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Autore: Nisi    12/01/2008    4 recensioni
Sud America, 1974. Pedro Carrillo è un semplice correttore di bozze al quotidiano nazionale.
All’improvviso, i colleghi del suo ufficio cominciano a scomparire in circostanze misteriose e contemporaneamente i suoi occhi iniziano ad accusare sintomi troppo inquietanti per essere ignorati.
Questa storia si è classificata al primo posto dell'ottava sfida del sito "Out Of Time"
Genere: Mistero | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti
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Nell’anno del Signore 1974, in quella parte di Sud America un uomo che sapesse fare le faccende di casa era un evento da segnalare alla stampa locale.

Già, perché Pedro Carrillo, classe 1922, se la sapeva sbrigare bene con i lavori domestici. Merito di sua madre, moderna Cassandra di sangue misto a nome di Florentina Agueiro Matas, che gli aveva insegnato a cavarsela nei foschi meandri dei lavori donneschi.

Con la sua praticità tutta femminile, aveva osservato il figlio passare dall’infanzia alla pubertà, fino a che il ragazzo ebbe raggiunto l’età adulta; poi, un giorno, presolo da parte, gli aveva detto sospirando: “Pedro, sei troppo docile e troppo poco bello per trovarti una moglie. Un giorno io non ci sarò più e se non saprai prenderti cura di te stesso, finirai come quei perdigiorno puzzolenti che abitano sotto al ponte della Cereria.”

A dire il vero, Pedro non era un uomo così brutto, ma aveva quel tipo di viso e quel tipo di fisico che lo facevano passare inosservato. Gli era già capitato in parecchie occasioni di venire presentato alla stessa persona per quattro volte di seguito senza che quest’ultima si ricordasse minimamente di lui.

Pedro non era sicuro di aver capito bene le parole di Florentina, ma aveva seguito docilmente in cucina la madre che gli aveva consegnato una ramazza di saggina, intimandogli di scopare il pavimento. Gli aveva poi insegnato come stanare la polvere dagli angoli più nascosti ed il modo per nettare la scopa, battendola sul davanzale della finestra che dava sul loro piccolo orto. “Lo so che è un lavoro noioso, Pedro, ma è necessario fare qualche sacrificio per un bene più grande”.

Piano piano e poco alla volta, Pedro aveva assimilato gli insegnamenti della madre e quando tre anni prima Florentina Agueiro Matas era passata a miglior vita, lui era diventato completamente autonomo già da parecchio tempo. A volte, scherzando ma non troppo, la donna sosteneva che suo figlio era in grado di stirare le camicie molto meglio di lei.

In effetti, quel tipo di compito gli si addiceva molto: preciso e metodico, metteva molto impegno in tutto quello che faceva. Non che si dovesse sforzare molto, perché possedeva una mente analitica che gli permetteva di organizzare e di svolgere i suoi compiti in maniera veloce e piuttosto efficace. Questa sua caratteristica gli aveva permesso di ottenere un impiego presso la redazione di un giornale molto prestigioso della capitale.

Pedro amava molto il suo lavoro: gli piaceva e svolgerlo lo faceva sentire importante e competente. Già, perché nei rapporti umani non aveva la stessa dimestichezza: le persone erano per lui dei fogli bianchi, vergati con l’inchiostro simpatico dell’arguzia e della sensibilità che lui non possedeva e non era in grado di decodificare. Lui non piaceva alla gente e la gente non piaceva a lui e l’unico essere umano del quale apprezzasse la compagnia era sua madre.

Le parole, invece, erano rassicuranti. Così nero su bianco, così chiare, nitide. Certo, esse potevano essere infide e con molteplici sfumature e significati, ma Pedro le amava e le rispettava anche per quella ragione.

