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Autore: Birdcage D Swan    01/07/2013    6 recensioni
«Ha mai sentito parlare di Lightning L-Drago?» Il suo sguardo sembrò illuminarsi.
«Ehm…più o meno.»
«Mi dica tutto ciò che sa su quel bey.»
Vi giuro, non ho mentito. Sapevo perfettamente di cosa stesse parlando…quasi.
«Dunque, è un bey proveniente…dalla costellazione…del Drago.» “You don’t say, Paschendale?”.

[…]
Affilati, circondati da folte ciglia nere.
Quelle iridi ristrette, all’interno delle cornee bianche, gli conferivano un aspetto spaventoso, quasi assatanato.
Quelle iridi dello stesso colore dell’oro, il più brillante esistente.
Tutto ciò che mi rendesse umana, ogni idea, paura, sentimento. Tutto svanì.
In quello sguardo, appena accennato.
Erano gli occhi più terrificanti e incantevoli in cui mi fossi mai specchiata.
Genere: Drammatico, Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri, Nuovo personaggio, Ryuga, Un po' tutti
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: Tematiche delicate
Capitoli:
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XVIII
ℓ’ïŋųŧïℓïŧà ∱ąŧŧą ą ƈąþïŧσℓσ, ïɧïɧï﹗ ŋσ, √ąɓɓè, đąï…

"I'm slipping away" 


La gente, seduta o in piedi, restava tranquilla nell’attesa del proprio turno. In quel corridoio affollato regnava il silenzio, ordinato dalla lucina rossa sopra la porta dello studio del Capo.
Il signor Doji è molto indaffarato in questo periodo. Quando quella spia è accesa, il nostro Capo non dev’essere disturbato per nessun motivo.
Peccato che in quell’esatto momento in compagnia di Doji non ci fosse nessuno, trovandosi lui stesso in attesa di qualcuno di molto importante.
 
«UUUUUUUAAAAA!!».
 
Io ho un dono: quello di rompere bruscamente il silenzio ovunque mi trovi.
«Cavolo! Cavolo! Cavolo! Sono in un ritardo apocalittico!» sbraitavo mentre correvo su per gli scalini, scusandomi ogni due secondi con gli sfortunati contro i quali mi scontrassi.
Giunta al sesto piano, girai l’angolo veloce, scivolando malamente almeno cinque volte, sbilanciata dalla pesante borsa a tracolla che indossavo su una spalla sola.
Finalmente, raggiunsi il fatidico corridoio, dove avrei avuto quell’importante colloquio; con mia grande sorpresa, e anche imbarazzo, mi trovai davanti una serie di occhi accigliati che m’inquadravano seccati. Deglutii rumorosamente, e a passo svelto, scivolai tra le persone.
«Permesso, scusate… Oh, mi scusi signora, non volevo pestarle un piede.» “Ma che è? Un ospedale?”. «Saaaaaalveeee!!» mi presentai affannosa alla segretaria, che mi inquadrò dietro i suoi occhialetti con una tipica aria snob.
«Nome…?».
«Paschendale Tategami, Presidente della WB…».
«Sì, so chi è lei. È in ritardo, sa?».
«Ehm…» il mio imbarazzo era al massimo.
«Vada, il signor Doji l’attende». La donna uscì da dietro la scrivania, guidandomi fino allo studio del Capo di quell’organizzazione nuova di zecca.
«AH! Gr-Grazie…» buttai nuovamente un occhio verso la gente che attendeva nel corridoio. Come dire…mi stavano mangiando viva.
 
