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Autore: kiara_star    30/06/2013    7 recensioni
[Crossover | Magnus Martinsson (Wallander BBC); Eric (Snow White and the Huntsman)]
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" La rabbia velocizza i miei passi, ed i cento metri mi sembrano esser solo poche falcate. Mi fermo respirando a pieni polmoni. Non posso farmi prendere dalle emozioni adesso. Sono un maledetto detective, anche se sembra che nessuno se lo ricordi.
[...]
«Polizia?» Sposta lo sguardo sul distintivo. «Non hai la faccia da poliziotto.» Un sorriso gli piega le labbra ed i suoi occhi sono di nuovo su di me. "
Genere: Commedia, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Chris Hemsworth, Tom Hiddleston
Note: AU, Cross-over | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Crossover is the way!'
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23. Senza nome
Detective Martinsson



XXIII. Senza nome



Lisa ha la fronte aggrottata, le labbra strette in una linea rigida ed un sospiro spazientito pronto ad uscire. So cosa vuole dire, so che non posso più sottrarmi.
«Lo dimetteranno fra due giorni. È solo questione di due giorni, Lisa.» Cerco di essere convincente, cerco di essere rilassato, cerco di contenere l’ansia.
Lisa è una sfinge, mi scruta dritto negli occhi come potesse facilmente intuire che no, non sto riuscendo in nulla.
«Senza denuncia, non si può aprire l’indagine.»
«Lo so, Lisa, lo so benissimo, perciò ti chiedevo solo due giorni. Solo due.» A questo punto non mi resta che affidarmi allo sguardo disperato e a un ti prego sillabato con le palpebre.
«Solo due.» Mi punta la penna contro ed io annuisco grato, ma quando si allontana nello stomaco ho una tormenta di inquietudine.
È stato tutto inutile. Ho tentato più volte di aprire il discorso con Eric e in ognuna di esse si trasformava in una statua di gesso. “Non lo so” oppure “Non ricordo.” L’altro giorno ne ha aggiunta un’altra: “È acqua passata.” Ho dovuto trattenermi dal prenderlo a pugni sul serio.
No, non è acqua passata, non lo sarà finché quelli saranno in giro liberi, non lo sarà finché non sarà stata fatta giustizia.
Sospiro sonoramente e scuoto la testa nella solitudine dell’ufficio. Dannazione, non so più cosa fare. Parlare della sua aggressione equivale ad un pomeriggio di silenzi e frasi stracciate fra i denti, equivale alla mia frustrazione nel sentirmi inutile e alla sua ostinazione nel farmi pentire di aver aperto bocca a riguardo. È il pantano dove finiamo per rovinare tutto, dove annegano i baci e le battute, e resta solo una patina appiccicosa a dividerci. Odio doverlo fare, odio che Eric sia così testardo, odio non riuscire a capirne il motivo.
Ha paura, è normale, è umano averla dopo ciò che gli è successo, ma perché non si fida di me? Vorrei solo che si aprisse sul serio, che mi confidasse i suoi dubbi, i suoi timori, ciò che lo frena in un silenzio soffocante se gli faccio qualche domanda su quella sera. Quanta strada posso fare se la meta si allontana spontaneamente ogni volta che tento di raggiungerla?
È avvilente e arrivo al punto di dire: ok, facciamo come vuole. Non ne parliamo più.
Il suo calore è più importante della giustizia. Magnus lo accetta con codarda facilità, il detective Martinsson ripudia quell’idea come fosse una bestemmia.
Di nuovo diviso a metà, di nuovo a un bivio e sei sempre tu a spezzarmi...
Sospiro ancora, stavolta di rabbia, quella stessa rabbia di cui mi sento troppo saturo.
Devo fare qualcosa, qualunque cosa per smuovermi da questo stallo
«Derek?» La voce esce fuori mentre sto ancora elaborando il pensiero. L’agente Carlsson si ferma e mi guarda.
«Mi dica, detective.» Potrei provarci, potrebbe essere l’unica soluzione. Gli faccio segno di avvicinarsi e lui esegue quel tacito comando.
«Sei occupato in qualche indagine al momento?» Scuote la testa ed io annuisco. Ok, facciamolo. «Devi farmi un favore.»

