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Autore: Tury    29/06/2013    2 recensioni
Silenzio nell’aula. Tutti sono in attesa delle fatidiche parole, gli sguardi trepidanti. Sembra quasi che il tempo si sia fermato, come se in fondo questo presente non fosse nemmeno il nostro. Semplici spettatori della nostra semplice vita. Perché, in fondo, questa vita non è altro che semplice essenza.
Genere: Introspettivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Silenzio nell’aula. Tutti sono in attesa delle fatidiche parole, gli sguardi trepidanti. Sembra quasi che il tempo si sia fermato, come se in fondo questo presente non fosse nemmeno il nostro. Semplici spettatori della nostra semplice vita. Perché, in fondo, questa vita non è altro che semplice essenza. Siamo noi, noi uomini a complicarla, con le nostre congetture, le nostre leggi intoccabili, le nostre radicate credenze. Ci nascondiamo dietro specchi apparentemente intangibili, convincendoci che ciò che vediamo riflesso sia la realtà. Semplicemente dimentichi che ciò che per noi è destra nello specchio diventa sinistra. Ma infondo, va bene così.
Il giudice mi guarda, puntando i suoi occhi nei miei. Vedo le sue labbra muoversi e potrei anche fare a meno di ascoltare il suono prodotto da quelle labbra, tanto già conosco la risposta.

Signore, la dichiaro colpevole.

Un sorriso sfugge al mio controllo e va a baciare le mie labbra. Sicuramente mi staranno dando del pazzo, i miei avvocati già staranno pensando di ricorrere alla perizia psichiatrica. Ma non è questo il mio scopo, io non voglio fuggire dalle mie responsabilità. Semplicemente, voglio solo descrivere cosa io vedo nello specchio.

Signor giudice, non potrei trovar verdetto più giusto. Non nego che sia stato io ad uccidere quell’uomo né rifiuto la condanna da lei assegnatami. Chiedo solo di poter rubare qualche minuto del suo tempo e del tempo dei qui presenti spettatori. Non importa se per questo furto dovrò scontare un’ulteriore pena, sarò bene felice di farlo. Mi permetta, però, di proferire queste mie ultime parole, di fare buon uso di questo tempo rubato. Di descriverle la verità dello specchio. Perché sì, signor giudice e signori spettatori, io ho ucciso un uomo ma chi, tra di voi, non si è macchiato dello stesso crimine? No, non agitatevi signori, io non sto accusando nessuno di voi né mai potrei, dal momento che sì, io sono colpevole. E non fraintendete le parole di questo pover’uomo, ma permettetegli di giungere alla fine del suo discorso. Dicevo, signor giudice, che del crimine io sono il colpevole, le mie mani sono ancora sporche di sangue. Ma, signori miei, quanti assassini circolano là fuori e nessun processo è stato fatto loro. Anzi, molti di questi son persone così ligie e pulite che sarebbe da pazzi, da folli accusarli di una tale atrocità. Eppure, signori, posso assicurarvi che molti di loro sono assassini anche peggiori di me. Ma per comprendere meglio questo mio discorso, c’è bisogno che io spieghi cosa lo specchio riflette o meglio mostra. Tutti noi siamo abituati ad associare alla parola omicidio la parola morte. Accostamento più giusto non potrebbe esserci signori miei e non son qui per cambiare leggi che da sempre vivono. Solo, vi chiedo, di qual morte si parla? Vedo i vostri sguardi perplessi cercare una sicurezza o un sostegno nel suo vicino. Sì, lo so, starete pensando che io son pazzo e forse è vero. Ma la verità, signori miei, è che di questa vita noi abbiamo perso il senso. Siamo diventate creature così materiali da dimenticarci che noi non siamo fatti solo di carne ed ossa. Ogni cosa, oggi, è oggetto di giudizio, di valutazione. Anche la stessa vita. E mettiamo sul piatto della bilancia il corpo dell’assassinato e gli anni da far scontare all’assassino. Mi chiedo, però, quale bilancia usiate quando a morire è l’anima. Sì, signori, inutile che mi guardiate con quegli occhi, poco importa se sosteniate di esser religiosi o atei o agnostici, non si può negare che c’è qualcosa che trascende la semplice materia. Non importa che crediate in una vita ultraterrena o meno, quello di cui vi parlo sono le emozioni e i sentimenti delle persone, le cellule dell’anima. Quante volte, signori, abbiamo ucciso una persona senza rendercene conto. Con la nostra lingua e le nostre parole, quante torture abbiamo applicato. Semplicemente, non ce ne siamo mai resi conto, perché in fondo un’anima non sanguina. Non una goccia di sangue a macchiare le nostre mani o le nostre vesti, non un singolo brandello di carne da analizzare per risalire alla causa della morte. Perché l’anima non ha forma e non ha sostanza. Ed è proprio perché questi occhi non sanno riconoscere le ferite impresse ad un’anima che noi viviamo con l’assoluta convinzione di esser innocenti. Ma io no signori, io oggi sono qui dinanzi a voi, per dichiararmi colpevole sì, ma di morte materiale. Ma adesso, chi condannerà voi per i vostri omicidi dell’anima. Il tempo a mia disposizione è finito, signori cari. Non ho altro da dirvi. Vorrei, però, che voi seguiste l’invito di questo povero uomo, perché il momento del vostro processo non è ancora arrivato. E dunque, uscite fuori da quest’aula e donate affetto sincero, ricucite le ferite delle anime che avete offeso perché, anche se meno visibili, sono le più dolorose. E pesate con cura le parole da proferire, perché uccidere un’anima è molto più semplice che uccidere un corpo.
  
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