La segretaria mi guidò fin allo studio.
«Signor Doji, il Presidente è arrivato.»
«La faccia accomodare.» rispose un’ovattata voce maschile.
La donna fece marcia indietro, lanciandomi un’ultima occhiataccia piena d’antipatia; mi vennero i brividi.
La porta si chiuse. Ecco il segnale! Finalmente avevo la mia occasione per fare qualcosa di coraggioso.
«Ehm… Signor Doji?».
Riuscivo a vedere solo le ampie spalle di quell’uomo alto e magro che reggeva nella mano destra un bicchiere di vetro sottile. Ruotò il capo guardandomi di sbieco. I suoi occhi viola non promettevano nulla di buono, ma cercai di non farmi intimidire.
“Avanti Paschendale! Non dimenticarlo: sei una bestia! Fallo secco.” mi feci coraggio.
«S-Salve.»
«Finalmente è arrivata, Presidente. Prego, si accomodi.»
L’uomo si sedette al suo posto, proprio dietro la scrivania. Lo imitai, accomodandomi dall’altro lato del tavolo.
«Sembra nervosa.»
Innegabile. Mi strofinavo le mani in continuazione, la mia schiena era rigida come una tavola da surf e tra le mie ginocchia sembrava ci fosse della colla.
«Non si preoccupi.» cercò di rassicurarmi «Si tratta di un colloquio come un altro. Tutto ciò che dovrà fare, sarà rispondere a qualche semplice domanda.»
Lo ammetto, mi sentivo già più tranquilla, ma non del tutto.
«Okay…» bisbigliai abbassando lo sguardo.
«Bene, cominciamo! Prima domanda: perché ci tiene tanto a entrare nella nostra organizzazione?».
Eh? Ma che ha ‘sto tizio? S’è forse dimenticato che è stato lui a invitarmi qui?
«Ehm… Ma, non siete stati voi a chiedere di iscrivermi?».
«No, si sbaglia.» rispose con educazione «Forse mi sono formulato male. Intendo dire, perché è stata proprio lei a desiderare di far parte di Nebula Oscura?».
Oh sì, è proprio il mio giorno fortunato! Cosa mia andava a chiedere ‘sto qua? Proprio ciò a cui non volevo rispondere.
Okay, ce la posso fare! Tutto ciò che dovrò dire sarà “Ci tenevo a mettermi alla prova io stessa, piuttosto che iscrivere altri blader della mia società”.
E invece, dato che sono lappiùffffurba. «Beh, avrò iscritto qualcosa come cinque ottimi blader della mia società, giusto per tenere sotto controllo questa nuova organizzazione dal nome tanto losco e dai piani misteriosi, e la cosa si fece ancora più strana quando notai tutti questi blader tornare alla sede mezzi bruciati, squartati, affettati… Quindi ho deciso di controllare io stessa.» Dopo nemmeno due secondi, mi ero già schiaffata una mano sulla bocca.
“Ma perché sono così pettegola!?”.
«Capisco…» riprese l’uomo con un velo di stupore dipinto sul volto «Sinceramente, non credevo che voi della WBBA foste tanto dubbiosi nei nostri confronti. Inoltre, gli allenamenti sono cominciati da ben sei mesi, e si concluderanno tra circa una settimana.»
Perfetto! Meglio di così non poteva andare!
Ma dico io, tutti i blader che ho inviato sono stati dei talenti a mantenere la loro copertura, e adesso arrivo io che spiffero tutto. Sono proprio una cogliona.
«Tuttavia…» un bagliore alla fine del tunnel «Potrei anche fare un’eccezione. Sono contento che il possessore di un bey oscuro voglia entrare nella nostra organizzazione.»
Aspetta, cosa? Che c’entrano adesso i bey oscuri?
«Eeeeeeccoci! Effettivamente era una cosa che ci tenevo a sapere: a che cavolo serve questa organizzazione?». Devo piantarla di metterci tutta questa confidenza quando parlo. Ecco perché toppavo sempre nei colloqui di lavoro.
Doji ghignò soddisfatto.
«Speravo avesse un dubbio simile.»
Si tolse gli occhiali e si sporse, avvicinandosi a me.
«Ha mai sentito parlare di Lightning L-Drago?». Il suo sguardo sembrò illuminarsi.
«Ehm…più o meno.»
«Mi dica tutto ciò che sa su quel bey.»
Vi giuro, non ho mentito. Sapevo perfettamente di cosa stesse parlando…quasi.
«Dunque, è un bey proveniente…dalla costellazione…del Drago» “you don’t say, Paschendale?” «È chiamato bey proibito perché…perché…ehm…cavolo, la sapevo!».
«Perché ha lo straordinario potere di risucchiare l’energia dall’avversario grazie alla rotazione inversa.» m’interruppe.
«Già. Però non ho ancora capito che cosa vogliate fare voi di Nebula Oscura.»
«È semplice. La nostra Organizzazione si è occupata di selezionare blader da tutto il mondo, sottoponendoli a rigidi esami e allenamenti. Il nostro scopo è individuare un blader che sia all’altezza di Lightning L-Drago, così da poter utilizzare quell’energia e raggiungere i nostri obiettivi.»
Avrei potuto chiedere quali fossero questi famigerati scopi, oppure... «Ho capito adesso cosa c’entro io! L-Drago è un beyblade oscuro, proprio come il mio Sunset Hydra, quindi potrei resistere a tutti quegli estenuanti allenamenti ed essere una possibile candidata per quel bey, non è così?» terminai sentendomi incredibilmente intelligente.
«Esattamente. Allora, che ne dice? Farebbe parte della nostra Organizzazione?» chiese allungandomi la mano.
Rimuginai un po’. Non avevo molte informazioni, ma ero talmente onorata da tal compito che... «Può contarci!».
 
˚˚˚
«Ma…scusa, dov’era finita tutta la tua prudenza? E com’è possibile che a quei tempi tu fossi tanto impulsiva?».
«Insomma Madoka, ero diventata il Presidente della WBBA da pochi mesi e avevo solo sedici anni.»
«Aspetta, sedici anni?» domandò la meccanica incredula «Quindi adesso ne hai…diciassette?».
«Perché non ci credi?» Paschendale inclinò la testa di lato.
«Ne dimostri molti meno!».
Sospirò, ormai abituata a una tale reazione. «Continuiamo, va’.»
 

