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Autore: Il giardino dei misteri    30/06/2013    11 recensioni
Sara Orlandi frequenta il quinto liceo scientifico in un paese di tremila anime ed è sempre stata sola. Suo padre non ha mai voluto sapere niente di lei, abbandonando sua madre prima ancora che nascesse, e sua madre, beh, l'ha dovuta crescere da sola. Ma non è mai riuscita veramente a fare la madre. A quarant'anni pensava a truccarsi, uscire il sabato sera e andare alla ricerca dell'anima gemella. E Sara, se l'era spesso dovuta cavare da sola.
A scuola era anche peggio. Tutti la ignoravano e la trattavano male, prendendola di mira. La prima di Eleonora, la ragazza più odiosa e subdola dell'Istituto, che si prendeva gioco dei ragazzi come se fossero soldatini.
E poi, c'era Luca, tanto bello quanto stronzo. Il ragazzo per il quale Sara aveva preso una cotta colossale dai tempi delle medie. Luca ha sempre ignorato la presenza di Sara. Se ne ricordava solo per i compiti o per essere aiutato, fino a quando un giorno una strana passione li unisce ...
Spero che vi piaccia. Buona lettura ^.^
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: Triangolo | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
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I.

 

<< Sara, tesoro, alzati. Devi andare a scuola.>>

<< Oh, no ti prego mamma.>>

<< Dai, tesoro lo sai che devi alzarti.>>

<< Ancora cinque minuti>> dissi girandomi nel letto.

<< O ti alzi o ci penso io!>> urlò lei.

<< Ok, ok mi alzo>> dissi sconsolata.

Mi alzai controvoglia con gli occhi ancora chiusi e con una faccia da addormentata inebetita. Ero così addormentata e confusa che non mi accorsi che la porta della mia camera era chiusa e ci sbattei contro.

<< Fantastico! Iniziamo bene!>> mormorai.

 

La mia giornata iniziava così. Iniziava sempre così. Sveglia alle sette con la mamma che urlava dal piano di sotto, doccia, vestiti, trucco e colazione. Alle sette e trenta ero pronta per andare a scuola. Ci andavo a piedi perché non avevo il motorino e perché non avevo ancora preso la patente, nonostante avessi quasi diciannove anni.

Mi chiamo Sara, Sara Orlandi e frequento il quinto liceo scientifico di un piccolo paese di tremila anime. Sono alta, magra, ho gli occhi neri e i capelli, corti come un maschiaccio,  anch’essi neri  con due ciuffi rosa, ho un nasino piccolo e delle orecchie grandi. Vivo in casa con mia madre, una donna di quarant’anni. Mio padre non l’ho mai conosciuto perché ha abbandonato mia madre quando era incinta di me e non hai mai voluto sapere niente. Probabilmente è per questo che odio così tanto il genere maschile. Forse odiare è dire poco, io lo DETESTO proprio, il genere maschile. Vesto sempre in modo molto eccentrico e questo contribuisce ad essere considerata quasi pari a zero nella mia classe. Non ho un amico in quella classe.  

Tutti fanno coppia con qualcuno ed io finisco per rimanere sempre da sola. Le ragazze della mia classe vanno tutte dietro ad Eleonora, una ragazza che io odio profondamente. Ci conosciamo dalle elementari ed è sempre stata furba, dispettosa, falsa ed egoista. Non mi ha mai considerata o aiutata, anzi, mi ha sempre evitata e un tempo, andava in giro a dire falsità sul mio conto. La odiavo. Se avessi potuto l’avrei strozzata. Peccato, però, che poi la colpa sarebbe ricaduta su di me. E allora, lasciavo stare. Eleonora era una ragazza alta, magra, aveva un corpo da modella, gli occhi verdi  tendenti al marrone ,  i capelli biondicci e le labbra carnose. Tutti i maschi le andavano dietro e tutti la desideravano più di ogni altra cosa. In realtà, era difficile non essere attratti da lei, ma quello che quei poveretti non sapevano era come fosse lei realmente. Prima conquistava le sue “ prede”  e poi le gettava nel cassonetto dell’immondizia. Cambiava i ragazzi come le mutande e li illudeva in ogni modo, facendoli rimanere delusi.  Era un’ individua subdola e meschina. E mi faceva schifo, solo schifo.

