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Autore: Artemisia89    12/01/2008    4 recensioni
[Spin off da L'Alchimia del Sangue di Axia]
Per essere libera, Caroline aveva dovuto imprigionare il suo desiderio di essere amata.
Perché per un desiderio che viene esaudito c’è sempre un prezzo che va pagato.
<< Sai cosa significa Caroline? >>
In nomen omen.
[Prima classificata al concorso Handle with Care di Anfimissi e Claheaven]
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio
Note: Alternate Universe (AU) | Avvertimenti: nessuno
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Chiara

 

 

Meanings [Behind words and lies]

~ Words, words, words ~

 

“È meglio commettere un peccato con fervore

 che una buona azione senza entusiasmo.”

I. Singer, La distruzione di Kreshev

 

 Nomen omen

Plauto, Il Persiano

 

“La verità […]non è un cristallo che si può mettere in tasca,

bensì un liquido sconfinato in cui si casca dentro.”

R. Musil, L’uomo senza qualità

 

 

 

 

La stranezza dell’esser donna, o il punto di forza a detta di altri, sta nella capacità di poter fingere l’assenza del passato, all’occorrenza e a proprio piacimento.

Caroline Dalton camminava a testa alta per i corridoi di Hogwarts con i lunghi capelli biondi ad ondeggiare e a catturare la luce di quella singolare giornata di sole, apparsa all’improvviso dopo la settimana piovosa che aveva lavato via semplicemente tutto.

Piante, oggetti abbandonati fuori, sentimenti dimenticati.

In un certo senso, vento e pioggia si erano portati via parti di loro, con una violenza così ripetuta da apparire ormai come abitudinaria.

Gli occhi degli studenti, osservò Caroline, sembravano mormorare in silenzio alla luce. Forse pregavano, ringraziavano quella che sembrava una giornata benedetta. Eppure non c’era grazia che potesse restituire loro quello che la tempesta aveva così malamente strappato via: il vuoto nascosto nei loro occhi, non era altro che la paura – l’attesa, il presagio – di una nuova violazione.

Nei giardini, l’erba era ancora troppo umida per potercisi sdraiare sopra, pena rischiare di macchiarsi di fango la giubba e Caroline non voleva rischiare di sporcarsi. Non quel giorno almeno: c’era in lei il vago sentore di un momento, ormai comunque passato, in cui si era sentita così sporca da non riconoscersi.

Decise di girare al largo.

O almeno, di provarci, considerata la sua fortuna nell’esser intercettata.

I corridoi di una scuola, possono rivelarsi più pericolosi di un campo aperto senza alberi, per chi vuole restare nascosto.

A volte aveva desiderato essere come un camaleonte: invidiava la loro capacità di diventare quasi invisibili. Di diventare colore. Lei invece, piccola e misera umana, non poteva mimetizzare se stessa e i suoi sentimenti con il paesaggio, era costretta ripetutamente a tradirsi, a svelarsi. C’era sempre qualcosa in lei che scavalcava le parole e le bugie: poteva essere una goccia di sudore, un tremito della pelle, un battito di cuore

<< Caroline.>>

Poteva essere un nome, una voce.

Non si fermò, fece semplicemente finta di non aver sentito, sebbene nel suo corpo, nelle sue orecchie, rimbombasse il suo nome quasi maledetto pronunciato da quella voce così ruvida, quasi perforante. Accelerò il passo, per analogia involontaria al ritmo del suo cuore che cominciava ad aumentare.

Non voleva parlare; non voleva parlarne.

[Del passato, no, non voleva parlarne]

<< Caroline. >>

Un camaleonte, Dio, quanto avrebbe desiderato esserlo. E poi magari anche aria, o nebbia, pronta a dissolversi al sole, a sfuggire alle prese di chiunque, ad essere intoccabile.

Si fermò. Non per sua scelta naturalmente: non si trattava mai di una sua scelta, quando si trattava di loro, ma di un subire. Così, si trattava di passione. Strinse le labbra a quel pensiero.

[Potior Subire Passione]

<< Caroline. >>

[Possessione]

Gli sarebbe bastato sentire il suo nome pronunciato da lui, in pubblico, un’altra, sola volta. E sarebbe morto [morta] all’istante, quant’è vero che si chiamava..

<< Caroline, mi stai ascoltando? >>

Alzò la testa sul ragazzo che le stava davanti.

Le bastarono poche occhiate per riconoscere marchiate su di lui le parole che il sesso usava per discutere, durante la notte: Derek Hansberger era gonfio di sesso quella mattina. Aveva le labbra piene, la pelle appena arrossata, i muscoli rilassati e pieni di quella debolezza propria delle membra femminili. Aveva negli occhi però la pienezza e la completezza di un orgasmo consumato al riparo da qualsiasi pioggia.

Aveva il sole negli occhi.

