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Autore: dilpa93    30/06/2013    6 recensioni
“Alcuni dicono che il tempo sana tutte le ferite. Io non sono d’accordo. Le ferite rimangono. Col tempo la mente, per proteggere se stessa, le cicatrizza, e il dolore diminuisce, ma non se ne vanno mai”
Rose Kennedy
Genere: Angst, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Kate Beckett, Quasi tutti, Rick Castle
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
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-Il destino gioca a dadi-


 

Dopo la visita della dottoressa Lockart, le cose parvero cominciare ad appianarsi.
Quella stessa sera Kate aveva voluto che Castle le sedesse accanto sul divano. Ogni tanto allungava la mano giochicchiando con le sue dita, ma senza spingersi oltre. Involontariamente, dormendo, si era ritrovata addosso al corpo di Rick, ma non si era svegliata di soprassalto come invece nei giorni precedenti era successo. Aveva continuato a dormire con abbastanza serenità.
Tuttavia, se il contatto fisico tra loro stava cominciando a tornare, lo stesso non si poteva dire del suo appetito o della sua salute in generale.
La nausea è sempre frequente, i giramenti di testa in conseguenza allo scarso nutrimento sono forti insieme alle emicranie.
“Kate”, esordisce una mattina di giugno, accingendosi a preparare un po’ di limonata, “sai che non ti costringerei a fare nulla, ma forse dovremmo andare dal medico. Hai saltato il controllo di settimana scorsa, fissato perché hai saltato quello procedente. Dici che non posso capire ciò che provi anche solo al pensiero di dover uscire, ma sono sinceramente preoccupato, e credo... credo ti farebbe bene prendere una boccata d’aria, sono due mesi ormai che non esci. Andiamo in macchina se preferisci, se non te la senti di camminare.”
“Rick...” tenta di ribattere.
“Niente Rick. Non ti sto dicendo di andare fuori a pranzo, di andare a fare una passeggiata, di passare la notte fuori, di incontrare gente. Ti sto solo chiedendo di fare una visita, per te, per il tuo bene. Fallo per me, sarei più tranquillo, ma in primo luogo dovresti farlo per te stessa. Andiamo e torniamo, non ti chiedo altro.”
Nei suoi occhi azzurri, spenti e stanchi, riesce a leggere tutto l’amore che in quelle parole è racchiuso. Nonostante l’ansia la stia già divorando, il ‘va bene, facciamolo’ esce automatico dalle sue labbra.
Le sorride sereno e, porgendole la borsa, apre la porta di casa.
Si sporge sul pianerottolo; sente l’odore penetrante della caffeina arrivare dall’appartamento vicino.
Lei gli offre la mano che lui incastra saldamente con la sua.
 
Ha bisogno di lui, della sua roccia. È inutile fingere, da sola sa di non potercela fare.
 
Appena escono dal palazzo l’afa estiva avvolge entrambi. Kate si sente soffocare dal caldo, e per un istante percepisce ancora la mano stretta attorno alla sua gola.
Si siede sul sedile dell’auto scacciando quelle ombre dalla sua mente.
Per tutto il viaggio resta in silenzio ascoltando la musica che riempie l’abitacolo; guarda fuori dal finestrino, avendo la sensazione che il mondo sia andato avanti senza di lei.
Quando arrivano al parcheggio punta gli occhi sulla scritta rossa Saint Andrew Hospital.
Non l’aveva notata quando era stata dimessa dall’ospedale.
Lo scrittore chiude la macchina; il bip e il lampeggiare dei sensori fanno trasalire la detective.
“Entriamo” dice appena, circondandole la vita con il braccio.
 
Castle si ferma a parlare all’accettazione, pregando l’infermiera di poter inserire di straforo Kate per una visita.
Nonostante le sia proprio accanto, Beckett non sente neanche una parola di quello che dice; si guarda intorno, mentre brevi e fugaci ricordi del suo arrivo al pronto soccorso quella fatidica notte le tornano alla mente come lampi durante un temporale.
“Accomodatevi in saletta, sento se il Dottor Reidmann può ricevervi adesso.”
 