Le ragazze erano quasi tutte simili tra di loro. Volevano somigliare tutte a lei, ad Eleonora. Io, invece, avrei preferito morire piuttosto che essere come lei. E per questo ero stata tagliata fuori. Ma, non mi importava. Anzi, speravo di finire quell’ultimo anno di liceo in fretta, per poter finalmente andarmene via da quel paese di merda. E, forse, iniziare a farmi una vita. Perché fino a quel momento non avevo mai avuto una vita vera e propria. Mia madre mi aveva messa al mondo quando aveva solo ventidue anni, con l’incoscienza che quell’età porta. Era sempre stata una tipa giovanile che usciva il sabato con le amiche, vestiva in modo eccentrico, andava in palestra, si truccava abbondantemente ed era ancora in cerca dell’anima gemella. Ha sempre cercato di aiutarmi, di parlarmi, di essere in qualche modo mia “amica”, ma io e lei non siamo mai andate molto d’accordo. Io odiavo e odio, tutt’ora il comportamento che lei tiene. Non sembra una donna di quarant’anni, ma una ragazzina di venti! E questo non lo sopporto! La verità è che ha sempre cercato di fare la mamma, ma non c’è mai riuscita e per questo me la sono sempre dovuta cavare da sola. Mio padre, inutile dirlo, non l’ho manco conosciuto. Non so che volto abbia, e francamente, non mi interessa saperlo. Non mi importa niente. Se lui non mi ha voluta, io non andrò a cercarlo. Quando ero piccola, speravo ad ogni compleanno che venisse e mi portasse un regalo o mi dicesse anche solo:

<< Ti voglio bene, figlia mia, e non voglio più lasciarti!>>

Ma, non c’erano compleanni, né Natale, né altre feste. Lui non c’era mai. Non c’era mai voluto essere. Si era perso tutto della mia vita. Alle recite scolastiche piangevo sempre. Vedevo tutti i bambini felici e contenti nelle braccia dei loro genitori, mentre io ero sempre sola. Mia madre arrivava sempre alla fine, quando io avevo già finito da un pezzo di fare la mia parte e mio padre … beh probabilmente si stava divertendo con qualche puttana. Sono cresciuta sempre da sola e questo ha fatto si, che diventassi chiusa e scontrosa. Gli anni dell’adolescenza sono stati un tormento per me. Alle medie venivo continuamente presa di mira per il fatto che fossi studiosa e diligente e anche perché si diceva che fossi la preferita degli insegnanti. I ragazzi evitavano di guardarmi e nessuno avrebbe mai voluto mettersi con me. All’epoca mi ero presa una cotta per un certo Giovanni, ma lui neanche mi guardava e mi considerava, anzi non sapeva neanche che esistessi. I miei compagni mi erano tutti ostili. Tutti erano invidiosi e cercavano di prendermi sempre in giro, di umiliarmi, di farmi sentire da schifo. E infatti, ci riuscirono. Non passava giorno che non piangessi per quegli invidiosi. Appena tornavo a casa, mi fiondavo sul letto a piangere, ma anche qui ero sola. Non c’era mai stata mia madre a consolarmi o ad asciugare le mie lacrime, perché era troppo occupata a pensare alla sua vita privata. Mi madre viveva con me, ma era come se non ci fosse perché si faceva solo i cavoli suoi. Ogni tanto si ricordava di avere una figlia e quando capitava era solo per rompere. Quei tre anni di scuole medie, furono decisamente un inferno. Poi, arrivarono le superiori e le cose non cambiarono più di tanto. Ma, adesso, finalmente facevo il quinto. Finalmente avrei finito la scuole e me ne sarei andata lontano, via da qui. Quel paese iniziava a pesarmi, come pure quelle persone, invidiose e pettegole fino alle radici dei capelli! Odiavo tutti e il mio più grande sogno, era  iniziare a costruirmi una vita. Una vita un po’ più decente. Perché anche io avevo il diritto di farlo!

