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Autore: allex    01/07/2013    0 recensioni
Al castello di Tantro, che costeggia le rive del piccolo mare, si consumano una serie di intrighi. Mentre la guerra torna a farsi sentire in un mondo popolato da spiriti antichi, ecco che una profezia emerge dall'ombra.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash, FemSlash, Crack Pairing
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La brughiera si stendeva fin dove occhio poteva vedere. La notte era sul punto di cedere il passo al nuovo sole. Solo tre figure spiccavano sullo sfondo di uno scenario statico come quello. Avvolti in mantelli neri avanzavano due anziane signore. Cantilenavano con suoni rauchi e acuti. Una di loro prese a disegnare nella terra col suo bastone. Ma ecco, la terza figura, anch 'essa avvolta in una mantella di stola nera, era una bambina. A dispetto delle due vecchie quasi immobili che avanzavano lente, essa danzava come presa da una inebriante euforia.

"Uchiulù...Uchiulù. Tuona la terra...e il sangue che ella beve ribolle. Il furore la percuote ne impregna gli odori del suo ventre. Uchiulù tu che gettasti lo storpio fra la polvere...Uchiulù tu che gettasti il superbo fra i flutti... che vaghi fra la gente come ombra e fra le mosche facesti il trono del tuo impero..."

"Abbi pietà della nostra miseria..." risposero in coro le due vecchie poi una prese la parola "Chi verrà a scalcinare in questa vita che potrà squarciare il telo del fato e raccogliere la sua speme?"

"non domandare il suo nome...non lo dirà" rispose la bambina

Allora la vecchia che disegnava col suo bastone in terra disse "é già venuto in questo mondo?"

"Egli nascerà due volte. Vi sono sempre due uomini. Uno dorme nella luce. L'altro veglia fra le tenebre."

"qual'è il luogo?" "la steppa...nascosto a sguardo di uomo lì vi è un albero, cui le nostre braccia non potrebbero circondarne il tronco. Egli avrà il suo odore. Stesso odore che sale dal ventre della terra. Nascerà nella steppa. Nascerà nel sangue."

"la notte giunge al termine e gli spiriti cedono all'alba" esclamò la vecchia donna appoggiandosi al suo bastone "incamminiamoci"

"giungerà a noi... dalla steppa...Uchiulù...Uchiulù abbi pietà della miseria nostra"

le tre figure così dicendo si allontanarono nella nebbia. 

 

 

 

Il castello di Tantro si stagliava in prossimità del piccolo mare, un gigantesco lago di origine vulcanica. Esso era una imponente maniero interamente composto da pietra lavica. I vapori che si innalzavano dall'acque, generavano nuvole e banchi di nebbie tutt'intorno la città. Già avevano iniziato a riflettere i primi raggi dell'aurora, tingendo le loro punte di un tenue rosa, mentre le ombre ancora avvolgevano la superficie dell'acqua.

Nonostante la città ancora dormisse, Abbas il signore della reggia non chiudeva occhio. Sgambettava nervosamente di fronte al grande camino del suo studio. Il fuoco gettava una luce viva e ombrosa sulle pile di libri e pergamene che si ammassavano sulle pareti. Si rifletteva sulle armature e sulle armi ornamentali. Abbas divagava con lo sguardo. Esso non faceva altro che seguire i suoi passi. Il filo dei suoi pensieri era turbolento. "Abbas..." un sussurro prese ad echeggiare per il buio delle pareti "Abbas..." il fuoco prese a sibilare. Abbas si gelò nel suo affaccendarsi senza scopo. prese e si girò di scatto verso il grande camino. Ora fra lui e il fuoco vi era una sagoma a separarli. Il suo corpo era minuto ma la sua ombra copriva quasi interamente una parete. "mia signora" egli si gettò ai piedi di quella creatura minuscola. "venite ancora a me nel momento del bisogno. La guerra incalza. Giunge alle porte di questa terra. Cosa posso fare purché la mia stirpe si salvi da questa minaccia".

L'apparizione sfiorò con le mani il suo volto. Era una bambina dai capelli neri come il velluto, la pelle chiara, i suoi occhi scuri luccicavano come se essa fosse in preda ad una febbre. "cedi il posto...Abbas." il volto di lui impallidì, un sudore freddo lo bagnava. "Giungerà presto un giovane senza terra. Nascerà dal sangue di una fiera. Egli sarà l'ago della bilancia del suo tempo."