˚˚˚

Mi ero alzata alle 4.00 del mattino, il check-in all’aeroporto di almeno due ore e mezza, un viaggio in aereo di tre ore e un lungo percorso in taxi. Il fatto che mi reggessi in piedi era un miracolo divino.
Dopo essere scesa dall’auto bianca e aver pagato una cifra astronomica per raggiungere quella zona a me totalmente estranea, mi si presentò davanti un edificio nuovissimo, composto da due altissimi grattacieli collegati da un passaggio soprelevato. Quel palazzo era sicuramente moderno, ma il quartiere dove si trovava era di una tristezza unica: così buio, silenzioso, quasi di gusto fascista.
«Ma dove diavolo sono capitata?» mi chiesi.
Estrassi un bigliettino dalla tasca per controllare che fosse l’indirizzo giusto.
«Meeee, perché in Giappone non ci sono le vie??» già, perché cercare un indirizzo quando sai benissimo che non lo troverai mai?
Per fortuna che c’era una guardia innanzi alla costruzione. Mi ci avvicinai goffamente, trascinandomi dietro le tre pesanti valigie che mi ero portata.
«Ehm… Salve. Mi scusi, è questa la sede di Nebula Oscura?».
«Esatto. Lei è Paschendale Tategami, non è così? La stavamo aspettando.»
Sorrisi e salutai con un lieve cenno del capo, dirigendomi verso la porta automatica alla mia destra.
«Signorina!» mi richiamò la guardia «L’ala femminile è alla sua sinistra.»
Spalancai gli occhi, basita. Ala femminile? Ma che è, siamo tornati nel Settecento?
Comunque, con la grazia di un elefante con le emorroidi, entrai nell’ ala femminile. L’interno era spartano, ma tutto sommato elegante. Era una stanza semplice e non troppo grande. Non restai a guardarmi intorno, piuttosto mi presentai subito al banco della reception.
 
˚˚˚
«Reception? Ma dov’eri, in un hotel?».
«Spe’ n’attimo, Madoka!».
˚˚˚
Consegnai i documenti.
«Mi segua.» rispose la donna che mi accolse; si muoveva svelta verso l’ascensore, nonostante i tacchi alti e il tailleur attillato. Vabbè, ormai è inutile dire quanto io fossi spastica al suo confronto.
 
«Dividerà la stanza con altre tre blader. La colazione è ogni mattina dalle 7.00 alle 8.00, il pranzo dalle 12.00 alle 13.00 e la cena dalle 18.00 alle 19.00. Gli allenamenti si svolgono ogni giorno dalle 8.15 alle 11.45, e dalle 13.15 alle 17.45; la prima assenza ingiustificata causa l’espulsione diretta dall’edificio.
Purtroppo è arrivata piuttosto tardi e dovrà recuperare gran parte del programma già svolto.
Alla fine del mese, verranno scelti massimo cinque blader da ciascuno dei due scompartimenti, e verranno trasferiti in un altro edificio più consono al secondo programma d’allenamento. Oh, siamo arrivati!». La donna uscì dall’ascensore non appena le porte automatiche si aprirono. Dopo aver calciato trecento volte le valige ed essere uscita da quella scatola di metallo, feci mente locale. «Dunque, considerando gli orari dei pasti e degli allenamenti, per tutto il giorno ho solo un’ora per respirare; okay. Sarò obbligata a cenare dalle 18.00 alle 19.00 nonostante sia abituata a farlo alle 21.00; okay. Infine, dovrò recuperare un programma di sei mesi d’allenamenti estenuanti…in solo una sola settimana di tempo; anf…che incubo!».
«Tategami!».
«Sì, arrivo!» afferrai la mia roba e percorsi i corridoi del piano raggiunto. Ebbene sì, sembrava proprio un hotel, con tanto di porte numerate una di seguito all’altra.
«Eccoci arrivati.»la mia “guida” si fermò davanti alla stanza 603.
“Chissà che stanza stramitica mi toccherà! Dopotutto, questo è un hotel nuovissimo, comprato da una società molto ricca. Sono così curiosa”.
Una volta aperta la porta e accesa la luce, le mie alte speranze si distrussero come una finestra colpita da un meteorite. Era orrida! Sembrava più una cella di un carcere piuttosto che una stanza d’albergo: c’erano quattro letti a castello con rete metallica in bella vista e materassi sudici, il pavimento aveva una moquette impolverata color beige scuro. Io odio la moquette! C’era solo un armadio minuscolo di legno poco pregiato, e la vista dalla finestra appannata non era certo un gran che. E per finire: la stanza era piccola. Mi chiesi subito come cavolo saremmo riuscite in quattro a convivere lì dentro per ben una settimana.
Cercai di passare oltre alle mie prime impressioni, guardandomi alle spalle alla ricerca di una porta.
La donna mi osservò con un ghigno divertito
«Se sta cercando il bagno, è in fondo al corridoio.»
Presi paura.
«Quale corridoio? Non ci sono corridoi qua dentro.»
Cercò di non ridermi in faccia.
«In tutta l’ala femminile ci sono quindici piani, ognuno di questi ha cento stanze, e in tutte queste ci sono dai due ai sei letti, e per tutti questi piani ci sono quindici bagni.»
No, aspetta, un bagno in comune? Ma stiamo scherzando per caso!? Sono stata in ostelli della gioventù a una stella che in confronto a questa baracca hanno lo stesso valore commerciale del Taj Mahal.
La donna notò la mia espressione disgustata e preoccupata allo stesso tempo, ma cercò di non darlo a vedere.
Guardò il quadrante del suo orologio da polso.
«Sono le 13.11. Tra poco ricominceranno gli allenamenti.»
Oddio, no! Gli allenamenti subito no. Sono appena arrivata!
«La sua divisa è nell’armadio, dovrà indossarla durante tutti gli allenamenti obbligatoriamente. La palestra è al terzo piano sotterraneo, al settore 3E.» Purtroppo i miei occhioni imploranti e desiderosi di un po’ di riposo non furono notati.
«Le auguro buona giornata, Presidente Tategami.» e chiuse la porta non appena uscì dalla cella, ehm….stanza.
 