[A chi hai pensato ieri notte Vicious, mentre godevi con una sconosciuta tra le lenzuola?]

<< No Vicious. Era lampante quanto io ti stessi ignorando, e stava andando davvero tutto bene. Perché devi rovinare sempre tutto? >>

<< Tu non sai quanto io possa rendere piacevole anche il più insignificante dei gesti, Caroline. >>

Lo guardò stizzita e irritata, con una mano sul fianco e l’altra a reggere i libri contro il petto. Non sapeva in quale ordine dovesse odiare gli aspetti che lo caratterizzavano. Era indecisa se mettere al primo posto la sua fissazione per il suo nome o il suo trovarsi sempre al posto sbagliato nel momento sbagliato.

[Giusto Caroline, è sempre il momento giusto per morire, Caroline]

Le prese i libri con un gesto troppo veloce perché lei potesse fermarlo, e in men che non si dica, la portò sottobraccio accanto ad una delle tante arcate al riparo da sguardi indiscreti.

La luce - riuscì ad osservare distratta, mentre sentiva la pietra tiepida [è fredda la pietra Caroline e lui che è così caldo Caroline] premerle contro la schiena – faceva vedere cose che gli occhi non erano abituati a scorgere. Il pulviscolo danzava nel bagliore con una libertà e una casualità che la fece sorridere.

Può mai la polvere essere spensierata?

In quella manciata di secondi in cui, distratta dai giochi di luce sul pavimento non aveva badato a chi le stava davanti, Derek ne aveva approfittato per osservarla.

O forse, osservare non era esattamente il verbo adatto. Sembrava piuttosto che Derek tentasse di inglobare la visione di Caroline dentro di sé. I capelli d’oro, le labbra sottili, gli occhi leggermente a mandorla, acuti nello sguardo, la pelle rosa come un acquerello.

Tutto quanto, dentro di lui. In un unico gesto.

[Come se ce ne fosse il bisogno Derek]

Due dita andarono ad insinuarsi leggere tra i capelli di lei, e cominciarono a compiere gesti talmente impercettibili che lei stessa, così attenta di solito [siamo deboli ci facciamo trovare deboli perché vogliamo esserlo Caroline mia dolce Caroline] non se ne accorse, sebbene il piacere si facesse strada dentro di lei come un’onda di marea.

Oh, il piacere.

Così subdolo, così incontrollabile.

Così vicino.

Quando vide lo sguardo perso di lui, tutto intento a fissare il suo viso, le dita così esperte nel [farti impazzire mein Caroline] tracciare linee sul suo collo e dietro le sue orecchie, inizialmente non riuscì ad urlare, o a scrollarselo di dosso o ad allontanarlo o a spingerlo o a fare qualsiasi cosa necessaria per mandarlo via.

Era semplicemente t r o p p o.

<< A proposito di ieri. >>

E la sua voce, la sua voce maledetta, così roca e così pura. C’era una sorta di spirito nella sua voce, qualcosa che dipendeva dalla sua lingua. Che anche la sua intonazione fosse atta a sedurre, allenata nel provocare piacere, Caroline non ne aveva dubbi.

Il dubbio era sulla sua resistenza.

<< Si? >> e quanto a lungo sarebbe riuscita a parlare senza tremare.

[E le parole Caroline devi scegliere le parole più adatte]

<< Mi hai lasciato da solo. Non si lascia un ragazzo da solo in quel modo. >>

Caroline deglutì. Le parole Caroline, sono le parole i tuoi gesti.

<< Quella discussione non ci avrebbe portato a nessuna parte. >>

[è come fare l’amore con le parole vero mein Caroline?]

<< Ci avrebbe portato nella mia camera da letto Caroline, il luogo in cui ti saresti svegliata questa mattina se solo non mi vedessi come un nemico. >>

<< Chi si è svegliata invece nel tuo letto questa mattina, Derek? >>

Teso su di lei, la pugnalata al cuore penetrò più in profondità, ma nel sentir la lama scendere nel suo cuore Derek riuscì quasi ad accarezzare la mano [tutti i sentimenti tutta l’essenza di lei scendere in lui e annegare e annegarci nel sangue del nostro] che spingeva e spingeva dentro di lui [amore mein Caroline dillo].

<< È un circolo vizioso il nostro, a quanto pare. Facciamo gli stessi discorsi di sempre, sempre con le stesse parole, sempre con…le stesse reazioni a quanto vedo. >>

Si chinò verso il suo petto con il fiato quasi mozzo.

Il cuore, traditore di un cuore.

Pulsava così forte che Caroline non si sarebbe sorpresa nel sentirlo anche all’infuori del suo corpo, riecheggiare nel corridoio.

Socchiuse le palpebre e si portò una mano al petto, con più disinvoltura possibile.

