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Autore: Jules_Black    29/06/2013    2 recensioni
[Principio fondamentale dell'elettrostatica: due cariche di specie opposta si attraggono, due cariche della stessa specie si respingono.]
"– Dimenticavo che tu hai già gustato le grazie di Javier – sospirò Jason, frenando davanti al semaforo.
– Vorrà dire che oltre all’infanzia, all’adolescenza, alle felpe e ai libri, condivideremo anche un ragazzo. Non mi sembra tanto grave, Jason.
– Domenica mattina sarai mia. Parleremo della riuscita del piano.
– Sono già tua – mormorò la ragazza, mentre l’auto accelerava.
– Hai detto qualcosa?
– Nulla, Jason. Nulla di importante."
Genere: Commedia, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Faraday's well.
Musica: http://www.youtube.com/watch?v=v9svxE49Ngs

 
[Principio fondamentale dell'elettrostatica: due cariche di specie opposta si attraggono, due cariche della stessa specie si respingono.]
 
 
– Lucy, te lo rispiego... Il pozzo di Faraday dimostra come, quando si elettrizza un solido, le cariche si concentrino tutte sulla sua superficie e non al suo interno. Esattamente per questo motivo, durante un temporale, il posto più sicuro è all'interno dell'auto. L'auto si comporta come un pozzo di Faraday, una gabbia di Faraday, chiamalo come vuoi.
– E quindi, niente cariche positive o negative dentro?
Meg sospirò, mescolando i fondi del caffè rimasti nella tazza, quasi annoiata.
– No, per la centesima volta. No.
– Dio, quanto sei spocchiosa - si lamentò Lucy, buttando all'aria qualche foglio pieno di calcoli.
– La verità è che voi non siete abituate a convivere con le leggi della fisica e della matematica – sbuffò Meg, risistemando i fogli volati via con metodica precisione.
– Perché, tu cosa fai esattamente? – la redarguì Beth, squadrandola con astio e riprendendo a dimostrare su un foglietto volante il teorema di Gauss.
– Io interpreto. Prendete il pozzo di Faraday... Non è un'interessante allegoria della condizione umana? Fuori mostra ciò che non ha, che non è. Dentro, il vuoto – proseguì, quasi spiritata, Meg, alzandosi per raggiungere la finestra; il sole stava sprofondando lentamente nel mare.
– Tu sei pazza – mormorò Lucy e si passò una mano tra i capelli, disperata. Profonde occhiaie scure le marcavano il viso.
– E vogliamo parlare del campo elettrico generato da un condensatore a due armature?
– Illuminaci, ti prego – sbuffò Beth.
– Abbiamo un'armatura positiva e una negativa. Il campo elettrico fuori è nullo e, all'interno del condensatore, è doppio e si concentra sulla piastra negativa. Alcune persone sono fatte così: fuori si annullano, eppure muoiono. Muoiono dentro – sospirò Meg, cercando nella tasca della felpa una sigaretta da fumare per filosofeggiare meglio.
– Ripeto, hai seri problemi – affermò Lucy; prese poi un libro di matematica e lo sfogliò affranta - Non ci sono integrali indefiniti da studiare, vero?
– No, per sfortuna – si lamentò Meg, la ragazza dai capelli rossi.
– L'accendino è sul tavolo della cucina – le spiegò Beth, osservandola mentre metteva a soqquadro il tavolo straripante di libri dall'altra parte della stanza - Inutile che ti preghi di non fumare.
– Sono una matematica psicopatica innamorata di un omosessuale, avrò pur il diritto di fumare! – sbottò l'altra, recandosi verso la cucina per prendere il provvidenziale strumento.
– Non iniziare a fare la tragica – le urlò dietro Lucy, scuotendo la testa quando scomparve nel corridoio.
– E' impazzita – mormorò Beth, con voce bassa, per non farsi sentire.
– La storia di Jason e di Javier l'ha fatta deviare dalla retta via...
– Eppure, da lui non mi sarei mai aspettata una cosa del gen-...
– Non ti saresti mai aspettata che il più figo della scuola nonché scopatore supremo decidesse di recarsi al ballo nefasto con l'uomo di cui io – e sottolineò per bene il pronome – sono innamorata?
Beth e Lucy sussultarono quando Meg entrò nella stanza, con una faccia che la diceva lunga sul grado di tristezza che in quel momento possedeva.
