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Autore: Remiel    30/06/2013    3 recensioni
Protagonista di questa storia è la semidea Cithara, figlia di Apollo, che scoprirà di possedere sin dalla nascita una dote particolare...
Arrivata al Campo Mezzosangue in seguito al rapimento della madre, Thara farà la conoscenza di varie persone tra le quali Emile, figlio di Ermes, incaricato di accompagnarla alla scoperta del mondo delle divinità e dei suoi poteri di semidea, e Raven, figlio di Apollo e capo dormitorio, nonché capo della banda musicale del Campo.
Il mistero del rapimento della madre di Thara si infittisce con la sparizione di altre donne. Chi le sta portando negli Inferi, e a che scopo?
Dal Cap.2
"Mi accorsi che era tempo di andare all’entrata e scesi le scale circolari con calma, assaporando il rimbombo del rumore che i piccoli tacchi delle ballerine producevano a contatto col marmo bianco. Chiusi gli occhi, deliziata da questo suono, mentre riconoscevo senza problemi prima un La, poi un Do provocato da un passo più deciso, un Fa… Questo era il vero dono che mi aveva fatto mio padre: la Musica."
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La storia è "ambientata" nel mondo di Percy Jackson, più che essere una fanfiction vera e propria... Dunque, buona lettura anche a chi non conosce i libri!:)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gli Dèi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[Kingdom - Anathema]
[So Cold - Ben Cocks]
[Dissolved Girl - Massive Attack]
 
Posai la mano leggermente tremante sulla maniglia della porta in onice nero, incerta.
Una volta uscite dal portale, io ed Eleuse eravamo arrivate in quella che sembrava essere un’anticamera dall’aspetto lugubre. La stanza era piccola e circolare, con le pareti scure; solo due lumi posti ai lati della porta ‒davanti allo specchio‒ a rischiarare le tenebre.
Come sarebbe stato incontrare uno dei Tre Pezzi Grossi? Il dio della Morte, per giunta…
Deglutii rumorosamente, cercando di scacciare i brutti pensieri.
“Al diavolo, non può essere così terribile! Devo sbrigarmi e correre ad aiutare Emile.”
Il braccio di Eleuse attorno alle mie spalle mi infuse il coraggio necessario a girare la maniglia, quindi aprii la porta. Non avevo pensato alle regole basilari della buona educazione e mi chiesi se non fosse stato meglio bussare quando era ormai troppo tardi.
A destra, un enorme trono di ossa fuse torreggiava nella stanza, ancora una volta circolare, e sopra di esso era rannicchiata una figura dall’aria annoiata. Nel momento in cui aprii la porta, Ade (chi altri poteva essere?) si voltò verso di noi con un’espressione confusa.
«Ma cosa…?!»
Durò solo un attimo e il dio si riprese, rabbuiandosi. Si alzò imperioso e puntò contro di noi un dito affusolato.
«Chi diamine siete e cosa ci fate nel mio palazzo?»
Rimasi atterrita per qualche secondo nel cercare di escogitare una risposta decente.
Ade era diverso dalle altre divinità che avevo incontrato fino a quel momento, irradiava una potenza spaventosa. Era destabilizzante. Alto e magro, con la pelle tanto pallida da essere quasi livida, i lunghi capelli neri gli attorniavano il volto fino a giungere alle spalle.
«Divino Ade» cominciai, una volta riavutami «Io sono Cithara Greenwood, figlia di Apollo, e vengo per informarla di un grave fatto che sta avvenendo nel suo territorio…»