«Lascia che gli parli io.»
Stringo il volante e scuoto la testa. «Sarebbe inutile. Non direbbe una parola.»
«Magari con me sarebbe diverso.» Volto lo sguardo verso Anne-Britt ma continuo a scuotere la testa. «Magnus, è logico che abbia paura, ma ciò che mi sembra ti sfugga è capire per chi ha paura.»
«Che vuoi dire?» Non riesco a seguire il suo discorso, in realtà sto pensando se la mia sia stata una buona idea. Devo solo aspettare.
«Voglio dire che Eric non teme che quelli possano vendicarsi su di lui se li denuncia, ma che possano farlo su di te.» Cosa?
Stacco i pensieri e sbatto le palpebre con un sorriso tragicamente divertito.
«Ma io sono un detective, Anne-Britt. Di cosa dovrebbe aver paura? So fare il mio lavoro.» Per quanto se ne dica il contrario...
Eric ha così poca stima di me?
«Ma per lui no, non solo, per lo meno. Sei qualcuno di importante e questo dovresti averlo capito.»
Eric teme che Gambero e i suoi possano rivalersi su di me? È un pensiero che mi riempie di diverse emozioni, la più forte è ancora la rabbia, però. Sono in grado di affrontare chiunque, non sono più il ragazzo spaventato di qualche tempo fa, non sono neanche più un uomo in bilico sulla passerella di quel molo 16. Ho trovato, anche se a fatica, il mio equilibrio e non cederò più.
Devi fidarti di me.
«Lo convincerò, vedrai» affermo parcheggiando sotto l’ospedale. Anne-Britt non dice nulla ma noto che non ne è così convinta, non lo sono neanche io, ma devo farcela.
Due giorni sono tanti, quante cose possono cambiare in due giorni?
La mia vita è mutata radicalmente in appena cinque minuti.

