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Autore: L A I L A    29/06/2013    5 recensioni
Mentre discutevano di quanto le cheerleader potessero essere fastidiose, l' S3 di Elizabeth cominciò a squillare diffondendo Changes per per la parte sottostante le tribune.
[...]
- Tupac... -
Era come se avessero ricevuto una coperta di pile in una giornata fredda, come se fossero entrati sotto il getto caldo della doccia dopo una giornata stressante, come se avessero mangiato patatine fritte dopo giorni di minestrone.
Ellie, soprannominata così da Jamie, chiuse la telefonata, dicendo che era la madre ma, vedendo le facce deluse dei compagni, mise Changes in riproduzione.
Cantarono insieme quelle rime, emozionati, innamorati, bloccati in un vortice di sensazioni contrastanti. Inebriante condizione da cui non avrebbero mai voluto uscire. Altro che erba, era quella per loro la vera droga.
Genere: Avventura, Comico, Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Lime | Avvertimenti: Contenuti forti, Tematiche delicate, Violenza
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A stento si rendevano conto di ciò che avevano appena fatto. Correvano già da un po' separandosi di tanto in tanto in mezzo alla folla per poi rincontrarsi qualche metro più avanti. Non avevano ansia o paura di essere scoperti, ma dei sinceri sorrisi sulle facce.
Devon correva davanti a tutti, il cappello di Elizabeth in mano, l' espressione allegra e spensierata di un tempo, ritrovata in una frazione di secondo grazie a quei quattro pazzi a cui sentiva di essere legato in modo estremamente forte, nonostante li conoscesse da pochissimo.
Con una svolta brusca verso destra, il ragazzo dall maglietta nera uscì dalla massa di persone che si accingevano a mangiare il loro pasto mentre facevano acquisti sicuramente del tutto indispensabili, a loro parere.
Si trovava in una sala vuota, con un grosso cartello con due frecce che indicavano la direzione per i bagni e per le uscite di sicurezza.
Uno ad uno anche i suoi compagni lo raggiunsero col fiatone e l' aria strabiliata di chi ha appena fatto qualcosa di epico.
Incapaci di dare voce alle proprie sensazioni, proseguirono nella direzione indicata dal cartello in caso di incendio, sobbalzando ad ogni rumore ambiguo che potesse segnalare l' arrivo di un addetto alla sicurezza.
Raggiunsero in fretta la scala antincendio, molto più grande di quella della loro scuola, e costruita come una gabbia, dato che le larghe rampe erano circondate da grate in ferro di cui non si conosceva il senso.
Si buttarono sui gradini freddi e Devon, con la mano tremante, consegnò il cappello a Elizabeth che si mise a fare qualche calcolo veloce.
La ragazza, con i capelli biondi mossi dalla brezza leggera, sistemò le banconote in piccole pile, tenendo le monete all' interno del cappello per contarle per ultime. Rimase leggermente sorpresa nel vedere che qualcuno aveva messo banconote da cinque e dieci e dieci dollari, ma il massimo del suo stupore si manifestò nel momento in cui, sul fondo del New Era, vide quello che sembrava essere proprio un pezzo da cinquanta.
Gli altri, troppo occupati a ricordare il momento con frasi ad effetto, non si accorsero della sua faccia a dir poco meravigliata, ma quando Ellie alzò lentamente la banconota, gli sguardi degli altri quattro confluirono in quel punto, piacevolmente stupefatti.
Jake scattò in piedi.
- Era lei! La ragazza con la felpa nera. Ha messo cinquanta dollari. Cinquanta! Da non crederci... -
Si lasciò cadere nuovamente sul gradino, mentre gli altri lo guardavano pensando seriamente che avesse bisogno di un qualche sedativo per bovini prima di internarlo in manicomio.
Elizabeth continuò il conteggio, fino a quando, dopo aver aggiunto alla somma anche il valore dell' ultima moneta, si alzò in piedi esclamando:
- Centosette dollari e ventiquattro centesimi! -
Il sorriso entusiasta sul suo volto era solo un quarto della reazione che ebbero i ragazzi che si misero a saltare per quell' ampio pianerottolo metallico prendendosi a cavallino a vicenda e urlando come dei pazzi. Jamie, dopo aver tirato un colletto piuttosto doloroso, a giudicare dal suono, a Devon, riuscì a ottenere il silenzio e intimò a quelle sottospecie di scimpanzé danzanti di stare zitti se non volevano essere scoperti nel giro di un nanosecondo.
Si sedettero con un sospiro pieno di allegria e speranza, mentre Devon si massaggiava il collo dolorante.