Il dio non mi lasciò terminare la frase e schioccò le dita.
«Furie…! Com’è possibile che abbiano oltrepassato la sorveglianza? Maledizione, questo posto non è un parco divertimenti…» Adesso, sembrava più scocciato che adirato, come se avesse avuto a che fare altre volte con la violazione del proprio domicilio.
Alle sue parole, tre esseri dalla testa di donna e il corpo d’uccello giunsero dall’alto. Non mi ero accorta che non ci fosse il soffitto, lì sotto terra era così buio che era difficile da notare.
Prima che potessi replicare, Eleuse mi spinse da parte, parandosi davanti a me.
«…La prego! Divino Ade, ci ascolti. Ne và della sicurezza dell’equilibrio!»
Ade scosse la testa ancora più seccato di prima, sbuffando.
«Pff, adesso ci si mettono anche i satiri… Non ho intenzione di perdere altro tempo. Lasciatemi alla mia tristezza e andatevene!» concluse, facendo cenno alle Furie di portarci fuori e non degnandoci più di uno sguardo.
Le donne si avvicinarono con aria poco amichevole ad Eleuse, che indietreggiò scalpitando impaziente con gli zoccoli.
«Divino Ade, rifletta! Se siamo qui è solo perché vogliamo evitare una catastrofe, non è certo per recarle disturbo.»
Il dio voltò impercettibilmente gli occhi verso di me.
«…Cosa può esserci di peggio degli ultimi tristi giorni in attesa della mia consorte?» sussurrò con voce grave.
Era di cattivo umore perché gli mancava Persefone? Sondai la sua espressione in silenzio, ragionando velocemente. Avevo aperto una breccia, ma adesso cosa potevo fare per farmi ascoltare?
«Andate a infastidire qualcun altro.»
Alzai lo sguardo puntandolo sul suo, profondo e melanconico. Quando una Furia mi prese per il braccio, mi divincolai con fermezza.
«…Eris ha radunato le Muse e si sta dirigendo all’ingresso del Tartaro per compiere un rito.»
Finalmente Ade si voltò del tutto verso di me con aria guardinga ma interessata.
«Continua» disse, fermando le Furie con un gesto della mano.
Presi un respiro profondo prima di proseguire.
«Ha intenzione di compromettere l’equilibrio e far uscire gli archetipi, potenziati rispetto agli originali, tutti in una volta.»
Rimase a fissarmi per un po’, tentennante.
«Può controllare lei stesso nella stanza degli specchi!» continuai, nella speranza di convincerlo.
Forse fu un passo falso, perché si irrigidì sentendo nominare la stanza.
«Bene! Avete bighellonato nella mia dimora e pretendete anche di dettar legge! Direi che ho ascoltato abbastanza.» Si alzò dal trono e fece per andarsene.
«Cosa posso fare affinché lei mi creda?» Ero sicura che avesse percepito la disperazione nella mia voce, ma non lo diede a vedere. Anzi, mosse una mano nell’aria volgendomi la schiena, a simulare disinteresse.
«Oggi mi sento magnanimo, vi farò solo rispedire a casa dalle Furie.»
Stavo per perdere la pazienza ‒la voglia di urlargli contro come una pazza era incontenibile‒ ma sapevo che avrei ottenuto solo l’effetto contrario.
“Sto perdendo tempo…!”
Poi, un’idea mi balenò nella mente.
Orfeo era riuscito a convincere Ade e Persefone con la sua musica, perché non ci sarei dovuta riuscire anch’io?
Chiusi gli occhi e iniziai a pensare a come raggiungere la Melodia di Ade, in pena per la lontananza della moglie. Lentamente, delle immagini cominciarono a delinearsi nella mia mente…
«Mátia tou violetí,
ta malliá tou kalampokioú pou.
Ta chéria me pétala,
triantáfyllo sto stóma.
Áro̱ma ánoixi̱s,
Áro̱ma Zo̱í̱s.»
♫♪♫
 