– Andiamo, Margaret – la riprese Beth, nervosa – L'avevano capito tutti, tutti, che Jason fosse omosessuale!
Meg le lanciò uno sguardo carico di astio.
– Tutti tranne me, evidentemente – sottolineò lei, recandosi di nuovo accanto alla finestra per scrutare il mare.
– Sei davvero la tipica ragazza provinciale che si innamora del suo migliore amico? – sibilò, ironica, Lucy, facendo pressione su uno dei punti deboli di Meg.
– Dio, sì. Sono un'aspirante medico legale che sta tentando di entrare a Yale innamorata del proprio migliore amico. Problemi?
– Molti – troncò il discorso Beth – Piuttosto, vieni qui e spiegami un po' questa caduta di tensione. Senza filosofeggiare, possibilmente. In cambio giuro di farti capire ogni singola sfumatura di T. S. Eliot.
– E' una sottospecie di contratto? – ridacchiò Meg, avvicinandosi al tavolo dove le altre due ragazze erano sedute. Lucy accese l'unica lampada della stanza, dal momento che solo gli ultimi raggi di sole ormai filtravano.
– E' una seduta di psicoanalisi, direi io – proseguì Beth, sfogliando la raccolta "The waste land" con una certa apprensione.
– "Who is the third who walks always beside you?/ When I count, there are only you and I together/ But when I look ahead up the white road/ There is always another one walking beside you (*)"– citò a memoria Meg , con tono piatto eppure fermo.
– Bene, dopo aver fatto sfoggio delle tue capacità mnemoniche, vogliamo passare all'interpretazione del simbolismo di Eliot?
Lo squillo di un telefono troncò di netto la domanda di Beth. Meg si sporse per leggere il numero sul display del proprio cellulare.
– Jason – disse semplicemente, con un lugubre tono di voce, a metà tra un rantolo e un sospiro.
– Rispondi, no? – la incalzò Lucy, sgarbata. Meg la guardò di sbieco, ma premette comunque il tasto verde sul display.
– Ehi, J. – mormorò nell’apparecchio, quasi triste. Rimase in silenzio, ascoltando le parole dell’altro – Sono a casa di Beth. Non so, forse resto.
– Quante balle inventa? – mormorò Beth, rivolta a Lucy. Quest’ultima alzò le spalle, ritornando ad ascoltare la conversazione.
– Certo che ho saputo! Sono felicissima per te – mentì Meg; riuscì a stento a trattenere un tremito mentre pronunciava quelle parole. Beth le passò una mano sul braccio in segno di conforto, per rassicurarla.
– Che stronzo – ringhiò tra i denti Lucy, da anni ferma sostenitrice del fatto che Jason fosse perfettamente a conoscenza dei sentimenti di Meg. La ragazza dai capelli rossi captò il commento e le rivolse un’occhiata carica di astio.
– Guarda, se vuoi puoi passarmi a prendere tra una mezz’ora – concordò infine Meg, mentre una smorfia superba si disegnava sul suo viso tondo. Lucy strabuzzò gli occhi, del tutto sorpresa da quella decisione.
– Folle – commentò Beth e riprese a scrivere su uno dei tanti fogli, ormai poco interessata alla conversazione. Meg ridacchiò nell’apparecchio.
– Certo J., possiamo andare dove vuoi – concordò, con una risata che sembrava molto più isterica piuttosto che spontanea. Le due amiche si scambiarono uno sguardo disperato.
– Fai quasi pena, Meg – sentenziò Beth, a voce piuttosto alta, cosicché persino Jason potesse sentirla. La ragazza riattaccò, innervosita.
– Allora – esordì, rivolta alle amiche di sempre – avete appena superato il limite.
Beth sorrise di sbieco e poi parlò.
– Credo che tu l’abbia superato, Meg. Sei innamorata da tempo immemore del tuo migliore amico gay: sei il remake sfigato di una commedia americana. E’ ora di cambiare, che ne dici? Nemmeno tu puoi sbagliare così tanto.
***
– Ancora non ci credo – esordì Jason, quando Meg aprì lo sportello della vecchia Ford blu della madre dell’amico. La ragazza sorrise, estasiata.
– Al fatto che io sia qui e abbia rinunciato a un super ripasso di matematica o al fatto che è quasi statisticamente certo che sabato sera avrai un rapporto sessuale entusiasmante con Javier?
Jason ridacchiò.
