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Autore: CHAOSevangeline    29/06/2013    5 recensioni
Sentì per l’ennesima volta il campanello della porta principale che suonava e sorrise raggiante, iniziando a muovere con più lena le mani per riuscire ad infornare il prima possibile quel dolce.
Ludwig Beilschmidt, il noto critico culinario, aveva appena fatto il suo ingresso nella sala, guardandosi intorno con il suo solito sguardo freddo.
Sembrava che stesse odiando non solo il parquet, ma anche tutti i tavoli e le sedie di legno poco più chiaro disposte nella stanza.
Anche le sedute a divanetto rosso sembravano non essere di suo gradimento, come le tende bianche che coprivano le finestre.
La pura e semplice verità era che Ludwig si stava guardando intorno aspettando che qualcuno andasse ad accompagnarlo ad un tavolo.
Genere: Fluff, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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3. Pasticcio




Feliciano non era mai stato il tipo di persona in grado di mantenere salda la cognizione del tempo, tanto più se il periodo appena trascorso era tanto denso di avvenimenti come lo era stato quello; tre mesi erano passati da quando aveva conosciuto Ludwig e da quando la sua vita era cambiata radicalmente.
Si era auto convinto che la sua già solita euforia non avrebbe fatto altro che aumentare, ma a dire il vero in parte si sbagliava. Non aveva considerato che lavorare come capocuoco avrebbe comportato più stress e maggiori responsabilità: doveva essere puntuale, sempre riposato in modo da non commettere errori e, ora, anche coordinare gli altri due ragazzi che erano andati a lavorare in cucina.
Dopo il suo primo mese di attività come cuoco i clienti erano aumentati a dismisura, tanto da riuscire a riempire il locale praticamente tutti i giorni.
Quella mole di lavoro per Feliciano era insostenibile non tanto perché fosse lui, ma piuttosto era umanamente improbabile che una sola persona riuscisse a gestire tutti quegli ordini senza commettere qualche errore.
Non solo per quella ragione, il proprietario del locale aveva deciso di mettere un annuncio su qualche giornale per trovare dei cuochi che sicuramente si sarebbero presentati, anche grazie all’ottima parola messa sul locale da parte di Ludwig.
Alla fine aveva scritto una recensione sublime, tanto che quando il giovane cuoco l’aveva rivisto aveva finito con il saltargli addosso trattenendo a stento i lacrimoni che ebbero la meglio e cominciarono a scendere copiosamente sulle sue guance.
Tra le note positive di quei tre mesi trascorsi, c’era che Feliciano aveva iniziato a vedersi sempre più spesso con Ludwig. Poteva dire che si frequentavano, anche se era lui il primo a non riuscire a inquadrare bene sotto quale ottica si vedessero entrambi.
Lui era affettuoso come lo era con chiunque: lo abbracciava appena ne aveva l’occasione, lo chiamava con il solito diminutivo affettuoso con una voce che avrebbe fatto venire il diabete e tutte le volte, per salutarlo prima di andarsene, gli schioccava un bacio sulla guancia esattamente come aveva fatto la prima volta che il tedesco l’aveva riaccompagnato a casa.
Adorava vederlo arrossire e sentirsi chiamare con il proprio soprannome, – alla fine Ludwig aveva iniziato spontaneamente a chiamarlo Feli – lasciato uscire dalle labbra in un borbottio.
Sapeva di metterlo in imbarazzo perché, pur essendo tanto innocente, di questo se ne accorgeva anche lui, ma aveva continuato semplicemente per abituarlo.
Effettivamente, alla fine i risultati si erano visti e Ludwig aveva smesso di arrossire come le prime volte, lasciandolo fare e spingendosi, talvolta, anche a ricambiare i gesti affettuosi dell’italiano.
La prima volta che l’aveva fatto, Feliciano la ricordava nitidamente: erano in piedi di fronte al portone del suo appartamento. Si erano incontrati in un luogo non molto lontano da casa sua e avevano deciso di spostarsi a piedi, per quel giorno.
Come sempre lui si era alzato in punta di piedi per primo, avvicinando le labbra al viso di Ludwig per baciarlo e quando si era quasi voltato per entrare nell’androne dell’edificio il critico l’aveva afferrato per il polso e l’aveva tirato a sé, chinandosi per poter copiare il gesto sulla sua, di guancia.
Si era sorpreso di come la presa dell’altro potesse essere forte e gentile allo stesso tempo e anche delle proprie gote diventate improvvisamente calde e quindi probabilmente rosse. Raramente si imbarazzava per cose simili, forse era stata la sorpresa dell’avvenimento.
Credeva che si sarebbe solamente sentito contento se anche l’altro avesse imitato uno dei suoi gesti, invece aveva sentito un tuffo al cuore terribile, tanto che per qualche attimo le ginocchia si erano fatte mollicce e aveva rischiato di doversi sorreggere all’altro per rimanere in piedi. Anzi, per essere precisi l’aveva fatto, ma ormai Ludwig era abituato a tenerlo perché gli si buttava addosso senza che avesse effettivamente bisogno di essere sostenuto.
Nessuno dei due chiedeva però all’altro spiegazioni, né sul momento, né durante le seguenti uscite e Feliciano doveva ammettere che la cosa non gli dispiaceva particolarmente.
Apprezzava la condizione in cui si trovava con Ludwig e non gli andava di ragionare troppo su ciò che provava per il tedesco e viceversa.
Erano in quello stato di benessere comune che non gli andava di spezzare con qualche chiarimento di troppo.
Dello stesso avviso non era però Ludwig, che da quando aveva iniziato a ricambiare i gesti affettuosi di Feliciano si era fatto non poche domande in merito ai sentimenti che provava per il ragazzo.
Forse lo amava, si era detto, e la cosa l’aveva lasciato particolarmente basito perché sarebbe stata la prima volta che provava interesse per un uomo.
In un certo senso, si era però reso conto del fatto che non gli pesava troppo che l’italiano fosse un lui e non una lei, quindi quello era stato il problema minore.