 
Sbuffai, gli occhi al cielo.
«E che cacchio! Perché ho deciso di iscrivermi a questo…schifo?».
Roteai il capo, scrutando quale letto mi sembrasse libero.
«Quello.» affermai, indicando uno dei due letti inferiori. Mi liberai delle varie borse e, letteralmente, le lanciai sul materasso, realizzando solo dopo che avrebbero potuto sfondarlo, considerando le condizioni generali del mobilio; grazie a Dio non capitò nulla d’irreparabile.
Un ultimo sospiro, e controllai l’orario.
«13.13. Ho giusto il tempo di cambiarmi e scendere.»
Mi avviai all’armadio che, con mia grande sorpresa, si presentò vuoto.
«Vuoto? Ma ‘ste ragazze dove metteranno mai la loro roba?».
 

˚˚˚

Madoka era sul punto di dire qualcosa, ma Paschendale la interruppe prontamente.
«So cosa stai per chiedermi. Ebbene sì, mi capita spesso di parlare da sola. Mi è utile per fare discorsi…intelligenti».

 

˚˚˚

Quel piccolo armadio di legno tarlato conteneva soltanto una busta blu nell’angolino di uno dei quattro scaffali. Era leggera, abbastanza voluminosa e chiusa da una cerniera. La aprii e ne tirai fuori il contenuto.
«Mpf! Non credevo che in quest’Organizzazione si praticasse lo sci.» commentai, sarcastica. Effettivamente, questa considerazione ci stava proprio, dato che sembrava una tuta destinata a sciare che ad altro: un tutt’uno tra pantaloni e pezzo sopra, argentata con alcune striature nere qua e là, imbottita.
Non ci pensai troppo, mi tolsi i vestiti e me la infilai dai piedi; stranamente, era esattamente della mia misura. Purtroppo, essendo quella cavolo di stanza totalmente priva di specchi, non riuscii a sapere come mi stesse, ma ormai era tardissimo, e mi avviai ai piani sotterranei, sbuffando come mai avevo fatto in vita mia.
 