Dietro di loro, anche l’ultimo studente era ormai corso in Sala Grande per il pranzo e nessuno si attardava a catturare l’ultimo pigro raggio di sole: Derek sembrava non cogliere nemmeno il più immediato di quei particolari. Aveva ben altro sole di cui bearsi, in quel momento.

Avvicinò le sue labbra all’orecchio di lei, una mano al muro accanto al suo viso.

<< Perché così ritrosa Caroline? – un soffio, il suo nome maledetto in un soffio rovente -  Die Höflichkeit öffnet alle Türen… >>

Non lo capiva. Non capiva quella lingua, eppure le sembrava che qualcosa di infinitamente caldo l’avviluppasse. Le tremavano così tanto le gambe che fu costretta a reggersi poggiando una mano su una sua spalla. Tentò di far forza, di allontanarlo da sé, ma ottenne l’effetto contrario.

 

Era sua, di nuovo e semplicemente sua, tra le sue braccia.

E tutto quello che lei possedeva era un mostruoso volere e non volere.

Voler non tanto il peccato, la perdizione, quanto l’incoerenza. Voler infrangere principi e promesse: avrebbe dato tutto il suo orgoglio di Gryffindor per una notte di piacere con lui [di amore mein Caroline di parole di amore per tutta una notte di amore], per giacere e soffocare tra le spire del serpente.

E non volere, non volere morire per una bugia, per una parola che si sarebbe persa nel vento, che lui non avrebbe più ricordato, che avrebbe sussurrato ad altre mille ragazze nel momento del piacere, per un nome che lui avrebbe confuso presto tra tanti altri cento.

Un nome che per una seconda volta, sarebbe stato gettato nel dimenticatoio, dalle persone che più amava.

Ma perché?

 

Perché Derek?

Perché Papà?

 

Perché?

Davvero. Perché?

 

 

 

Caroline, Mein Caroline

[Solo Rabbia E Confusione]

 

 

 

 

Aveva buttato il suo nome: lo aveva sepolto in una tomba. Ogni lettera, ogni suono, ogni diversa pronuncia

[ogni ricordo, ogni gesto, ogni diverso momento]

A dormire [marcire marcire e vermi rosa  e ossa bianche]per sempre sotto metri cubi di solido rancore.

E di desiderio, naturalmente.

Per essere libera, Caroline aveva dovuto imprigionare il suo desiderio di essere amata.

Perché per un desiderio che viene esaudito c’è sempre un prezzo che va pagato.

 

Ma non c’era, no, non c’era e mai ci sarebbe stato alcun prezzo per quei giorni di gloria trascorsi a ridere al vento e alla luce nella campagna, con l’erba alta ad accarezzare le gambe e i capelli odorosi di fiori e di ortica. Quei giorni in cui tutto era perfetto ed ogni cosa era al suo posto.

Era dove e come doveva essere.

[Una madre un padre una figlia un figlio]

E l’odore dell’uva matura: si beveva l’aria stessa come se fosse stata vino. E Caroline bambina non aveva mai bevuto il vino ma sapeva che se avesse avuto un sapore, sarebbe stato quello che sentiva scendere giù dal naso, colarle dentro ed ubriacarla.

Gli occhi lucidi, le labbra socchiuse, la gonna tirata sulle gambe, quella Caroline bambina ed ebbra di gioia con i capelli biondi di luce, persa nell’infinità verde del sottobosco, le orecchie tese a catturare suoni presenti.

E suoni futuri.

<< Caroline!>>

[Caroline mein Caroline]

E al suo voltarsi, un bagliore iridescente di luce, di frammenti di colori spezzettati e sparsi nelle punte dei suoi capelli, una macchina fotografica nelle belle mani del padre.

Il nome di lei sulla sua bocca.

Ancora una volta il suo nome per un inganno.

Odio le fotografie papà. Prometti di non farmene mai. Rubano l’anima quelle cose e non la ritornano.

Prometti papà.

Certo Caroline mein Caroline.

 

Quegli attimi ora sono morti. Perché non sono vivi. Sono intrappolati in vecchie fotografie polverose, a marcire in pesanti cornici, in case ricolme di morti che camminano.

Tanti morti e tanti specchi e tante ombre e tanti echi.

Sempre il suo nome, sulla bocca di chi ha amato.

Sempre un inganno.

 

Della confusione che Caroline aveva provato quel giorno, emblema era stato il mutismo in cui si era chiusa mentre tornavano a casa. Suo padre la guardava e continuava a ripetere Caroline [mein] Caroline perché [non mi baci] non mi parli? E Caroline gli aveva dato la sua mano ma non c’era l’accenno di un sorriso sulle sue labbra, né di una parola. C’era piuttosto il furore della rabbia alimentata dalla consapevolezza di essersi vista sottrarre la sua anima tramite il proprio nome.