Il chiodo fisso di Ludwig, era la leggerezza di Feliciano, che proprio non riusciva a capire.
Tutti quei gesti terribilmente affettuosi avevano secondo lui un significato più grande di quello che probabilmente l’italiano gli attribuiva.
Forse lo baciava perché gli era grato, perché gli voleva bene come un amico e non perché sentiva chissà cosa crescere dentro di sé.
Aveva iniziato a pensarlo quando una volta, mentre lo andava a prendere al bar, l’aveva visto salutare uno dei camerieri donandogli un vigoroso abbraccio che aveva reso il biondo vagamente geloso, ma ovviamente non gliene aveva parlato.
Del resto che senso aveva fargli presente una piccola gelosia se non aveva nemmeno il coraggio di affrontare il resto della situazione? Doveva ammettere che un po’ la possibile risposta lo intimoriva.
Comunque in tutto questo, Feliciano non si era accorto assolutamente dei pensieri che attraversavano la mente di Ludwig, neanche tanto perché non volesse o non ne fosse in grado, semplicemente in quel periodo non ne aveva la forza.
Preso com’era dal lavoro aveva perso tanta della sua energia e di questo anche Ludwig si era accorto.
Spesso quando si vedevano la sera, Feliciano crollava sul sedile della macchina di Ludwig e un paio di volte era stato il tedesco a doverlo portare fino all’appartamento perché il ragazzo non era in grado di reggersi nemmeno in piedi.
Se l’italiano avesse iniziato, proprio in quel momento, a cercare di capire che cosa passava per la mente di Ludwig avrebbe sicuramente perso l’unico pensiero che gli dava la forza per andare avanti; quando era stanco e demoralizzato infatti, non pensava tanto al fatto che le cose sarebbero certamente migliorate, che si sarebbe abituato, quanto piuttosto a tutti i momenti belli passati con Ludwig, per questo non si poteva assolutamente permettere di rischiare che il pensiero dell’uomo lo riconducesse a tanti altri interrogativi inutili in merito alla loro condizione.
Quella sera in particolare, gli serviva davvero tanto un pensiero che aumentasse i suoi buoni propositi, perché sentiva veramente i nervi che iniziavano a cedere.
Il proprietario si era inventato, visto che c’era un evento serale in città, di estendere l’orario di apertura per quella giornata e invece che alle sette, la pasticceria avrebbe chiuso a mezzanotte.
Aggiungendoci l’ora e mezza che serviva per ripulire il tutto – da solo –, Feliciano avrebbe messo piede nel gelo invernale che proprio non voleva andarsene, più o meno all’una passata e avrebbe rivisto casa alle due, se tutto fosse andato bene.
Peccato che quel giorno ci fossero troppi clienti.
Aveva sentito dire dalla sala che una coda non indifferente si era formata anche fuori e continuavano ad arrivare persone decise a mangiare i loro dolci.
I camerieri entravano in cucina continuamente aggiungendo alle ordinazioni già in preparazione, sempre di nuove e, quando si riusciva a tirare un sospiro di sollievo perché nella teglia infornata c’erano abbastanza dolci per accontentare tutti, ecco che arrivavano altre ordinazioni che smentivano quell’infondata tranquillità.
Feliciano non ne poteva davvero più.
Gli altri due ragazzi che erano con lui lavoravano, sì, ma più a rilento e continuavano a lamentarsi.
Ad un certo punto uno dei due era anche uscito per fare una scenata al proprietario perché Feliciano aveva rovesciato parte dell’impasto di uno dei dolci a terra, sottraendo aiuto prezioso a lui e all’altro cuoco che cercava invano di seguire i le richieste dei clienti.
Non aveva mai desiderato di perdere quel lavoro, ma quei ritmi estenuanti non rientravano nelle sue corde.
Ovviamente tutte quelle persone erano lì solamente grazie alla recensione di Ludwig e questo Feliciano lo sapeva. Si sarebbe lamentato di quel piccolissimo trafiletto di carta solamente se non avesse reso possibile anche a lui di avere il lavoro che tanto desiderava.
« Feliciano, che diavolo stai combinando?! » sentì urlare da qualcuno mentre entrava nella cucina.
La cosa più brutta del suo capo, era che non aveva la minima decenza: se urlava in quel modo, sicuramente anche i clienti avrebbero sentito e non era il caso rendere di pubblico dominio delle questioni riservate al personale del ristorante, ma questo a lui non sembrava importare.
« Mi è solamente caduto un po’ di impasto! Lo pulirò più tardi! » ribatté il giovane senza prestare troppa attenzione all’uomo, concentrandosi totalmente sull’aggiunta di impasto che doveva fare per rimediare al danno.
Se doveva essere sincero preferiva calpestare quello che era caduto sul pavimento e portarlo un po’ per tutta la cucina, piuttosto che perdere tempo a pulire.
Tanto alla fine se ne doveva occupare sempre e comunque solo lui, no? Tanto valeva stare alle proprie abitudini.
Sentì qualche imprecazione e poi il proprietario uscì, lasciandolo nuovamente solo con i suoi preparati per i successivi dolci da preparare.
 

***

 
 
Era finita.
Feliciano avrebbe tanto voluto avere il privilegio di andare a girare il cartellino appeso alla porta di vetro all’ingresso, facendo capire al mondo che la pasticceria era chiusa e che gli mancava poco per essere finalmente libero come l’aria.
Gli altri cuochi se n’erano già andati, idem per i camerieri, l’unico che mancava era il suo capo, ma in un certo senso sperava che uscisse direttamente senza fermarsi a parlargli troppo: si era reso conto di avergli risposto malamente, ma non era solo lui ad essere stressato e sperava che questo il proprietario lo capisse.
Invece no, gli spettava un lungo colloquio con l’uomo e se ne rese conto quando lo vide entrare nella cucina con lo sguardo di uno che aveva tremende notizie da dare.
