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Autore: anqis    29/06/2013    4 recensioni
Liam vorrebbe ribattere che no, non è vero, ma Louis infervorato come non mai non gli lascia il tempo di fiatare e «Secondo te, io, Louis Tomlinson, potrei perdere la testa per un ragazzino riccioluto del terzo anno che cerca di fare l’alternativo indossando dei cazzo di stivali di camoscio che neanche mia nonna userebbe come pantofole? Per favore, per quanto possano essere sexy quelle fottute gambe chilometriche o provocanti quelle labbra, mai e poi mai potrei prendermi una cotta per quel moccioso. Vado particolarmente d’accordo con il suo culo, questo però è un altro discorso» borbotta, mentre con gesti veloci e spazientiti si spoglia ed indossa i pantaloni comodi e larghi della divisa e la maglietta marchiata del suo nome. «Ed ora, Liam, se hai finito di sparare cazzate, avrei una partita da condurre alla vittoria, se non ti spiace» aggiunge scoccando un’occhiata scettica all’amico, prima di incamminarsi diretto verso l’uscita.
Genere: Comico, Romantico, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Harry Styles, Louis Tomlinson
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Teenage Dirtbag.




Her name is Noel 
I have a dream about her 
She rings my bell 
I got gym class in half an hour 
Oh how she rocks 
In Keds and tube socks 
But she doesn't know who I am 
And she doesn't give a damn about me 

 


Louis si lascia cadere con un tonfo sulla panchina, accanto a Liam, il quale sussulta ed alza gli occhi, curioso. È di cattivo umore, deduce, vedendo l’amico liberarsi delle Toms immacolate scalciandole con i piedi. Ma non si azzarda a dire una parola: conosce Louis e  sa che presto una valanga di parole ed imprecazioni si riverseranno su di lui senza pietà, perciò sta zitto e si prepara psicologicamente, mentre con finta naturalezza si allaccia le stringhe delle scarpe da ginnastica. Infatti, come previsto, Louis appoggia la schiena contro il muro freddo dello spogliatoio e prende un profondo sospiro, prima di aprire bocca.
«Io non ce la faccio più, amico» si lamenta passandosi le dita tra i capelli chiari. Liam sorride sotto i baffi. «L’ho sognato di nuovo questa notte. Ancora. È sempre lì, come chiudo gli occhi, mi appare di fronte. È come se mi incoraggiasse ad avvicinarmi, ma ad un centimetro dalle mie mani svanisce, fottendomi. Mi sveglio con un rigonfiamento al cavallo dei pantaloni che fa invidia al Kilimangiaro. Lo odio, Liam, lo odio profondamente» sbuffa chinandosi in avanti e coprendosi il viso con le mani.
Liam si trattiene dal ridacchiare e gli appoggia una mano sulla spalla in un gesto di conforto. «Louis non ti ho mai visto in questo stato. Per un ragazzino del terzo anno, per giunta!» esclama senza preoccuparsi delle occhiate curiose che gli rivolgono i suoi compagni di squadra. Li congeda con un sorriso mite.
Louis, come scottato, alza gli occhi di scatto e li punta con fermezza sul viso dell’amico. «Cosa hai capito?» domanda portandosi una mano sul petto, scandalizzato, «Non sto parlando del ragazzo, ma di quel culo che deve smettere di sventolare impropriamente davanti ai miei occhi ogni volta che mi passa davanti!».