Attendono qualche minuto prima di veder uscire il medico.
“Ormai non ci speravamo più in una sua visita Kate” commenta sarcastico non ottenendo altro che sguardi perplessi. “Lei è il signor Castle, dico bene?” Chiede stringendogli con forza la mano.
“Ha un’ottima memoria dottore.”
“Mia moglie adora i suoi libri, è impossibile che mi dimentichi di lei.”
Richard sorride lusingato rimpossessandosi del suo arto.
“Avanti Kate, venga e si accomodi, vedrà che non ci vorrà molto.”
È strano per Rick non sentirla correggere l’uomo supplicandolo di chiamarla detective Beckett, e non Kate, privilegio questo che è riservato a pochi. Forse è più stanca e stremata di quanto sembri.
“Aspettami qui.”
“Sei sicura, non vuoi che venga?” La guarda dritta negli occhi, giocando con le sue dita.
“Sono sicura”, dà una forte stretta alla mano; inaspettatamente, si alza sulla punta dei piedi e, avvicinatasi al suo viso, gli lascia un bacio sulla guancia.
 
Si sente l’uomo più felice della terra, è l’uomo più felice della terra. Chi sarebbe così contento di ricevere un bacio sulla guancia se non un bambino di cinque anni che sperimenta per la prima volta l’amore con una compagna di scuola...?
Ma contro qualsiasi aspettativa lui lo è, terribilmente. Dimostrando per l’ennesima volta quanto i sentimenti che prova per lei siano veri, quanto il loro amore sia amore con la A maiuscola.
 
Seduto su di una poltroncina nella sala d’attesa, allunga il collo sbirciando i titoli delle riviste e le notizie principali. Nulla di interessante sui caratteri di testata; legge le date, sono vecchie di mesi. In ogni caso non è mai stato particolarmente interessato al gossip, se si parlava di lui era un altro discorso, ma anche in quel caso erano anni che aveva perso interesse per notizie sulla sua persona. Del resto non scrivevano nulla che lui stesso già non sapesse.
Prende l’Iphone cominciando una partita ad angry birds; fa un solo lancio, svogliato, non è in vena di far saltare in aria piccole testoline verdi. Chiude l’applicazione decidendo di dare un’occhiata alle mail.
Sono solo due in arrivo. La prima è un’offerta per aprire un nuovo conto online, non ci pensa due volte ad eliminarla. La seconda è da parte di Alexis, la apre con una certa curiosità.
 
“Ciao papà, come vanno le cose?
So che ci siamo sentiti solo ieri, ma volevo avvisarti che mi hanno anticipato un esame e sono costretta a rimandare la nostra cena di domani sera. Temo che non sarei di grande compagnia continuando a pensare alla microeconomia.
Mi dispiace, ci tenevo a vederti, magari potremmo spostarla a settimana prossima!
Volevo anche farti sapere che ieri sera mi ha chiamato la nonna, ha detto che si sta godendo il mare, e che magari terminato l’anno potrei raggiungerla per qualche giorno negli Hampton. Credo sia una buona idea, e spero che quando tornerò le cose con Kate si siano sistemate.
Mi spiace non poter fare nulla per aiutarla, ma se hai bisogno basta una chiamata.
Ti voglio bene, abbraccia Kate da parte mia.
Un bacio
Alexis”
 
Sorride, pensando alla fantastica creatura che ha cresciuto; felice che, nonostante una madre assente, un padre per certi versi molto infantile, e una nonna devota totalmente alla teatralità della vita, lei sia venuta su così bene.
Una giovane donna con i piedi per terra e la testa sulle spalle, che si preoccupa per gli altri più di quanto non faccia per se stessa, che mette sempre la famiglia al primo posto; famiglia di cui apprezza i pregi, ma soprattutto i difetti.
Immerso in questi pensieri e concentrato nello scrivere la mail di risposta, non si accorge dei minuti che scorrono.
Alza il capo solo quando sente la serratura dello studio scattare.
Il Dottor Reidmann mormora qualcosa a Kate, ma non riesce a comprenderne le parole; si alza ringraziandolo per il tempo dedicatole e, sempre avvolgendo la compagna nel suo abbraccio, la scorta fino alla macchina.
“Cosa ha detto?”
“Mmm, nulla. Sto bene, nausea e mal di testa sono dovuti solo allo stress. Passeranno...”
Per quanto si sforzi non riesce a crederle; la voce è titubante, e la sente rigida sotto il suo tocco. Forse è solo un impressione sua, o forse...
Interrompe quei pensieri, deciso a godersi quegli ultimi minuti di aria insieme a lei.
 