Anne-Britt è venuta a trovare Eric un paio di volte e benché temessi non fosse una buona idea, ho dovuto ricredermi subito. Passano quasi più tempo a chiacchierare loro due di quanto non facciamo noi! Se non avessi avuto determinate conferme da Eric e non conoscessi Anne-Britt, potrei anche essere geloso... in verità lo sono lo stesso, ma ho decenza di non mostrarlo.
«Ancora due?»
«Diciamo uno e mezzo.» Si scambiano un abbraccio ed io stringo la mascella.
Sei ridicolo!
Lo so, ma non riesco a farne a meno.
Eric mi sorride ed io sollevo appena una angolo della bocca. Purtroppo il discorso di stamani con Lisa mi risuona ancora nella testa così come le parole che ho detto a Derek. Deve accorgersene e mi scruta in silenzio.
«Lo sai che la Fustern vuole le chiavi di casa tua?» Anne-Britt interrompe il suo muto studio e lo fa sorridere di nuovo.
«Perché mai?»
«Credo voglia rassettare prima del tuo rientro» rispondo io e mi avvicino di qualche passo al letto. Rimango in piedi, mentre la seggiola da visitatore viene occupata da Anne-Britt. Non resta mai a lungo. Di solito una visita veloce di cinque minuti e poi va via. Lei abita a un paio di isolati da qui e per quante volte le abbia detto che potrei accompagnarla, tante lei ha rifiutato dicendomi che preferiva sapermi qui.
Sì, la mia gelosia è decisamente ridicola.
«Rassettare?» ripete divertito Eric ed io annuisco.
«Con ogni probabilità mi obbligherà ad aiutarla» sospiro certo di ciò che dico.
«Allora le darò sicuramente le chiavi!» Eric ride ed Anne-Britt lo accompagna.
Sì, prendetevi gioco di me, ormai c’ho fatto l’abitudine.
Sorrido comunque, perché è un ruolo che alla fine non mi spiace; per quel sorriso lo gioco volentieri.
«Però avrai bisogno di qualcosa da indossare per uscire dall’ospedale.» Giusta osservazione di Anne-Britt. Mica può andarsene in giro con quel camicie bianco?
Potrei passare da casa sua e-
«Chiederò a Hernest di prendermi qualcosa da casa.» Hernest? Mi gelo all’istante. Perché Hernest?
Anne-Britt nota la mia reazione, Eric no.
«È di strada?» gli chiede lei ed un groppo fastidioso mi sta formicolando dalla gola allo stomaco mentre tengo gli occhi fissi sulle lenzuola.
«No, ma...» Quel silenzio mi obbliga a risollevare gli occhi sul suo viso e noto che finalmente ha capito. Non aggiunge altro e scosta lo sguardo altrove.
Altro silenzio.
«Forse è il caso che vada.» No, non andartene altrimenti potrei soffocarlo con un cuscino! «Devo preparare ancora la cena.» Le lancio uno sguardo che è una richiesta d’aiuto ma lei si alza e mi sorride, poi saluta Eric e si avvia alla porta.
«Ci vediamo domani.»
Il mio Ok è poco più di un rantolo.
La porta si chiude e torna il silenzio. Non ho il coraggio di guardarlo, non ho il coraggio di chiedermi perché abbia detto quella frase. Hernest è un suo amico, un suo caro amico, ma allora io cosa sono?
«Ehi?» Inghiotto e sposto gli occhi sul suo viso. Le mie labbra ancora incollate fra di loro. «Non capisco perché stai facendo così.»
«Così come?» chiedo lapidario affondando le mani nelle tasche dei jeans.
Eric sospira e scuote la testa.
«Ok, come ti pare.» Eccolo: quando bisogna affrontare un discorso lo chiude prima di iniziarlo. È una cosa che mi fa imbestialire.
«Non ti fidi di me come poliziotto e posso anche accettarlo.» I suoi occhi mi fulminano, i miei sono due fiamme rabbiose. «Ma che non ti fidi di me neanche come... come -non lo so, come amico? Beh mi fa incazzare!»
«Ma che stai farneticando?»
«Andiamo, Eric, non costringermi a...» Mi passo una mano sul viso camminando furiosamente avanti e dietro. Dannazione, controllo perso.
«A fare cosa? Magnus parla chiaro!»
«Chiaro? Vuoi che parli chiaro?» Lo vedo irrigidirsi mentre non so cosa cavolo sto dicendo. Cosa credo di fare con questo atteggiamento stupido? Eppure non riesco a frenarmi. «Cosa sono per te? Cosa siamo?» La gola trema e la voce si incrina. «I-io non lo so» Sono costretto a spostare lo sguardo. Mi avvicino alla finestra e mi poggio con entrambi i palmi sul freddo marmo.
«È per la faccenda di Hernest? Come puoi reagire così?!»
«Io ho bisogno di una risposta!»
«Perché diavolo vuoi una risposta per tutto?»
«Perché sono fatto così e sarò fatto male, ma non posso cambiare... Neanche per te!» Non mi volto e serro gli occhi per impedire a qualsiasi emozione di bagnarmeli. Non ora, non davanti a lui.
«Non te lo chiederei mai...» La sua voce si abbassa ed io sento il corpo tremare. Sono un disastro ambulante. Stringo le dita in un pugno e respiro a fondo. «Io non sono bravo con le parole e non so cosa vorresti che dicessi.» Vorrei voltarmi e vedere il suo viso, ma so che poi non avrei più alcuna forza di resistere. «Cerchi una spiegazione per tutto, vuoi dare un nome a tutto, beh, io quel nome non ce l’ho ed onestamente non me ne frega nulla di trovarlo - e Santo Dio guardami in faccia per lo meno!»
«Chiudiamola qui, è meglio.» Cerco di respirare in modo regolare ma escono solo affanni.
«Vuoi scappare anche questa volta?» Non è una domanda, è una secca affermazione e dalla mia gola sale una risata isterica.
«Non sono io quello che scappa, Eric, sei tu che non vuoi farmi avvicinare.» Finalmente mi volto e sul suo viso incontro due occhi che mi guardano severi. «Perché non ti fidi di me?» È un sospiro lieve che mi costringe a trovare altra forza per trattenere lacrime e urla. «Io vorrei solo che...» Scuoto la testa con un sorriso triste. «A volte mi sembra che ci sia ancora un vetro a dividerci... Perché?»
«Neanche io so cambiare.»
«Io non voglio che tu cambi, vorrei solo conoscerti.» Non mi rendo conto del tremore della mia bocca, ma gli occhi di Eric lo vedono chiaramente. «Vorrei vedere chi sei...»
«Potrebbe non piacerti ciò che sono.»
«Non potresti mai non piacermi.»
Un piccolo sorriso gli piega le labbra. «L’hai detto...»
Con lenti passi mi avvicino al letto. «Avevi bisogno che lo dicessi?» Avevi bisogno che ti dimostrassi ancora quanto sei importante per me?
«Magnus...» Mi prende la mano e come ogni volta mi sembra perfetta per stare stretta nella sua.
«Non voglio obbligarti a dire qualcosa che non vuoi dire.» Che non senti. «Voglio solo poter...» Mi lascio cadere sul letto stringendo forte le sue dita e le labbra di Eric catturano le mie. La rabbia sfuma impercettibilmente lasciando spazio a qualcos’altro a cui neanche io so dare nome.
«Ultima porta a destra, secondo cassetto... lì ci sono i boxer.»
Rido sentendomi ancora una volta vittima di questo sentimento che non so come possa stare tutto in questo piccolo cuore.
«Vuoi che ti porti solo i boxer?»
«Sono settimane che sono senza quindi mi basterebbero quelli, credimi.» Gli accarezzo il viso e il tiepido alone di quel livido sulla sua guancia. Sul sopracciglio, un cerotto dove prima c’erano i punti. Eric bacia le mie dita quando sfiorano le sue labbra.
Non voglio perdere tutto questo, non voglio rovinare tutto. Non sopravvivrei. «Vuoi sapere anche dove sono le camicie e i pantaloni?»
Annuisco ridacchiando e poi mi perdo nei suoi occhi. «Voglio sapere tutto... Se avrai voglia di dirmelo.» Se avrai voglia di aprirmi il tuo cuore. Le chiavi del mio sono già tue, lo sono state dalla prima volta che mi hai guardato.
«Va bene, detective... chiedi pure.» Mi bagno le labbra e scuoto la testa.
«Non ora.» Adesso voglio solo baciarti fino a perdere il fiato.