– Opto per la seconda, Miss Meg. Mi fa un rapido calcolo delle probabilità?
– 4 possibilità su 5 di scopartelo – asserì, sicura, la ragazza.
–  Il che equivale a…?
– 80% di riuscita dell’operazione – rispose lei, dopo qualche istante di silenzio per eseguire il calcolo.
– Percentuale altissima, Miss Meg. Proposte per innalzare il livello del mio sex appeal? – domandò Jason, osservando il proprio riflesso nello specchietto retrovisore. Meg emise un lugubre suono.
– Mr. J., ahimè, il suo sex appeal rimarrà ai minimi storici ancora per un po’ – rispose la ragazza, allungando le gambe sul cruscotto così come era solita fare.
– Il Generale Madre le ricorda di pulire dopo essersi stravaccata nella sua auto – sbuffò Jason, osservando i piedi di Meg premuti contro il cruscotto. La ragazza alzò gli occhi al cielo e frugò di nuovo nella tasca della felpa per recuperare un’altra sigaretta.
– Non è divertente da parte di tua madre ricordarmelo ogni singolo giorno – sbuffò, cercando un accendino di fortuna nel porta-oggetti della macchina.
– Oppure potresti iniziare a lavare la suola delle scarpe – mormorò Jason, guidando distrattamente verso il centro commerciale della piccola cittadina statunitense.
– Oppure potresti iniziare a pensare a come sedurre Javier; è piuttosto scontroso e burbero, quando vuole – spiegò Meg; voltò lo sguardo verso il finestrino, là dove il mare si scorgeva appena.
– Dimenticavo che tu hai già gustato le grazie di Javier – sospirò Jason, frenando davanti al semaforo.
– Vorrà dire che oltre all’infanzia, all’adolescenza, alle felpe e ai libri, condivideremo anche un ragazzo. Non mi sembra tanto grave, Jason.
– Domenica mattina sarai mia. Parleremo della riuscita del piano.
– Sono già tua – mormorò la ragazza, mentre l’auto accelerava.
– Hai detto qualcosa?
– Nulla, Jason. Nulla di importante.
***
– Senti, la cravatta color cachi è tremenda! Secondo il mio modestissimo parere, hai due alternative: o prendi quella rossa o ce ne andiamo a casa tua e ci spariamo un film! – sbottò Meg; Jason, fermo davanti allo specchio del camerino, cercava di capire quale colore di addicesse alla giacca che aveva intenzione di comprare.
– Sicura che la rossa sia perfetta?
– Sì, sicurissima.
– Sicura quanto?
– Sicura così come sono sicura che due più due faccia quattro.
– Il Grande Fratello dice che fa cinque. (**)
– Il Grande Fratello ha detto stronzate per tutto il romanzo. Hai trenta secondi per decidere.
Jason chiuse gli occhi e inspirò.
– La prendo.
– Se fossi cristiana, adesso starei ringraziando il mio Dio. Peccato che sono gloriosamente atea – rispose Meg, con un’intonazione più acida del dovuto.
– Adesso non ricominciare con le tue lezioni di teologia – sbottò Jason, mentre si avvicinava alla cassa per pagare la cravatta. Le rivolse un ultimo sguardo innervosito prima di rivolgersi al cassiere. Meg incrociò le braccia al petto e si spostò verso l’uscita, adocchiando con una certa ira gli scintillanti abiti che facevano bella mostra di sé sui manichini.
– Jason… – lo richiamò lei dopo che ebbe finito di pagare e gli indicò un abitino azzurro – E se domani sera indossassi qualcosa del genere?
– Non volevi mettere quel vestito color crema che ti sta troppo bene?
Meg sospirò, affranta.
– Volevo, beh… Cambiare – rivelò, imbarazzata. Jason le si avvicinò e le scompigliò i capelli, per poi posarle un lieve bacio sulla guancia.
– Quel vestito è fantastico, e tu lo sei di più – sussurrò, prima di farle dondolare le chiavi dell’auto sotto il naso decretando che era ora di andare.
***
Meg guardava fuori dal finestrino con aria affranta.
– Pensierosa, mia lady? – le domandò Jason, voltandosi per osservarla mentre fingeva che andasse tutto bene. Meg gli rivolse un sorriso stanco.
– Mai stata meglio di così – dichiarò, per poi mordersi il labbro inferiore come se avesse appena detto una bugia.
– Non mi pare, hai una faccia che la dice lunga.
– Tu cosa faresti… – iniziò a domandare Meg, per poi fermarsi di colpo.