 
Rientrando, lo squillo del telefono li accoglie. La detective non vi presta attenzione, andando in camera con la scusa di volersi cambiare.
“Pronto?”
“Castle, sono Esposito.”
“Scoperto qualcosa?”
“Effettivamente si. Abbiamo trovato il braccialetto sotto uno dei cassonetti. Il metallo del contenitore dei rifiuti sembra lo abbia protetto dalla pioggia e da qualsiasi altra cosa che avrebbe potuto danneggiarlo. Lanie lo ha analizzato trovando un’impronta parziale. Abbiamo un riscontro nel codis, ma per essere sicuri abbiamo bisogno che Beckett lo identifichi.”
“Andiamo, sapete che l’impronta appartiene per forza di cose ad uno degli aggressori. Chiunque avesse trovato quel braccialetto non lo avrebbe di certo lasciato lì, anzi, si sarebbe affrettato a portarlo al banco di pegni più vicino.”
“Noi lo sappiamo, ma tu sai anche quanto i piani alti ci stiano tenendo alle strette, dobbiamo fare tutto secondo il protocollo. Ti mando subito una foto sul cellulare, abbiamo bisogno di una risposta il prima possibile.”
“D’accordo, lo faccio immediatamente. Ti richiamo tra poco.”
 
Sente il sangue ribollirgli nelle vene quando apre la fotografia. Avrebbe voglia di spaccare la faccia a quel maledetto essere. È un codardo, un vigliacco. Ha finto di essere un duro, ma per poter avere una donna ha avuto bisogno di altri due che lo aiutassero. Se l’è presa con chi non era in grado di difendersi.
Se uscendo dovesse incontrarlo per strada non ci penserebbe due volte a riservargli lo stesso trattamento che lui ha riservato a Kate.
 
Bussa alla porta della camera da letto attendendo una risposta.
La trova sdraiata sul letto, in posizione fetale, come se lo stare così la facesse sentire più protetta.
“I ragazzi hanno bisogno che guardi una fotografia. Se non te la senti lo capisco.” Sussurra sedendosi al suo fianco.
Si solleva sentendo la testa girarle, e dopo la visita medica ne ha capito il perché.
Inspira a fondo guardando poi l’uomo ritratto.
Risente la sua lingua sfiorarle le guance, le sue mani ferirla in più punti. Era stato il più brutale, i suoi movimenti e gesti erano stati pesanti oltre ogni limite.
Sfiora la foto, come se potesse sentire la barba ispida graffiarle i polpastrelli. Lascia cadere il cellulare sul materasso rannicchiandosi nuovamente, dandogli le spalle.
“È lui.” Mormora prima di nascondere il viso dentro la maglietta e chiudere gli occhi sentendo le lacrime scorrere lungo il viso fino a bagnare la federa del cuscino.
Le sfiora i capelli con un bacio ed esce socchiudendo la porta.
Compone immediatamente il numero, tamburellando nervoso col piede.
“Esposito.”
“Sono io... È uno di loro.”
“Ryan!” Lo sente urlare, “ce l’abbiamo.” Poi si rivolge nuovamente a Richard “li prenderemo fratello, li prenderemo.”
Castle riaggancia tirando un sospiro di sollievo, in quel momento il telefono squilla di nuovo.
“Si...?” Mormora stanco.
“Ehi Castle, si risponde così?”
“Lanie?”
“Si, proprio io, ti prego di mostrare un po’ più di entusiasmo, hai una voce che sembra provenire dall’oltretomba. I miei compagni di gioco, qui, sembrano quasi più vivi di te.”
Sorride, immaginandola a trafficare su di un cadavere tenendo saldo il bisturi in mano, tracciando una linea dritta sullo stomaco della vittima per esplorarne il contenuto, mentre parla amabilmente con lui.
“Ti chiedo scusa, dimmi tutto.”
“Scusato... Sei tu, a dire il vero, che devi dirmi qualcosa. Come sta la nostra ragazza? Javier mi ha detto che ha visto una psicologa...”
“Si, è così. Va meglio, dico davvero. Le è servito a liberarsi un po’.”
“Sarei voluta passare, vorrei passare, ma non so come potrebbe reagire.”
“No, hai fatto bene, non ha ancora voluto vedere nessuno. Te la passerei al telefono, ma è un po’ scossa in questo momento. Vedrai che ti chiamerà, devi solo darle tempo.”
“Già, ma mi conosci, non sono paziente come te. In ogni caso... Ecco, magari salutamela, e quando passi da queste parti vieni a trovarmi, non è giusto che la tua simpatica presenza sia riservata solo ai tuoi amici del piano superiore.”
“Hai ragione, ti prego di perdonarmi, è stata una mancanza che non si verificherà più.” Ammette teatralmente. “Sono costretto a lasciarti ora, volevo preparare qualcosa da mangiare per Kate.”
“Vai pure Cenerentolo, io ho un sacco di lavoro da sbrigare qui. I morti non riposano mai.”
 
