottare? Non serviva a nulla. Amare? Era un’utopia. Harry? L’avrebbe dimenticato così come il riccio aveva fatto con lui.
Louis non era uno che si arrendeva. Louis non era un tipo fragile. Louis non era un tipo che si emozionava. Louis non era un tipo adatto alle relazioni. Louis non era nemmeno il tipo che faceva cartoncini smielati per qualcuno.
Eppure Louis si era arreso, era crollato, stava per piangere, voleva una relazione con Harry e, per giunta, aveva scritto dei cartoncini patetici e smielati per il riccio.
Non poteva far altro che abbassare la testa, e andare via, lasciando che il riccio vivesse la sua vita, lasciano che il riccio sposasse Grimshaw e trovasse la felicità che si meritava, tuttavia, una domanda premeva nella testa di Louis, fin da quando aveva ricevuto mesi prima la telefonata di Nick che gli diceva che avesse vinto, fino a quando aveva visto la partecipazione al matrimonio – oltre al brivido di terrore che aveva provato dietro la schiena – ed anche in quel momento, mentre lasciava andare Harry, che lo guardava con gli occhi verdi, tristi e spenti.
“Sei felice, Haz?” – chiese, senza riuscire a voltarsi verso di lui, e a guardarlo negli occhi.
“Sì.” – rispose Harry, abbassando lo sguardo, e guardando la punta delle sue pantofole. Louis incassò il colpo e con passo svelto se ne andò.
 
Se Louis avesse guardato Harry negli occhi, avrebbe visto la menzogna.
Se Louis avesse guardato Harry negli occhi, avrebbe deciso di non arrendersi.
Se Louis avesse guardato Harry negli occhi, avrebbe capito che la felicità di Harry era davanti a lui e non chissà dove.
 
Se Harry avesse guardato Louis negli occhi, non avrebbe mentito.
Se Harry avesse guardato Louis negli occhi, gli avrebbe chiesto di non arrendersi.
Se Harry avesse guardato Louis negli occhi, avrebbe capito che la sua felicità aveva i capelli tinti di rosso, i bicipiti allenati, tatuaggi e piercing, ed era un nano da giardino, in confronto a lui.
 
Ma Louis non aveva guardo Harry negli occhi, non aveva visto la menzogna, si era arreso, e non aveva visto la felicità; Harry non aveva guardato Louis negli occhi, aveva mentito, l’aveva spinto ad arrendersi, e aveva perso la felicità.
Louis del parere di andare via, lasciar andare la persona che amava per renderlo felice, era andato via.
Harry del parere di non voler più soffrire a causa di Louis, di non voler più sentire quelle brutte sensazioni: l’abbandono, il dolore, la tristezza, l’aveva lasciato andare, convinto che quella decisione fosse la migliore per entrambi. Non attese che Louis svanisse dalla sua visuale, chiuse immediatamente la porta, e corse in camera sua. Era tornato ora che tutti i tasselli della sua vita erano più o meno tornati a posto, era tornato a rovinargli di nuovo la vita.
Harry si ritrovò in lacrime, senza rendersene conto aveva iniziato a disfare il letto, a far cadere tutto per terra. Distrusse un vaso, prese a calci l’armadio di legno pregiato, fece cadere i vestiti dall’appendiabiti, senza accorgersi che Nick fosse arrivato e osservava la sua pazzia.
Forse un briciolo di senso di colpa entrava nel cuore di Grimshaw, quando afferrò Harry per le braccia, stringendolo forte a sé, per calmarlo. Il riccio si fermò, ma i singhiozzi continuavano ad uscire dalla sua bocca.
“E’ tornato… lui… tornato…” – singhiozzò – “aiutami, N-Nick…”
Nick annuì stringendolo forte, facendogli affondare la testa sul suo petto, e lo consolò fino a che il riccio non si calmò ed addormentò tra le sue braccia. Disdisse la cena con i suoi, e restò accanto ad Harry tutto il tempo.
Nick amava davvero Harry, ma era stato subdolo ad architettare tutto quello, fortunato che Harry avesse perso la memoria, e che Louis non avesse parlato. Ma, in fondo, aveva agito per amore, poteva essere condannato?
Harry non avrebbe dovuto saperlo comunque.
 