"un nuovo re?" sussurrò lui con orrore..."Signore". Abbas si voltò di scatto. Una guardia dalla statura alta, avvolta in una pesante armatura,era ritta sulla porta "Signore con chi parlate?!" " perchè disturbi il mio riflettere?! che accade?" "sono giunti i messaggeri, Signore. I feudatari delle vostre terre giungono qui per i piani di guerra"..."verrò presto. Disponi tutto ad accoglierli""bene" detto questo uscì. Abbas rimase a fissare il fuoco, ora sembrava ridere alle sue paure. 

 

 

I cancelli delle scure mura si aprivano con movimenti lenti. I rumori rompevano il silenzio che popolava la città negli attimi che precedono l'alba. Ecco che si udivano, immediatamente dopo, i corni che dalle torri diffondevano un suono grave per l'aria. Era quello il segnale che accoglieva file di nobili, cavalieri, mercenari. Facevano il loro ingresso in città sulle loro cavalcature. Trottavano in file ordinate secondo il protocollo. Per primi giungevano i rappresentati delle famiglie nobili sotto la cui giurisdizione erano poste le varie terre del regno. Li si riconosceva per le loro sfavillanti armature, finemente decorate, il cui metallo liscio non presentava ammaccature o segni di battaglia. Sopra le alabarde che accompagnavano nella mano, punte rivolte al cielo, esattamente come voleva il protocollo, presentavano i loro Stendardi, fluttuanti al vento, uno per famiglia. Vi era un ordine anche nella loro presentazione. Prima quelli delle famiglie più abbienti, e si procedeva via via per ordine decrescente di importanza. Dall'alto delle mura la scena era attentamente osservata. Sebbene sapesse che era sconveniente per una nobildonna in età da marito girare senza scorta e per di più in presenza di funzioni militari, Anděla era accorsa appena uditi i suoni dei corni. I suoi capelli chiari, raccolti dietro la nuca, avevano cominciato a riflettere le flebili luci dell'alba. I suoi occhi chiari, riflettevano la natura mutevole del suo animo, non avevano ancora un colore definito, esso variava infatti in funzione del cielo e del mare. Ma le tonalità quasi grigie di cui si erano ammantati, tradivano ancor più profondamente il suo sguardo attento, lo rendevano penetrante come un pugnale. Osservava in silenzio il susseguirsi di simboli al di sopra delle file di cavalieri. Riconobbe quello che era il simbolo dei reggenti del nord, le terre in prossimità delle lande, ove le acque del piccolo mare si ghiacciavano nei mesi invernali. Era un felino dalla testa umana. L'Oncelot. L'immagine si stendeva per tutta la stola. Si reggeva sulle zampe posteriori, le zampe anteriori recavano un fiore rosso, simbolo del sangue, ed una spada, simbolo dell'onore. Seguiva uno stendardo verde ove il corpo di un serpente dorato formava una serie di cerchi intersecati, sulla sommità due teste si fronteggiavano. L'Anfisbena era il simbolo della contea ad Ovest, comprendeva le terre che si stagliavano lungo le coste occidentali del piccolo mare. "Cugina" una voce interruppe quel suo scrutare. Ecco si avvicinava a lei una giovane fanciulla, dai capelli scuri, sciolti fin sopra le spalle, lottava per tenerli composti, affinché il vento non li posasse sul suo viso. Gli occhi scuri, ma vispi ed intelligenti, tradivano una strana apprensione. “Andel, ti ho cercata nelle tue stanze. Ho udito i corni e sono uscita. Avevo il sentore che fossi qui” Andela sorrise appena, sapeva che qualcosa turbava la sua più giovane parente. Quando era così, si sforzava di avere un tono più confidenziale e diretto, metteva da parte le distanze dell’etichetta. “Cosa ti turba Danka? Solitamente non sei tanto solerte al mattino” “Riderete di me…cioe …mi sgriderai. Lo so. A turbarmi è ciò che sempre mi turba” “un altro brutto sogno?!” le parlava con tono calmo mentre ancora scrutava dalle mura l’avanzare delle truppe. Alle famiglie nobili, ora seguivano file scomposte di mercenari, riconoscibili per quel loro andamento volgarmente più disordinato. Le armature erano scure, pesanti e tozze, piene di toppe da battaglia. “Si” Danka cercava di stringersi la canotta con una cintura di stoffa, il vento era fresco e rendeva difficile a lei non lasciar tremare la voce. “Puoi raccontarmelo se vuoi” Andela si voltò verso di lei , la fissava negli occhi, ed essi avevano già acquisito un po’ del colorito del cielo che ormai andava sempre più schiarendosi. Danka sospirò poi disse “Non ridere di me. Non so che significato possa avere. Ma nel mio sogno le lande si stagliavano fin dove occhio poteva vedere. E nel mezzo di quel deserto ho visto chiaramente tre fiere. Esse si dibattevano fra ringhi e latrati. E la più piccola delle tre , un gatto dalla coda spezzata, aveva occhi scuri e brillanti, e sembrava fissarmi. Si agitava lungo la steppa fino a sembrare un ombra confusa. In quel momento dalle lande si avvampavano fuochi. Coprivano tutta la terra tanto che il fumo oscurava ogni cosa…e poi… e poi dal fumo si avvicinava a me l’ombra di qualcuno. Proprio ove prima vi erano le tre bestie…” “Capisco” Andela le si avvicinò “Non crucciarti. Comprendo che ti turbi. Ma questi sogni non sono altro che prodotti della mente. Fra le lande è mentalità comune che i sogni siano profetici. Molte leggende li descrivono come voce degli spiriti antichi. Ma queste sono superstizioni profane. Risenti dell’ignoranza che accomuna queste genti. Non temere. Presto andremo via. Quando ti sarai allontanata da queste terre di confine, i sogni paurosi spariranno. Il tuo turbamento è comprensibile dato il momento particolare in cui ci troviamo a soggiornare qui. Tantro così come la cittadella è immersa nell’ansia portata dalle voci di guerra. Presto ce ne andremo e non avrai modo di crucciarti più” detto questo le baciò la fronte. Presale le mani sentì che erano fredde “vieni entriamo o congelerai” la superò e si avviò verso gli archi che davano per l’entrata della torre. Mentre la vedeva allontanarsi Danka si stringeva le mani al petto, fra se sospirò “Cugina. La mia ansia è data anche da un’altra cosa. Quella sagoma… quella sagoma che fra le fiamme e il fumo a me si avvicinava, mi sembrava…” la chiara alba che ora si stagliava al di sopra delle nubi prodotte dal piccolo mare generava, grazie ai loro riflessi, un aura dorata che persino la pietra scura del castello rifletteva. Le faceva male agli occhi. Abbassò lo sguardo ”…Non riesco a togliermi dalla mente che fosse Jarilo..”