Mangiavano seduti a un tavolino del McDonalds, sorridendo di continuo, incapaci di contenere l' entusiasmo che quell' esperienza gli aveva trasmesso. Ogni tanto, qualcuno di loro raccontava un nuovo particolare e allora Thomas riprendeva a spiegare l' accaduto come se loro non fossero stati lì. L' aveva già fatto cinque volte da quando si erano seduti al tavolo.
Eizabeth lo ascoltava con enorme attenzione ogni singola volta, e Jamie si divertiva nel notare i cambiamenti da una versione all' altra, mano a mano che gli altri aggiungevano dettagli venutigli in mente sul momento.
Si fecero i complimenti e azzannarono i panini come dei dispersi su un' isola deserta che tornano a casa dopo settimane di digiuno. Quei panini, uguali a tutte le altre volte in cui ciascuno di loro aveva mangiato in quel posto, quel giorno sembravano più buoni, arricchiti dal gusto dell' impegno che avevano messo per guadagnarseli.
Jake mangiava silenzioso, assorto nei suoi pensieri. Ogni tanto partecipava alla discussione, ma si trovava sempre a pensare alla ragazza dai capelli neri che aveva lasciato tutto quel denaro. Finirono i panini, le Pepsi e le patatine fritte, rubandosele a vicenda e improvvisando litigate scherzose. E stavano ancora decidendo la sorte dell' ultima patatina rimasta, disputata da Devon e Ellie, quando l' attenzione dell' intero gruppo, compreso Jake, venne attirata da due ragazzini più piccoli di loro che passarono lì accanto fissandoli e sussurrando con tono quasi eccitato:
- Sono proprio loro! -
I ragazzi non ci diedero troppo peso e tornarono alle loro faccende mentre Elizabeth, con un discorso degno di un diplomatico, si conquistava la patatina superstite e la mangiava con gusto, per fare un dispetto a Devon che la guardava con finto odio e un sorrisetto che diceva chiaramente: 'La vendetta di Zeus scenderà su di te'.
L' iPhone di Jamie segnalò un nuovo messaggio che la ragazza lesse velocemente, mentre gli occhi si spalancavano sempre di più.
Sei su youtube!
Lesse la mora, precipitandosi su Safari per controllare. Gliel' aveva scritto una sua amica che non vedeva da un po' ed era impensabile che fosse in vena di scherzi. Troppo eccitata per pensare di dirlo agli altri, quasi ruppe il vetro del telefono cliccando sull' icona di Safari e le scappò un' imprecazione quando si accorse di aver finito i giga internet.
Contemporaneamente, anche il Galaxy next di Thomas vibrò sul tavolino di legno. Vista l' espressione che si dipinse sul volto del ragazzo, anche lui doveva essere stato informato. Lui saltò in piedi e disse, senza pensarci:
- Cazzo ragà siamo su Youtube! -
Jake tirò fuori anche il suo cellulare e, dopo aver ignorato una chiamata persa da colei che un tempo considerava sua madre, entrò su Youtube direttamente dall' applicazione. Cliccò sulla barra di ricerca e digitò velocemente "Esibizione Harvey Shopping Centre".
Primo risultato, oltre cinquecento visite.
Passò il telefono a Jamie che, essendo al centro, fece partire il video.
Erano proprio loro e sicuramente quello non era l' unico video finito in rete, a giudicare da tutte le persone con il cellulare in mano al momento dell' esibizione.
Quando finì, erano tutti abbastanza sconvolti. Da una parte lusingati dalle attenzioni di tutta quella gente nei loro confronti, dall' altra imbarazzati dal fatto che chiunque, compresi i loro familiari, avrebbero potuto vedere ciò che avevano fatto, in orario scolastico, per giunta.
Jake guardò il video sorridendo, ma una volta finito, la sua attenzione si concentrò oltre la vetrata del McDonalds che dava all' atrio superiore del centro commerciale, dove una ragazza con una felpa nera camminava tutta sola, il capo chino e le auricolari nelle orecchie, come un' intrusa in mezzo alla gente frettolosa che assediava i corridoi.