 
 
Il giorno del matrimonio era arrivato. Il giorno in cui niente sarebbe stato più come prima, il giorno in cui tutto sarebbe andato in declino, in cui non si sarebbero più riconosciuti, il giorno che Louis avrebbe classificato come peggiore, che Harry avrebbe classificato come la sua morte, quello che avrebbe segnato la sua vita per sempre, che l’avrebbe resa più bella, forse, ma anche orrenda.
Louis Tomlinson era nel suo letto, e non aveva intenzione di alzarsi, per nessun motivo. Non aveva voglia di andare lì e vedere con i suoi occhi come un altro gli portasse via il ragazzo che amava. Aveva voglia di prendersi a pugni da solo. Non era mai stato un sentimentale, si era sempre divertito, ma solo ora realizzava che tutto quello c’era stato perché Harry era con lui, e se ne rendeva conto solo ora. Non era poi così ribelle come credeva. Poteva farsi tutti i tatuaggi che voleva, poteva essere duro quanto voleva, poteva anche riempirsi il viso di piercing, non importava, da quando il riccio era entrato nella sua vita, qualcosa era cambiato, e ora che non c’era Louis sentiva il distacco, sentiva che mancasse una parte di sé, che quella fosse rimasta attaccata a lui, che una parte di lui non c’era più, perché sarebbe rimasta sempre con Harry. Era orgoglioso, maledettamente orgoglioso, e non sarebbe tornato sui suoi passi, ormai gli aveva detto addio, Harry non aveva bisogno di lui, ed era felice con Nick.
Si alzò dal letto e si avvicinò alla libreria che sua madre aveva in camera sua, e si alzò sulle punte per afferrare qualcosa in alto. Ritorno alla sua altezza con una coroncina di fiori, un po’ secca, ma bellissima.
Quella che gli aveva regalato il suo Harry anni prima, quella del primo bacio.
Lui non era un tipo sentimentale, eppure aveva conservato un ricordo del riccio, un ricordo un po’ secco, cadente, ma il più bello che avesse, insieme a quegli occhioni, i ricci, e il ragazzo in generale.
Era una settimana che pensava al riccio.
Era una settimana che quegli smeraldi non uscivano dalla sua testa.
Era una settimana che pensava di aver fatto la più grande stronzata della sua vita.
Era una settimana che si pentiva di essere andato via in quel modo.
Era una settimana che aveva realizzato davvero di averlo perso, senza nemmeno tentare.
Era una settimana che si dava del coglione.
E allora perché sentiva di dover fare qualcosa per fermarlo?
Per donargli tutto il suo cuore…
Parallelamente, Harry Styles era davanti allo specchio, intento ad allacciarsi il papillon. Stava per sposare Nick, stava per legarsi a lui in un vincolo indissolubile, e ancora mille dubbi gli attanagliavano il cervello. Louis gli aveva detto quelle cose, ma non aveva lottato per lui, era tornato pretendendo che lui cascasse di nuovo tra le sue braccia, e no, no, non poteva davvero fare così, come poteva pretendere di giocare in quel modo subdolo con i suoi sentimenti? Nick lo amava davvero. Lui lo rendeva felice, vero? Vero?
Era così maledettamente confuso in quel momento. Lui voleva davvero bene a Nick, questo lo sapeva, ma l’amore? Dov’era l’amore? Dov’era ciò che era fondamentale in un rapporto tra due persone che si stavano per sposare?
Nick amava Harry, ma Harry amava Nick? Non lo sapeva, la sua mente era un tabù completo. Voleva solo sentirsi come si era sentito davanti a Louis, felice, sorridente, con il cuore che batteva all’impazzata, le farfalle nello stomaco e…
No, non doveva pensare a Louis, non in quel momento. Lui doveva sposare Nick.
Doveva dimostrargli di amarlo, di aver ‘dimenticato’ Louis, come se ci fosse bisogno di gesti per saperlo, Harry aveva totalmente perso la memoria. Non ricordava nulla, ma le sensazioni erano vive.
Anche la paura, la tristezza, e il dolore erano comparsi, ma erano stati sostituiti anche dalla felicità.
Che doveva fare, allora? Ormai, Louis era andato e lui aveva preso la sua decisione definitiva.
Indossò la giacca nera sopra la camicia bianca, e ne chiuse un solo bottone, sospirando. Il secondo bottone fu chiuso mentre una lacrima gli rigava la guancia. All’ultimo bottone, asciugò le lacrime e finse un sorriso.
Era una settimana che pensava a Louis.
Era una settimana che quegli occhi non sparivano dalla sua mente.
Era una settimana che le parole dei cartoncini gli suonavano in mente.
Era una settimana che si sentiva vuoto.
Era una settimana che non sorrideva.
Era una settimana che non voleva nemmeno parlare con Nick, era chiuso in se stesso, come quando era piccolo.
Per un attimo, sperò che Louis venisse a salvarlo, a fermarlo.
… così da poter ricominciare tutto da capo…
Era una settimana che reciprocamente si pensavano.
Era una settimana che il mondo si era fermato per entrambi.
Era una settimana che il cuore di entrambi non batteva più normalmente.
Era una settimana che Louis era deluso di se stesso.
Era una settimana che Harry era ancora più spezzato.
Era una settimana che due ragazzi destinati a stare insieme, si erano detti addio.
Louis voleva fermarlo, salvarlo.
Harry voleva essere fermato, salvato.
…insieme.
 