Liam vorrebbe ribattere che no, non è vero che gli interessa solo il sedere di quel ragazzo, che ha visto le occhiate intense che non riesce a nascondere e il modo con cui lo segue fino allo svoltare di ogni angolo, ma Louis  infervorato come non mai non gli lascia il tempo di fiatare, e «Secondo te, io, Louis Tomlinson, potrei perdere la testa per un ragazzino riccioluto del terzo anno che cerca di fare l’alternativo indossando dei cazzo di stivali di camoscio che neanche mia nonna userebbe come pantofole? Per favore, per quanto possano essere sexy quelle fottute gambe chilometriche, o provocanti quelle labbra, mai e poi mai potrei prendermi una cotta per quel moccioso. Vado particolarmente d’accordo con il suo culo, questo però è un altro discorso» borbotta, mentre con gesti veloci e spazientiti si spoglia ed indossa i pantaloni comodi e larghi della divisa e la maglietta marchiata del suo nome. «Ed ora, Liam, se hai finito di sparare cazzate, avrei una partita da condurre alla vittoria, se non ti spiace» aggiunge scoccando un’occhiata scettica all’amico, prima di incamminarsi diretto verso l’uscita.
«Louis» lo richiama la voce bassa e familiare di Liam.
«Oh, ma sei insistente. Te lo ripeto un’altra volta: secondo te, io, Louis Tomlinson..».
«Louis», Liam lo interrompe di nuovo, alzando gli occhi al cielo. «Le scarpe».
Louis aggrotta le sopracciglia sottili – ha fatto un gran lavoro con le pinzette – per poi abbassare lo sguardo sulle sue scarpe da calcio, che però non ci sono. Muove le dita dei piedi e solo dopo un po’ si decide a tornare al suo borsone, seguito dallo sguardo divertito e presuntuoso del suo amico. Stringe con forse più forza del dovuto le scarpe e con nonchalance studiata scrolla le spalle e si dirige nuovamente verso la porta.
Liam non si muove, picchietta la suola sul pavimento a tempo di una canzone che ha sentito alla radio questa mattina e che non riesce a togliersi dalla testa, ed aspetta. Conta fino a dieci, con le braccia incrociate al petto ed un sorrisino soddisfatto a incurvargli le labbra. Otto, nove, dieci..
«Scusa, Liam», il ciuffo appuntito di Louis riappare sullo stipite della porta. La fronte corrugate, le labbra arricciate gli danno un’espressione che di dispiaciuto non ha proprio niente. «Sono un pessimo migliore amico, lo so. Ma mi fai così incazzare a volte..»
«Io?» domanda il diretto interessato.
Louis fa un verso strano, «Ok. Non sei tu, sono io e le mie paranoie. Scusami» ammette con voce sussurrata talmente bassa che se non fossero gli unici due rimasti indietro e vi fosse il solito rumore delle docce aperte e lo stridio dei tacchetti sul pavimento a sovrastare le loro voci, Liam non sentirebbe. Ma quel “scusa” sussurrato gli va più che bene avendo a che fare ogni giorno con l’orgoglio di Louis, e gli si avvicina, sorridente.
«Ora però togliti dalla faccia quel sorriso gongolante e concentrati» lo ammonisce e senza degnarlo di uno sguardo, scompare lungo il corridoio. E Liam scoppia a ridere gettando la testa all’indietro sentendolo borbottare qualche imprecazioni sul rispetto nei confronti dei superiori nettamente più sexy.