– Cosa…?
­– Cosa faresti se a un certo punto ti rendessi conto che le cose non sono andate esattamente come avevi previsto? Cosa faresti se la tua vita assumesse a un certo punto una piega del tutto inaspettata?
– Stai parlando tipo delle infinite possibilità di Kierkegaard? No, perché quelle non le ho proprio capite…
Meg sospirò pesantemente.
– Era un discorso un po’ diverso, il mio – cercò di spiegare Meg, tamburellando con le dita sul ginocchio.
– Oggi filosofeggi troppo.
– Cosa faresti se all’improvviso questa strada e quest’automobile sparissero, se tutte le tue certezze venissero spinte nel baratro? Se, di notte, ti rendessi conto del fatto che le stelle sono sparite; in quel caso, cosa faresti?
– Meg, stai vaneggiando. Se questa strada adesso sparisse, non mi preoccuperei. Ho te.
– Non ti basterei.
– Sai creare ossigeno dall’acqua. Mi basteresti.
– L’elettrolisi dell’acqua non è così complessa. Due semireazioni, riduzione e ossidazione, un po’ di potenziale elettrico… Saprebbe farla chiunque.
– Andiamo, Meg. Era una maniera quasi matematica per dirti che ho bisogno di te – si lamentò Jason, alzando gli occhi al cielo.
– Lo sai che ho gravi difficoltà nella comprensione dei sentimenti – sbuffò lei, passandosi una mano tra i capelli.
– Eppure hai smerdato l’equazione di Drake (***) in quattro parole davanti a quella visionaria della professoressa Stuart.
– Le migliori leggi matematiche della storia non possono essere così facili.
– Anche l’equazione di Einstein (****) presenta una proporzionalità diretta pari a quella di Drake.
– E’ una proporzionalità quadratica, quella.
– Comunque siamo arrivati – disse infine Jason, indicando la sua villetta azzurra sul lato destro della strada. Meg scese dall’auto con una sorta di terrore che le si agitava nello stomaco. Ignorò lo squillo di un messaggio e si avvicinò a Jason che stava cercando le chiavi sotto lo zerbino.
– La probabilità matematica che qualcuno ti fotta quelle chiavi è pari quasi al 100% - ridacchiò Meg, che non aveva mai apprezzato quella strana abitudine. Jason scrollò le spalle e infilò le chiavi nella serratura.
– Solo tu sai dove le nascondo, quindi…
Meg entrò in casa, respirando l’odore familiare che amava. La madre di Jason evidentemente doveva essere a casa del suo nuovo compagno considerando che dalla cucina non arrivavano rumore di nessun tipo.
– So a cosa stai pensando. Niente budino stasera. Mamma è da Max per rivedere gli ultimi dettagli del matrimonio.
Meg ridacchiò e si avviò verso il salotto.
– Devo comprare ancora un vestito per la cerimonia – sospirò, lasciandosi cadere sul divano di pelle nera. Jason apparve sulla soglia del salotto poco dopo.
– Vieni nuda, no?
Meg si sentì avvampare, tanto che, per tutta risposta, fece solo un sorriso tirato.
– Ti senti bene? – le ripeté Jason, pescando dalla tasca il cellulare. Compose rapidamente il numero di una pizzeria – Pomodorini, mozzarella e rucola, no?
Meg annuì, cercando il telecomando, senza tuttavia trovarlo. Jason stava parlando al telefono in maniera concitata. Quando ebbe riattaccato, lei lo aspettava stravaccata sul divano.
– ‘Sto tizio diventa sempre più sordo, cazzo – sbuffò il ragazzo, sedendosi accanto a lei. Meg si ritrasse impercettibilmente.
– Che fai, ti allontani? – le domandò, scioccato, Jason, il quale aveva notato il movimento sospetto.
– No, sai… Ehm…
– Meg, sei strana. Cosa c’è che non va?
Meg alzò gli occhi verdi su quelli limpidi dei Jason. E arrossì.
– Sei andata a letto con qualcuno di strambo?
– No.
– Hai appena capito come coniugare le teorie della relatività generale a quelle della fisica quantistica?
– No.
– Sei… Incinta?
– Ma direi proprio di no.
– E allora cosa diavolo passa per la tua testolina matta?
Meg si morse il labbro inferiore per una frazione di secondo, poi fece un respiro profondo.
– Sono innamorata di te, Jason.
L’aria nella stanza divenne pesante. Meg osservò il suo migliore amico impallidire; gli tremava il labbro inferiore.