Nick gli aveva fatto una sorpresa meravigliosa.
Nel loro vivaio c’era un prato enorme, dove solitamente piantavano le piante e i fiori di stagione, che in quel momento era addobbato a festa. Il giudice li attendeva al centro dello spiazzo addobbato. C’era la sua famiglia, quella di Nick, i testimoni, qualche amico e il giudice.
Mancava solo una persona.
Quella persona che Harry avrebbe voluto vedere, per rendersi conto che, sì, stava prendendo la decisione giusta, che non stava sbagliando, perché sapeva che se l’avesse visto almeno un’altra volta, gli avrebbe confermato tutto.
Si torturava le mani, e stava sudando. Era estate, era normale sudare, ma lui sudava freddo, e i brividi gli correvano lungo la schiena. Era normale essere agitati, vero?
Era normale provare tanta paura in un giorno del genere?
Era normale desiderare che qualcuno lo fermasse?
Era normale sperare che Nick si trasformasse in…?
No, non era normale. Non era una cosa normale. Lui doveva smettere di pensare a lui, doveva smettere di credere che avrebbe fatto meglio, se avesse seguito Louis. Ormai aveva deciso, non poteva tirarsi indietro.
Chiuse gli occhi e avanzò verso sua sorella, Nick e l’altro testimone con un passo velocissimo, degno di un atleta che compie lo sprint finale di una gara. Nick lo guardò e sorrise, ignaro del dissidio interiore che si era formato dentro il più piccolo, ignaro del fatto che Harry, in quel momento, avrebbe voluto essere tra le braccia di qualcun altro, ignaro che Harry si stesse pentendo. Stava per iniziare, il giudice stava per pronunciare quelle frasi, quelle che Nick avrebbe detto senza problemi, quelle che ad Harry avrebbero pesato più di mille macigni da mille tonnellate, quelle parole seguite da una firma, che avrebbero legato Harry e Nick per tutta la vita.
Ma tutto ciò, non avvenne.
Improvvisamente il rombo di una moto, scosse l’aria. Tutti restarono immobili, nessuno osò fiatare, l’aria era carica di tensione, tutto stava per cambiare. Harry represse dentro di sé un sorriso, le sue speranze si erano avverate, forse qualcosa sarebbe andato per il verso giusto, quella volta.
Poi si udirono dei passi. Passi veloci, passi di chi corre, passi trafelati, piedi che si muovevano veloci, con la speranza di arrivare in tempo, passi rapidi, piedi che si seguivano, cercando di arrivare alla meta.
Il cuore di Harry prese a battere forte. Si intravide una figura, in avvicinamento. Man mano che si avvicinava, Harry riusciva a distinguerne i contorni, era lui. E’ lui, è lui!
Avrebbe riconosciuto la sua fisionomia ovunque.
Arrivò trafelato davanti ad Harry, lo guardò negli occhi per un attimo infinitesimale e senza nessun preavviso, senza una parola, senza nulla di nulla, lo baciò. Harry restò per un attimo interdetto, con gli occhi spalancati, le narici dilatate e le labbra premute contro quelle di Louis. Il più grande appoggiò le braccia intorno al collo del riccio, e gli accarezzò la nuca con i polpastrelli, facendolo sorridere impercettibilmente contro la sua bocca. Bastarono pochi istanti affinché Harry chiudesse gli occhi, e si lasciasse andare nel bacio e… nei ricordi.
 