 

 

K A R E N

- Merda! -
Bel modo per iniziare la giornata. Stava bevendo un caffè in cucina quando suo fratello minore, Chris, la travolse mentre andava sullo skate urlando come una scimmia, facendole rovesciare il contenuto bollente della tazza sulla maglietta pulita.
Un attimo, cosa ci faceva quella sottospecie di mostriciattolo sul suo skateboard?
- Chriiis! -
Tuonò la ragazza partendo all' inseguimento e abbandonando la tazza ormai semivuota sul piano della cucina.
Il marmocchio era veloce, con quelle quattro ruote sotto i piedi, molto più di lei ma dato che era troppo impegnato a girarsi ogni due secondi per farle una linguaccia, non sia accorse della libreria, sulla quale si schiantò con un gemito di dolore.
La sorella si riprese bruscamente il suo skate e lo lasciò per terra a massaggiarsi la testa.
Tornò in cucina e cercò di rimediare al danno che quella peste aveva causato, senza avere però un grande successo. Rassegnata, salì in camera sua dove, dopo aver lanciato la maglietta sporca nel cesto della roba da lavare, rovistò nell' armadio alla ricerca di qualcosa da indossare.
Mentre stava per mettere una semplice canottiera bianca, il computer acceso sulla scrivania, segnalò un messaggio di skype.
Ci vediamo al solito posto all' ora di pranzo. Aaron.
La ragazza sorrise. A questo punto non doveva preoccuparsi tanto del vestiario, le bastava qualcosa di nero che la coprisse al punto giusto.
Trovò una vecchia felpa del padre, tutta nera, e la indossò, contenta di tutto il confort che la larghezza dell' indumento le dava.
Karen era proprio bella. Ma non la classica ragazza con i capelli biondi e gli occhi azzurri. No, credo che fosse una bellezza non convenzionale.
Lunghi capelli neri le ricadevano sulle spalle, mossi come il mare in tempesta, lucenti come l' acqua cristallina. Gli occhi verdi incastonati nel suo viso chiaro, sembravano pietre preziose di cui nessun critico sarebbe mai riuscito a valutare il valore.
Viveva in un appartamento nel centro della città. La sua famiglia non era ricchissima, ma il nonno materno aveva lasciato a loro i suoi averi, così da qualche anno a quella parte non se la passavano così male. I suoi andavano a lavorare la mattina presto e tornavano la sera tardi, per questo in casa c' era sempre la baby-sitter che avrebbe dovuto occuparsi di Chris.
Era una ragazza tutta casa e chiesa che Karen odiava. Faceva tanto la moralista quando non sapeva tutto quello che aveva dovuto passare.
Karen, da piccola, aveva avuto gravi problemi legati alla salute e i genitori avevano speso un patrimonio per le cure mediche. Per questo adesso dovevano lavorare così tanto per mantenere la famiglia.
Fino all' età di dodici anni, Karen andava e tornava dall' ospedale continuamente e il fatto di non poter vivere le esperienze di tutti i suoi coetanei, l' ha resa sempre più chiusa nei confronti degli altri, impedendole di intraprendere amicizie durature.
Nessuno è più riuscito a comprenderla, neanche dopo la sua guarigione. I suoi genitori hanno iniziato a chiedersi perchè facesse determinate cose senza capire che la malattia che le aveva impedito di vivere la sua infanzia, aveva lasciato dei segni incancellabili sulla figlia.
Il fatto è che lei era o meglio, faceva la troia. Forse per ricevere attenzioni, o forse semplicemente perchè ne aveva voglia, ma andava con tutti senza farsi grandi problemi.
Era cosciente di ciò che si pensava di lei a scuola, ma non gliene fregava un granché e riversava le sue emozioni negative nell' arte. Era da qualche anno ormai che graffitava in giro per la città e le sue opere erano tra le più apprezzate dai suoi coetanei. Tuttavia, non si è mai messa in mostra, lasciava sempre firme incomprensibili e non si faceva notare. Adesso, però stava lavorando a qualcosa di grande, in un vicolo adiacente all' Harvey Shopping Centre, dove andava quotidianamente ormai da un mese per definire i dettagli di quello che, ne era sicura, sarebbe diventato uno dei graffiti più conosciuti della città.
La parola era semplice: Freedom.
La scrittura era chiara, non articolata come i suoi graffiti precedenti, in modo che tutti potessero capire cosa c' era scritto.
Intorno alla scritta, che sembrava levitare su una nuvola di gas di scarico, c' erano disegni di ogni tipo, grandi ognuno quanto una sua mano, ma perfetti in ogni dettaglio. Era veramente fiera di sè anche se, mano a mano che il graffito cresceva, doveva stare sempre più attenta ai vigili che avrebbero potuto scoprirla in qualsiasi momento.
Per questo c' era Aaron, l' unico suo amico, che conosceva da quando era piccola. Lui, con il suo modo di fare accattivante, riusciva a distogliere l' attenzione dei passanti da quell' anonimo vicolo, mentre l' amica lavorava presa dall' istinto.
Quel giorno, decise di uscire prima di casa, facendo credere a quella rompicoglioni della baby-sitter che stesse andando a scuola.
Il suo amato skate sotto braccio e le bombolette che sbattevano tra di loro all' interno dello zaino rigorosamente nero.
Aspettando l' ora di pranzo, decise di farsi un giro al centro commerciale, per smaltire l' eccitazione dovuta al fatto che il graffito era prossimo alla conclusione.
Il tempo volò mentre, nel negozio di musica, ascoltava 50 cent senza accorgersi dell' ora.
Ormai era giunto il momento di finire il suo capolavoro e attraversò l' atrio decisa a rimboccarsi le maniche, quando la musica di una base rap riempì l' aria sovrastando il vociare della gente.