Era stato un inganno subdolo, portato a termine da suo padre.

Eri troppo bella Caroline [mein Caroline] per non catturarti.

Il corpo sfiorisce, ma l’anima resta immortale.

[Eri troppo bella per non violarti mein Caroline]

 

Prometti che resterai sempre con noi papà.

Prometto.

Caroline, mia Caroline.

Prometto.

 

 

Edward Deverall Dalton non era stato un padre esemplare, come non lo era stata sua madre. Ma d’altro canto, nemmeno lei stessa era mai stata la figlia perfetta, quindi tutta quella fenomenale situazione, nella sua stasi, reggeva. O almeno aveva sempre retto fino a quando nella sua vita perfettamente imperfetta non era entrato lui.

 

Niente di speciale: un maschio come tanti altri. Probabilmente più bravo di tanti altri  sotto le lenzuola, ma questo a Caroline non importava.

Derek William Hansberger.

Cosa sapeva di lui? Che era uno Slytherin, e dunque un traditore, un voluttuoso, un amorale per eccellenza, che era l’amante di Glory e che anche la sua famiglia aveva qualche problema.

Evidentemente al giorno d’oggi doveva essere un problema molto in voga, vista la situazione delle famiglie degli studenti del suo anno.

Ma non era lì il problema.

Era bello. Alto, ben fatto, armonia nel suo corpo, una sensualità atroce nel suo volto.

Sulla sua bocca poi, Caroline avrebbe potuto spenderci tante, davvero tante parole.

Ma c’era quel serpente ricamato sul suo petto, e  non poteva fidarsi.

Non di un uomo che la chiamava per nome, con un tono che non avrebbe potuto ignorare nemmeno se lo avesse voluto, o se fosse stata sorda.

Un brivido violento e infido le attraversava la spina dorsale ogni singola volta: quelle lettere, dal basso della loro tomba, sembravano gettare echi violenti, bramosi come non mai di tornare in vita. Erano voci umane, non divine. Era una voce rocca, bassa, niente di chiaro o puro o limpido. Non c’era la luce di quei giorni lontani in cui lei era ancora la bambina dalle guance rosse per il troppo correre, ma piuttosto l’ombra degli alberi il giorno in cui suo padre, chiamandola per nome, le aveva rubato l’anima.

E il peso di una promessa.

Mai più Caroline.

Prometti.

 

 

 

 

 

Quando suo padre la chiama per nome, lascia che nella cadenza e nell’intonazione scivoli l’amore che prova per lei. C’è un che di mitezza, di candore, di appartenenza, di affetto. Di passione sbiadita. È come un abbraccio, come una carezza sulla guancia fatta da mani lontane.

Ma quando lo fa Derek  invece, il tono di base si rivelava ostinatamente troppo simile a quello che suo padre utilizzava in quel giorni ormai così lontani, che utilizzò in quel pomeriggio inoltrato, nel bosco. Scivolano sulla sua lingua e fioriscono sulle sue labbra lettere che suonano colme di presagio, di verità, di un desiderio a fatica trattenuto. È come se i colori bruciati di quelle fotografie dimenticate tornassero ad un tratto vividi, fortissimi, pronti ad attaccarla e a renderla ancora ebbra, come se la forzassero a bere ancora quell’aria di vino e spingessero il vento a sollevarle la gonna.

Tutto troppo potente. Quella sensazione di libertà mista all’erotismo della natura.

Tutto troppo chiaro per gli occhi inesperti di una bambina, ma troppo, troppo confuso per un’anima rubata di adolescente.

 

Verrà e si prenderà di nuovo la mia anima verrà e lo farà chiamandomi e dirà Caroline mein Caroline voltati e guardami e amami e donami la tua anima Caroline Caroline Caroline

 

 

 

 

 

 

 

 

· Epilogo ·

 

 

 

 

<< Sai cosa significa Caroline? >>

Non era successo niente. Nella vita, un uomo e una donna quando arrivano al limite non possono che scendere a dei compromessi.

Con loro stessi prima che con gli altri.

<< È tedesco – il mistero della sua bocca perfetta intenta a pronunciare il suo nome così prezioso così sporco così perfetto - . La radice è la stessa di Karl. >>

Si voltò verso di lei.

I suoi occhi fiammeggiavano di un desiderio troppo grande, di una richiesta che lei non poteva accogliere, di una constatazione che l’avrebbe irrimediabilmente spezzata.

Che l’avrebbe cambiata.

<< Significa “libera”. >>

 

 

 

 Fine

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

La traduzione della frase in tedesco è “La gentilezza apre tutte le porte”

 

 

Oh, beh.

Non mi aspettavo il primo posto. Quindi devo ringraziare ancora e ancora tutte le 29 persone che hanno votato questa shot.

E tutte le L&L.

 

Artemisia

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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