Ovviamente Feliciano nemmeno immaginò la gravità della sua situazione e cercò di abbozzare un sorriso gentile che non scalfì minimamente lo sguardo serio dell’altro.
In verità non lo voleva rabbonire né nulla di simile, semplicemente si sentiva molto più tranquillo e gli sembrava stupido perseverare nel proprio comportamento nervoso, anche perché usciva solamente quando era particolarmente agitato o sotto pressione, cosa che non era affatto in quel momento.
« Ti devo parlare, Feliciano. »
Quelle parole servirono ad ammonire almeno in parte il giovane italiano che aveva appena finito di riparare con il mocio all’impasto che si trovava intorno a un po’ tutti i mobili della cucina.
« Mi dica, capo! » entusiasta come sempre, Feliciano alzò lo sguardo verso di lui.
« Prima che andassero via ho parlato con gli altri due cuochi. » iniziò, incrociando le braccia al petto. « Ci siamo resi conto che forse in tre in cucina siete un po’ troppi, non so se mi spiego. »
Di primo acchito, Feliciano penso che stesse cercando di dirgli che avrebbe dovuto scegliere il più valido tra i due aiutanti, poi aveva elaborato e si era reso conto che se aveva parlato con loro era solo perché si era già scelto chi escludere.
« Poteva… chiamare anche me, per un discorso simile. » fece presente, seppure con fare non troppo convinto, l’italiano.
Doveva stare calmo, molto calmo.
Forse il suo capo aveva deciso di parlare con gli altri per non arrecargli dei pensieri ulteriori: in fin dei conti sapeva che tipo di persona era Feliciano, no? Non gli si sarebbe mai potuto chiedere di decidere chi licenziare, perché per indole lui si sarebbe sentito in colpa e avrebbe detto di tenerli tutti e due.
Però allo stesso tempo non aveva senso che lo facesse, perché quei due ragazzi erano il classico esempio di sottomissione totale, quindi chi avrebbe dovuto preferire, tra lui e uno di loro?
« Non serviva che ne parlassi anche con te, perché la decisione la dovevo prendere con loro. » con risolutezza, continuò il discorso: se gli avesse dato il tempo di parlare o anche solo di elaborare avrebbe sicuramente iniziato a frignare senza lasciarlo più andare avanti. « Loro ubbidiscono, Feliciano. Fanno quello che gli dico e non si sognano di dissentire: per cosa credi che andassero contro ai suggerimenti o ai pochi ordini che davi tu quando ti chiedevano che cosa c’era da fare?
Sei troppo disordinato e si sono lamentati da quando sono qui del tuo modo di cucinare. Sarai anche un ottimo chef, ma non posso permettermi di pagare lo stipendio di un capocuoco che spreca ingredienti in continuazione. »
Il manico del mocio che Feliciano ancora teneva in mano venne stretto con fare convulso dalle dita esili dell’italiano. Non glielo stava dicendo sul serio.
« Sei licenziato, Feliciano. »
Poi giunse quella frase fredda, tagliente come un coltello e il bastone di legno che fino a poco prima teneva in mano cozzò irrimediabilmente contro il pavimento, provocando un rumore che riecheggiò nella stanza.
E adesso che avrebbe fatto?
Doveva reagire.
Aveva rovesciato gli ingredienti solamente una volta, non poteva aver deciso di cacciare lui, proprio lui che gli aveva fatto ottenere tanti clienti, dal locale che si era trasformato anche grazie al suo aiuto.
Subito dopo Feliciano venne colpito da uno di quei fulmini di genio a cui raramente era soggetto, che gli fece capire tutto. Il viso si incupì, le labbra si inclinarono in una smorfia e alzò solo dopo qualche secondo gli occhi lucidi verso il proprietario, che ancora non se n’era andato come a voler essere certo che avesse capito quanto gli aveva appena detto.
« Mi ha assunto solamente perché Ludwig le facesse la recensione, vero? » disse sottovoce, convinto che comunque l’avrebbe sentito. « Non le sono mai piaciuto e ha aspettato l’occasione migliore per liberarsi di me! »
Il tutto si sarebbe dovuto concludere con una seconda, disperata domanda, ma Feliciano non riuscì a farla intendere come un’accusa bella e buona.
La voce non era riuscita che a essere rotta e i singhiozzi acuti non si fermavano. Si strinse nelle spalle mentre gli occhi si velavano di lacrime che scesero copiosamente lungo le guance: ormai non lo vedeva neanche più troppo bene, l’uomo di fronte a lui.
Nemmeno pensò che parlando a quel modo l’avrebbe fatto innervosire aggravando irrimediabilmente la propria situazione; odiava quando la gente gli gridava contro, lo odiava davvero tantissimo.
« Che sia o non sia per questo, non puoi ribattere! Ti ho tenuto in questa cucina a delle condizioni che mi avrebbero anche potuto mettere nei guai. La pacchia è finita, ora vattene e non farti più vedere! »
Dei passi che si allontanavano e poi le porte con gli oblò che conducevano alla sala che si aprivano, chiudendosi poi ad una grande velocità. Fossero state una porta normale, avrebbero fatto un rumore terribile.
Feliciano rimase immobile, come pietrificato. Avrebbe voluto urlare ancora tanto per sfogarsi, ma sentiva che non era il caso. Per la prima volta desiderò anche di rompere qualcosa, ma era ancor meno opportuno di gridare.
Si diresse meccanicamente verso la porta d’uscita che dava sul retro, si tolse la parte superiore della divisa e la lanciò insieme al cappello in un angolo della cucina: a poco gli sarebbe servito portarsela a casa, anzi, probabilmente avrebbe pure dovuto sorbirsi una telefona affinché la riportasse indietro.
Contrariamente dal suo solito frignare rumoroso, quella volta era totalmente calmo, come se non volesse essere sentito da nessuno. Nonostante i pensieri nella sua testa fossero altri, si sorprese terribilmente di sé stesso.