 
I giorni passano, una settimana vola in fretta.
 
Dal distretto era arrivata una chiamata il giorno dopo l’identificazione. La voce della Gates lo aveva sorpreso all’altro capo dell’apparecchio.
Ci aveva tenuto particolarmente ad essere lei ad informare Richard che erano riusciti a prenderlo; Mathew Luther, arrestato due anni prima per possesso d’armi, trattenuto in centrale per sospetto di spaccio, due arresti per aggressione, ma senza condanna, e il suo curriculum si allungava tenendo conto di piccoli furtarelli compiuti prima dei diciotto anni.
Ryan ed Esposito lo avevano torchiato parecchio, ma non aveva fatto i nomi dei complici. Lo stesso Capitano era rimasta sorpresa, non capiva se fosse furbo, o soltanto molto stupido.
Nonostante non facesse mistero della poca simpatia nei confronti dello scrittore, almeno in ambito lavorativo, si sentiva particolarmente vicina a lui, ed ovviamente a Beckett, in questo periodo.
“Non lasceremo la presa. Non importa quanto ci vorrà, otterremo quei nomi, è una promessa signor Castle.”
 
Quelle parole ancora rimbombano nella testa di Richard durante il sonno, e la sera del secondo mercoledì di giugno quella promessa, inaspettatamente, si compie.
 
È passata esattamente una settimana e mezza, ma per mettere fine a quella storia, questa volta Kate è costretta ad andare in centrale, deve riconoscerli personalmente, ordini dall’alto ai quali è stato impossibile opporsi.
 
“Non te lo chiederemmo se non fosse indispensabile. Possiamo trattenerli per 48 ore, ma prima lo facciamo, meglio è.”
“Lo so Ryan, lo so, è solo che... Forse sono tutte paranoie mie, vedo cose anche dove non ci sono, ma, da quando siamo andati a fare il controllo, sembra sia regredita. Non so se è per qualcosa che possa averle detto il medico, o forse perché le ho forzato la mano ad uscire... Temo possa esserci dell’altro.”
“Cosa intendi?”
“Qualcosa che non ha detto a nessuno... Mah, forse mi sbaglio, forse sto diventando davvero paranoico e iperprotettivo.”
“Vedrai che non è nulla. Una volta che saranno dietro le sbarre archivierete questa storia e tornerete quelli di un tempo. Quando riprenderete la vostra routine tutto tornerà normale.”
“Si, probabilmente hai ragione, tutto tornerà normale” sospira con poca convinzione. “Tornerò qui con lei il prima possibile, e scusatevi con Lanie da parte mia per non essere sceso a salutarla.”
“Va bene, vi aspettiamo!” Gli urla guardandolo correre giù per le scale verso pian terreno.
 