Mentre guido non posso fare a meno di sorridere guardando la chiave poggiata sul cruscotto, la chiave di casa sua.
Non ficcare il tuo bel naso da altre parti. Ok?
L’ha detto con un sorriso però era chiaramente una frase ben poco ironica. Non voglio invadere la sua privacy, non più, però mi chiedo quanto sarò in grado di mantenere questo bel proposito.
La Ford di Eric è parcheggiata davanti al vialetto. È stato Hernest a riportargliela insieme a Lars. Hernest, l’amico fidato...
Scuoto la testa e scaccio via l’ultima polvere di quel fastidio mentre parcheggio accanto alla sua auto.
Le luci esterne sono accese e mi fa strano pensare che sono state accese per tutti questi giorni senza un motivo. Getto un occhio alla casa di Amanda da cui intravedo il bagliore della cucina. Pima di tornare a casa le farò un saluto, e magari mi fermerò a cena. Non ho voglia di cucinare e di certo lei mi inviterà, ma la verità non è questa. Il vero motivo è che quando torno in quell’appartamento silenzioso, la mancanza di Eric diventa quasi insostenibile. Mi chiedo cosa accadrà quando riprenderà la sua vita, quando non ci sarà più quella stanza sterile come sfondo dei nostri strani incontri.
Mi inviterà da lui? Verrà da me? Usciremo come una coppiettina al loro primo appuntamento?
Non c’è nulla di canonico in questa storia senza nome, è accaduto tutto in un ordine forse sbagliato, ma è accaduto.
Mentre infilo la chiave nella serratura, rivivo il giorno in cui letteralmente scappai da qui, scappai da lui. Ancora mi prenderei a schiaffi!
Accendo la luce chiudendo la porta alle mie spalle. È tutto così silenzioso ma soprattutto freddo. Il camino è nero e spento, non c’è il fuoco a disegnare strane sagome sul soffitto. Sfioro con le dita lo schienale del divano e mi mordo le labbra con un sorriso.
Abbracciati stretti su questo divano, baci riscaldati dal calore delle fiamme...
È una fantasia che mi fa imbarazzare nonostante sia solo in questo salotto.
No, meglio prendere quei vestiti e tornare a casa prima che il battito acceleri troppo.
Salgo le scale velocemente ma quando arrivo in cima mi arresto. L’unica volta in cui sono stato qui è stata durante quell’orribile interrogatorio che ha minato per sempre tutte le mie certezze.
La camera di Eric è l’ultima porta a destra. Cammino lento nel corridoio cercando di ignorare la voglia di aprire le altre porte. Magari potrei solo dare una sbirciata veloce, ma quando giungo davanti alla sua stanza quel desiderio sparisce. La porta è aperta ed accendo la luce illuminando l’ambiente.
Il suo letto cattura subito la mia attenzione: è grande, con una trapunta di un tenue paglierino e due guanciali gonfi. Mi viene da sorridere.
Così sei uno che gonfia i cuscini...
È lo stesso vizio di mia madre che però non ho voluto ereditare, preferendo tenermi il mio cuscino "sottiletta".
Quel pezzo di vita celata mi scalda e diverte allo stesso tempo. Domani una battuta non riuscirà ad evitarla.
Ai lati del letto, due comodini in coordinato con l’armadio frontale, ma solo su uno c’è una piccola abat-jour e capisco che Eric dorme sul lato sinistro. Io ho sempre dormito su quello destro.
Sei la mia perfetta metà, vedi?
Mi sento ridicolo a fare certi pensieri e mi torna in mente il nostro piccolo scontro di oggi.
Cerchi una spiegazione per tutto, vuoi dare un nome a tutto, beh io quel nome non ce l’ho ed onestamente non me ne frega nulla di trovarlo.
Anche se Eric prova qualcosa per me, non credo sia lo stesso sentimento che provo io, non ancora. Chissà se mai lo sarà.
Tu mi piaci.”
Ma io ti amo...
Sospiro sedendomi sul letto ed accarezzo il suo cuscino.
Non so se lo abbia capito, non so se preferisca ignorarlo. È l’unica curiosità che non voglio soddisfare, perché è l’unica che potrebbe davvero ferirmi.
Vago con gli occhi nella stanza e li porto al comò sul lato destro sovrastato da un grande specchio in cornice di legno.
Secondo cassetto. Il cassetto dei boxer.
Partiamo da quelli.
Mi alzo e mi avvicino cercando di non pensare all’amarezza che mi ha assalito qualche attimo fa e mi lascio andare ad un risolino goffo quando apro la cassettiera e mi trovo davanti, ordinatamente piegati, boxer e calzini.
Sto mettendo le mani nella biancheria intima di Eric e, benché mi abbia dato il permesso, mi sento comunque un pervertito. E pensare che un tempo amavo sbottonare reggiseni...
Credo che lo rifarei ancora. Credo che farei ancora sesso con una donna, in fondo non sono immune al fascino femminile, l’unica differenza è che non ho mai baciato qualcuno con lo stesso desiderio con cui ho baciato Eric. Non mi sono mai sentito un completo idiota davanti ad un sorriso, non ho mai sognato per notti intere due occhi azzurri che mi guardavano. Non ho mai sentito azzerarsi il respiro al solo pensiero di poter sentire due mani su di me.  Non ho mai provato la stessa paura e, al tempo stesso, il folle desiderio che questo accada.
Sfioro la stoffa e sospiro affannato. Dannazione, pessimo momento per farsi prendere dal batticuore - o dall’ormone, come direbbe il Dr. Lindgren.
Sono costretto a chiudere il cassetto ma non riesco a chiudere anche i pensieri che mi stanno affollando la testa.
Non posso fare una cosa simile nella stanza da letto di Eric. Ma forse è proprio questo che mi impedisce di controllare le mie pulsazioni.
Il suo profumo avvolge ogni angolo, dalla trapunta alle tende, il suo cuscino cattura i miei occhi, l’immagine del suo viso assopito in piena notte, delle lenzuola che sfiorano la sua pelle nuda, del sudore che incolla i capelli sul suo collo. Le labbra socchiuse e il respiro caldo che si perde sulla mia bocca.
È un pensiero che scivola dritto nello stomaco e scende fino ad arrivare a farmi tremare le ginocchia.
Almeno il bagno è a due passi.