Si infilò la giacca e uscì, senza chiudere a chiave perché tanto, anche quelle, le avrebbe dovute lasciare al proprietario, infatti ora il mazzo giaceva sopra la sua divisa dopo essere stato malamente lanciato.
Andò lentamente verso la strada. Sentiva le ginocchia molli e decise di concedersi un po’ di tempo per calmarsi seduto sugli scalini del retro del locale.
Non l’avesse mai fatto.
Se prima era rimasto relativamente calmo, una volta seduto si rannicchiò e scoppiò a piangere come un bambino.
I singhiozzi si fecero sempre più rumorosi e l’unica fortuna di quel momento era che li stesse soffocando tutti quanti contro le gambe che stringeva sempre più forte al petto incurante di continuare a provocarsi dolore per la loro pressione.
Avrebbe tanto voluto parlare con qualcuno in quel momento e la sua mente vagò subito a cercare l’immagine di Ludwig portandogliela davanti agli occhi.
Ricordava che una volta il tedesco gli aveva apertamente detto che ci sarebbe sempre stato per qualsiasi necessità; non era esattamente il tipo che si faceva scrupoli a seconda dell’orario, quindi decise di prendere il cellulare dalla tasca e di cercare quel nome nella propria rubrica, con il fine di trovare del conforto almeno in lui.
Pressò il tasto per avviare la chiamata e si portò il telefonino all’orecchio, sentendolo squillare.
Strofinò una manica contro i propri occhi, cercando di asciugarli e di bloccare almeno in parte le lacrime che continuavano a scendere copiose. Se gli voleva spiegare la situazione non poteva certamente farlo piangendo.
Rimase a fantasticare qualche secondo su come avrebbe dovuto rivolgersi a Ludwig, almeno fino a quando non sentì partire la segreteria.
Probabilmente stava dormendo, o forse l’aveva trovato una seccatura e aveva deciso di ignorarlo per non fargli capire che aveva rifiutato la chiamata.
Da quel momento in poi, i singhiozzi divennero sempre di più e fu tanto se non lasciò cadere a terra il cellulare.
Anche l’ultima luce del locale si spense, ma Feliciano non se ne accorse, concentrato piuttosto a farsi più vicino al muretto come se starci appoggiato potesse dargli un certo calore.
Dal suo canto, Ludwig non aveva proprio potuto rispondere al ragazzo: stava guidando di ritorno dalla serata di gala che si era conclusa un po’ più tardi del previsto e aveva ben pensato di fare una capatina al locale dove lavorava l’italiano; sicuramente avrebbe gradito un passaggio a quell’ora di notte e il tedesco era convinto di trovarlo ancora lì.
Aveva ben pensato di posteggiare nel parcheggio di fronte alla pasticceria, ma cambiò piani vedendo il ragazzo rannicchiato sugli scalini.
Dovette seriamente ringraziare il lampione che illuminava giusto l’ingresso, altrimenti non si sarebbe mai potuto accorgere che si trattava proprio di Feliciano.
Scese dalla macchina trascinandosi dietro le chiavi e andò rapidamente verso il ragazzo.
« Feliciano, che diavolo stai facendo qui fuori al freddo?! » domandò, chinandosi rapidamente di fronte a lui.
Il più piccolo trasalì, alzando rapidamente lo sguardo verso l’altro.
Aveva creduto fino all’ultimo che fosse il proprietario del locale, pronto a trascinarlo via. Non ci sarebbe stato da sorprendersi, vista la sua umanità.
« Stai anche piangendo! Che è success-… »
Prima che potesse concludere la frase, Feliciano gli gettò le braccia al collo e affondò il viso contro il suo petto, senza smettere di piangere.
« L-Ludi! Ti ho chiamato prima, ma non mi hai risposto! » tirò su con il naso, mentre il tedesco ricambiava l’abbraccio, preoccupato.
« Volevo darti un passaggio fino a casa, stavo guidando per venire qui. » spiegò sinteticamente, appoggiando una mano sulla sua testa.
Per un attimo percepì le dita di Feliciano contro il proprio collo e si morse il labbro: era gelato.
« Sei ghiacciato Feli. Vieni, ti porto in macchina. »
Neanche si curò di accertarsi se era in grado di camminare che lo sollevò di peso, dirigendosi verso la vettura. Aprì la portiera che l’avrebbe fatto sedere al posto del passeggero e lo adagiò lì.
Feliciano non sembrò particolarmente contento di staccarsi, tanto che quando Ludwig salì nuovamente al posto del guidatore gli si aggrappò una seconda volta.
L’italiano cercò di frenare le lacrime. Adesso che c’era Ludwig si sentiva molto più tranquillo e anche se le cose non si erano sistemate aveva come la sensazione che parlandone a lui avrebbe trovato una soluzione.
Forse.
Osservò le dita del tedesco macchinare con i pulsanti dell’auto e sentì improvvisamente una vampata di calore avvolgerlo. Tirò un sospiro di sollievo, godendosi quel leggero torpore mentre si stringeva più forte nella giacca.
Sentì le serrature delle portiere scattare; era abituato a udire quel rumore quando saliva in macchina di Ludwig, perché l’uomo sembrava essere costantemente preoccupato che ci fosse qualcuno di poco raccomandabile pronto ad entrare.
Trascorse qualche attimo, poi Ludwig parlò.
« Ti stai scaldando? » gli chiese, osservando i suoi occhi appena socchiusi. Aveva ancora le ciglia umide di lacrime, ma almeno non piangeva più.
Il critico tirò fuori un fazzoletto dal pacchetto che aveva in tasca e glielo porse. Feliciano si voltò lentamente e osservò l’oggetto che gli stava porgendo, prendendolo e soffiandosi il naso. Tirò un lungo sospiro e si abbandonò contro il sedile, scivolando appena verso il basso.
Solo allora annuì per rispondere alla domanda del tedesco, che si passò una mano sul viso: non l’aveva guardato molto in faccia, ma aveva davvero i lineamenti del viso increspati in un’espressione di totale preoccupazione.