«Tomlinson, cazzo! La vedi quella cosa tonda che rotola sull’erba? Ecco, si chiama pallone e quello che devi fare è infilarlo in una cazzo di porta! E non osare chiedermi quale porta che vengo lì e ti sfiguro la faccia con i tacchetti!», Louis inorridisce all’immagine del suo meraviglioso viso sporco di fango e chissà cosa si nasconde nell’erba del campo. Non risponde all’insulto del coach e stringe gli occhi, concentrandosi sul gioco. O almeno è quello che sta tentando di fare.
Com’è possibile che gli istruttori abbiano deciso proprio oggi di  tenere le lezioni di boxer all’aria aperta, quando la squadra di Louis ormai vicina alle semifinali ha la partita con la sua più acerrima nemica? E perché diamine, anche fuori da scuola, Louis è costretto ad imbattersi in quel sedere che ormai conosce fin troppo bene di vista e troppo poco di tatto?
Si morde con forza il labbro inferiore, mentre approfitta di una tregua nel vedere Liam lanciarsi in avanti con la palla e getta un’occhiata di soppiatto all’area riservata al pugilato. Stringe la visuale su una figura alta e una testa riccioluta che si staglia in contrasto tra le pettinature corte, rasate e serie degli altri iscritti. Mette a fuoco la canottiera larga e quasi trasparente che gli scende con perfezione sulle spalle larghe, le maniche inesistenti e troppo larghe che mostrano parte del busto: la pelle chiara e lattea è di un decimo più scura della stoffa stessa. Si sofferma con un sorriso inconsapevole sui calzoncini neri decisamente troppo corti e percorre con attenzione la coscia, il ginocchio – dannazione, quanto sono lunghe quelle gambe? – fino a raggiungere le caviglie, e.. Oddio. Che calze sono quelle? Arriccia il naso, sconvolto. Quale ragazzo indosserebbe delle calze rosse a pois bianche? Non che non apprezzi quel genere, visto l’abnorme numero di camicie a pallini che occupano una gran parte del suo armadio, ma per favore: un conto sono delle camicie di marca e stilose, un altro conto delle calze.
Senza rendersi conto del luogo e della situazione in cui si trova, si porta una mano sul fianco e si guarda intorno alla ricerca di Liam con cui lamentarsi. L’unica cosa che però vede prima di aprire bocca, sono due occhi verdi spalancati e subito dopo un’ombra scura coprirgli la visuale. Non ha neanche il tempo di chiudere gli occhi che si trova a terra, il naso lancinante ed umido di sangue. Dannazione, sua madre lo ucciderà: è la decima volta che torna a casa con la divisa bianca macchiata.
 