Quando torna al distretto, accompagnato dalla detective in temporaneo congedo, nonostante le temperature esterne siano piuttosto elevate, sembra essere calato il gelo. Gli agenti si bloccano, interrompendo le loro attività. I loro sguardi si posano sulla sua figura, che ora attraversa il 12th, scortata, come un condannato, verso la sala.
“Ehi Becks, tranquilla, loro non potranno vederti, starai al di-”
“So come funziona Javi.” Risponde acida, per poi posare lo sguardo sulle sue scarpe dispiaciuta. “Scusa, non volevo essere sgarbata.”
“È tutto a posto.” La rassicura poggiandole una mano sulla spalla.
Ryan spunta dalla stanza degli interrogatori allestita per effettuare il riconoscimento visivo.
“Sei pronta Beckett?”
Senza dire nulla si posiziona davanti al vetro; scruta i volti, li osserva a fondo. Ogni dettaglio, ogni ruga attorno agli occhi e alla bocca, ogni segno sulle mani e sulle braccia.
Muove il volto di pochi millimetri, cercando con la coda dell’occhio la figura di Rick. Se ne accorge e le si avvicina. La sua mano si muove con regolarità sulla sua schiena, sentendo il suo respiro normalizzarsi.
“Il numero 4 e...”
“Fai con calma Beckett.”
“E il 7.”
“Sei sicura?”
“Non chiedermelo di nuovo”, mormora secca e decisa.
“D’accordo.”
L’accompagnano fuori, la Gates le sorride facendole un cenno con la mano. Si scusa col labiale di non poter chiudere la telefonata che la sta intrattenendo dentro al suo ufficio.
“Che ne dici di andare a salutare Lanie di sotto?”
Si guarda intorno carezzando il bordo della sua scrivania rimasta intatta da quando lei se ne è andata. I suoi elefantini paiono sorriderle, augurandole buona fortuna. La foto nella cornice la ritrae allegra insieme a suo padre.
Le manca, tanto, ma vuole rimettersi del tutto prima di vederlo o anche solo parlargli, e quando lo farà, lo stringerà forte, orgogliosa di lui, del suo saper aspettare, del suo non farle pressioni.
Forse un fondo di verità, nel fatto che le donne scelgono un uomo simile al padre, deve pur esserci.
“Non me la sento, vorrei andare a casa, non mi sento bene”, è convinta che anche Lanie capirà, è sua amica, capirà.
“Come preferisci.” L’asseconda, abbracciando poi i due detective sussurrandogli un sentito grazie.
 
A casa si butta sul divano terribilmente sollevato. Il macigno che aveva nel petto si è ridotto, lasciando al suo posto un piccolo sassolino, quella sensazione che Kate gli nasconda qualcosa.
La sente armeggiare in camera; la raggiunge abbracciandola da dietro, stringendole la vita.
“Come ti senti?” Chiede baciandole il collo; non vuole obbligarla a fare l’amore con lui, vuole solo avere un contatto, seppur minimo. Non ha bisogno di sentire le sue mani sul suo copro, la sua lingua muoversi sciolta nella sua bocca, gli basterebbe poter sfiorare le sue labbra, poterle carezzare il viso come faceva una volta.
“Sto bene. Pensavo... pensavo che stasera potrei preparare qualcosa io.”
“Dici davvero?”
“Si, anzi, v-vado a vedere se abbiamo tutto.” Scivola lontano da lui, non riuscendo a dissimulare come avrebbe voluto il sollievo per essersene allontanata.
“Io mi faccio una doccia allora, forse così mi passerà il mal di testa.” Le annuncia slacciandosi i polsini della camicia.
 