Gli occhi di sua madre, il primo ricordo.
“Come sei bello, piccolino, ti chiamerò Harry!”
La risata di sua sorella Gemma.
“Ho il fratellino più bello del mondo!”
Gli insulti dei bambini dell’asilo.
“Sei una femminuccia, le coroncine sono per le femmine, non per i maschi, Harry è una femmina, Harry è una femmina”
La prima coroncina di fiori intrecciata, alle elementari.
“Sono bravo, sono bravo!”
L’isolamento delle scuole medie.
“Harry è un asociale del cazzo!”
Il divorzio dei suoi.
“Io e tuo padre divorziamo, Harry” – aveva solo dodici anni.
La solitudine del liceo.
“Styles? E chi è? Viene in questa scuola?”
Ultimo anno.
L’aria, il respiro. Il suo arrivo, Louis.
“Chiamami!”
I suoi occhi, le sue mani, i suoi tocchi, le sue labbra, lui, lui e sempre lui.
“Ciao Harry!”
La loro relazione, o meglio il loro ‘è ciò che è’
“Sei bellissimo, lo sai?”
Le rare passeggiate. La cena di Natale, il pranzo di Pasqua, la tristezza di Louis, il suo volerlo salvare ed amare.
“I fiori ti donano, non sei affatto una femminuccia.”
La sua laurea. Louis c’era, c’era sempre stato. Non l’aveva mai lasciato solo, il senso di solitudine era stato sostituito dal quasi amore del più grande, tutto era pieno e colorato con lui.
“Sono così orgoglioso di te, piccoletto.”
La tristezza, quando Louis andava via. I nuovi tatuaggi che sfoggiava, il suo essere lunatico. La sua gelosia.
“Non voglio che tu veda quel Grimshaw!”
Lui, era sempre stato lui, c’era sempre stato. La goccia che aveva fatto traboccare il vaso, la sua partenza, così inaspettata, così rapida, così… deludente.
“Parto con i ragazzi!”
La solitudine, le minacce, l’incidente, le bugie.
“Ti faremo del male”
L’avevano fatto, la perdita di memoria ne era la prova.
Nick gli aveva riempito il cervello di bugie.
 