Correva quell’anno 1974: in Nord America, Nixon aveva le sue belle gatte da pelare con lo scandalo Watergate e malediceva quei due maledetti impiccioni di Woodward e Bernstein che gli avevano acceso la miccia sotto la poltrona presidenziale, mentre dei teppisti con i capelli troppo lunghi cantavano che “era solamente rock’n’roll, ma che a loro piaceva”. Nel Paese l’anno prima c’era stato un avvicendamento alla più alta carica dello Stato. Un po’ violento, forse, ma tutto sommato non si stava nemmeno male. Pedro era felice nel suo piccolo mondo composto da casa sua, il suo ufficio ed il tragitto che percorreva a piedi ogni mattina e ripercorrendo i suoi passi a ritroso verso sera.

Il suo principale, Ernesto Santander, era un uomo comprensivo che lo apprezzava: gli aveva detto tante volte che era bravo in quel che faceva e Pedro ne andava molto orgoglioso. Dopotutto, per fare il suo lavoro ci voleva tanta fantasia. Sì, perché Pedro leggeva le notizie che arrivavano da tutte le parti del Paese e le riscriveva. In un certo senso, si poteva dire che lui abbellisse la verità: il mondo era abbastanza brutto di per sé, per cui che male c’era nel renderlo più piacevole?

Quel giorno cominciò come un milione di altri giorni tutti uguali: dopo aver bevuto il caffè, Pedro si era vestito, aveva pettinato i pochi capelli che gli rimanevano sul capo a formare una chierica, inforcato gli occhiali rotondi che portava da quando era adolescente e, dopo aver indossato la sua giacca beige, si era recato al giornale.

Faceva abbastanza caldo per essere primavera e, dopo essersi seduto alla scrivania e davanti alla macchina da scrivere, con fare circospetto si arrotolò le maniche della camicia. Poi cominciò a rovistare nelle vaschette della posta in entrata per decidere con quale notizia iniziare.

Aveva appena afferrato un foglio che se lo sentì strappare via di mano da qualcuno. Si voltò. Era il signor Santander, che gli mise in mano un altro pezzo di carta.

“Carrillo, comincia con questa, per favore. E’ urgente. Il resto può aspettare.”

“Certo, signore” rispose Pedro compunto. “Solita procedura?”

Santander non lo guardò nemmeno, i suoi occhi stavano vagando oltre la finestra. Accese una sigaretta, aspirò con voluttà e ne soffiò via il fumo. “No, Carillo…” modulò con voce quasi dolce. “Questa volta lascia tutto com’è. Al massimo, correggi grammatica, sintassi e tutto il resto. Ma la notizia rimane quella che è”.

Pedro rimase estremamente perplesso. “Va bene, signore.” Per la prima volta in tanti anni si azzardò a ricordare al suo superiore: “Signore… la sua asma… non dovrebbe fumare.”

Per tutta risposta, Santander aspirò il fumo con ancora più piacere poi giocherellò con un anello che portava al mignolo, un drago stilizzato con due piccoli rubini al posto degli occhi: “Non importa, Carrillo. Non importa più”, e lasciò l’Ufficio Censura sparendo oltre un altro uscio.

Pedro fece spallucce e, sentendosi a disagio e vagamente inquieto, infilò un foglio nel rullo della macchina da scrivere, controllando che fosse dritto. Poi, dopo aver letto attentamente il testo due o tre volte, cominciò a picchiare sui tasti: “Marita Fuentes de la Corte, di anni ventidue e residente nel quartiere della Barquita in calle dos Santos, è stata trovata priva di vita sulla riva del Madongo. La vittima presentava segni di percosse, sevizie e…”

Pedro si morse un labbro, le dita immobili, sospese sopra i tasti della macchina. Ma Pedro era uno che gli ordini li eseguiva e proseguì: “quelli che sembravano essere inequivocabilmente segni di torture…”

Madre de Dios, sarà stato il solito fidanzato geloso che non ci ha visto più. Buttò un occhio alla foto della ragazza. Era bella: occhi scuri e vivaci, capelli neri ed un sorriso non perfetto, ma piacevole. Scosse il capo: quella sera a Messa avrebbe detto una preghiera per lei.