 

Her boyfriend's a dick 
And he brings a gun to school 
And he'd simply kick 
My ass if he knew the truth 
He lives on my block 
And he drives an Iroc 
But he doesn't know who I am 
And he doesn't give a damn about me

 


«Concentrati».
«Hai finito, mister Simpatia?», dannazione che dolore.
« Avrei una partita da condurre alla vittoria» continua a fargli il verso.
«Dannazione Liam, giuro che ti faccio ritrovare nel letto tutte le posate di argento di mia madre se non la smetti» bercia spazientito gettandogli addosso il fazzoletto zuppo di sangue, che però con destrezza evita.
«Lo sai che non ho più la fobia dei cucchiai dalla seconda media» risponde Liam a tono. Si abbassa per terra e con una smorfia di puro disgusto stringe tra due dita il pezzo di carta che getta nel cestino più vicino. Liam e la sua fissa per l’ambiente. Sono in uno spogliatoio, cazzo, non in un parco protetto dal WWF.
Louis gli sorride, «Penso sia arrivato il momento di scoprire nuove paure in noi. Farai meno il gradasso quando ti troverai il set intero di coltelli di argento puntati contro di te» replica, questa volta con un pacco di ghiaccio premuto sul naso.
Come risposta, Liam si limita a scuotere la testa, esasperato. Per quanto ci provi, non l’avrà mai davvero vinta su di Louis in fatto di frecciatine e battute. «Vado a farmi la doccia, campione, sai com’è, io ho giocato tutta la partita» ride schivando una scarpa, «Se fossi in te, aspetterei all’uscita. Niall mi ha detto di aver visto il coach gironzolare nei dintorni e non sembrava molto contento. Stringeva tra le mani un bastone, credo ti convenga procedermi».
Louis non se lo fa ripetere due volte. Si sistema il borsone sulla spalla con una mano, mentre con l’altra continua a premere il naso con il ghiaccio nel tentativo di alleviare un po’ il dolore e la sensazione di aver qualche osso fuori posto. Non si preoccupa di salutare né Liam – perché non se lo merita – né i suoi compagni di squadra – perché i tre quarti gli stanno amaramente sul cazzo – e dando prima una sbirciatina in corridoio per accertarsi la strada libera e nessun uomo pelato di cinquanta anni e panza in agguato, prende una rincorsa e vola fuori, verso l’uscita.
«Tomlinson!», oh cazzo, cazzo, cazzo.
Louis si volta in tempo per vedere uno gnomo pelato sbarellare un bastone in aria. Storce il naso – ahi, forse era meglio evitare – non sa se per il terrore di venire raggiunto da quell’arma o per l’orrore di quella scena raccapricciante che gli si presenta davanti agli occhi. Quando cazzo andrà in pensione quell’uomo? Aumenta la stretta intorno alla cinghia del borsone, che sembra diventata all’improvviso più scivolosa del solito, e accelera i passi. Svolta l’ultimo angolo che porta all’uscita, ma il sorriso storto che gli si è quasi formato sulle labbra si spegne quando va a sbattere contro qualcuno – un qualcuno che non dovrebbe trovarsi lì, sulla sua strada.
«Cazzo!» mugola percependo la terra sotto i piedi scomparire.
Quel qualcuno però con riflessi pronti lo afferra in tempo salvandolo da una rovinosa caduta. Louis non può fare a meno di ringraziarlo ed insultarlo mentalmente allo stesso tempo, ed alla fine si limita a grugnire contro la stoffa di una orribile camicia di flanella color prugna. Solleva il viso, pronto ad intimare al nuovo ice-berg di levarsi gentilmente dai coglioni, ma le parole gli muoiono in gola. Due occhi verdi lo stanno fissando, confusi e allo stesso tempo divertiti. Si perde per un nano-secondo in quei pozzi scuri e profondi, magnetici. Sembrano quasi volerlo condurre più in profondità. E il desiderio di lasciarsi andare gli accarezza il palato, dolce e frizzante insieme; ma, ehi, non è proprio il momento adatto per frasi sdolcinate da fanfictions di basso livello o telenovelas latino-americane.
La sua attenzione si concentra nuovamente sui passi pesanti che si stanno avvicinando alle sue spalle e prega affinché il soffitto decida per una buona volta di crollare, possibilmente sulla testa del suo inseguitore. Sa che dovrebbe mettersi a correre, ma c’è un ragazzo più alto di ben una decina di centimetri di fronte a lui a bloccargli il passaggio. Incolpa la stazza, quando in realtà sa anche lui che quello che gli impedisce di compiere un passo è l’intensità quelle iridi. Louis ha trovato la sua calamita. No, basta frasi patetiche da libri di Sparks. E poi, c’è una piccola parte di lui, l’unica forse sfuggita all’orgoglio morboso, che ammette che vi è anche timore: il timore di non potere avere più un occasione del genere, timore di non poter più incontrare quei occhi ad una distanza del genere, di sentire quel profumo maschile misto a colonia invadergli le narici in modo così prepotente.