In fin dei conti gli era già capitato di vedere Feliciano lagnarsi per nulla e già era successo che piagnucolasse, ma quella volta doveva essere capitato davvero qualcosa di grave.
« Te la senti di dirmi cos’è successo? » cercò di metterlo più al suo agio possibile; se il fatto era così catastrofico non voleva certamente farlo rimettere a piangere costringendolo a parlarne.
Fortunatamente l’italiano gli rispose con un sì e si voltò verso di lui anche con il busto, riacquistando una posizione eretta.
Strinse la propria giacca tra le dita, mordicchiandosi nervosamente il labbro.
Ludwig non se la sarebbe presa con lui se gli avesse detto la verità, doveva solamente organizzare le idee e raccontargli con calma l’accaduto.
Peccato che la calma e la pazienza non fossero esattamente le doti migliori di Feliciano, che iniziò a parlare a ruota libera.
« Il proprietario è… venuto in cucina quando è finito il mio turno. Mi ha detto che doveva parlarmi di una cosa importante che già aveva discusso con i miei due assistenti, sai quelli di cui ti avevo parlato, no? » fissò il basso, facendo guizzare gli occhi, tornati rapidamente lucidi, prima verso il bracciolo tra i due sedili davanti, poi verso il volante e poi ancora sulle proprie mani che torturavano il giubbotto. « Gli ho detto che mi avrebbe dovuto chiamare, ma ha risposto che non ce n’era bisogno e che avevano già deciso. Mi ha detto che doveva liberarsi di un cuoco perché eravamo in troppi e allora io mi sono agitato, lui si è agitato e mi ha detto di andarmene. » la voce rotta concluse a fatica quella frase del tutto confusa, facendo capire ancor meno a Ludwig il succo della questione.
Sfortunatamente si era già fatto una vaga idea di ciò che gli stava cercando di dire Feliciano e sentì un moto di rabbia coglierlo dal profondo.
« Aspetta Feliciano, va con calma. Mi stai dicendo che ti ha licenziato? »
Feliciano trasalì.
Sembrava quasi che non volesse sentir nominare quella parola, ma si affrettò ad annuire. Aveva sentito quanto fosse arrabbiata la voce di Ludwig e non capendo con chi se la fosse presa cercò di irritarlo il meno possibile.
Avrebbe voluto aspettare il momento migliore per metterlo in chiaro, ma alla fine, come non era riuscito a spiegarsi, non trattenne la propria sincerità.
Sollevò repentinamente il capo e si aggrappò alla giacca dell’altro, mentre le guance si inumidivano di nuovo senza che però si mettesse a singhiozzare.
« M-Mi dispiace L-Ludi! Lo so che… ho guadagnato quel lavoro grazie a te e io mi sono… mi sono davvero impegnato tanto perché era il mio sogno! » lo guardò intensamente negli occhi, ignorando totalmente l’espressione del tutto sorpresa del tedesco. « Ma oggi c’era tanta gente, gli altri mi intralciavano e sono scivolato facendo cadere l’impasto di uno dei dolci. Avrei pulito, lo avrei fatto sul serio, ma poi quei due si sono lamentati e io… »
Gli occhi di Ludwig percorsero il corpo dell’italiano con lo sguardo: si era soffermato forse eccessivamente sulla parte in cui gli diceva che era scivolato e pensò subito che si fosse fatto male. Anche se fosse stato così però, molto probabilmente Feliciano non se ne sarebbe preoccupato troppo, almeno non in quel momento.
Allungò timidamente una mano a sfiorare il viso dell’italiano e gli raccolse piano le lacrime, osservandolo mentre strizzava le palpebre come se avesse improvvisamente provato vergogna per i propri occhi lucidi.
« Troveremo qualcosa di meglio per te, va bene? Ho parecchie conoscenze, se ti raccomando io non penso avrai problemi. » il suo tono si era improvvisamente calmato e Feliciano si sentì più tranquillo.
La verità era che il tedesco stava letteralmente ribollendo all’interno; si era perfettamente capacitato delle ragioni per cui Feliciano era stato licenziato. Probabilmente il proprietario si era approfittato dell’occasione che aveva avuto per ottenere quella fantomatica recensione positiva e poi non aveva tardato a liberarsi del giovane.
Non gli veniva difficile crederlo più che altro perché Feliciano gli aveva raccontato, nel corso di quei tre mesi, che anche se si comportava eccellentemente in cucina non riceveva mai complimenti e le uniche che venivano mosse erano critiche.
Quasi sicuramente non gli era mai stato simpatico, ma Ludwig non si era mai sognato di farlo presente all’italiano per paura che se la prendesse e dicesse che lui non ne capiva niente perché non si trovava in cucina con lui.
Non si era mai curato di accertarsi che quanto diceva l’italiano fosse vero, perché si fidava ciecamente di Feliciano e non aveva bisogno di prove che confermassero le sue parole.
Certo era che però un controllino al suo modo di cucinare l’avrebbe dovuto dare: in fin dei conti era stato sempre lui per primo a dirgli di non essere particolarmente ordinato dietro ai fornelli e Ludwig era intenzionato a capire quanto poco fosse lo fosse e ad aiutarlo.
Oltre al fatto che un lavoro era necessario per il ragazzo che viveva da solo, era d’obbligo che tornasse presto ad avere un impiego perché sicuramente quella che aveva appena ricevuto era stata una ferita morale non da poco.
« Grazie, grazie, grazie Ludwig! » sentì esclamare da di fronte a lui, mentre di nuovo le braccia esili del più piccolo si stringevano intorno al suo collo in un abbraccio che sembrava sì di gioia, quanto di disperazione.
Era quasi sicuro che dopo averlo riaccompagnato a casa si sarebbe seduto contro la porta dell’appartamento a piangere di nuovo, quindi decise di non trattenere la proposta che aveva già valutato di fargli dal primo momento che l’aveva visto in quelle condizioni, a prescindere dal motivo.
« Non mi devi ringraziare, Feli, però ho bisogno di vedere davvero in che modo cucini. » gli appoggiò una mano sulla testa, arruffandogli affettuosamente i capelli.