 

 

Arrivai a scuola alle otto meno dieci. I miei compagni e tutti i ragazzi dell’istituto erano fuori, in attesa che suonasse la campanella. Chi parlava, chi rideva, chi si faceva foto, chi fumava e chi era al bar. Eleonora e le altre mie compagne di classe, ovvero sue seguaci, erano in un angolo che ridevano come delle galline spennate e lanciavano occhiate maliziose ai ragazzi. Io, invece, mi guardavo intorno e non avevo nessuno con cui parlare. Se capitava che arrivassi presto, entravo in classe. E quella mattina, feci lo stesso.

Mi sedetti nell’ultimo banco, al mio solito posto. Quello era l’unico banco ad essere messo solo senza nessun’altro accanto. Gli altri erano tutti  sistemati a coppie di due o tre, ma anche quattro.  

Mi sistemai ed iniziai a prendere il libro per ripassare. Ero consapevole che quello sarebbe stato un anno difficile e volevo essere pronta per affrontare la maturità. Avevo paura. Ma, essere diplomata per me avrebbe significato lasciare per sempre quell’insulso paese ed essere libera. Libera, una parola che risuonava dolce alle mie orecchie.  

Alle otto e dieci passate, entrarono tutti i miei compagni. Eleonora per prima.

<< Ecco la sfigatella che entra a scuola alle sette e mezza per ripassare!>> disse agli altri, che ovviamente mi guardarono e risero.

Mi  saltarono i nervi. Mi alzai dalla sedia e la guardai dritta negli occhi.

<< Beh, che vuoi non è da tutti avere un cervello come il mio. C’è, per esempio, chi come te, il cervello non ce l’ha proprio!>> le dissi.

Lei mi guardò con uno sguardo gelido.

<< Sta’ attenta, sfigata. Stai molto attenta con me.>>

In quel preciso istante entrò la professoressa di chimica e noi ci sedemmo tutti ai nostri posti, prendendo libro e quaderno e  iniziando una noiosissima lezione sui composti.

Ad un tratto, mi sentii chiamare.

<< Orlandi … pss, Orlandi>>

Mi guardai attorno, prima di capire chi mi stesse chiamando. Poi capii. Era Luca, che era seduto all’ultimo banco dell’altra fila. Quindi di lato a me.

Luca era un altro ragazzo che odiavo. O meglio lo amavo e lo odiavo contemporaneamente. Come Catullo in Odi et Amo.

Ero cotta di lui praticamente dai tempi delle medie, in cui già lui faceva il playboy con le ragazze. E, poi, me lo ero ritrovato nella stessa classe anche alle superiori. Sperai che la mia cotta passeggera passasse, ma tutt’ora sento di amarlo, anche se so che per lui non sono che una semplice compagna di classe secchiona.

Luca è alto, magro, ha i capelli castani, gli occhi azzurri e un corpo da paura. E’ il ragazzo più ambito e popolare della nostra scuola, sia perché ha fatto innamorare milioni di ragazze, spezzandogli poi il cuore, e sia perché è stato rappresentante di istituto, contribuendo ad accrescere la sua notorietà. Noi due ci conosciamo dai tempi dall’asilo, ma non abbiamo mai legato molto. Lui non mi ha mai considerato neanche lontanamente come amica, figuriamoci come ragazza. Continua a sbavare dietro Eleonora da ormai cinque anni e le sue storielle brevi con le altre ragazze sono solo un pretesto per farla ingelosire. Ma, Eleonora è furba e si diverte a prenderlo in giro. Lo bacia, lo cerca, lo stuzzica e probabilmente, qualche volta se lo porta pure a letto, ma poi, quando Luca cerca di avvicinarsi a lei, Eleonora lo evita o si fa trovare con altri ragazzi.