Si gira di tre quarti giusto il tempo di intravedere una figura goffa spuntare da dietro l’angolo, per poi tornare a posare gli occhi su quel viso così bello da togliere il fiato. Gli occhi verdi del ragazzo seguono la sua traiettoria, aggrotta le sopracciglia confuso e Louis si stringe il labbro inferiore tra i denti: dannazione, è insopportabilmente carino con quell’espressione stordita e spaesata che gli corruccia la fronte ampia. Poi, senza avvertirlo – perché una cosa del genere bisogna anticiparla o le conseguenze potrebbero essere irreversibili – alza l’angolo della bocca mettendo in mostra un’adorabile fossetta. Louis sente le dita della mano contrarsi dalla voglia di tastare la morbidezza di quella guance, ma si limita a strabuzzare gli occhi chiari quando ad un tratto il ragazzo gli stringe un polso e con un movimento veloce lo costringe ad arretrare contro il muro. La schiena aderisce alla parete, la cinghia della borsa gli scivola di mano e con un tonfo sordo tocca il pavimento. Il viso del ragazzo in un attimo azzera le distanze e Louis può sentire l’alito fresco di menta intorpidire l’aria che respira, i nasi sfiorarsi ad intervalli irregolari, come i battiti del suo cuore che si alternano a pulsazioni veloci ed incontrollate a quelle arrancate. Non si muove, sconcertato e poi, sinceramente, perché mai dovrebbe farlo?
«Dov’è quel cazzone di Tomlinson» impreca il coach passandogli accanto senza degnarlo di uno sguardo. Un attimo che svolta l’angolo e scompare dietro ad una porta.
È salvo? No, si dice, sentendo i battiti del cuore pulsargli nelle orecchie; il cervello e il cuore devono essersi frantumati e mischiati in un unico singolo organo. Non dice una parola e non osa muoversi, i suoi occhi sono incollati al viso del ragazzo che lo ha appena salvato da una probabile morte. Si perde nella contemplazione di quella pelle così chiara, sul neo che risalta in contrasto accanto alla fossetta, alle ciglia chiare che gli accarezzano le guance mentre si guarda a destra a sinistra. Non ha il tempo di contare le prime ciglia che quello si dà una spinta leggera con il braccio che gli ha nascosto il viso e si allontana.
«Bella maglietta», gli dice dopo un po’ passandosi una mano tra i riccioli folti ancora profumati di shampoo. Mele, profumano di mele.
Louis deglutisce nell’udire la profondità di quella voce. Ruvida al palato, ma calda quanto basta per renderla irresistibile e intonata. Non è possibile che un ragazzino di – quanti? – di sedici o diciassette anni possieda una voce così adulta, un ossimoro con quelle guance piene e quel sorriso infantile. Abbassa il viso sulla maglietta notando solo in quel momento la scritta in grande dei Iron Maiden, e ringrazia mentalmente i gusti musicali di suo cugino al quale ha fottuto la maglietta.
«Grazie» gracchia, tossendo subito dopo per darsi un tono. Cazzo, sembra sua sorella Lottie alle prese con quel moccioso di Parker che ha avuto il fegato di invitarla al ballo. «Anche per avermi nascosto» aggiunge poi indossando la facciata da ragazzo sicuro di sé che implica sopracciglio inarcato. In realtà, gli tremano le gambe, per questo rimane incollato alla parete.
«Niente» ridacchia il ragazzino infilando le mani nelle tasche dei jeans neri che gli stringono le gambe lunghe. «Ti ho bloccato l’unica via di fuga che avevi, mi sembrava il minimo» spiega strascicando le parole.
«Giusto», che inventiva, davvero. Louis si maledice e si domanda come sia possibile che lui, Louis Tomlinson, senta la bocca asciutta e le parole incastrate in gola? Lo stesso ragazzo che è riuscito a impiegare ben trenta minuti per giustificare un ritardo, lo stesso che ha intavolato un discorso sull’arte greca quando in realtà non ne sapeva davvero nulla. Si lecca le labbra, nervoso.
«Piacere, Harry» si presenta il riccio porgendogli una mano. Una mano piuttosto grande.
Louis mette da parte i cattivi pensieri e stringe la mano, e «Piacere, Louis» dice.
Il ragazzo sorride mettendo in mostra le fossette, «Tomlinson?».
«Eh, c-cosa?» no, non così, «Voglio dire, come lo sai?» si schiarisce la voce da soprano che ha ereditato da sua madre.
Harry – che nome antiquato e tipicamente inglese, pensa Louis. Gli dona, però, anche se avrebbe preferito di gran lunga un nome lungo, più tortuoso da pronunciare – ridacchia sotto i baffi e «Potrei dirti che ho sentito quello che doveva essere il tuo coach urlare il tuo cognome per tutta la partita, o semplicemente che ho udito l’arbitro fischiare ed gridare il tuo cognome durante la sostituzione quando ti sei beccato il pallone in faccia, ma credo mi limiterò a dirti che ce l’hai scritto sulla tua maglietta» risponde sfoggiando un occhiolino.