Non l’aveva mai toccato così tanto, ma in quel momento sembrava non farci particolarmente caso.
« Ti voglio aiutare, lo sai e non solo per quanto riguarda il lavoro. Non sei nemmeno nelle condizioni di stare a casa da solo, quindi pensavo che ecco… potresti venire a passare la serata da me, ti va? » domandò, mentre le guance si facevano appena rosse per l’imbarazzo. Non aveva mai proposto una cosa simile a nessuno.
Osservò gli occhioni di Feliciano che si sgranavano e si mordicchiò il labbro per dissimulare l’incertezza che lo stava attanagliando, riprendendo a parlare.
« Io domani ho la giornata libera, quindi non preoccuparti. Se non hai sonno potresti anche… metterti a cucinare subito, ti va? Mi hai sempre detto che quando sei triste lo fai e ti senti subito meglio. »
Quella nottata era stata indubbiamente disastrosa per Feliciano: una sola era la cosa brutta accaduta, ma sarebbe bastata per dieci.
Non si sarebbe mai dovuto accorgere di qualcosa di bello che gli succedeva visto il suo umore, ma proprio non riusciva a non cogliere tutti quei piccoli gesti di Ludwig e a sentirsi poco a poco sempre meglio.
Gli aveva proposto non solo di aiutarlo a trovare un nuovo lavoro e di migliorarlo dal punto di vista dell’organizzazione, ma si stava anche prendendo cura di lui.
Svariate volte aveva cercato di guidare Ludwig per ottenere qualcosa, come dell’affetto o simili, ma in quel momento non si sarebbe mai aspettato una cosa del genere. Poi gli aveva anche dimostrato che i suoi interminabili sproloqui che aveva creduto lo annoiassero erano invece stati ascoltati tutti e adesso il tedesco sapeva perfettamente che cucinare lo faceva sentire meglio.
Se fino a poco prima aveva avuto gli occhi lucidi per la disperazione, ora lo erano per la commozione dovuta a tutte quelle rivelazioni inaspettate.
Annuì appena, staccandosi da Ludwig mentre si asciugava gli occhi con il dorso della mano. Si voltò e prese lentamente la cintura di sicurezza, tirandola e agganciandola al giusto posto.
Era talmente sorpreso che neanche aveva avuto parole e Ludwig doveva ammettere di aver sentito crescere in lui una certa preoccupazione. Magari gli aveva dato fastidio e aveva interpretato nel modo sbagliato tutte quelle attenzioni che stava cercando di dargli.
Vedendolo annuire si calmò, tirando un sospiro di sollievo che cercò di soffocare il più possibile e si mise la cintura, guidando verso la propria abitazione.
 

***

 
Diversamente dai loro abituali viaggi in macchina durante i quali Feliciano non chiudeva mai bocca – non l’aveva fatto nemmeno quando, un’unica volta, una delle segretarie di Ludwig l’aveva chiamato per confermare un appuntamento –, quello fu particolarmente silenzioso.
L’italiano non parlò praticamente mai e Ludwig non cercò di intavolare un discorso.
Già odiava consolare le persone perché non sapeva mai che cosa dire, figurarsi se doveva parlare a qualcuno in macchina, senza poterlo guardare e carpire anche le più piccole reazioni dalle sue espressioni.
Avrebbe rimediato una volta giunti a casa, anche perché ad un certo punto del tragitto ebbe come la sensazione che Feliciano si fosse addormentato, visto che la testa si era adagiata sulla spalla sinistra del ragazzo.
Una ventina di minuti dopo erano arrivati a destinazione e l’italiano si era già risvegliato da qualche tempo.
Si guardò intorno con fare spaesato, osservando la portiera dal lato del guidatore che veniva richiusa e rivide Ludwig solamente quando gli andò ad aprire dopo aver fatto il giro della macchina, controllandolo.
« Vuoi che ti porto io? Ce la fai? » domandò, allungando già le braccia per sollevarlo.
Feliciano si lasciò sfuggire un principio di risata mentre sgusciava fuori dalla macchina.
Era buffo osservare Ludwig che cercava di rendersi utile in una situazione tanto complicata; anche prima, sul retro del locale, gli aveva posto una domanda del tutto simile, ma probabilmente preso dalla fretta non gli aveva dato il tempo e si era risposto da solo.
« Ludwig, adesso sto bene, non serve che ti preoccupi. » gli spiegò dopo averlo visto aggrottare le sopracciglia con fare interrogativo.
« Scusa. » borbottò il tedesco, mentre richiudeva la portiera e si dirigeva verso il portone d’ingresso al condominio.
Feliciano lo seguì, agitando rapidamente le braccia e sgranchendosi le gambe.
Era uscito tanto in fretta dalla macchina che nemmeno si era reso conto dello sbalzo di temperatura, come del resto non aveva fatto caso al piacevole torpore che l’aveva avvolto.
Quello che aveva di fronte era un palazzo altissimo nella zona del centro dove si trovavano le case più care
Non aveva mai immaginato per bene dove potesse abitare l’altro, ma quasi sicuramente se ne sarebbe fatto un’immagine sbagliata: avevano già parlato delle loro case e sapeva perfettamente che viveva in un appartamento eppure in lui era sempre stata radicata la figura di una villetta con giardino.
Ludwig lo guidò verso l’ascensore di quell’atrio interamente in marmo arricchito da qualche pianta e vi entrò. Fortunatamente per loro era già al piano terra.
Osservò il dito dell’altro che schiacciava il bottone per salire all’ottavo piano e sospirò, strofinandosi un braccio sugli occhi.
« Sei stanco? »
Si voltò rapidamente verso Ludwig e scrollò le spalle.
« Ho solo gli occhi un po’ affaticati, tranquillo. Stamattina ho recuperato le energie perché ho dormito fino a tardi, visto che il turno cominciava di pomeriggio! »
Sentì una leggera fitta al petto a parlare del suo ormai vecchio lavoro e Ludwig sembrò accorgersene.