<< Orlandi>> sentii che mi chiamava ancora.

<< Che cosa vuoi?>>

<< Mi  devi aiutare.>>

Io girai gli occhi e sospirai.

<< Scordatelo, Martini.>>

<< E dai, Orlandi. Non ti chiedo mai un favore, aiutami per una volta!>>

Io sospirai ancora. Era il mio cuore che mi fece dire di si. Nessuno aveva mai saputo quanto amavo quel ragazzo e, sinceramente, neanche io sapevo perché mi piaceva. E’ vero che era bello, ma era anche un autentico stronzo.

<< E va bene, per questa volta ti aiuto. Che cosa vuoi?>> dissi parlando piano per non farci sentire.

<< Devi farmi gli esercizi per domani>> disse con un sorriso beffardo.

<< No, te lo puoi scordare.>>

<< Ormai, hai detto si.>>

<< Mi hai ingannata! Ma, come ti sei permesso?>>ora stavo quasi urlando.

Tanto che la prof se ne accorse.

<< Che sta succedendo là dietro?>> disse guardandomi.

<< Niente>> mi affrettai a  rispondere.

<< Allora?>> continuò a chiedere guardando me e Luca.

<< Niente, prof, un piccolo diverbio e …>>

<< Bene, allora andate a discutere fuori. Qui stiamo facendo lezione.>>

<< Ma, prof, noi non …>>

<< Non mi interessa, Orlandi. Ora, andate fuori>> disse indicando la porta.

Mi alzai dal banco. Ero tutta rossa in viso. Nessuno mai mi aveva cacciato fuori. Mentre ci avviammo fuori, sentii le risate di Eleonora & company dietro le spalle. Mi venne voglie di ammazzarle, quelle sgualdrine!  

Era tutta colpa di Luca!

<< Sarai contento, adesso>> dissi fulminandolo.

<< E’ colpa tua! Perché ti sei messa a gridare?>>

<< Ah, è pure colpa mia? Ma se tu mi hai ingannata!>>

<< Sta’ zitta.>>

<< Vorresti dire che non è vero?>>

<< Infatti, non è vero. Io ti ho chiesto un favore e tu hai accettato.>>

<< Ah, è così? E’ per colpa tua che ora sono fuori!>>

<< Ah, certo dimenticavo che nessuno ti aveva mai cacciata fuori. E che sarà mai, rilassati!>>

<< Sta’ zitto, tu non sai niente di me! Non hai mai saputo niente.>>

Lui mi guardò storto.

<< Stronzo>> gli dissi.

<< Puttana>> replicò lui.

Rimanemmo fuori ancora per un quarto d’ora, poi, quando l’ora finì rientrammo in classe e non ci rivolgemmo più la parola.

Sentivo che le mie compagne parlavano dietro le spalle e commentavano quello che era successo. Mi imposi di rimanere calma, tanto non valeva la pena scaldarsi per quelle stupide. Stupide erano e tali sarebbero rimaste!

Mi andai a sedere nel mio banco e non rivolsi la parola più a nessuno. Passarono altre quattro ore e quando, la campanella suonò, io fui una delle prime ad uscire fuori. Volevo andare via da quella scuola, ma soprattutto da quel paese che odiavo più di qualunque altra cosa.

 

 

 

 

 

ANGOLO AUTRICE

 

Salve :D Ho scritto questa storia di getto,senza pensarci. Delle volte le storie migliori sono proprio quelle. Non fraintendete, non voglio elogiarmi da sola. Per me ciò che conta sono le vostre recensioni e i vostri pareri. Spero quindi che la storia  vi piaccia e che non esiterete a recensire.

Se vi piace e vi intriga non esitate a recensire. Lo spero proprio. Avanti, fatemi sapere che ne pensate.

Un bacio.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

  
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