Visto che oggi è il compleanno del protagonista delle mie storie, ho pensato di regalarvi un aggiornamento extra...Questo capitolo è un pò particolare, le cose si complicano, ma vi assicuro che c'è una ragione. E poi siamo quasi in dirittura d'arrivo, mancano solo tre capitoli! Grazie alle mie commentatrici e ai lettori silenti! Buona lettura!
Nonostante si fosse resa conto di tenere ancora ad Orlando e di amarlo
come il primo giorno, Victoria non volle affrettare le cose.
Approfittò delle vacanze dei ragazzi col padre per stare in
famiglia, con sua madre, il fratello Robbie, la cognata ed il nipote.
In seguito, appena Emma e Joy tornarono dal viaggio in Italia con
Orlando, li portò in Provenza, per stare con Amy e la sua
famiglia. Cercò di sfruttare appieno il tempo che aveva coi
ragazzi, e di riflettere sulla sua situazione col marito. Anche se il
divorzio era ormai una formalità, Orlando era sempre suo
marito e lo sarebbe sempre stato. Voleva con tutto il cuore ricucire il
rapporto con lui, ma non sapeva come fare. Si sentiva impacciata come
una ragazzina alla prima cotta; ed era paradossale che dopo tutto
quello che avevano condiviso, fosse diventato così difficile
parlarsi. Certo, avevano dei rapporti civili, lui era sempre
disponibile e puntuale rispetto ai ragazzi, ma di loro due non avevano
più parlato, dopo quella breve conversazione sul divorzio. E
continuavano a ronzarle in testa le parole di David e, soprattutto,
quanto le aveva detto Orlando quel giorno al centro.
Si sforzava di mostrarsi serena, ma Amy la conosceva troppo bene. Una
mattina, mentre i ragazzi erano con Jacques e Maggie a fare una
passeggiata sul lungomare, lei e Vicky erano rimaste sotto
l’ombrellone a leggere, ed Amy colse l’occasione
per testare il terreno.
“Va tutto bene? Mi sembri pensierosa…”-
esordì, richiudendo il suo libro.
“No…sto bene…non si vede?”-
rispose.
“E’ da quando sei arrivata che ti vedo
strana…sei preoccupata per qualcosa?”- riprese.
“No, davvero va tutto bene…qui è un
paradiso…Emma e Joel si stanno divertendo un
mondo…”-
“Il mio sesto senso mi dice che David c’entra
qualcosa…non mi pare che vi siate mai sentiti da quando sei
qui…”- le fece notare.
“Con lui è finita…”- le
disse.
“Mi spiace…eppure mi sembrava che ci tenesse a
te…”-
“Infatti…sono io che ho rovinato
tutto…non lo amo Amy…lui l’ ha capito e
si è stancato di aspettare…”- le
spiegò.
“Pensi ancora ad Orlando vero?”-
“Si…credevo di essere pronta a voltare pagina, ma
non lo sono…è ancora
presto…”-
“Siete ancora troppo legati…sei sicura di volere
il divorzio?”- le domandò.
“Io rivorrei la mia famiglia…rivorrei la mia vita
di prima…farei qualsiasi cosa per tornare
indietro…”- osservò tristemente.
“Lo so tesoro…ma purtroppo non è
possibile…però potete andare avanti
insieme…sono certa che se vi mettete ad un tavolo e vi
parlate, mettendo da parte l’orgoglio e la cocciutaggine, ne
uscirete più forti e più uniti di
prima…”- le consigliò Amy.
“Non lo so…è
complicato…forse siamo andati troppo oltre…adesso
è difficile ricominciare…”-
“Certo se non ne parlate diventerà sempre
più difficile…state lì a scrutarvi, ad
aspettare che l’altro faccia una mossa…e
così nessuno dei due fa niente…”-
sottolineò.
“Io non mi sento ancora pronta ad affrontarlo…non
saprei cosa dirgli e non voglio nemmeno illudere i ragazzi per
niente…mi serve ancora un po’ di
tempo…Quando starò bene, allora potrò
pensare a come gestire la cosa…”- concluse.
La vacanza in Provenza volò via velocemente. Ben presto
arrivò il giorno della partenza e dopo una settimana
ricominciarono le scuole e, con esse, la routine quotidiana: la mattina
Victoria andava al centro e nel pomeriggio stava coi ragazzi e li
accompagnava agli allenamenti o in biblioteca; nel week-end Orlando
passava a prenderli e li teneva con sé fino alla domenica
sera e, a volte, li portava direttamente a scuola il lunedì
mattina.