 
«Eccolo qui, il settore 3E. Ho la strana sensazione di sapere già in che genere di palestra mi allenerò.» dissi con aria rassegnata. Ora che ci faccio caso, per la maggior parte del tempo parlavo da sola, chissà che avevo?
Comunque, dopo un profondo e rilassante respiro, aprii il grande portone d’acciaio che mi sbarrava il passaggio.
«M-Ma…?» okay, quello spazio era decisamente diversa da tutto il resto della baracca, ehm…hotel. Ancora!
«Wow! Che bella palestra attrezzata!» commentai. Era grande, spaziosa, con tantissime attrezzature all’avanguardia e profumava di pulito. Ovviamente non c’ero solo io, anzi era piena di persone che o s’allenavano o chiacchieravano tra loro, ma nessuna di queste appariva stressata o preoccupata–a differenza mia.
«Ma…a-aspetta un attimo…» osservai meglio i presenti, e compresi l’effettiva ragione del perché quella parte di edificio si chiamasse “ala femminile”.
A sinistra: ragazze.
A destra: ragazze.
Davanti a me: ragazze.
Dietro di me: ragazze.
Tutte e solo ragazze!
«Ma perché?» mi chiesi ad alta voce.
«Oh…mio…Dio!!». Mi sentii osservata. Ruotai il capo di tre quarti, incrociando lo sguardo incantato di tre mie coetanee.
«Allora è vero quello che ci dicevano! Paschendale Tategami sarebbe davvero stata in camera con noi!».
Le guardai con due occhi da triglia lessa, e loro ricambiarono con uno sguardo molto simile. Erano piuttosto diverse tra loro: quella al centro, colei che mi aveva “salutata”, era un po’ bassina e portava i capelli neri sciolti con due fiori rossi ai lati, aveva la pelle chiara, due belle guance rosee e gli occhi color ametista scuro.
A destra mi sentii osservata da uno sguardo abbastanza freddo di due occhi castani, immersi in un viso candido e incorniciato da due lunghe code mogano legate da nastri blu.
A sinistra, invece, fui inquadrata da due dolci e grandi occhi azzurri, appartenenti a una ragazzina dalla folta capigliatura blu sciolta lungo la schiena.
«Wow! Ancora non ci credo.» proseguì la mora, assai eccitata «Sai, noi siamo delle tue grandissime fan, e non avremmo mai pensato di conoscerti. Questo è il giorno più bello della mia vita!! Comunque tanto, tanto piacere, io sono Akiko.» concluse stringendomi la mano.
«Lei è Izumi.» indicò la castana.
«E lei è Ryoko.» indicò la blu.
Sorrisi loro, e ricambiarono.
«Dicci, sei appena arrivata, non è così?» continuò Akiko.
«Ehm…sì, e non mi hanno ancora informata sul programma d’allenamento.»
«Programma d’allenamento?» si chiese Ryoko «Guarda che non c’è niente del genere per allenarsi qui dentro.»
«Ah no?». Ma che razza di posto era quello!? «Quindi, con che logica utilizzate quei macchinari?».
«Come vogliamo noi.» iniziò Izumi «Dobbiamo restare nelle palestre dalle 8.15 alle 11.15, e dalle 13.15 alle 17.15. Alla fine della settimana, ci sottoporranno a un test per confermare la nostra idoneità al completamento del progetto.»
«Quindi possiamo decidere se venire qui e allenarci, oppure sederci sui gradini restando in palestra.»
Roba da matti! Insomma, pensavo che fossero molto più severi qui, invece, una volta entrate nelle palestre, potevamo cazzeggiare senza avere noie.
«Tuttavia, se non ci interessassero i nostri obbiettivi, non ci saremmo mai iscritte a questa organizzazione.»
«Insomma Izumi, sei sempre la solita secchiona!» la canzonò Ryoko.
«Ecco, tanto per curiosità, perché avete desiderato a tutti i costi di far parte di quest’Organizzazione?» domandai incuriosita.
«Beh, è ovvio.» cominciò Izumi in tono severo «Lightning L-Drago è sicuramente il bey più forte in assoluto. Molti blader hanno provato a domare la sua forza malvagia senza alcun successo. Io amo le sfide, e l’idea di vincere una forza mai controllata da nessun altro, mi eccita davvero tanto.» Hm! Sembrava una ragazza davvero determinata e volonterosa, con un pizzico d’arroganza; la immaginai perfetta per un compito simile.
«Io sono una blader che ama vincere, a differenza di queste due fighette.» sbraitò in direzione delle altre due blader, le quali reagirono offese.
«Ehi! Solo perché i nostri genitori ci hanno obbligate a venire qui, non vuol dire che non siamo interessate!».
«Aaaaaaaaahhh!!» sospirò rassegnata Izumi «E tu, Tategami? Perché sei qui?».
Ma perché mi pongono sempre domande la cui risposta è imbarazzante?!
«Ehm…B-Beh, non è forse ovvio? P-Perché…ehm…lo-lo stesso motivo del perché ci sei tu, Izumi.» la titubanza: una brutta bestia.
«D’accordo…» rispose la castana, lievemente insospettita dalla mia risposta random.
«Vabbè, vado ad allenarmi.» e sparì.
«Scusala tanto, ma ci tiene davvero molto a diventare la futura blader di L-Drago.»
«Già, e sapendo della tua presenza, ha cominciato ad allenarsi senza sosta. Sai com’è? Sei conosciuta come la blader più forte al mondo…».
Non mi stupii di tali parole; da quando ero entrata, le altre ragazze presenti avevano solo due sguardi: ammaliati o invidiosi. Le seconde, quasi sicuramente, rispecchiavano le stesse idee di Izumi.
«Comunque, se hai qualche domanda, non esitare a chiedere. In fondo, noi siamo qui da quando gli allenamenti sono iniziati.» disse gentilmente Ryoko.
«Sì, effettivamente, qualche domanda ce l’avrei. Innanzi tutto, perché solo le femmine hanno la possibilità di diventare proprietarie di L-Drago?».
Come al solito, senza che ne fossi consapevole, posi una domanda stupida. Akiko e Ryoko prima si fissarono con gli occhi spalancati, poi si cacciarono a ridere.
«Ahahahh!! Ma Presidente, certo che i ragazzi possono diventare possibili blader di L-Drago! Si trovano solo nell’altro scompartimento».
Beh, quello che aveva detto Akiko non faceva una piega, però…«Ah, e perché?».
«A quanto pare, il Signor Doji crede che, se maschi e femmine s’allenassero insieme, ci sarebbe il rischio che nasca qualche relazione tra le mura dell’edificio, cosa che potrebbe distrarre i candidati.»
Che assurdità! Le andavano a pensare proprio tutte.
«Capisco…e che mi dite del fatto che le stanze siano così orride e la palestra invece sia così lussuosa?».
L’espressione di quelle due giovani diceva tutto, erano certe che, prima o poi, avrei domandato qualcosa di simile.
«Vieni, facciamo un giro.» m’incitò Ryoko mentre mi trascinava verso l’uscita aiutata dalla mora.
«Cosa, ma…non avevate forse detto che non si poteva uscire!?».
«Tranquilla Presidente, tanto non ci dice niente nessuno.» rispose calma la blu.
«Ryoko ha ragione. Il motto di quest’Organizzazione è: “Se non t’allenerai, t’arrangerai”».
Passeggiamo per l’edificio. Nel complesso, era una costruzione parecchio grande, ma l’aspetto in generale lasciava parecchio a desiderare.
«Ora capisci?» mi svegliò Akiko. Ero rimasta stupita dal decadimento di quella struttura «Le parti migliori del palazzo sono le strutture s’allenamento e i laboratori per i test.»
«Laboratori per i test?» ripetei stupita. Sì, Madoka, quel giorno mi sentivo come un pesce fuor d’acqua abbandonato nel deserto.
«Sono i laboratori dove gli allievi vengono testati per controllare la loro compatibilità con Lightning L-Drago» spiegò Ryoko.
«Ah, capisco. E che tipo di test sono? Prelievi sanguigni? Elettrocardiogramma sotto sforzo?».
Ero certa di non aver fatto una domanda stupida, infatti, le loro espressioni non sembravano divertite dalle idiozie chieste. No, aspetta! Perché erano diventate tristi?
«Ho…Ho forse detto qualcosa di sbagliato?» accidenti, ma quanto ero tonta!?
«Noi non…noi non lo sappiamo.» rispose Ryoko con lo sguardo basso e gli occhioni lucidi.
«Tutte le ragazze dell’Organizzazione sono divise in sei gruppi, senza seguire una vera e propria logica. Alla fine di ogni mese, uno di questi deve fare il test. Chi sopravvive, può proseguire con gli allenamenti autonomi, chi invece non ce la fa, viene espulsa.»
Quelle parole m’illuminarono. Ecco perché tutti i blader da me inviati erano rientrati in quegli stati pietosi.
Effettivamente, ero un po’ spaventata all’idea di fare il test. D’accordo che a beyblade non me la cavavo male, però l’idea di venire malamente dilaniata…ecco…non è che mi facesse veramente impazzire.
«Le ragazze rimaste, comprese noi, fanno parte del sesto gruppo, e il prossimo sarà l’ultimo test, dopodiché potremo tornare a casa e restare in trepidante attesa della lettera che ci comunicherà i risultati delle selezioni.»
Beh, il tutto sembrava piuttosto semplice. L’unica cosa che mi preoccupava era…
 