Stava già per sviare i ldiscorso in un qualche modo, quando fortunatamente il campanello dell’ascensore suonò, permettendo a tutti e due di uscire.
Il tedesco camminò rapidamente verso una porta in fondo al corridoio, frugando qualche attimo nelle proprie tasche e infilando poi le chiavi nella toppa.
Da quando erano scesi dalla macchina controllava Feliciano con la coda dell’occhio pur sapendo che normalmente gli rimaneva sempre appiccicato, quando camminavano.
Si sarebbe sentito di gran lunga più tranquillo se gli avesse dato il permesso di portarlo in braccio.
La serratura scattò e la porta venne aperta lentamente.
Nell’appartamento era caldo quasi quanto lo era nell’abitacolo della macchina di Ludwig e per questo Feliciano si lasciò sfuggire un leggero sospiro soddisfatto.
Normalmente avrebbe anche sorriso, ma il discorso appena affrontato in ascensore l’aveva scosso di nuovo.
« Ah, permesso… » si affrettò a dire rendendosi conto di aver tralasciato una parte dei convenevoli tanto cara a Ludwig.
Aveva sempre saputo quanto il tedesco fosse attaccato all’educazione e per questo vide un leggero sorriso inclinare le labbra cesellate dell’altro.
« Avanti. » rispose solo, chiudendo la porta alle spalle di Feliciano.
Si aprì lentamente il giaccone a doppio petto, appendendolo all’attaccapanni dietro alla porta e rivelando il completo rigorosamente nero che aveva sotto. La camicia abbinata era bianca con delle striscioline grigie, ma non attirò particolarmente l’attenzione di Feliciano, che si preoccupò piuttosto di imitare i gesti dell’altro.
Aprì la zip del giaccone imbottito fece per toglierlo, ma ci pensò Ludwig per lui.
« Mi stai accudendo come se fossi un bambino, sai? » gli fece notare mentre un lieve sorriso si faceva finalmente strada sul suo viso pallido solcato dalle occhiaie.
Il biondo lo osservò silenziosamente, finendo di toglierglielo e appendendolo poi per il cappuccio sul braccio dell’attaccapanni accanto a dove aveva messo il suo giaccone.
Normalmente sarebbe arrossito a quell’affermazione, ma non lo fece. Quel giorno si rendeva perfettamente conto di ciò che stava facendo e non sapeva perché, ma non lo metteva per nulla a disagio e non aveva nemmeno la benché minima intenzione di smettere.
« Ti dà fastidio? » indagò.
« No, per niente… » la risposta gli giunse fulminea, appena mormorata.
Era indubbiamente un bell’appartamento e se non fosse stata notte, Feliciano si sarebbe anche potuto godere la luce che entrava dalle ampie finestre del soggiorno.
L’ingresso era una piccola stanzetta che si diramava poi in due corridoi: quello di sinistra conduceva alla cucina, a uno sgabuzzino e a uno dei bagni, mentre quello di destra portava invece allo studio di Ludwig, a una stanza degli ospiti e alla camera da letto munita di un altro bagno.
Se si proseguiva dritti, invece, si incontrava una porta che permetteva di accedere al soggiorno.
Fosse stato nelle sue condizioni abituali, l’italiano si sarebbe messo a curiosare in giro molto maleducatamente.
Da quel momento in poi, Ludwig cercò di farlo mettere il più a suo agio possibile: gli fece togliere le scarpe infilandole nella scarpiera, gli spiegò sommariamente dov’erano le stanze e lo portò poi nella camera degli ospiti, dove gli diede dei propri vestiti che gli stavano ormai stretti.
Decise anche di chiedergli se gli andava di fare una doccia, ma Feliciano gli rispose che l’aveva già fatta ed eventualmente si sarebbe lavato il mattino seguente.
Fatto ciò, il tedesco decise di andarlo ad aspettare in cucina.
Lo vide arrivare dopo cinque minuti con indosso una lunga maglietta bianca e sopra la casacca nera di una tuta che ormai lui non usava più.
Fortuna che la t-shirt gli arrivava almeno a mezza coscia, perché per un motivo a lui ignoto aveva totalmente ignorato la presenza dei pantaloni di quel completo.
Tossì, distogliendo lo sguardo dalle gambe scoperte del ragazzo fermo sull’uscio.
« E i pantaloni? » gli chiese sommessamente.
« Mi stavano troppo larghi. » rispose tranquillamente l’italiano, come se fosse la cosa più naturale del mondo.
« Potevi chiamarmi, te ne davo un altro paio. » fece per alzarsi, ma Feliciano si avvicinò rapidamente e gli poggiò entrambe le mani sul braccio coperto da una maglia nera con le maniche lunghe e scuotendo la testa.
A lui, anche le maniche della tuta stavano piuttosto lunghe, abbastanza da coprirgli quasi tutte le dita.
« Va bene così Ludwig! Sto comodo e poi qui fa caldo, quindi non ti preoccupare. » lo tranquillizzò.
A quel punto Ludwig si voltò verso i fornelli, convinto che se Feliciano avesse avuto voglia di cucinare si sarebbe fatto avanti da solo.
Solo perché era depresso non perdeva certamente la propria spontaneità e in più in macchina gli aveva già detto che gli avrebbe lasciato la cucina.
« Hai voglia di cucinare, allora? »
Con sua sorpresa, non vide la reazione sperata e osservò invece un Feliciano che rimase qualche attimo con l’indice sulle labbra, interdetto, scuotendo poi la testa.
« Non tanta. Posso farlo domani? » gli chiese.
« Certo che puoi, non ti volevo obbligare.. » si alzò lentamente dalla sedia, osservando la porta che li avrebbe portati in soggiorno. « Se non vuoi niente da bere o mangiare potremmo andare a vedere un film, ti va? »
Quello che ricevette fu un muto gesto di assenso con la testa, pochi attimi prima che Feliciano gli afferrasse saldamente la mano.