Tra loro non era cambiato niente: come aveva saggiamente osservato Amy,
si studiavano reciprocamente senza esporsi. Orlando era convinto di
aver fatto quanto in suo potere e di averle fatto capire, pur se
tardivamente, che teneva ancora a lei. Vicky, dal canto suo, si sentiva
stanca, come se la tensione degli ultimi mesi le stesse scivolando
addosso solo ora. Non era in grado di pensare a nessun altro,
all’infuori dei suoi figli e di se stessa. Si sentiva
incapace di accollarsi anche i problemi e le incertezze di altre
persone. Nel frattempo, David aveva interrotto la collaborazione col
centro, inviando di tanto in tanto un collaboratore del suo studio in
vece sua. Sarebbe stato oltremodo pesante per lei dover avere a che
fare tutti i giorni con lui, visto che si sentiva in colpa per averlo
illuso ed, in qualche modo, usato.
La tensione accumulata in quei mesi e la stanchezza la fecero
dimagrire, ed era sempre piuttosto pallida. Tuttavia, non voleva
rallentare i ritmi usuali.
Un pomeriggio tardi, era appena andata a prendere Emma a casa di
un’amica e si stava dirigendo al campo sportivo per
riprendere Joel, dopo gli allenamenti di calcio. Pioveva a dirotto, la
visibilità era ridotta e lei era particolarmente stanca.
Imboccò male una curva e non riuscì a frenare,
visto che l’aderenza delle ruote all’asfalto era
ostacolata dalla pioggia ed andò a sbattere contro un albero.
L’autista di un autobus che era dietro di lei
chiamò subito polizia ed ambulanza ed arrivarono anche i
pompieri per estrarla dalla macchina. Fortunatamente Emma, che era
seduta sul sedile posteriore e che aveva la cintura allacciata, stava
bene, era solo un po’ ammaccata e molto spaventata. Per
Victoria, invece, la situazione si presentò subito grave. Fu
operata d’urgenza ed i dottori le asportarono la milza, che
era rimasta danneggiata dall’urto contro l’airbag;
inoltre presentava una frattura ad un polso, aveva due costole
incrinate e numerose escoriazioni. Per come era ridotta
l’auto era un miracolo che ne fosse uscita viva.
Per tutta la famiglia fu come rivivere un incubo. Orlando
cercò di fare il possibile per tranquillizzare i ragazzi,
che erano terrorizzati all’idea che potesse succedere
qualcosa alla madre. Le sue condizioni, dopo due giorni
dall’intervento d’urgenza, erano gravi ma
stazionarie. I medici avevano optato per un l’induzione di un
coma farmacologico, in modo da dare al suo corpo il tempo di assorbire
gli ematomi e ridurre le possibilità di emorragie interne.
Si trattava solo di aspettare che si svegliasse.
Orlando non la lasciò un attimo. Restava con lei il
più possibile e si lasciava convincere ad andare a casa solo
per stare con i figli. Per due intere settimane fece la spola tra casa
loro, dove suo padre e Josephine si alternavano per stare coi ragazzi,
e l’ospedale.
La fissava, immobile in quel letto, pallida, con flebo e tubicini vari
che la collegavano alle macchine e controllava di tanto in tanto il
monitor dell’elettrocardiogramma. Gli sembrava tutto
così ingiusto e paradossale: pareva che la sfortuna si fosse
accanita contro di loro. E si ritrovò a pensare a tutto il
tempo che aveva sprecato allontanandola e respingendola. Più
riviveva quei momenti più si sentiva un perfetto idiota, un
ingrato che non aveva saputo aiutarla e starle vicino. Sperava che si
svegliasse, voleva guardarla ancora negli occhi e rimediare agli errori
che aveva commesso. Voleva stare con lei e dimenticare insieme tutto
quello che era successo. Avrebbe voluto parlarle, visto che gli era
stato detto che chi è in coma può comunque
sentire e riconoscere le voci dei propri cari, ma ogni volta che ci
provava le parole gli morivano in gola. Il solo pensiero di perderla lo
soffocava. Ma lei ancora non si svegliava.
Emma e Joel continuavano a chiedere di lei ed insistevano per vederla.
“Papà…voglio vedere la
mamma…”- stava appunto chiedendogli Emma quella
sera.
“Tesoro…non si può…fanno
entrare pochissime persone…solo lo zio, la nonna e
me…e poi ci sono degli orari…Appena si sveglia ti
prometto che vi porto da lei..”- le spiegò.
“Perché non si sveglia?”-
domandò Joel.
“I medici la fanno dormire così guarisce
prima…ma si sveglierà,
vedrai…”- li rassicurò.