Louis è rimasto alla sostituzione e al pallone in faccia – cazzo che figura di merda oh –  per dire un qualcosa diverso da «Eh?» quando sente la parola maglietta raggiungere le sinapsi ancora un po’ fuse dopo il colpo.
Harry non sembra affatto risentito o infastidito da quello che deve apparire ai suoi occhi poco interesse o attenzione da parte di Louis, e si limita a ripetere che sa il suo cognome perché l’ha semplicemente letto sulla sua maglia, facendo assumere a quello strambo ragazzo un’espressione imbarazzata. «Scusami, sono piuttosto stordito..» prova a giustificarsi Louis.
Il ragazzo ride, «Ci credo, dopo quel colpo!» commenta.
Louis vorrebbe ridere, ma sente i muscoli delle spalle e della schiena rigidi e ha il terrore di proruppero in una delle sue solite risate nervose, quelle acute e imbarazzanti che non contribuiscono affatto ad aiutarlo nella sua battaglia contro i commenti poco gentili dei studenti della sua scuola sulla sua voce fin troppo dolce – secondo sua madre – o meglio, stridula. Perciò, stira le labbra ancora secche in un sorriso sincero anche se un po’ a disagio, al quale il ragazzo ricambia.
«Ma ci siamo già visti noi?» esordisce poi Harry.
Sì, ci vediamo ogni fottuto giorno a scuola, la mattina quando parcheggi appositamente quel mostro di Range Rover che ti puoi permettere di fronte al mio motorino oscurandolo manco fosse una formica; a pranzo quando mi passi accanto con un vassoio stracolmo di cibo che anormalmente non ti finisce sui fianchi e all’uscita, quando mi passi di fronte per dirigerti al tuo armadietto, a dieci dal mio, ma «Forse a scuola, Hall Cross Academy?» domanda innocentemente.
Annuisce, il ragazzo. «Ah, ecco perché mi sembravi familiare!» dice con forse troppa enfasi.
Louis reprime la voglia di dirgli che sa perfettamente che lui lo sa che vanno nella stessa scuola e che non lo frega, ma prima che possa aprire anche solo bocca, il rombo di un motore attira la loro attenzione. E si trovano addirittura ancora nell’edificio.
Harry come chiamato da quel rumore molesto, spalanca gli occhi grandi e verdi e si batte la fronte con fare infantile. «Cazzo!», questo di infantile ha poco, «Zayn mi aspetta all’uscita!» impreca incalzando una camminata affrettata verso l’uscita.
Louis gli va dietro senza neanche pensarci. Raggiungono insieme l’uscita, ma si blocca a pochi metri dalla porta non appena distingue un casco scuro ed una cresta purtroppo conosciuti: Zayn Malik, 19 anni, giubbotto di pelle, stringe con decisione il manubrio della moto che ringhia sotto il suo peso.
Non si preoccupa di abbassare lo sguardo quando le iridi scure e intimidatorie del ragazzo si posano su di lui e subito poco dopo nei suoi occhi, sfidandolo. Regge lo sguardo senza battere ciglio, le labbra sottili stese in una smorfia di disappunto. Com’è possibile che Harry frequenti un tipo del genere? Giacche di pelle e crestino andavano di moda ai tempi dei suoi genitori. Lo ha visto qualche volta sulle scale visto che abitano nello stesso palazzo, è un tipo poco raccomandabile e Louis ci scommette le sue adorate Toms che si porta una pistola dietro ogni volta che esce la sera e rincasa tardi svegliandolo con rumori molesti. Ma non si è mai azzardato a lasciarsi scappare una parola, una lamentela, Louis, perché per quanto temerario possa essere, lui di pugni e risse proprio non ne vuole sapere. Si immagina cosa potrebbe accadergli se solo il talebano sapesse dei sogni poco casti che fa sul suo ragazzo ed una smorfia di dolore gli deforma il viso.
Harry intanto ha raggiunto il suo ragazzo, il quale gli ha porto un altro casco. Si ravvia i riccioli all’indietro e poi se lo infila, tranquillo, incurante delle scintille che due paia di occhi scuri e chiari stanno creando. Prende posto sul sedile posteriore e si ancora alla vita di Zayn con entrambe le braccia, gesto che fa irritare maggiormente Louis, che digrigna i denti. Prima ci prova spudoratamente con lui e poi lo scarica, così?
Come se lo avesse sentito, Harry sbatté leggermente le ciglia e gli rivolge un ultimo occhiolino. Il rombo della moto risuona con violenza e prima che Louis possa anche solo ricambiare con un sorriso o con un dito medio, le ruote stridono sull’asfalto. Una nuvola di fumo investe Louis. Quando riapre gli occhi è rimasto solo con i capelli sporchi di fuliggine. Stronzo di un Malik, pensa senza però riuscire a trattenere un sorriso. Harry è gay e Liam gli deve un pranzo.
 