Harry si staccò brutalmente da Louis. Aveva il fiatone, come se avesse un attacco d’asma in corso. Non capiva nulla, gli girava la testa, il flusso di ricordi arrivati nella sua mente era troppo per lui da sopportare.
L’amnesia temporanea si era dissolta, i suoi ricordi erano tutti al loro posto, si girò verso Nick guardandolo con disprezzo. Gli aveva mentito, gli aveva raccontato un sacco di bugie, per averlo tutto per sé, per dividerlo da Louis.
Louis aveva sempre avuto ragione su Nick, aveva da sempre voluto dividerli e c’era quasi riuscito, peccato che Harry avesse recuperato la memoria in tempo.
“Nick… mi fidavo di te, come hai potuto mentirmi?” – disse in un sussurro, girandosi verso l’uomo che stava per sposare – “mi hai mentito! Io mi fidavo di te!” – alzò la voce, mentre la rabbia gli scorreva dentro – “mi hai allontanato da Louis, mi hai… fatto credere che fosse colpa sua!”
“Harry, ascoltami, volevo solo renderti felice, ne ho un po’ approfittato, ma…” – tentò di giustificarsi l’altro.
“No, non voglio sentire nulla da te.”
“Harry, per favore, io volevo solo…” – tentò ancora, avvicinandosi. Louis, che si sentiva escluso dalla discussione, scostò il riccio dietro di sé, guardando in cagnesco il moro.
“Ha detto che non vuole sentire nulla, chiaro?”
“Tomlinson, tu togliti dalle palle. Harry era mio!”- alzò la voce – “l’avevo portato via da te, in modo che tu non lo facessi più soffrire, l’hai sempre trascurato!”
“Tu non sai niente.” – ringhiò Louis, mentre Harry gli appoggiava una mano sulla spalla per calmarlo.
“Vuoi dire che non lo hai mai picchiato? Che non lo hai mai lasciato da solo?” – chiese alterato – “tu non l’hai mai considerato solo un oggetto? Eh?!”
“Grimshaw, taci. Harry non è un fottuto premio, o un oggetto. Non è tuo, e non è nemmeno mio.” – si morse le labbra per il nervosismo – “Harry è una persona, con dei sentimenti, merita amore, non una gara a chi arriva per primo. E tu con l’inganno volevi portarmelo via.” – rise ironicamente – “che c’è? Bruciava, che lui amasse me? Ti dava fastidio, vero?” – fece un passo verso di lui – “diglielo come hai organizzato tutto, come gli hai fatto mandare le minacce da Horan, e poi da lui l’hai fatto pestare.” – si avvicinò ancora di più a lui – “di come hai approfittato della sua amnesia per non riportarmi nella sua vita.”
Harry spalancò gli occhi. Non era possibile, non poteva essere colpa di Nick, si rifiutava di credere  ad una cosa del genere.
“Harry, non credergli, io…” – tentò l’altro.
“Nick, cosa hai fatto?”
“Io…” – tentennò – “ti amo, Harry”
“Ammettilo, Grimshaw.” – fece perentorio Louis – “diglielo, sii sincero con lui, cazzo!”
Nick abbassò la testa, e ad Harry tanto bastò per capire come stessero le cose: Nick gli aveva mentito, lo aveva usato, lo aveva separato da Louis.
Era colpa sua se tutto il mondo gli stava crollando addosso, era colpa sua se si sentiva rotto come un vaso, distrutto, a pezzi. Era colpa sua se aveva perso il sorriso, era colpa sua, erano colpa sua l’aggressione e la perdita di memoria.
Nick era la causa di tutto.
Harry si sentì umiliato, usato, preso in giro, in quel momento sembrò come se tutto fosse caduto, tutte convinzioni che aveva in mente, erano crollate. Aveva creduto che Louis fosse la causa di tutto, aveva creduto che Louis avesse cospirato alle sue spalle, aveva creduto che Nick volesse il suo bene,  aveva creduto a tante bugie dette con cattiveria, aveva creduto a fin troppe cose, e anche sua madre gli aveva mentito, ma la cosa peggiore che aveva fatto era stata mandare via Louis dalla sua vita, mandare via l’unico che davvero ci teneva a lui, l’unico che alla fine aveva dimostrato di amarlo davvero, l’unico che… anche se l’aveva sempre ignorato, ci teneva davvero a lui, e in quel momento, con quella convinzione in testa un singhiozzo fuoriuscì dalla sua bocca. Louis lo percepì, e la rabbia di fece spazio in lui, nessuno doveva far piangere Harry, nessuno. Lui aveva fatto quell’errore, lui l’aveva fatto piangere tante volte, e nessuno, nessuno doveva permettersi di far uscire quelle gocce salate dagli smeraldi del riccio, nessuno poteva osare tanto. Non più. Harry non avrebbe mai più pianto, se lui fosse stato nei paraggi. Si voltò verso di lui, e vide quelle piccole gocce salate scorrere lungo le guance del più piccolo; Louis avvicinò le mani al suo viso, e le asciugò con i pollici.
“Non piangere, Haz, no, non devi piangere mai più”
“Lasciami in pace!” – urlò – “lasciatemi tutti quanti in pace!” – urlò ancora, correndo via.
Louis strinse i pugni, e si voltò verso Nick, tirandogli un pugno sul naso. Quello stesso pugno fu seguito da altri, una vera e propria scarica di pugni investì Grimshaw, che non riuscì a reagire.
Nick si piegò su se stesso, gemendo di dolore, mentre Louis continuava a scaricare tutto su di lui, era colpa sua se aveva perso Harry, era colpa sua se era diventato un rammollito, era colpa sua se ora era tutto cambiato. Era colpa sua, solo sua. La rabbia aveva preso il sopravvento su di lui, e non si fermò, nemmeno quando qualcuno tentò di separarli. Continuò e continuò fino a che non fu soddisfatto di come lo aveva ridotto. Tutti guardavano la scena senza reagire, nessuno interveniva, tutti fissavano la rabbia di Louis che si riversava sul ‘povero’ Nick, tranne la signora Styles, che, invece di assistere, aveva seguito il figlio. Quando Louis smise di picchiare Nick, voltò le spalle si allontanò da lui, sussurrandogli un minaccioso “non avvicinarti mai più a lui.” – dopodiché, cercò Harry, che era corso via, lontano. Gli erano piombate addosso troppe cose, in una sola giornata. Louis, il suo Louis, quello che per tutta la vita aveva aspettato che si facesse vivo, che desse un segno di interesse, a parte la gelosia, che gli dicesse una parola dolce, non solo era andato da lui con dei patetici cartoncini scritti, in puro stile cinematografico, era