“Occhi di violetta,
capelli di grano.
Mani di petali,
bocca di rosa.
Profumo di Primavera,
profumo di Vita.”
Dal fruscio della veste intuii che Ade si era girato a guardarmi. Continuai a cantare con le palpebre chiuse, la figura di Persefone ora era talmente vivida che riuscivo a sentirne quasi la presenza accanto a me.
«Eímai polý makriá,
mazí me ti̱n mi̱téra mou,
allá eínai í̱di̱ Kalokaíri
Ptó̱si̱ érchetai.
Na échete apachtèí
Kai me ti̱n sti̱n pláni̱ écho̱ éthrepse:̱
Éxi spórous rodioú,
éxi mí̱nes mazí sas.
Edó̱ ta pánta eínai zo̱í̱,
edó̱ ta pánta eínai Í̱lios ...
Ómo̱s mou leípei
To í̱sycho apó to spíti mou,
Skótous tou mou toméa,
i̱ sio̱pí̱ tou vasileíou mou.
Kai metá apó af̱toús tous mí̱nes
Mou leípeis pára polý.
Periménete Ádi̱,
Tha epanéltho̱ sýntoma,
na s 'agapó̱
kai diépoun mas vasíleio mazí.»
♫♪♫
 
“Sono lontana,
assieme a mia madre,
ma ormai è già Estate
l’Autunno sta arrivando.
Tu mi hai rapita
E con l’inganno mi hai nutrita:
Sei semi di melograno,
sei mesi insieme a te.
Qui tutto è Vita,
qui tutto è Sole…
Eppure mi manca
La quiete della mia casa,
il Buio del mio campo,
il silenzio del mio Regno.
E dopo questi mesi
Mi manchi anche tu.
Aspettami Ade,
tornerò tra poco,
per amarti
e governare il nostro Regno assieme.”
Aprii gli occhi e subito li abbassai per l’imbarazzo. Tutti ‒le Furie, Eleuse e soprattutto Ade‒ mi stavano guardando a bocca aperta.
Ignorai il bruciore alla gola derivato dal canto, e tornai a parlare.
«…Ma non ci sarà nessun regno su cui dominare se lasciamo che Eris compia il rito. Anche l’Oltretomba potrebbe venire sopraffatto dall’ondata degli archetipi, oltre alla Terra.»
Il dio mi fissò in silenzio con le iridi lucide.
«…Sei figlia di una Musa. Ricordo un ragazzo col potere simile al tuo…» disse, gli occhi persi nei pensieri. «Non mi sarei dovuto fidare di Eris e Nemesi. Le ho accolte in casa mia per solidarietà, perché anch’io non sono ben visto sull’Olimpo, ed è così che mi ripagano?!»
Da arrabbiato incuteva davvero timore, alto quasi tre metri e con la sua scura aura divina.
Si diresse di gran carriera verso la stanza dalla quale eravamo uscite io ed Eleuse, chiedendoci di seguirlo.
«Non sapevo avessi quel potere…» mi sussurrò la mia Custode, dopo essersi avvicinata. Il suo tono tradiva l’emozione.
«L’ho scoperto anch’io solo qualche giorno fa» decisi di liquidare velocemente la faccenda, senza cogliere la sua muta ammirazione.
Ormai pensavo di aver capito il meccanismo: cantando in greco antico potevo sprigionare tutto il potere della mia Voce e utilizzare veramente il Dono, mentre il canto in inglese non ne era che una pallida imitazione.
Sospirai, conscia infine delle mie capacità, e deglutii per saggiare la gola. Aveva ricominciato a dolere come in fiamme, ma non avevo il tempo di preoccuparmi anche di quello.
Quando attraversammo il portale per tornare nella stanza degli specchi, la figura di Ade torreggiava ancora davanti a me, impedendomi la vista.
«Nemesi, credo che tu mi debba delle spiegazioni.» La voce del dio fece quasi tremare le pareti e gli specchi attorno a noi cominciarono a vibrare.
Mi sporsi di lato per cercare di vedere qualcosa. Nemesi stava guardando Ade di sottecchi, forse con aria dispiaciuta, in piedi accanto ad un’Alyssa e un Raven decisamente malconci. Notai che Raven le teneva le braccia dietro alla schiena per impedirle di muoversi liberamente, non che Alyssa sembrasse desiderosa di combattere.
«…Non sono riuscita a fermarla» rispose la dea.
«Non mi sembra che tu ci abbia provato. Un bel ringraziamento, davvero, attuare il vostro folle piano a casa mia… Spero solo di chiarire al più presto la mia estraneità a tutto questo!»
Nemesi abbassò il capo in silenzio, sempre guardando Ade dritto negli occhi.
«Divino Ade, credo che il tempo sia agli sgoccioli…» Non avevo certo intenzione di interferire in una diatriba divina, ma il pensiero fisso di mia madre e Emile in balìa di Eris minacciava di mandarmi in tilt. Avrei dovuto fare qualcosa prima di cedere totalmente al panico.
Finalmente Raven si accorse di me e mi sorrise. Il sorriso si fece ancora più largo quando vide anche Eleuse.
«State bene entrambe!»
«Per fortuna state bene anche voi» dissi, spostando lo sguardo su Alyssa. Lei voltò il viso dalla parte opposta per non incontrare i miei occhi. Avrei voluto farle capire che non provavo risentimento, che non la ritenevo responsabile.
«Sì, abbiamo avuto uno scontro un po’ movimentato ma ora è tutto sottocontrollo» fece Raven, liberando i polsi di Alyssa e posandole una mano sulla spalla. Ora che guardavo meglio, un taglio abbastanza profondo gli percorreva il braccio sinistro. Mi chiesi come avesse fatto a combattere, essendo mancino…