Man I feel like mould
It's prom night and I am lonely
Low and behold
She's walking over to me
This must be fake
My lip starts to shake
How does she know who I am?
And why does she give a damn about me?
 


Chi gliela fatto fare di venire al ballo? Perché si è lasciato convincere dalle suppliche del suo migliore amico che lo ha appena scaricato per una ragazza tutte gambe della squadra di cheerleader? Più la guarda e più non riesce a spiegarsi come una persona possa essere davvero uscita con quel obsoleto taglio di capelli. Deve per forza esserci un motivo, un ricatto, una scommessa di mezzo ad averla costretta a presentarsi al ballo con quell’ammasso di riccioli. O forse, probabilmente è per colmare l’assenza di cervello.
Louis ridacchia della sua stessa squallida battuta nascosto dietro il bicchierino di qualche strano analcolico che uno dei camerieri gli ha rifilato tra le dita in un momento di distrazione. Analcolico, se si può definire ancora così il liquido rosa del punch dopo che è stato modificato da qualche fiala di chissà cosa versata da quegli studenti più temerari ed ormai certi della propria bocciatura.
È il terzo che si è bevuto tutto in un sorso e non ha affatto l’intenzione di finirla lì. Hanno un colore così invitante e lui si sta annoiando a morte; questa, è una valida giustificazione per ubriacarsi, tristemente seduto sullo sgabello del bancone.
Accavalla le gambe mettendo in mostra il suo ultimo paio di mocassini acquistati il pomeriggio precedente e appoggia la guancia sul palmo della mano. Sorvola con gli occhi azzurri forse un po’ troppo vispi sulla calca di studenti che si scatena sulla pista di ballo a ritmo di una vecchia canzone anni 80. Riconosce una chioma riccia e poco curata – finge un conato di vomito nel vedere l’orribile vestito verde succinto che indossa la ragazza –, e quella non più pelata del suo migliore amico; la sua professoressa di scienze provarci spudoratamente con quello di matematica che indossa una papillon spaventosamente inguardabile, ed un Niall Horan scatenarsi su un tavolo con in mano una bottiglia di birra – scommette dieci sterline che due sorsi e comincerà ad esibirsi in uno dei suoi soliti balletti irlandesi come più ha visto fare alle solite feste studentesche che lui stesso ha organizzato. Poi, i suoi occhi si concentrano su una figura distinta all’entrata della palestra. Harry Styles in completo elegante, soliti stivali inguardabili e cravatta leggermente allentata, fa la sua sporca figura. Forse la serata non è  ancora finita, pensa.
Peccato che nel momento in cui appoggia piede sul pavimento liscio della palestra per dirigersi verso di lui – sta seriamente mettendo da parte il suo orgoglio per compiere il primo passo? Cazzo sì, tanto è (quasi) ubriaco – che un’altra figura compare al suo fianco. Louis è pronto a bestemmiare contro Zayn Malik, ma non è un crestino ciò che vede, ma una ragazza. Pelle diafana, capelli lilla – sono gli effetti della luce? – occhi azzurri ed un vestito davvero carino che Louis ha visto qualche giorno fa su una rivista di moda. Si ancora al braccio di Harry con la sorregge regalandole un sorriso.
Louis nel frattempo ha preso la giusta decisione di tornare a sedersi al suo posto, un’espressione sconvolta dipinta sul volto. Ma Harry mica era gay? Chi è quella biondina che tanto bionda non è che stringe al suo fianco? Zayn Malik dov’è finito? In prigione, finalmente? Batte il palmo della mano sul bancone richiamando l’attenzione del barista, ha bisogno di un altro bicchierino.
Butta già il liquido rosa in un colpo solo. Che coglione che è stato a credere Harry Styles fosse gay, come lui. Solo perché era salito in sella con Zayn Malik non significava assolutamente niente, come tutte le volte che gli era passato davanti in corridoio, o in mensa. Harry Styles non è gay e non è affatto interessato a Louis Tomlinson. Gli piacciono le ragazze, le bionde se vogliamo precisare e probabilmente neanche si ricorda il nome di Louis, se non la sua faccia. Cazzo, che coglione.
 