Adesso camminava per il centro commerciale, decisamente di fretta. Era in ritardo per l' appuntamento con Aaron, ma non aveva resistito alla tentazione di un grosso cono gelato dopo aver visto l' esibizione a dir poco stupefacente di quei ragazzi.
Per un attimo si era sentita quasi gelosa dell' intesa palpabile tra di loro, del loro talento e del loro spirito d' iniziativa. Quest' emozione la trafisse per un secondo, sparendo all' istante come se non fosse mai esistita.
Le basi erano veramente buone e, a giudicare dal suono non proprio perfetto, doveva averle create il ragazzo che faceva il dj. Quel biondino sapeva veramente il fatto suo. Muoveva le mani sul mixer come se stesse accarezzando la musica stessa, facendole prendere la piega che desiderava.
Aveva ancora in testa quelle mani forti che si muovevano ritmicamente, quella maglietta con una stampa colorata, quegli splendidi occhi azzurri che avevano incrociato il suo sguardo per un millesimo di secondo.
Si sentì un stupida. Non poteva fare così ogni volta che vedeva un bel ragazzo, non poteva lasciarsi sempre andare a pensieri poco casti.
Ma questa volta era diverso, per questo aveva lasciato quei cinquanta dollari nel cappellino New Era. Che stupida era stata. Cinquanta dollari per quei cinque ragazzini che facevano le stesse cose di mille altri.
Ormai dentro di lei si svolgeva una battaglia tra le due versioni più estremiste di sè stessa.
La parte più gentile e romantica vinse, trafiggendo la parte sarcastica con una frase che non fece altro che accentuare l' improvvisa infatuazione di Karen per quel biondino: Non sono come tutti gli altri ragazzi che si fingono rapper. Hanno comunicato con la gente, coinvolto tutti in un' espressione di pura verità che l' aveva colpita fino in fondo.









 

Spazio autrice :3
Scusate il ritardo nel postare questo quinto capitolo ma ho avuto un casino di roba da fare per cui non ho potuto scrivere e pubblicare in tempi utili.
Sono felicissima di tutte queste recensioni positive, siete dolcissimi.
Probabilmente questo capitolo sarà pieno di errori di distrazione ma mi sto addormentando in piedi per cui perdonatemi ç.ç
Un bacione a tutti quelli che sono arrivati fin qui,
-L 

  
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