 

Il cozzare delle spade produceva suoni metallici che si diffondevano nei corridoi antistanti la grande sala delle armi.  Le lunghe finestre gettavano ampi coni di luce. Inondavano le mura scure generando effetti di luce ed ombra. Era una sala ampia con arazzi alle pareti che raffiguravano antiche battaglie. La storia di Tantro era storia di guerre  come tutte le storie degne di questo nome.  Vi erano armi di tutti i generi. Quelle ornamentali e quelle più antiche erano appese in bella vista. Asce, spade, alabarde, archi , una serie ancor più ampia di armi, quelle usate per allenamenti, erano riposte a terra lungo le fiancate della stanza.  Il rovinio del ferro veniva rotto solo dal respiro affannoso e di tanto in tanto dal tonfo di uno dei due contendenti che puntualmente si ritrovava con la schiena a terra.  Era un ragazzo robusto i cui capelli castani assumevano un aspetto scomposto, sebbene fossero tenuti incollati dal sudore. La pelle leggermente abbronzata faceva risaltare ancora di più i suoi occhi. Avevano il colore delle querce centenarie, le cui cortecce,  così scure, erano  quasi impossibili da non  confondersi col nero della notte.  Chi era con lui, stava in una posizione ritta, non trapelava da lui la minima stanchezza. Teneva la spada in una presa salda e non una goccia di sudore bagnava la sua casacca bianca. Questa generava un contrasto netto con la sua pelle nera.  “Dovresti resistere un po’ di più data la tua giovane età” il viso produsse un sorriso, e i grandi denti, resi più bianchi dalle labbra e dal colore della sua pelle, sembravano perle.  Era un uomo alto,  gli occhi di carbone  ed ancora più neri erano i capelli, cortissimi, esattamente come la barba,  ben curata. Il ragazzo che era con lui si rialzò. Non arrivava nemmeno alla spalla del suo avversario.