 

I've got two tickets to Iron Maiden baby
Come with me Friday, don't say maybe
I'm just a teenage dirtbag baby like you


 
«Ehi».
Louis alza gli occhi e per poco non gli cade il bicchiere dalla mano nell’imbattersi in due occhi grandi e verdi. Ha tirato i riccioli scuri all’indietro, la fronte è scoperta e gli occhi sembrano ancora più luminosi del solito. Sono le luci, si dice.
«Ciao» borbotta senza alcuna intenzione di intavolare una conversazione. Non è neanche tanto convinto che sia davvero Harry Styles quello che si sta sedendo sullo sgabello accanto a lui. Conoscendo la sua fervida immaginazione e ciò che può fare grazie a qualche bicchierino di troppo, potrebbe essere tranquillamente un illusione.
Il ragazzo non si lascia intimidire e con un sorriso divertito appoggia la schiena al bancone e  si sorregge con i gomiti. «Ti diverti?» gli chiede.
Louis rotea gli occhi al cielo, «Sono l’anima della festa, non vedi?» replica sarcastico scaturendo una risata al più piccolo.
«Solo?» continua il riccio.
«Sì», non ha neanche le forze di inventarsi una scusa, «Il mio migliore amico mi ha scaricato per un barboncino», ed io ho appena visto il mio sogno erotico andarsene in compagnia di una biondina – seriamente, era bionda?
Harry sembra aspettare che Louis gli rivolga la stessa domanda mentre gioca con le dita lunghe con i bottoni delle maniche, ma questo non sembra avere l’intenzione di farlo. Allora, «Anche io» sospira poi, a voce così bassa che Louis a primo impatto pensa di esserselo sognato.
«Scusa?» gli domanda, improvvisamente sull’attenti.
Harry arrossisce leggermente, e Louis vorrebbe morire in quell’istante. Dopo avergli morso le guance, ovviamente. «Sono solo anche io» ripete.
«E scusa, la biondina?» gli chiede Louis inarcando le sopracciglio, un centimetro più vicino di prima.
«La biondina? Ah, vorrai dire Perrie! No, lei è la ragazza del mio amico Zayn, sai, quello che è venuto a prendermi all’entrata della palestra» spiega Harry indicando con un dito la coppia dondolare a tempo di un lento. Louis segue la traiettoria e quando li mette a fuoco riesce a sentire un enorme peso svanire. E sorride, incapace di contenersi.
«Perciò» esordisce, «Siamo entrambi soli ed annoiati, giusto?».
«A quanto pare sì» risponde Harry, sfoggiando una fossetta. «Che ne dici di lasciare questo posto?» propone, i gomiti ormai vicini e gli occhi l’uno nell’altro.
Louis sorride, non stava aspettando altro. «E dove andiamo?» domanda, giusto per rendere il gioco più interessante e difficile.
«Ad un concerto» risponde Harry, «Degli Iron Maiden» aggiunge.
«I chi?» mormora ricordandosi solo dopo del loro primo incontro, «Ah sì!», poi aggrotta le sopracciglia, confuso. «Ma non sono mica morti?».
«Vero. Ma si da il caso che io abbia quasi tutti i loro dischi a casa mia» spiega Harry con incredibile orgoglio che fa alzare gli occhi al cielo a Louis.
«E va bene», accetta scendendo dallo sgabello e scoccando un’occhiata al ragazzo che lo affianca e lo supera, sfiorandogli il dorso della mano con le dita, l’angolo della bocca alzato. Lasciano la palestra l’uno affianco all’altro, toccandosi leggermente apposta, leggeri sfioramenti, sorrisi maliziosi ed occhiate divertite.
Solo quando si trovano in camera di Harry, di fronte alla più grande collezione di dischi di vinile che Louis si rende conto della grande merda in cui si ritrova. Chi glielo spiega ad Harry che lui degli Iron Maiden non conosce una dannata minchia?  




- note dell'autore.

Buonasera!
Due giorni e due one shot! Che tempi da record, vero? HAHA nah, erano lì nel computer che aspettavano di essere pubblicati da chissà quanto e oggi che mangio dalla mia migliore amica che - aahh! - ha la connessione internet, ho colto l'occasione al volo e ne ho approfittato! Niente, ho poco da dire e il tempo stringe, dunque..

Il titolo fa riferimento alla canzone su cui si basa l'intera one shot - songfic ed è Teenage Dirtbag che conoscete bene visto che fa parte della scaletta musicale dei concerti dei nostri ragazzi. Io amo personalmente quella canzone e mi piacerebbe la registrassero in studio, anche se penso dovrò accontentarmi dei video dei concerti come ho dovuto e devo tutt'ora fare con la loro cover di Use Somebody. Sostituite quel Her name is Noel con His name is Louis, ed è perfetta, HAHAHA non so neanche come mi è venuta fuori l'idea di farci una Larry, ma vabbò, si sa: noi Larry Shippers ne abbiamo di fantasia.

Niente, spero davvero che abbiate apprezzato l'ennesima one shot senza pretese e magari mi lasciate una piccola recensione, mi farebbe davvero piacere (davverodavvero).
Quando la connessione internet tornerà nella mia vita, vi informo, pubblicherò la nuova fanfiction che sto scrivendo (ah, se mi piace).

A presto (speriamo),
Alice.

ps. Per chi interessasse o non avesse nulla da fare, qui potrete trovare la one shot che pubblicato ieri. Ecco a voi l'intro:


 

Haribo.

Oliver ha quindici anni e tre quarti, un cestello della spesa giallo smorto sottobraccio e una voglia irrefrenabile di Haribo alla liquirizia, quando incontra per la prima volta Harry Styles, in uno squallido autogrill abbandonato sulla tangenziale. Suo padre la sta aspettando seduto sul cofano della vecchia Nessie, il loro amato camper, e Oliver sa che non si sbriga, quello è capace di premere sul pedale dell’acceleratore e piantarla lì su due piedi.
Harry ha sedici anni e nove mesi, le dita della mani sudate, lo stomaco chiuso e una audizione che stravolgerà la sua vita a poche ore. Ha bisogno delle sue Haribo o si butterà dall’auto in corsa. E non sarà sicuramente Gemma ad impedirlo.


 

   
 
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