§

Il giorno seguente, Pedro notò una strana agitazione, nell’ufficio. Come al solito, passò inosservato e non badò molto ai suoi colleghi. Rimase sul chi vive quando sentì il nome del principale pronunciato da Perdita, una ragazza che lavorava in amministrazione. Non erano certamente affari suoi, mormorò prendendo posto alla scrivania.

La porta si aprì bruscamente ed entrò un uomo robusto, con la faccia quadrata ed il capo completamente senza capelli, la pelle del cranio che sembrava essere stata lucidata di recente. “Carrillo!” esclamò, facendo sobbalzare Pedro dalla sedia. Il tono marziale gli fece rispondere: “Signorsì. Signore!” proprio come quando era sotto le armi. In effetti, quell’uomo sembrava un ufficiale dell’esercito.

“Riposo, Carrillo. Sono Benitez e da oggi sarò il tuo responsabile. Domande?”

“Sì… signore. E il signor Santander?”

“Santander? E’ stato trasferito.” rispose secco Benitez.

“Oh, così all’improvviso… ma lui sta bene? Voglio dire, non gli è successo niente, vero?” domandò Pedro, preoccupato.

“Non ti devi preoccupare, pensa solo al tuo lavoro” Benitez gli rispose con un tono talmente minaccioso che Pedro si irrigidì e capì che non avrebbe dovuto chiedere più niente.

Pedro lo guardò perplesso, mentre Benitez gli allungava un foglio. “Solo grammatica e sintassi e le solite balle. Il testo l’ho già riscritto io. Muoviti! Fra mezz’ora lo voglio sulla mia scrivania.” E senza aggiungere altro, se ne andò, chiudendosi alle spalle la porta con un colpo secco.

Fissò la soglia per un lungo momento. Era piuttosto illogico che il suo ormai ex responsabile fosse sparito così, da un giorno all’altro, ma si sapeva che i giornalisti sono creature strambe, tuttavia, una forte agitazione gli rimase nell’animo per tutta la giornata. Come mai Santander era sparito così all’improvviso? E poi, il giorno prima gli era sembrato assente, preoccupato. Per quale ragione, dal momento che Santander era una persona tanto tranquilla?

La giornata era stata scandita dall’andirivieni di Benitez che ad intervalli regolari faceva capolino per esaminare il suo lavoro e strepitare ad alta voce se qualcosa non gli andava bene. Pedro non era un uomo stupido e si era reso conto subito che il suo nuovo responsabile era un uomo piuttosto collerico e che era meglio non contrariarlo.

Alzò gli occhi e guardò ancora una volta il foglio.

Strano.

Sembrava che le lettere sulla carta si stessero muovendo.

Spostò lo sguardo verso l’orologio a muro e vide che erano le otto passate.

Ecco perché la sua vista stava facendo cilecca: aveva lavorato troppo.

§

Per la prima volta in tanti anni, Pedro non aveva dormito bene. Aveva passato tutta la notte a rigirarsi nel letto con il pensiero di Santander sempre martellante in testa, la mente piena di foschi pensieri.

Il mattino giunse quasi fosse una benedizione; Pedro scese dal letto quasi di corsa ed andò a preparasi una buona colazione. Poi, andò a farsi la barba.

E per la prima volta, la sua mano tremò.

Pedro rimase inebetito a fissare la sua espressione allo specchio, mentre il sangue colava rosso nel lavandino.

Un taglio profondo, che bruciava, la ferita che non si rimarginava.

Arrivò in ufficio con largo anticipo e dovette aspettare a lungo prima che giungesse il portiere, Pepe, ad aprire tutte le serrature che venivano da lui chiuse la sera, sul tardi.

“Pedro! Come ti va? Sei più mattiniero del solito!”

“Ah, Pepe, ho tanto da fare e devo cominciare subito.”