Dopo dieci minuti ancora non sente l’acqua scorrere.
Abbandona sul piano in ceramica il tagliere con le verdure che aveva cominciato a tagliare a listarelle. Passa le mani nello strofinaccio per i piatti pulendole alla meglio. Cammina scalza, i suoi passi sono leggeri, a malapena udibili.
Entrando in camera da letto nota immediatamente il secondo cassetto del mobile antico mezzo aperto. Le magliette all’interno sono poste alla rinfusa, come se qualcuno ci avesse appena rovistato dentro. Non le è difficile capire.
“Lo sai, non è vero?”
Muove impercettibilmente la testa in segno di assenso. Gli si avvicina, sedendosi al lato opposto al suo sul bordo del letto. “Non sei l’unica a quanto pare a nascondere sorprese o segreti nei cassetti.”
 
Qualche giorno prima che Kate venisse assalita, Richard le aveva comprato una collana. Semplice, in oro bianco; il ciondolo era un piccolo dado i cui numeri erano incastonati in ogni faccia in piccoli diamantini neri.
Per molti il dado è simbolo del destino, del fato che si compie inesorabile.
Lo ha sempre trovato affascinante, e voleva rendere anche lei partecipe di questa meraviglia.
Per un gruppo più ristretto, invece, il significato del dado dipende dai numeri, e di conseguenza varia in base alla faccia che si decide di prendere in considerazione.
Il suo numero, il loro numero, era il due. Il dualismo, l’uomo e la donna, lo Yin e lo Yang... l’armonia.
Avendo deciso di aspettare a donarglielo, lo aveva riposto in uno dei cassetti, ma, in seguito allo stress per gli avvenimenti di quei due mesi, si era dimenticato in quale lo avesse messo.
Rovistando nel primo aveva trovato qualcosa, qualcosa che non assomigliava per niente ad una scatolina rettangolare di velluto rosso.
 
“Ho trovato questa”, aggiunge dopo un breve momento di pausa, sollevando la mano fino a pochi secondi fa tenuta insieme all’altra a ciondolare tra le gambe. Il foglio del referto medico si flette provocando un lieve schiocco, e in controluce si riesce ad intravedere lo sfondo nero dell’ecografia.
“Perché non me lo hai detto, credevi che mi sarei arrabbiato forse?”, la voce è a stento udibile, ma non lo è il tono estremamente dolce con cui lascia uscire quelle parole. “Non lo sono”, Kate ruota il capo osservando il suo profilo, stupita da ciò che ha sentito. È come se lui fosse riuscito a leggere indistintamente tra i suoi affollati pensieri quello che più la preoccupava, che lui potesse essere adirato con lei.
“Non potrei, e neanche tu dovresti avercela con te stessa. Vorrei solo sapere di quanto sei.”
“Sei settimane.”
Restano in silenzio, un silenzio fatto di piccoli rumori come il ronzio del ventilatore sopra le loroteste, il lento e persistente gocciolare del rubinetto della vasca da bagno, il rombo del dita di Rick che tamburellano, contando, sul materasso; lo scoppiettio delle marmitte al di fuori dell’appartamento.
“Non ti ho detto nulla perché nel momento esatto in cui tu o chiunque altro ne foste venuti a conoscenza sarebbe diventato qualcosa di reale.”
“È già reale”, soffia fuori quelle parole che suonano come una sconfitta nella testa della detective.
“Ma ora che lo sai dovrò... Dovremo affrontarlo, e non credo di essere pronta.”
Lo scrittore allunga la mano, attendendo che lei vi incastri la sua, “qualsiasi cosa, qualsiasi scelta la affronteremo insieme. Accada quel che accada io sarò qui, con te... Sempre.”
Gli sfiora le dita, seguendo poi una linea immaginaria sul palmo della mano prima di ritrarsi. “Apprezzo le tue parole, ma per quanto lo vorrei, non sono di nessun aiuto. Devo prendere una decisione importante, e devo essere io a farla.”
“Sappi solo che ti starò accanto, che ti appoggerò, fino alla fine.”
Sente le lenzuola fresche di bucato frusciare a contatto con il corpo di Kate. I suoi piedi si trascinano sul parquet lucido, lasciando l’alone di condensa che in breve svanisce. Sulla porta si ferma per un istante e, sempre di spalle, sussurra con voce rotta “non finirà mai.”
  
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