anche intervenuto al suo matrimonio per fermalo, matrimonio che, per fortuna di Harry, non era mai iniziato. Ed era tutta colpa di Nick. Come aveva potuto fargli questo? Come aveva potuto complottare alle sue spalle? Come aveva potuto ordinare a qualcuno di aggredirlo? E poi aveva coinvolto la sua famiglia nella menzogna, tutti gli avevano mentito in modo spudorato, lo avevano fatto sentire uno stupido che non ricordava niente, quando invece, erano loro ad impedirgli di ricordare tutto, perché gli riempivano la testa di parole inutili, di tante bugie, di ricordi non suoi. Avevano eliminato Louis dalla sua vita, senza un reale motivo, perché per loro, non era la persona giusta per lui. Non aveva più facoltà per decidere lui cosa, e chi voleva nella sua vita? Si sentiva uno stupido ad aver fatto niente per evitare che gli facessero il lavaggio del cervello. In quel momento, si trovava seduto dentro una delle serre, precisamente quella delle margherite, la numero quattro, con le gambe tirate al petto, la schiena curva, seduto sul terriccio fresco, accanto ai vari vasi di terracotta che, conficcati nel terriccio, permettevano alle piante di crescere. Il calore era estenuante lì dentro, ma ad Harry aveva sempre fatto bene sedersi in mezzo ai fiori per riflettere. Avrebbe sicuramente preferito un bel prato fiorito, uno di quelli di montagna, dove eri immerso nella natura al cento per cento, ma no, era solo nella sua serra.
Cercava di mettere insieme i pezzi della sua vita, i pezzi mancanti. Cercava di riflettere, di capire.
Louis aveva ammesso i suoi sentimenti?
Lui lo amava davvero?
La felicità era tanta, era euforico, non si era mai sentito così. Nemmeno quando lui lo aveva baciato la prima volta, doveva perdere la memoria per fargliene rendere conto? Evidentemente, niente accadeva per caso.
Sentì dei passi in avvicinamento, erano passi aggraziati, delicati, di una donna. Si voltò in direzione di essi, e vide sua madre, come si aspettava.
“Mamma.” – disse solamente – “quel giorno, quando sono venuto da te, e ti ho chiesto di Louis, hai mentito, vero?” – chiese a bruciapelo, dopo qualche istante.
“Harry…”
“La verità.”
“Sì. Ho mentito” – ammise, facendo nascere un’espressione contrariata sul viso del figlio – “per proteggerti. Quel tipo non era… adatto ad un ragazzo come te. Non lo è.”
“Lascia decidere a me cosa è giusto o no per me, eh?” – fece alterato – “non avevi il diritto di confondermi, non dovevi contagiarmi i ricordi!” – urlò frustrato – “ora non so più niente, sono ancora più confuso!”
“Harold, non alzare la voce.” – replicò lei – “non volevo farti cadere nello stesso errore, Nick è tuo amico da tanto, e ci tiene davvero a te.”
“Così tanto da organizzare lui l’aggressione?! E Louis sarebbe peggio di lui?” – sbraitò ancora il riccio, ormai erano la rabbia e la frustrazione a parlare al suo posto, non si rendeva conto di prendersela persino con sua madre, tutti avevano cospirato alle sue spalle e tutti dovevano pagarla, tutti, anche Louis che non gli aveva detto niente quella volta, al telefono.
“Louis ti ha fatto del male.”
“Lasciami solo. Non voglio ascoltare più nulla da te, da nessuno.” – disse freddamente, fissando lo sguardo in un punto indefinito davanti a sé, ignorando le altre parole della madre, non sapeva se si riferissero a Louis, a Nick, a lei o a lui stesso. Voleva solamente rimanere in solitudine, così come lo era sempre stato. Nessuno si era mai interessato davvero a lui, tutti lo avevano sempre visto come quello da prendere in giro, a cui affibbiare nomignoli offensivi, quello da lasciare solo. Poi era arrivato Louis, le cose erano cambiate in meglio, fino a quando lui non aveva deciso di trattarlo come un giocattolo, fino a quando non aveva chiuso il suo cuore ai sentimenti, ma Harry per lui c’era, c’era sempre stato e ci sarebbe sempre stato, anche se in quel momento voleva solo dargli un pugno o qualcosa di simile, per averlo lasciato da solo, per non essere stato con lui, per avergli mentito, ma anche perché nonostante volesse odiarlo con tutto il suo cuore, non ci riusciva. Nemmeno da smemorato aveva dimenticato tutto quello che aveva provato per lui, nessuna delle sensazioni lo aveva abbandonato, giacevano tutte nel suo cuore, e nella sua mente, seppellite sotto una falsa verità che gli era stata rivelata, ma ora tutto combaciava, i flashback, il sentirsi sempre rotto, il non sentirsi felice… tutto dipendeva dall’assenza di Louis nella sua vita, dipendeva dal non perdersi più nei suoi occhi cielo, dal non poter più accarezzare i suoi tatuaggi innumerevoli, dal non sentire la sua voce acuta e a volte fastidiosa, dal non sentire più il suo sapore misto tra erba e cioccolato, dal non fotografarlo di nascosto quando dormiva – quelle rare volte in cui restava a dormire con lui – dalla sua acuta gelosia e mania di protagonismo nella sua vita. Era stato il suo primo bacio, non avrebbe mai dimenticato quel giorno, nemmeno quello in cui il ragazzo si era avvicinato a lui, ignorando una ragazza che gli faceva avances, e dandogli il suo numero, non avrebbe mai dimenticato come si erano uniti per costruire quella maledetta pila manuale con lo zinco e il rame – durante cui Harry aveva lavorato e Louis l’aveva solamente guardato – o tutti i loro momenti, qualcuno anche dolce. Non avrebbe mai dimenticato quel ragazzo, ne aveva avuto la prova, aveva dimenticato tutto, ma i continui flashback gli avevano dato la pista giusta da seguire in quel frangente. Non riusciva a dimenticarlo, non ci sarebbe mai riuscito, perché la verità era unica: lui amava Louis. Amava il suo modo di fare, i suoi infiniti difetti, i suoi tatuaggi, i suoi occhi, il suo fisico, la sua pancetta, le sue labbra, il suo sedere, le sue gambe leggermente gonfie, il suo essere lunatico, la sua gelosia, i suoi piercing, il suo ciuffo rosso, il suo sorriso, le piccole rughe che si