Uno sguardo indecifrabile passò negli occhi del vecchietto, che annuì senza dir niente. Frugò nelle tasche rigonfie e ne estrasse un enorme mazzo di chiavi. Pedro stette pazientemente ad aspettarlo, stringendo al ventre la cartella in similpelle che gli aveva regalato sua madre quando era stato assunto al giornale. “Ecco, Pedro, passa una buona giornata”, gli augurò tenendogli aperto il portone per farlo passare.

Pedro entrò nel suo ufficio quasi di fretta, anche se era troppo presto e non era arrivato ancora nessuno. Nella vaschetta di plastica grigia, notò, c’era già un mucchietto di fogli tenuti insieme da una grossa graffetta. Lo prese e proprio davanti alle bozze, un messaggio telegrafico:

“Solito lavoro, entro la mattinata”

ed in fondo, una B puntata.

Benitez.

Pedro annuì e si sedette alla scrivania, appallottolò la nota del suo capo e la gettò nel cestino della carta straccia e si dedicò agli articoli da correggere.

Dopo un secondo, le lettere cominciarono a danzare davanti ad i suoi occhi, schizzando come impazzite dalla carta. Sembrava che volessero saltar via dal foglio ed andare chissà dove.

Pedro strinse forte gli occhi e se li sfregò energicamente con il dorso della mano. Li riaprì. Sembrò andare meglio, ma dopo un attimo, mezzo alfabeto riprese ad agitarsi freneticamente sotto al suo sguardo.

Ora cominciava ad essere preoccupato per la sua vista.

Si sfregava continuamente le palpebre, le stringeva tra di loro fino quasi a lacrimare per lo sforzo, la pelle che iniziava ad infiammarsi a causa delle energiche frizioni. Tutto sembrava tornare alla normalità per un attimo, ma l’illusione era di breve durata.

Cosa diavolo stava succedendo ai suoi occhi? E sfregava, sfregava disperatamente, cercando di cacciare via quelle lettere impazzite che gli impedivano di vedere qualsiasi cosa all’infuori di esse. Dei passi echeggiarono alle sue spalle, poi un rumore militaresco di tacchi: “Carrillo, cosa sta succedendo?”

Tra un carattere e l’altro che gli ballava davanti agli occhi, Pedro intravide la figura massiccia di Benitez.

“Signore, ho dei problemi agli occhi…” sussurrò Pedro impaurito.

“Avanti, che aspetti, vai a farti vedere. Devi mantenerti in salute, se vuoi renderti utile. Quando hai fatto, vai a casa a riprenderti: vederti sfregare gli occhi come un bambino che frigna non è un bello spettacolo.”

“Sissignore, grazie signore…” Pedro si alzò, rimise a posto la sedia e si avviò verso Avenida del Marasco, dove il dottor Fernando Botero aveva il suo studio.

Uscito all’aria aperta si sentì subito meglio e le lettere scomparvero. Gli venne voglia di andare a casa, ma Benitez gli aveva espressamente intimato di andare dal dottore.

Dopo circa mezz’ora, Pedro spinse la porta dello studio del Dottor Botero ed entrò nel locale stipato di gente. Vecchietti incartapecoriti, donne incinte, uomini con ferite da taglio e bambini che puzzavano di latte stantio e pannolini non troppo puliti. Storse il naso e si appoggiò al muro, dal momento che le sedie erano tutte occupate. Dopo un quarto d’ora riuscì a sedersi e dopo un’altra mezz’ora entrò nello studio.

“Pedro! Come stai? Ah, ma se sei venuto a trovarmi, vuol dire che non te la passi tanto bene. Allora, dimmi, cosa succede?”

“Vedi, Fernando, ho problemi con le lettere.”

“Hombre, cosa vuoi dire?”

“Io… è da un paio di giorni che vedo delle lettere schizzare via dai fogli e ballarmi davanti agli occhi e…”

“Ho capito, vieni qua…” Lo fece accomodare davanti ad un tabellone che riportava un segno simile ad una E, orientata verso differenti direzioni. “Ora dimmi se queste specie di E sono verso il basso, l’alto, a destra o a sinistra”. Con una lunga bacchetta, Botero gli indicò le lettere da leggere e Pedro indovinò tutte le direzioni.