Mi sciacquo le mani scuotendo la testa. Maledizione, neanche avessi quindici anni!
Va bene farlo nel silenzio di casa mia, ma lasciarmi andare così in quella di Eric - e lui ancora steso in quel letto - mi risulta proprio di pessimo gusto.
Chiudo l’acqua e lancio uno sguardo alla confezione di shampoo sulla mensola della doccia. Non riesco a non afferrarlo. Apro il tappo e ne inspiro l’aroma ad occhi chiusi. Mandarino...
Mi mordo un labbro ripensando alla prima volta che l’ho sentito entrarmi nella testa e poi nel petto, come tutto ciò che ruota intorno ad Eric, come Eric stesso.
Torno in camera e vado dritto al suo armadio, quando apro le ante, il suo profumo mi investe come una tormenta, di nuovo. Le sue maglie, i suoi jeans, le sue t-shirt di cotone appese alle grucce nonostante sia ormai novembre inoltrato.
Sospiro grattandomi la testa mentre scorro con gli occhi su ogni capo e, inevitabilmente, immaginandolo sul suo corpo...
Ecco, lo sapevo, avrei fatto meglio a lasciare questo compito ingrato a Hernest.

















Continua...






NdA.
Capitolo di cemento, in quanto basilare per i futuri sviluppi. (?)
Spero sia stato gradito, e spero soprattutto di essere riuscita a restare in rating nonostante tutto.
Nel prossimo alziamo un po’ il tiro, ma nulla di scabroso, io sono pudica come Magnus u.u *mente malissimo*
Rinnovo l’avviso fatto verso l’inizio della storia in merito a leggi e procedure penali et similia. Io sono una capra immensa per cui chiedo venia da ora per le assurdità che scriverò, ma non ho avuto davvero il tempo per informarmi sulle leggi svedesi, perciò abbiate pietà. Ok?
Meno male che non potete vedere la mia faccia imbarazzata in questo momento >////<
Grazie a tutte/i, vi voglio bene <3
Kiss kiss Chiara
  
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