 
BOOOOOOOOOMMMMM!!!!
 
 
«AAAAAHHHHH!!!! COS’È STATA QUEST’ESPLOSIONE!?» feci un salto altissimo, rimanendo stupita della reazione calma e rilassata delle altre due.
 
 
FLAAAAAASSSHHHHH!!!!
 
 
Una luce violacea proveniente dall’esterno invase la stanza. Mi precipitai alla finestra.
Era come un fulmine oscuro, perfettamente verticale, nascente dall’ ala maschile.
“Che…Che cos’è questa sensazione?” sentivo qualcosa di familiare in quel pauroso e spettacolare fenomeno. Sembrava quasi…mi chiamasse, che volesse unirsi a me a tutti i costi.
Quel frastuono tanto profondo, echeggiava nella testa con prepotenza. Brillava di una luce nera, una luce fuoriuscita dall’Inferno più profondo, finalmente libera di andare dove la portava il desiderio. Il cielo, dapprima limpido e azzurro, si coprì di spesse nuvole, la sua coperta di paura, innanzi a un qualcosa di così tanto terribile.
«Ah, è normale.» disse Akiko con le braccia incrociate, distruggendo quel momento magico creatasi tra me e quella striscia elettrica.
«Proviene dall’ala maschile. Ultimamente accade spesso, ma non ho idea di che cosa sia.»
Come diavolo facevano ad essere tanto apatiche di fronte a un evento così meraviglioso?
 
 
DRIIIIIINNNN!!!!
 
 
«Si è fatto tardi, è ora di andare a cena!».
Nuovamente, mi trascinarono con loro.
Peccato, volevo restare a guardare il cielo.

˚˚˚

«Uff! No, basta, non ne ho più voglia.»
«E-Eh!?» Madoka sembrò risvegliarsi di soprassalto da un lungo sonno «P-Perché? AAAAUUUUUHHH! Questo racconto è così appassionante.»
«Appassionante? Ma se ti sei praticamente addormentata! No, basta, non ti racconto più nulla.» Paschendale s’alzò, delusa, e si diresse verso il bagno.
«No, scusa scusa scusa scusa scusaaaa! Non volevo. Ti giuro che adesso me ne sto buona e attenta e seguirò tutto bene bene!». La meccanica si sedette composta, gli occhi dolci spalancati verso la ex-blader.
Paschendale alzò un sopracciglio, rassegnandosi. Tornò alla sua postazione e proseguì.

 

˚˚˚

Ti risparmio tutto il discorso della cena, che era solo a base di verdure per un’alimentazione sana e nutriente.
Dopo aver mangiato, mi ritrovai con Akiko, Ryoko e ad altre dieci ragazze in una stanza a caso dello scompartimento. Izumi non era venuta, preferiva essere riposata per l’allenamento del giorno dopo.
Le ragazze con cui avevo passato la serata erano state davvero carine. Peccato che non mi trattassero come una ragazza normale, anzi, non facevano altro che chiedermi autografi, scattarmi foto e bombardarmi di domande sulla mia carriera. Comunque, mi sono divertita. Penso che fossero così le gite scolastiche. Purtroppo non ci sono mai andata a scuola, almeno ho recuperato con quella serata.
«Okay, ragazze, state calme! Ho una domanda interessante per Paschendale!» la voce di Akiko si fece largo tra le risate e le chiacchiere delle presenti.
«Allora, Paschendale, qual è…il tuo ragazzo ideale?».
Tutte fecero silenzio, compresa la sottoscritta.
Allora, non è che io mi consideri asessuata, perché so bene di essere eterosessuale, ma a causa dei miei millemila impegni, non sono mai riuscita ad avere una benché minima relazione.
«Ehm…riflettendoci bene, credo di non averci mai pensato. Però…ehm…credo che, a livello fisico, debba essere magro, più alto di me, sicuramente, e…non ho preferenze per i capelli, basta che non abbia la palla di ricci, quella la odio!».
Fui improvvisamente inquadrata da una marea di espressioni super deluse.
«Tutto qui?» chiesero in coro.
«Ehm…sì» risposi, imbarazzata «A livello caratteriale, deve saper farmi ridere, essere  tranquillo, gentile e sempre allegro, dato che ci vuole un niente a rendermi depressa, e deve sapermi amare.»