“Hai avuto problemi?”

“No, no. Queste non ballavano.”

Botero si sedette alla scrivania e buttò giù qualche riga su un foglio intestato con il suo nome, poi piegò la ricetta in due e la cacciò in mano a Pedro.

“Ecco, questo è un collirio. Cerca di metterlo almeno tre volte al giorno e non sforzare gli occhi. Mi raccomando, per un po’ niente TV. Ora vai, ci vediamo.” E lo spinse praticamente fuori dal suo studio. Pedro rimase annichilito, con la prescrizione ripiegata tra le mani e mormorò: “Io non ho la televisione.”

Non gli rimase che tornare sui suoi passi e andarsene dritto verso casa sua. Qualcosa gli diceva che la diagnosi di Botero era tutt’altro che esatta: ogni tanto, vedeva qualche lettera offuscargli la visuale, ma fu solamente davanti ad una edicola che il sospetto lo colse.

Teresa Ramón aveva l’abitudine di invitare i clienti all’acquisto, cacciando loro in mano il primo quotidiano che le capitasse a tiro.

Pedro fu vittima della strategia di mercato di Donna Teresa e si vide rifilare una copia della “Noticia” senza nemmeno rendersene conto.

Improvvisamente, i suoi occhi non videro altro che lettere dell’alfabeto che si alternavano dinnanzi al suo sguardo annichilito. Rimase fermo a fissare il foglio e, allibito, si rese conto che le lettere che balzavano fuori dalla carta stampata erano sempre le stesse. Iniziò a sudare freddo, una goccia che colava piano piano gelida lungo la sua schiena.

“Teresa! Una penna!” urlò con voce stralunata Pedro, mentre cominciava a capire quel che stava succedendo. Lei si avvicinò e lui quasi le strappò la biro dalle mani.

Pedro riportò sul foglio quello che vedeva.

Una E.

Una R

Una N.

Un’altra E.

Pedro scrisse e dopo un attimo lesse:

Ernesto Santander Cala Maldida.

Cosa diavolo c’entrava il suo ex responsabile? E cosa diavolo doveva farci a Cala Maldida? Cosa diavolo significava tutto questo?

Controllò l’ora ancora una volta sull’orologio che era stato di suo padre.

Se fosse riuscito a prendere il treno delle undici, sarebbe arrivato entro mezzogiorno.

Si mise a correre, per quanto le sue gambe malferme glielo permettessero ed arrivò alla stazione esattamente cinque minuti prima che il treno partisse. Acquistò il biglietto e fece appena in tempo a crollare su uno dei sedili in similpelle dello scompartimento che il suo viaggio iniziò.

Non ci volle molto: scese a Cruz de Jesus e prese un autobus. Poi, dieci minuti a passo spedito verso il mare.

Cala Maldida aveva quel nome a causa degli scogli infidi che si prestavano ottimamente ai propositi suicidi della gente del posto. E la Cala non li aveva mai delusi. Pedro, tremante, intimorito da quello strano messaggio, cominciò a passare in rassegna le insenature, cercando di non scivolare sui massi. Una strana inquietudine gli serrava la gola. Continuò a camminare, sempre più velocemente, guardando avanti a sé. Se Santander era stato lì, ora non c’era più. Non era stata una mossa intelligente, venire lì. Era stanco ed aveva bisogno di riposare, ecco perché la sua immaginazione gli aveva giocato brutti scherzi.

Tenendosi agli scogli, scese maldestramente nella caletta seminascosta che si intravedeva appena. Appena posò il piede a terra, urtò contro qualcosa.

Era una persona che dormiva. Proprio lì doveva mettersi, quello?

“Mi scusi, signore, io non…”

Le parole gli si mozzarono in gola, gli occhi strabuzzarono all’infuori quando si rese conto che si trattava di

Un morto.