“Forza, Jarilo, fammi vedere qualcosa di buono” prendeva a canzonare  il suo giovane avversario.  Egli allora gli si avventò  con uno scatto.  Il fendente mirava alla spalla destra. Fu fermato abbastanza facilmente. L’espressione  di scherno non era cambiata sul viso del suo contendente. Egli fece resistenza al colpo quel tanto che basta perché il giovane , preso dalla troppa foga, si sbilanciasse in avanti, ed ecco che allora tutta la  forza  di resistenza prese ad accompagnare  il fendente. La spada scivolò sulla lama in un gesto rapidissimo. Un momento dopo Jarilo si ritrovò di nuovo a terra e disarmato. “Non ci siamo. Lavori solo di forza” “lo so… lo so… maledizione!!”Si alzava barcollando un po’ sulle gambe. “Devi essere più agile. Lavora di più sulle gambe” gli lanciò con un gesto la spada. Jarilò l’afferrò al volo dopo di ché si preparò per sferrare un altro attacco. “Sei troppo rigido nella posizione” con uno scatto in avanti  bloccò la sua spada, si spostò alla sua destra e prima che potesse girarsi lo colpi alla gamba. Jarilò cadde con un tonfo all’indietro. “così diventa fin troppo facile minare il tuo equilibrio. Non scordarti di mantenere il contatto visivo. Sei troppo concentrato su quello che fai. Poco su quello che fa il tuo avversario ”. Jarilo rimase sul pavimento per un lungo minuto ma quando il suo maestro Dawoud gli tese la mano fece un respiro profondo e si rialzò senza dire nulla. “continuiamo maestro…questa volta sento che farò meglio”. Dawoud sorrise, gli piaceva la caparbietà di Jarilo benché non fosse molto  dotato  nell’uso delle armi. “riprenderemo dopo, credo di poterti concedere un po’ di pausa. Tanto più che abbiamo visite” Jarilo si voltò verso la grande porta in legno che dava alla sala. Danka era lì ferma.

 

Andela saliva le scalinate che costeggiavano le mura della torre.  Nonostante l’ altitudine e il vento procedeva con passo veloce. Diretto ma prudente.  Alla fine della rampa si ritrovò sulla cima del  torrione. Presentava un ammattonato regolare, solo un accenno divisorio in mattoni separava dal vuoto. Al centro del piano si stagliava, sostenuta da giogo di corde e travi robuste, quella che poteva essere una gigantesca voliera. Una volta costruita in parte dalla stessa pietra lavica che componeva il castello, in parte da grate e inferriate.  Gli uccelli che ivi avevano ormai la loro casa non emettevano i loro versi. L’ora non era ancora tarda e  il vento era ancora troppo forte.  Aprì il grande lucchetto che chiudeva l’inferriata.  All’interno la sommità  della volta dava direttamente al cielo, proiettando un grande cono di luce . Pendevano dal soffitto numerose travi che fungevano da poggio per i numerosi inquilini. Si sentiva di tanto in tanto  il rumore delle ali di qualche uccello. Sollevò l’abito perché non si sporcasse. E si diresse verso il centro dell’ala.  Vi era un basamento in pietra ricoperto da una fine paglia secca. Prese delicatamente a scostare le foglie.  Ne fuoriuscì una piccola testa piumata con due grandi occhi neri. Il becco giallo sfumava verso il grigio sulle punte. L’animale fece per muoversi ma pareva piuttosto scoordinato. Lo afferrò delicatamente con entrambe le mani. Lo avvolse in delle stole di stoffa e sempre molto delicatamente si avviò verso l’uscita.  Appena fuori si sedette sulla pietra scura. Copriva la testa dell’animale con il panno perché la luce non lo infastidisse.  Delicatamente prese a carezzargli l’ala.  Il piccolo falco rimaneva calmo, produceva solo di tanto in tanto quel suo verso che sembrava tanto un tintinnio. “Sei un animale stupendo. Cambiamo queste bende. Su stai tranquillo” . Fece il tutto con molta cura. L’animale non si dibatté ne prese ad agitarsi.  “Complimenti milady. Non sono molti coloro che sanno prendersi cura di un tale animale, degno dei migliori falconieri. Dalle voci che si sentono dovede essere lady Andela Mallt de Hwille. Mi hanno detto che avete una predilezione per gli animali fin da piccola.  Aiutavate  addirittura a partorire le cavalle nelle stalle, giusto?!.”  Andela si voltò di scatto. Di fronte a lei si mostrava un giovane dall’aspetto fiero.  Aveva capelli scuri, ricci, una fronte larga, sopracciglia marcate, due occhi di  ghiaccio, e una barba leggermente incolta. Presentava sopra la veste un drappo tenuto ben saldo in vita da una cintura. Ricamato sopra, in fili d’oro e porpora, vi era un albero con tre stelle al di sopra dei suoi tre rami. “chi siete?!Come osate rivolgervi ad una fanciulla con questo fare?!” Il falco che recava fra le braccia si alzò di scatto e prese ad agitare le ali producendo versi acuti contro il misconosciuto individuo. Andela allora con la stoffa prese ad avvolgerlo delicatamente per rassicurarlo . “perdonate il mio sgarbo” il giovane si  protese in un accennato inchino “non era mia intenzione offendervi” “è tardi… presentatevi visto che conoscete già il mio nome!” “ Sono Taggard  del Dehaubher”