creavano intorno ai suoi occhi quando rideva, la sua risata, la sua bassezza in confronto a lui, tutto, tutto di Louis era da amare per Harry, qualsiasi atteggiamento, qualsiasi microscopica cosa in lui era da amare. Louis era un tipo che andava capito, poteva apparire come uno stronzo insensibile – e lo era la maggior parte delle volte – ma in fondo, molto in fondo, Harry aveva sempre saputo che fosse dolcissimo, e lo aveva dimostrato presentandosi da lui con i cartoncini patetici come li avrebbe definiti Louis stesso, e glieli aveva mostrati, un po’ impaurito, come un bambino che compiva i primi passi. In fondo, Louis era adorabile, no? Era un po’ tutto per Harry, a volte gli incuteva timore, come quando era ubriaco e finiva per prendersela con lui, ma altre volte sapeva essere la persona più dolce dell’universo, anche solo mentre lo guardava, come se lui fosse tutto il suo universo. Harry se n’era accorto, lo sguardo che gli rivolgeva Louis non era uno sguardo normale, non era uno di quelli dati a qualcuno di non importante, era il classico sguardo di una persona che ne guarda un’altra, no. Era qualcosa di più, era speciale, lo aveva sempre pensato e sperato. Ne aveva avuto la conferma quella mattina, quando Louis si era presentato al suo matrimonio per fermarlo, per fermare il matrimonio che non era mai iniziato. Harry era sicuro che, d’ora in poi, non avrebbe più dubitato di Louis, si sarebbe fidato sempre di lui, e… forse era il caso che si mettesse in proprio, andando via dal vivaio e via da Nick, era troppo scottato. Meno male che Nick era il suo migliore amico, altrimenti non avrebbe saputo cosa avrebbe potuto architettare, magari lo amava davvero, ma il suo gesto era stato immaturo e infantile, per non dire cattivo e meschino, e il riccio non l’avrebbe perdonato facilmente.
Mentre era assorto nei suoi pensieri, qualcuno arrivò con lentezza. Harry non si accorse della sua presenza fino a quando non lo sentì sedersi accanto a lui. Avrebbe riconosciuto quel profumo ovunque.
Prima di parlare, Louis appoggiò qualcosa accanto a sé, qualcosa che Harry non vide perché non si era ancora voltato verso di lui.
“Manderai via anche me?” – chiese.
Il corpo di Harry fu percorso da mille brividi al solo sentire quella voce, quella voce che adorava, che amava. Scosse lentamente la testa, restando immobile, aspettando un gesto o qualsiasi cosa da parte del nuovo arrivato.
“Harry, prima cosa devo chiederti scusa. Ho pestato Grimshaw.” – si morse il labbro per il nervosismo – “tu non lo sai ancora, ma ti avevo promesso che avrei smesso con la violenza” – confessò leggermente in imbarazzo – “manterrò la promessa, lo giuro, ma la sua faccia da coglione… era irresistibile” – Harry trattenne una risatina sommessa, e stette in ascolto, non voleva perdersi nemmeno un attimo della confessione di Louis – “seconda cosa, devo scusarmi per come mi sono comportato con te negli ultimi sette anni.” – sospirò – “in sette anni, non ho mai accettato il fatto di essermi innamorato, non potevo capisci? Io sono sempre stato uno senza sentimenti…”  - reclinò la testa all’indietro sospirando – “poi… all’improvviso sei arrivato tu, con quelle maledette fossette, quella faccina da bambino, e quegli assurdi fiori nei capelli, per non parlare dei tuoi ricci” – ridacchiò sommessamente, ed Harry non si trattenne, lo seguì nella risata sommessa, guardandolo con dolcezza – “…e mi hai conquistato. Me ne sono accorto solo quando ti ho perso, lo sai che sono stupido e non mi applico.” – Harry scoppiò a ridere, glielo diceva sempre ed era felice che lui se ne ricordasse – “ma, Harry, quando ti ho perso, ho pianto. Ti rendi conto? Io. Che. Piango.” – scandì le ultime parole, per far capire al riccio che ciò che stava dicendo fosse la verità.
“E’ ciò che è” – disse Harry, con un sospiro – “è sempre stato così, io l’intelligente e tu lo stupido.”
Louis sorrise, incredulo. C’erano possibilità che Harry lo perdonasse, nonostante tutto?
“No, aspetta.” – fece alzandosi da terra, mentre Harry spalancava gli occhi, credendo che Louis stesse scappando ancora, dopo tutto quello che aveva detto, scappava ancora, e forse Harry stavolta non avrebbe retto il colpo, e lo avrebbe lasciato andare, perché era giusto così, nonostante lo amasse, nonostante tutto, lui lo avrebbe lasciato andare, perché non poteva sopportare ancora di star male per lui. Con sua grande sorpresa, Louis non stava andando via, stava armeggiando con il cellulare. Si curvò appoggiandolo a terra, e voltò il viso verso Harry, rivolgendogli un dolce sorrido, che fece letteralmente sciogliere il riccio, come neve al sole. Afferrò qualcosa da terra e si fece più vicino al riccio, adagiando qualcosa nei suoi capelli di Harry, che il riccio riconobbe subito come una delle sue adorate coroncine di fiori.
“L’avevo intrecciata io, quando sono venuto da te, uhm, con i patetici cartoncini. Sono ancora più patetico, vero?”
Harry scoppiò a ridere, e si alzò velocemente, intrecciando le braccia intorno al collo di Louis, e avvicinandolo a sé, fece congiungere i loro petti sorridendo.
“Patetico alla millesima potenza, nano da giardino, anche la canzoncina romantica, davvero?” – rise, facendo scaldare il petto del più grande con quella risata – “sei serio, Tomlinson?”
“Beh, a te piacciono queste cose romantiche, se devo riconquistarti…”
“Non basterà solo questo, lo sai?”
“Lo so, ma chi ben comincia e a metà dell’opera, no?”
Harry scoppiò a ridere di nuovo, mentre lentamente si muoveva insieme a Louis sulle note di quella canzone che l’altro ragazzo aveva scelto. Non avrebbe mai chiesto di meglio, Louis che si impegnava di nuovo con lui, che si impegnava a riconquistarlo, a ridargli la felicità mancata, a farlo sorridere ancora. Era tutto ciò che aveva desiderato in tutti gli anni che era stato con lui, e che aveva sperato accadesse quando non ricordava nulla di lui.
 