Un morto, talmente sfigurato da non essere più riconoscibile, pieno di ferite, tagli e lividi.

Un morto che portava l’anello a forma di dragone di Santander e la sua stessa giacca con il taschino semistrappato.

E mosche che stavano banchettando su quel corpo ormai senza vita.

Un momento prima che il terrore prendesse possesso di tutto il suo essere, Pedro pensò che i rubini dell’anello avessero lo stesso colore del sangue che sembrava aver preso possesso della Cala: era sul morto, attorno ad esso, sulle rocce nere, dappertutto.

Pedrò si sentì venir meno “Oh mio Dio” mormorò “Oh mio Diooooo” urlò e tentò di fuggire: cominciò ad arrampicarsi sugli scogli, ma i suoi piedi scivolavano sui massi bagnati, le mani cercavano la presa che non trovavano, scorticandosi fino alla carne viva e gli occhi pieni di lacrime gli impedivano di vedere chiaramente; l’unica cosa che riusciva a percepire con chiarezza era l’odore ferroso del sangue ed il puzzo invadente della morte violenta e spietata. Lottò disperatamente per andare via da lì, il suo sangue uguale a quello versato sugli scogli che gli ricordava quello che c’era dietro le sue spalle e che non voleva più vedere.

Finalmente, riuscì a risalire e scappò a prendere il treno senza voltarsi indietro.

Pochi minuti dopo, accasciato sul sedile, Pedro rifletté.

Santander. Cosa poteva mai avere fatto per meritarsi una fine così? Quella aveva proprio l’aria di essere stata un’esecuzione in piena regola: nessuna rapina, altrimenti l’anello sarebbe sparito.

Si segnò col segno della croce e pensò che quella sera avrebbe dovuto pregare per un’altra persona.

Pedro tenne gli occhi puntati a terra per tutta la durata del viaggio e non incrociò lo sguardo di nessuno, né gli occhi gli diedero ancora fastidio.

Non vedeva l’ora di tornare a casa.

Per strada, passando accanto ad un cartellone pubblicitario, le lettere ricominciarono a perseguitarlo.

P

E

R

D

Basta! Puntò ancora lo sguardo a terra e non lo rialzò più fino a che varcò la soglia.

Al sicuro? Certo che no!

Le lettere ricominciarono ad investirlo, girandogli attorno come impazzite, causandogli un mal di testa lancinante, le tempie che pulsavano dolorosamente, come se un martello stesse picchiando senza sosta sul suo cranio.

Quelle maledette provenivano dai giornali sparsi sul tavolo, dalle istruzioni scritte sul flacone del detersivo, dall’etichetta dei fagioli in scatola e lo colpivano in pieno senza misericordia; mazzi di caratteri che arrivavano direttamente dalla libreria lo investivano minacciosi ed incessanti.

Alfabeti che gli si riversavano completamente addosso inesorabili, stordendolo, ma non abbastanza, perché comprese benissimo ciò che quelle maledette composero:

PERDITA GOMEZ Sotterranei prigione Valades.

Perdita Gomez? Non era forse la collega…

No, non era possibile, non poteva essere!

E poi, altre lettere, altre persecuzioni lo assalirono.

Le pulsazioni alle stelle, si precipitò nell’orto e lì vi trovò un po’ di sollievo: c’erano solamente peperoni rossi e gialli e pomodori che stavano maturando placidi al sole.

Le ombre del pomeriggio si allungarono in quelle della sera e Pedro si addormentò accanto alla tenera insalatina che cresceva senza far rumore.

* * *

Buonasera! Quella che vi propongo è una storia che ho presentato all’ottava sfida del sito Out Of Time; il tema scelto da Cielo Amaranto era una storia horror.

Non è tanto il mio genere, ma spero comunque vi piaccia.

Un caloroso grazie a Lele, che mi ha aiutato con il testo e a Max, che ha fatto il beta.

Siccome la storia è già completata, l’aggiornamento arriverà presto.

Ciao e grazie per avermi letto.

Nisi

   
 
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