How I wish I could choose
between Heaven and Hell.
How I wish I would save my soul.
I’m so cold from fear.

– Io non intedevo…
Meg si diede mentalmente della stupida, prima di alzarsi di scatto pronta a scappare via. Jason la prese per il polso.
– Non scappare.
– Non mi pare il caso di restare qui.
Jason inclinò appena la testa e si avvicinò alle sue labbra. Meg respirò e il tempo nella stanza sembrò essersi fermato. Poi, contravvenendo a qualsiasi legge della fisica e della matematica, Jason la baciò. Meg rimase interdetta, prima di rispondere al bacio con la dovuta intensità.
– Perché lo stai facendo? – domandò, quando lui scese a baciarle il collo.
– Perché mi sembra giusto – fu l’unica risposta di Jason. Meg arpionò le mani alla sua schiena e all’improvviso il confine tra giusto e sbagliato le sembrò molto meno marcato. E sentì le mani di Jason sul suo corpo, e la sua maglia rossa che scivolava via, e poi emozioni che la fecero tremare dentro. Sentì che tutto il suo universo era imploso per concentrarsi di nuovo in un unico punto dove Jason era tutto. Era ovunque.
Meg chiuse gli occhi, perché qualcosa tra loro si era appena spezzato.

Instead I’ve found no meaning.