˚˚˚

«AHAHAHAHAHAHAHAH!!!!». Madoka cadde malamente dalla poltrona, ridendo come non aveva mai fatto.
«Che hai dai ridere!?» sbraitò Paschendale.
«Ahahah! Beh, Dale, » cominciò, asciugandosi una lacrima per la troppa euforia «considerando la tua prima relazione, non mi pare che come carattere tu ci abbia molto azzeccato, ahahahah!».
In fin dei conti, Madoka aveva ragione: Ryuga era l’esattamente l’opposto del ragazzo tranquillo, gentile e sempre allegro.
«Cooooooooomunque… Dato che non ho voglia di raccontarti questa parte di storia nei minimi particolari, arriviamo pure alla fine della settimana.»
 

˚˚˚

Nervosa, percorrevo il corridoio; sola, stranamente. Quando mi ero svegliata, le mie tre compagne di stanza sembravano essersi volatilizzate, eppure speravo in un minimo del loro conforto.
Le valige erano a posto; subito dopo il test, sarei stata pronta per tornare a casa.
Devo ammettere che sono sempre stata una ragazza piuttosto pigra, quindi sapevo che non avrei mai raggiunto un valore poi così soddisfacente. M’interessava solo una cosa: uscire sana e intatta da quel laboratorio degli orrori.
 
 
La sala d’attesa era gremita di ragazze “affette” dalla mia stessa tensione. Gli sguardi di tutte si posarono su di me, ma non ne vidi nessuno di rincuorante nei miei confronti.
Deglutii nervosamente, e mi accomodai su una piccola seggiolina di plastica.
Quegli sguardi ostili erano del tutto giustificati. “Mpf!  Figurati se il Presidente della WBBA non passerà il test!” pensavano tutte, senza alcun dubbio.
Tsk! Sarebbero rimaste deluse. Andiamo, non avevo fatto quasi niente in quei giorni, figurati se quelle cavolo di selezioni sarei riuscita a superarle!
 
Chiamavano una ragazza ogni tre minuti. Tre minuti di urli lancinanti e strane luci abbaglianti provenire da sotto il portone blindato. Stranamente, la gente che oltrepassava quella porta, non usciva.
 
«Tategami?».
«Eccomi!».
Era giunto il mio turno. Avrei saputo se sarei tornata in sede viva e vegeta, oppure se sarei andata in ospedale mezza dilaniata. No, il fatto di diventare il possessore di Lightning L-Drago non lo calcolai nemmeno.
 
Quella stanza era…un tipico laboratorio. Al centro, vi era una sorta di capsula rettangolare in vetro, completamente trasparente. Ai suoi vertici, verso l’interno, vi erano attaccate delle manette di ferro. Quello strano marchingegno era circondato da decine di computer, ognuno con un presunto scienziato che ne osservava lo schermo.
«Coraggio, avvicinati.» riconobbi Doji, che mi accolse con grande gentilezza. Aiutato da due giovani donne, mi accompagnarono con fare benevolo fino alla capsula, che venne abbassata fino a terra e messa in posizione orizzontale.
«Sdraiati e metti le mani e i piedi qui dentro.» indicarono le quattro manette ai vertici del parallelepipedo. Strinsero forte, tanto che non sentivo più circolare il sangue negli arti.
«Ci scusi se sono stretti, ma è importante per il test.»
Conclusero il tutto chiudendo la capsula.
«Bene, possiamo procedere.»
Quel dannato aggeggio, che già odiavo, tra l’altro, si mise in posizione verticale.
«Passate al riempimento.»
Riempimento? Ma gom’?
Dall’alto, si aprirono due rubinetti, e mi ritrovai, nel giro di pochi secondi, zuppa…d’acqua, credo.
“Acqua!? No, non possono seriamente mettermi in ‘sto coso! Io sono idrofoba, e che cavolo!!”.
Per mia immensa sfortuna, l’acqua riempì la capsula completamente.
“Oddio, mio Dio, oddio, mio Dio, oddio, mio Dio! TRE FOTTUTI MINUTI SENZA RESPIRARE!? Bella, è stato un piacere mondo! Non avrei mai pensato di morire affogata, ma vabbè…”. Ebbene sì, riuscivo ad essere spiritosa persino in momenti del genere.
Chiusi gli occhi, cercando di pensare ad altro. Non sentivo niente, se non le voci degli scienziati che ordinavano di proseguire la procedura.
«Non capisco… Aumentate i Volt!» la voce di Doji era preoccupata. Subito dopo, polsi e caviglie cominciarono a pizzicare. Capii che stavano elettrificando le manette.
«Ci vuole maggiore corrente!».
Il pizzicore avanzò, giunse fino ai gomiti e alle ginocchia.
«Signore, non possiamo andare avanti, o la capsula si distruggerà.»
«SCHIOCCHEZZE!!».
Insomma, qual era il problema? Mi stavano elettrificando e affogando, cosa diavolo mancava?
Il mio istinto mi convinse ad aprire gli occhi, tanto per vedere cosa stesse accadendo e quale fosse il problema.
 
«Ugh…!!».
 