Chi poteva saperlo?
Magari Louis avrebbe sbagliato ancora.
Magari Nick sarebbe tornato per dividerli.
Magari la madre di Harry non avrebbe mai accettato Louis.
Magari tutto sarebbe andato di nuovo a rotoli.
Harry sapeva, tuttavia, che se avesse avuto Louis accanto, ogni giorno della sua vita, niente sarebbe andato male. niente sarebbe risultato sbagliato, perché Louis era lì a supportarlo.
E Louis stavolta era sicuro dei suoi sentimenti. Era tornato per riparare il suo cuore spezzato, per amarlo come meritava, per renderlo felice, e per donargli tutto il suo cuore. Niente l’avrebbe fermato.
 
A volte, certe situazioni aiutano a capire.
A volte certi avvenimenti non accadono per caso.
 
E a Louis ed Harry era accaduto questo, quell’avvenimento, per quanto triste e struggente per entrambi, non aveva fatto altro che solidificare il loro rapporto, renderlo stabile e saldo.
E mentre fuori dalla serra i tutti tornavano a casa, delusi, compreso Nick abbastanza malconcio, un ragazzo con una coroncina nei capelli, e un altro pieno di tatuaggi e piercing, di nascosto nella serra numero quattro, quella con le margherite, si muovevano lentamente al ritmo di una canzone, che sicuramente sarebbe rimasta nei loro cuori, perché da quel momento in poi, erano sicuri di una cosa. Ciò che li aveva uniti era forte, solido come una roccia, non importava che ci fossero voluti sette anni per comprenderlo, l’importante era capirlo, e loro, dopo tanto tempo erano lì a ballare, a baciarsi e a tenersi saldamente l’uno all’altro, con un’unica promessa da entrambi, una promessa salda duratura.
Harry aveva scelto la strada più tortuosa, aveva scelto Louis, e lo sapeva, sapeva che l’avrebbe sempre tenuto con sé.
Louis aveva scelto di seguire il cuore, perché era intenzionato a non far soffrire mai più riccio, e non l’avrebbe fatto, mai. Nelle loro menti, solo una frase si ripeteva come una nenia, una canzone lenta, una ninna nanna.
In fondo, era ciò che era, no?
 
Non ti lascerò mai andare.
 

You said it, I get it
I guess it is what it is
(It is what it is – Lifehouse)

   
 
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