***
– E’ stata un’idiota -  sibilò Beth, squadrando Meg mentre scendeva dall’auto presa in prestito dal padre nel suo nuovo vestito azzurro. Lucy, accanto a Beth, annuì.
– Perché ci è andata a letto, perché? – ripeté Lucy mentre Meg si avvicinava con una faccia da funerale e tante lacrime represse che le inumidivano gli occhi.
– Ti ho sentito, sai? Perché lo amo.
Lucy sbuffò, spazientita.
– Tu ami un sacco di cose, Meg. Ami tutti i teoremi di questi mondo, ami i film strappalacrime, ami mettere il limone sulle patatine fritte, leggere libri dai titoli improponibili, guardare i film dell’orrore per poi non dormire per sette notti di fila. Ami un sacco di cose strane.
Meg passò un piede fasciato dalle stringhe di un paio di sandali sul selciato coperto di ghiaia. Poi alzò la testa per squadrare la folla che si accalcava davanti all’entrata della palestra della scuola, una folla luccicante e scintillante. Non riusciva a distinguere Jason, anzi, non sapeva nemmeno se fosse arrivato.
–  Se lo stai cercando, è appena arrivato – le fece notare Beth, indicandole l’auto rossa tirata a lucido di Javier che oltrepassava il cancello. Meg riuscì a scorgere appena la figura di Jason, seduto accanto a Javier. Si riassettò la stola, nervosamente.
– Non hai un pisello, è inutile che ti impegni tanto – sbuffò Beth, alzando gli occhi al cielo. Meg le lanciò un’occhiata in tralice.
– Com’è che ci si comporta in questi casi, comunque? – sibilò Meg tra i denti, voltando le spalle all’auto rossa con fare sostenuto.
– Senti, Meg… Magari siamo state dure con te negli ultimi due giorni…
Beth annuì, contrita.
– Però – proseguì Lucy, seria – non puoi pensare che Jason diventerà il tuo ragazzo dall’oggi al domani?
– Abbiamo fatto l’amore – ricordò loro Meg, teneramente. Qualche secondo dopo, vide Jason avvicinarsi all’ingresso sottobraccio a Javier.
– Meg, siete andati a letto insieme. Tutto qui. L’avrà fatto per pietà – ipotizzò Lucy, mentre seguiva con lo sguardo il tipo del corso di biochimica che le piaceva. Meg sospirò.
– Il fatto che tu abbia perfettamente ragione, mi deprime. Forse avrei dovuto accettare l’invito di Cooper…
– Chi, il tipo del penultimo anno? – domandò Beth, allibita.
– Sì, quello che frequenta il corso di storia con tua sorella – intervenne Lucy, che era una macchina da pettegolezzo.
– Q-quel Cooper? – boccheggiò Beth, incredula.
– Il giocatore della squadra di pallanuoto, sì – rispose Meg, lontana anni-luce da quel discorso. Beth sbiancò.
– Cooper ti invita al ballo e tu rifiuti? – strillò l’amica, come se Meg avesse appena commesso un delitto capitale. La ragazza fece spallucce e continuò a scrutare l’ingresso della palestra.
– Proporrei di entrare – decise infine Lucy, ponendo fine alla discussione. Meg si avviò sul vialetto principale che per l’occasione era stato addobbato con nastri e luci. Beth, poco dietro di lei, ancora incredula, blaterava su Cooper.
– E comunque questa scuola fa schifo – sibilò Meg, entrando in palestra e guardando le decorazioni pacchiane con un senso crescente di repulsione.
– Il punch è maleodorante – constatò Lucy, avvicinandosi al tavolo delle bevande e trattenendo il respiro.
– Anche James sembra essere maleodorante – assentì Beth, indicando il suo compagno del corso di letteratura inglese avanzata pochi metri più in là.
– James non si è mai lavato – ridacchiò Meg, forse più allegra. Squadrò la sala in cerca di Jason, senza tuttavia trovarlo.
– In ogni caso, è davvero triste essere qui da sole – sospirò Beth, che pure non aveva mai tenuto in grande considerazione i cliché della società. Lucy sbuffò.
– Hai detto di no a quattro ragazzi differenti, Beth. Non penso tu sia nella posizione di commentare – le ricordò la ragazza dai capelli neri, avvicinandosi a delle tartine dall’aria strana.
– Continuate pure a infierire sui miei sentimenti – mugugnò Meg, imbronciandosi. Beth sospirò, affranta.
– Lo ami – ripeté Beth per l’ennesima volta.
– E non potrai mai averlo – continuò Lucy. Meg annuì, continuando a guardare la palestra riempirsi di persone felici.
***
– Ehi.
Meg alzò gli occhi dal pavimento polveroso della palestra per ritrovarsi faccia a faccia con Jason. Intorno a lei coppie felici ballavano un lento strappalacrime.
– Ehi.
– Lucy e Beth dove sono? – le domandò Jason, appoggiandosi come lei al muro.
­– Lucy sarà da qualche parte a pomiciare in giardino, Beth in bagno a smacchiarsi il vestito – rispose Meg, appena udibile.
­– Alla fine hai comprato il vestito azzuro.
– Già.
– Io, ecco… – iniziò Jason, passandosi una mano tra i capelli.
– Ti ricordi quella notte di metà aprile quando decidemmo di voler vivere sugli alberi? – lo interruppe Meg, riesumando ricordi vecchi di dieci anni. Jason scoppiò a ridere.
– Dormimmo nella vecchia casa sull’albero – ricordò lui, osservando le luci produrre strani effetti sul pavimento.
–  Mi hai tenuto stretta per tutta la notte perché avevo paura.
–  Tremavi, Meg. Mi sono sentito in dovere di proteggerti.
Meg sospirò, affranta.
–  E ti ricordi la notte passata a New York in quella camera d’albero puzzolente di formaggio? – ridacchiò Meg, rievocando un vecchio viaggio d’istruzione.
– Abbiamo giocato a carte fino a che ora… Le quattro?
– Fino a quando Leah non ha deciso di sfondare il letto del terzo piano – sentenziò Meg, passandosi una mano tra i capelli.
– Almeno fino a quando Emily non ha avuto quella crisi di nervi e non ti ha picchiato – la corresse Jason, sempre meno in imbarazzo.
– Ah, ecco. Per fortuna che c’eri tu a difendermi!
– Ma dai, che quella squinternata stava per picchiare anche me! – esclamò il ragazzo, dandole una pacca amichevole sulla spalla nuda. Meg rabbrividì impercettibilmente, ma Jason non tolse la mano e la accarezzò lievemente. Meg questa volta tremò visibilmente.
– Jason – lo rimproverò, con voce roca. Il ragazzo tolse la mano dalla sua spalla nuda.
– Javier mi ha baciato.
– Molto bene.
– Io e te, ecco…
Meg sospirò, ma poi sorrise in maniera quasi devastante e il cuore di Jason mancò un battito.
– Solo amici, ok? – domandò retoricamente la ragazza, prima di scappare via, sulla pista da ballo, tra la folla.