Ero circondata…da tante scariche elettriche. Erano tanto luminose da accecarmi.
Attraverso quella rete lucente, intravidi gli occhi di Doji. Sembrava molto, molto arrabbiato, ma perché? Forse perché non riusciva a torturami abbastanza crudelmente!?
 
 
PEM! PEM! PEM!
 
 
Non era la prima volta che udivo quell’allarme: il test doveva essere interrotto.
 
 
SPLAAAASSSHH!!!
 
 
«Anf! Anf! Anf! Anf!». Che bello! Finalmente potevo respirare. Ero completamente zuppa, e stavo tremando di freddo.
Mi soccorsero con una coperta, adagiandomela sulle spalle.
«Tutto a posto? Stai bene?» mi domandò una giovane scienziata.
Annui col capo, tremando.
Mi aiutarono a rimettermi in piedi.
Riflettei su ciò che era appena accaduto, ricordando un episodio simile della mia vita: quando ero andata a farmi la gastroscopia: non era stato un intervento doloroso, ma fastidioso, e solo alla fine l’ansia mi aveva sopraffatta, facendomi piangere come un neonato.
Improvvisamente, un’imponente figura mi si parò davanti, facendomi ombra.
Alzai lo sguardo. Gli occhi dli Doji erano un misto tra terrore e odio.
«Portatela in infermeria.»
Fui accompagnata verso un’uscita sul retro del laboratorio, e mi furono date le indicazioni per tornare in camera.
 
Fu orribile. Passai tra tanti letti d’ospedale, restando senza parole. Erano ragazze sfigurate da graffi profondi e bruciature. Cercavo di non incontrare i loro visi, ma fu inutile; se volevo tornare nella mia stanza il prima possibile dovevo sbrigarmi e guardare dove mettevo i piedi.
Finché…
«Oddio…».
Il respiro mi si bloccò in gola quando incontrai quei tre visi angelici.
«Ra-Ragazze…!».
Erano loro. Akiko, Ryoko, Izumi. Ormai irriconoscibili a causa delle bruciature e del sangue raggrumato sulla pelle candida.
Schiaffai una mano sulla bocca, bloccando un urlo di dolore. Sentivo gli occhi umidi e vedevo solo ombre opache.
«No…Non è possibile!» gridai con difficoltà.
«Avanti, signorina. Deve andare.» una delle infermiere mi trascinò via da quella stanza degli orrori. Non opposi resistenza. Il mio corpo era morto, in teoria. Morto, probabilmente come lo erano le mie amiche.
 
 
Era passato un mese da quando avevo lasciato la sede di Nebula Oscura.
Mi trovavo nel mio ufficio, a sistemare le solite scartoffie. Dopo quella brutta esperienza, ero andata da un medico per assicurarmi che la mia salute fosse a posto. Grazie al cielo, non aveva trovato nulla di male, ad eccezione di profonde bruciature che circondavano polsi e caviglie. Nonostante fossero passate quasi quattro settimane, quelle brutte ferite mi facevano male, e anche molto.
 
 
BIP!
 
 
«Presidente Tategami.» su un piccolo monitor accanto al computer comparve il volto della mia segretaria «C’è della posta per lei.»
«UUUUUAAAAA!!!».
Mi alzai malamente dalla sedia, uscendo dall’ufficio, sembravo una pazza sclerata.
Corsi alla velocità della luce, scontrandomi con tutti e facendo cadere migliaia di oggetti.
Finalmente, giunsi al piano di sotto, ansimando come un maratoneta.
«Anf… Anf… Deve… Anf… Dev’esserci… Anf… Della… Della posta per me.»
Il ragazzo che lavorava al banco al piano terra mi allungò una semplice busta di carta. So bene che la posta per il Presidente viene portata nei suoi uffici, ma io non potevo proprio aspettare.
Quando la presi in mano, mi tremavano le mani. Cercai d’aprirla senza stracciare tutto.
Avevo notato il marchio sulla busta: il simbolo di Nebula Oscura.
Vi era un foglio piegato a fisarmonica in tre parti. Lo aprii lentamente, facendo lunghi respironi.
Lessi.
 
Cara Paschendale Tategami,
siamo lieti d’informarla che è riuscita a passare le selezioni. Da oggi, potrà continuare a sottoporsi agli allenamenti per perseguire il suo -e il nostro- obiettivo.
Domani, nel tardo pomeriggio, una limousine della nostra Organizzazione la verrà a prelevare alla sede della WBBA, conducendo lei e gli altri blader selezionati in un edificio più consono, dove dovrà stanziarsi per un altro mese.
Ancora congratulazioni.
Arrivederci.

 
 
 

Voi ora però dovete spiegarmi una cosa, oh cari lettori: com’è possibile che, ascoltando durante la stesura del capitolo album fighi come Somewhere In Time, A Matter Of Life And Death e Brave New World, ho partorito questo scempio!? Datemi una spiegazione, vi prego! Questo capitolo è davvero bluttino bluttino D: l’unica parte che mi è piaciuta è quella del test, e basta. È un po’ pochino, no?
Vabbè, ditemi un po’ che ve ne pare.
Comunque, il capitolo seguente è quasi pronto, manca davvero poco, e sono sicura che lo gradirete più di questo :)
Scusate, ma ora devo scappare.
Ciao ciao!
 
RebelYell

 
 
  
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