«Giovane Semidea, come hai detto non abbiamo tempo da perdere. Devo chiamare la mia armata infernale a raccolta, chi è in grado di combattere mi segua» ci interruppe Ade, perentorio. Era tornato lucido.
Raven fece per accodarsi a me trascinando Alyssa, quando mi ricordai delle condizioni di Eleuse.
«Raven… Forse avresti bisogno di riprenderti. Quella ferita sembra seria.»
«Questa?» Alzò il braccio con fare non curante. «È solo un graffio. E poi non penserai che lascerò tutta la gloria a te e Noir, vero?» ridacchiò.
Lo presi da parte, sotto lo sguardo vigile di Ade.
«Devi farmi un favore. Torna nelle stanze di Kimon e porta con te Eleuse. Necessita di cure, ma sai meglio di me quanto sia testarda.»
«Thara? Che succede?» Eleuse doveva aver capito.
«Ti prego!»
Mio fratello mi guardò in silenzio, incerto.
«…Tornerò coi rinforzi, puoi scommetterci. Aspettami e vedi di non fare niente di stupido!» mi rispose infine, prendendo sottobraccio la mia Custode e Alyssa.
«Ehi, che fai?! Thara ti prego, non andare da sola!» Mi faceva male separarmi da Eleuse dopo averla rincontrata, ma era per il suo bene. Annuii per convincermi e sorrisi.
«Grazie Raven.» Mi voltai verso Ade. «Possiamo andare.»
«Bene.»
Nemesi era rimasta in disparte, in religioso silenzio. Sapevo che non avrebbe interferito.
Mentre seguivo Ade nello specchio di sinistra e mi lasciavo alle spalle la stanza, mi accompagnarono le ultime parole di mio fratello.
«…Stai tranquilla, sono certo che Noir sta bene e non aspetta altro che mettersi in mostra.»
“Spero che tu abbia ragione…”
---
Mi guardai attorno disorientata.
Lo specchio ci aveva portato in quella che sembrava una steppa desolata, eccezion fatta per alcuni raggruppamenti di alberi neri dall’aria sinistra. Portai le mani alle braccia per trasmettere un po’ di calore al resto del corpo, rabbrividendo.
«Sono le Praterie degli Asfodeli» mi spiegò Ade.
Camminava con sicurezza sull’erba secca, invece per me era difficile tenere il passo delle sue gambe lunghe, tanto che rischiai spesso di inciampare.
Rialzandomi per l’ennesima volta, vidi in lontananza una struttura che riconobbi come il castello dov’eravamo fino a qualche minuto prima, quando un particolare attirò la mia attenzione.
«Il Tartaro è in quella direzione?» chiesi allarmata.
Un orrendo bagliore violaceo scaturiva da una foresta in lontananza, rifrangendosi sulle pareti della caverna che conteneva l’intero Oltretomba.
«Sì. Ma quella boscaglia non dovrebbe esserci! Che sia un effetto collaterale della linfa delle Muse…?»
Non ascoltai oltre le parole di Ade, perché la paura mi ottenebrò la mente.
“Emile è lì!”
Iniziai a correre.
«Aspetta! È pericoloso per te!»
“Emile, Emile, Emile…”
Corsi come non avevo mai fatto in vita mia. La luce viola si fece sempre più intensa, finché un rombo mi fece tremare la terra sotto i piedi.
«Emile!» gridai con quanto fiato avevo in corpo.
Sapevo che nonostante corressi il mio passo non sarebbe bastato a raggiungerlo in tempo.
Mi scorrevano davanti agli occhi tutti gli avvertimenti che mio padre mi aveva lanciato in quei giorni, avvertimenti che avevo deciso di ignorare troppo ebbra della felicità di aver trovato nuovamente qualcuno da amare. Qualcuno di cui potermi fidare.
“Non posso perderti così… Non posso perdere sia te che mia madre!”
Mentre la lacrime cominciavano a scorrere dagli occhi appannandomi la vista, un urlo disumano si levò dal fondo della foresta e mi ferì le orecchie.
“…Ti prego, non morire!” ebbi il tempo di pensare, i polmoni in preda alle fiamme e avidi d’aria.
 
 
 
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Nota dell'Autrice:
...Vi chiedo infinitamente perdono! *si genuflette* Sono stata totalmente assorbita dalla preparazione ai terribili esami universitari e non sono più riuscita ad andare avanti con la storia... Avete tutto il diritto di odiarmi.
So che il capitolo non è assolutamente lungo, ma dopo un'attenta riflessione ho deciso di separarlo dal resto della battaglia. Vorrei tanto che fosse una cosa epica! Ok no, so che sarà assai difficile riuscire a scrivere qualcosa di epico... Ma io ce la metterò tutta!
Per farmi perdonare, pubblicherò anche dei disegnini extra. °v°
Mi scuso ancora una volta e, se potete perdonare la mia lentezza, vi prego di rimanere con noi. <3
 
A presto,
Remiel ♥
 
P.S. Sì, l'ultima parte è il Prologo. Siamo arrivati alla fine! Mi fa strano, sono eccitata e triste allo stesso tempo...
P.P.S. Intanto, un disegno di Thara nel cap.12, quando scopre il suo Dono. :D


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