“E se non si sveglia?”- riprese Emma.
“Non voglio nemmeno che le pensi certe
cose…andrà tutto bene..”- le rispose
fermo e deciso.
In realtà non ne era sicuro, ma non voleva appesantirli
ulteriormente, visto che avevano già passato dei brutti
momenti.
Passò un’altra settimana ed i medici iniziavano ad
essere preoccupati: più tempo passava, meno
possibilità c’erano che si svegliasse. Per fortuna
pochi giorni dopo Victoria aprì gli occhi. Era una mattina
presto, verso le otto. Orlando era appena arrivato e si era seduto come
sempre sulla poltroncina. Ad un certo punto, notò che stava
muovendo una mano e, spostando lo sguardo sul su viso, notò
che aveva riaperto gli occhi.
“Victoria…”- la chiamò.
Lei lo guardò ed abbozzò una specie di stanco
sorriso.
“Cos’è successo? Mi fa male
dappertutto…”- riuscì a dirgli.
Sollevato, andò subito a chiamare i medici, che la
visitarono e sciolsero finalmente la prognosi. Certo, la ripresa
sarebbe stata lunga, ma era finalmente fuori pericolo. Il peggio era
passato.
Come promesso, Orlando portò i loro figli a trovarla il
giorno dopo. Rimasero poco tempo, giusto dieci minuti, visto che non
poteva stancarsi troppo, ma quella breve visita fu un toccasana sia per
i ragazzi, che si tranquillizzarono, sia per Vicky, che non vedeva
l’ora di riabbracciarli. Li rassicurò, promettendo
loro che ce l’avrebbe messa tutta per guarire in fretta e
tornare a casa da loro. Poi, Josie andò a riprenderli per
accompagnarli a scuola e lei rimase sola con Orlando.
“Emma è un po’ dimagrita…sta
mangiando abbastanza? Joy invece l’ ho visto abbastanza
bene…”- osservò.
“E’ stato un periodo pesante…Emma
soprattutto era molto spaventata…era in macchina con te e ha
temuto il peggio…”- rispose.
“Era in macchina con me?”-
“Si…ma per fortuna era seduta
dietro…Non ti ricordi niente?”- si
sincerò.
“No…pensavo di essere sola…ricordo solo
che pioveva e che ero stanca…”- si
sforzò di fare mente locale su quel giorno.
“Perché non hai chiamato me? Sarei potuto andare
io a prenderli…”-
“Io non lo so…non li metterei mai in
pericolo…non sono riuscita a frenare…”-
gli spiegò.
“Lo so, lo so…non è colpa
tua…stai calma…non devi agitarti, non ti fa
bene…”- la rassicurò, prendendole una
mano.
Lei prese un bel respiro. Era ancora molto debole e dolorante, ma
smaniava già per tornare a casa. Odiava gli ospedali ed era
certa che si sarebbe rimessa molto più velocemente a casa
sua.
“Quando mi dimettono?”- gli chiese, impaziente come
una bambina.
Gli strappò un sorriso.
“Vic…è presto…so che detesti
stare qui, ma li hai sentiti i dottori…devi rimanere qui
almeno altri quindici giorni…sei stata in coma tre
settimane…Abbi pazienza, appena sarai in condizioni
accettabili ti rispediranno a casa…Pensa a guarire e non
preoccuparti di nient’altro…ai ragazzi ci penso
io..”- le rispose guardandola con un’espressione
amorevole che da tempo mancava nei suoi occhi.
“Va bene…ci provo…però
portali ancora qui…non riesco a stare senza vederli a
lungo…”-
“Certo…te li porto tutti i
giorni…”-
“E il tuo lavoro? Come fai?”- riprese.
“Ti ho detto di non preoccuparti di niente…A cosa
serve avere un proprio studio se poi non si può fare quel
che si vuole? Dom se la cava anche da solo…Anzi, mi ha detto
di salutarti, poi quando starai meglio passerà a
trovarti…”-
In quel momento entrò l’infermiera per cambiare la
medicazione e le flebo ed invitò Orlando ad uscire.
“Allora vado…Cerca di riposarti…torno
fra un paio d’ore…”- le disse prima di
uscire.
“Orlando…”- lo richiamò,
facendolo voltare- “Grazie di tutto…”-
Lui sorrise.
“Tu avresti fatto lo stesso…A dopo”-
Victoria si sentiva uno straccio, come se un tir le fosse passato
sopra, eppure era leggera nell’animo, come non le succedeva
da tempo. Vedere Orlando così attento e premuroso la
riempiva di gioia e la faceva sentire ancora la
“sua” Vic.