How I wish I could walk
through the doors of my mind.
Hold memory close at hand,
help me understand the year.

***
Meg si sedette sul bordo della fontana, mentre osservava l’acqua zampillare con cadenza regolare. Passò una mano sulla pietra fredda e scura e poi osservò la palestra ancora illuminata da luci colorate. Osservò le coppie uscire per appartarsi, sorridenti. Osservò le proprie lacrime cadere sulle sue stesse mani, una dopo l’altra.
– Perdonami.
La voce di Jason la colpì all’improvviso, mentre ancora quelle lacrime stavano cadendo. Si voltò, senza nemmeno asciugarle.
– Sono stato un cretino, Margaret Grey. Un cretino con la C e la R e tutte le lettere maiuscole. Non amo Javier. Non posso amare Javier. Meg, io sono inamorato di te.
Il respiro le si mozzò in gola.
– Non farmi ridere, Jason.
– Cazzo, Meg. Ti sto dicendo che ti amo e tu fai la sarcastica?
– Te lo sei ricordato dopo avermi detto di essere gay.
– Bisessuale, ecco.
Meg impallidì.
– A me le notizie arrivano sempre a metà – sbuffò, facendogli posto sul bordo della fontana.
– Non avrei fatto l’amore con te, ieri.
Meg si appoggiò alla sua spalla.
– Non stai mentendo?
– No. Non potrei mai. Che ne dici, torniamo a casa?
Jason si alzò e le tese una mano. Meg la afferrò per poi alzarsi e guardarlo negli occhi. Si piegò per baciarlo sulle labbra con dolcezza.
– Esiste un’equazione per descrivere la felicità?
– Forse dovrei andare a dirlo a Javier – sbuffò Jason, accarezzandole una guancia.
– Mmm, dovresti – ridacchiò Meg, mentre lui si liberava dalla stretta controvoglia.
– Un ultimo bacio, Miss Grey?
Meg sorrise e si avvicinò di nuovo, baciandolo per l’ultima volta.
***
Il mattino successivo l’unica notizia che i giornali locali riportavano era quella della morte a causa di un incidente stradale di Jason Ross.
Meg rimase a fissare la pioggia che cadeva con velocità decrescente.
Rimase a fissarla.
 
 
 
 
 
 
(*) T. S. Eliot, The waste land - part V, What the thunder said: " Chi è il terzo che sempre ti cammina accanto?/  Se conto, siamo soltanto tu ed io insieme/  Ma quando guardo innanzi a me lungo la strada bianca/  C'è sempre un altro che ti cammina accanto."
(**) “1984” di Orwell, of course.
(***) Non so, l’equazione di Drake dovrebbe essere una figata per calcolare la possibilità di vita extraterrestre. In realtà è un’accozzaglia di fattori tutti legati da proporzionalità diretta che secondo me dicono poco. Cioè, è ovvio che più stelle si creano, più pianeti si creano, più le condizioni su questi pianeti sono favorevoli alla vita, più possibilità ci sono per la nascita della vita stessa. Opinioni personali.
(****) E= mc2; adoro la relatività ristretta.

   
 
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