Lo guidò in soggiorno, accendendo la luce e regolandola in modo che non fosse troppo alta.
La sala era ampia e rettangolare; sulla sinistra vi era un tavolo piuttosto lungo con molte sedie, tanto che Feliciano si chiese se Ludwig avesse una famiglia numerosa da ospitare in alcune occasioni.
Al centro della stanza vi era un divano che guardava la parete dov’era posto il televisore e ai suoi piedi si trovava un tappeto dall’aria morbida.
Vi erano poi vari suppellettili su alcuni mobili che Feliciano non si soffermò particolarmente ad osservare.
Preferì piuttosto seguire Ludwig e fiondarsi su quel comodo sofà senza lasciare andare la sua mano.
Quando il tedesco si sedette ne approfittò per accoccolarsi contro di lui, appoggiando la testa sulla sua spalla.
Sapeva che lo imbarazzava, ma in quel momento non aveva né intenzione di lasciarlo, né di commentare ridacchiando il suo viso paonazzo.
« Ludwig io… ti devo ringraziare davvero per tutto, sai? » sussurrò, strusciando il viso contro il suo collo.
Ludwig sentì un piacevole solletico dovuto ai capelli fini dell’altro e lo guardò incerto.
Fu allora che decise di sollevare le braccia e di avvolgerle dolcemente intorno al corpo dell’italiano per cercare di confortarlo ancora di più. Sistemò la guancia contro la sua testa.
« Non ho mai fatto nulla di eccezionale, Feliciano. » ribatté. « E poi anche io devo ringraziare te, se la mettiamo così. »
Se lui aveva aiutato l’altro dal punto di vista lavorativo, era altrettanto vero che Feliciano l’aveva aiutato addolcendolo.
Anche sotto altri punti di vista l’aveva aiutato, ma non era ancora il caso di parlargliene.
« Perché? » domandò sorpreso cercando di alzare il viso, ma rimanendo bloccato a causa della testa di Ludwig sulla sua.
« Ne parliamo un’altra volta, va bene? Ora riposati. » sussurrò soltanto.
Feliciano avrebbe davvero tanto voluto insistere, ma in quel momento non se la sentiva proprio. Tanto non si sarebbe dimenticato di quel discorso lasciato in sospeso e sicuramente l’avrebbe ripreso prima o poi.
« Mh… ti... voglio tanto bene, Ludwig. » mormorò, con voce non esattamente convinta. Chiuse gli occhi, riuscendo fortunatamente a sentire l’anche io che Ludwig gli disse in risposta, poco prima di addormentarsi.
Non si accorse però del sussulto dell’altro e altre reazioni del tutto lecite da parte del tedesco.
Era la prima volta che se lo dicevano e doveva dire di essere rimasto abbastanza sorpreso.
Rimasero sul divano per una buona mezz’ora, poi Ludwig si rese conto che era meglio portarlo a dormire al caldo sotto le coperte.
Lo prese in braccio con delicatezza, attento a non fare movimenti bruschi e a non provocare rumore per non svegliarlo.
Si diresse lentamente verso la propria stanza; il letto della camera degli ospiti era singolo e aveva già deciso che ci sarebbe andato a dormire lui, lasciando quello più comodo a Feliciano che aveva tanto bisogno di riposare.
Entrò nella camera e si avvicinò al letto di cui aveva già scostato le coperte prima di andare in cucina, pronto a dover portare personalmente a letto il ragazzo.
Adagiò dolcemente il corpo di Feliciano sul letto e fece per alzarsi, rendendosi però conto che le braccia che il ragazzo gli aveva avvolto intorno al collo nel sonno non sembravano essere affatto decise a lasciarlo.
Un mugugno uscì dalle labbra dell’addormentato mentre aggrottava le sopracciglia sospirando.
« Qui… » borbottò, senza lasciarlo andare.
Ludwig sussultò, arrossendo mentre prendeva un grosso respiro, sollevando le coperte anche per sé, sdraiandosi accanto al ragazzo.
Se doveva essere sincero, non gli dispiaceva affatto poter sentire il calore dell’altro anche mentre dormiva.
Era una situazione perfetta. Normalmente lui si sarebbe sentito in imbarazzo, ma un po’ per le condizioni del ragazzo, un po’ per tutto il contesto, gli sembrava che tutto quanto fosse spontaneo e per nulla forzato.
Lo tirò a sé, abbracciandolo con dolcezza mentre depositava un bacio dolce sulla sua fronte.
« Buona notte, Feliciano. »
Rimase qualche attimo ad osservarlo mentre sorrideva beato tra le sue braccia, per poi affondare il viso nei suoi capelli.
« Ti amo. »






Angolo dell'autrice
Buonasera a tutti quanti, finalmente sono tornata ad aggiornare questa fanfiction! Spero vivamente che non me ne vogliate - sia perché ho aggiornato, sia per il ritardo -, ma sfortunatamente ho iniziato questo capitolo in un periodo un po' sfigato dal punto di vista scolastico
Poi ho avuto il blocco dell'ispirazione e quando mi è passato mi sono venute in mente idee per altre storie.
Non ho affatto perso di vista la GerIta se è questo che potete aver pensato eh, anzi! Rimane una delle mie OTP, ma sfortunatamente ho avuto un po' di problemi per quanto riguarda proprio questa storia che mi è sembrata terribilmente banale e simile al film d'animazione Ratatouille x° (spero di non averlo già detto.)
Comunque ora che l'ispirazione mi è tornata conto di aggiornare presto sia questa che l'altra storia che ho in corso!
Vorrei ringraziare love_gerita per avermi mandato un messaggio e avermi spronata a continuare èwé Avevo detto che a giorni sarebbe arrivato il capitolo, no? ~
Ho trattato un tema un po' delicato qui e spero di non averlo reso sottovalutato.
Detto questo vi ringrazio per la lettura e spero di sentire ancora numerosi vostri pareri nelle recensioni, che mi fa sempre piacere!

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