“conosco il vessillo che portate in dosso, e dite il vero. Ma non mi sembra che nella famiglia dei reggenti del principato del        Dehaubher vi fosse qualcuno con questo nome” fece allora per alzarsi al fine di riporre il falco nella sua voliera. La bestia era sempre più irrequieta.”temo di essere solo un misero vassallo” Andela si voltò dando le spalle a Taggard e tornò solo pochi minuti dopo, solo per continuare a fissare con disappunto il suo interlocutore . “Siete interessata alle leggende delle lande?! Avete perso questo” era un piccolo libricino foderato in pelle. “come osate. Vi piace importunare il prossimo?!” gli strappò il libro dalle mani. “ Conosco bene le leggende delle lande se vi può interessare. La copertina del libro che avete in mano ha incisa l’immagine di una Sciacalla. Assieme alla lupa e al Cheshire, il gatto dalla coda spezzata, sono animali che simboleggiano le Norne, spiriti antichi che dimorano sulla terra. Per le persone che vivono fra le lande sono animali sacri.” “smettetela se credete di impressionarmi  è inutile. Sbandierare la vostra conoscenza sulle leggende paesane potrà farvi apparire interessante alle dame di compagnia che vi seguono. Non a me. Se proprio volete saperlo lo leggevo perché la biblioteca di questo palazzo non offre di meglio” “Siete alquanto scortese. Volevo solo esservi d’aiuto” disse rispondendo con un sorriso ironico. “è mia abitudine rispondere a scortesia con scortesia. Mi guardo bene dal tirare la prima pietra ma non risento al tirare la seconda”  rispose la giovane . Taggard accennò un breve inchino col capo “mi rendo conto di avervi gravemente offesa. Vogliate scusarmi” “troppo tardi” Andela si voltò e si diresse verso le piccole scale che scendevano lungo le pareti della torre. “aspettate… in vero vi ho avvicinato per un motivo.  So che qui a Tantro vi è un giovane che porta con sé il nome degli antichi re. So che è vostro parente…” Andela si voltò di scatto. Il suo guardo indispettito era al contempo gelido e tagliente come un pugnale. “amate irritarmi. Mi importunate ed ora dite che le motivazioni che vi spingono sono tanto futili. Sappiate che non provo interesse per queste cose.” Detto questo si voltò di scatto e scese i gradini. “fiuuuuu… che caratterino” sospirò Taggard.



Jarilo  si affrettò ad accogliere la cugina con una pacca sulla spalla. Danka ancora glielo permetteva nonostante ormai si sentisse più una donna di quanto non desse a vedere agli occhi di lui. “allora come va oggi?! Giochi ancora a fare la donnetta? Tanto si sa che sei un uomo mancato!” disse sorridendo scherzosamente. “smettila che  altrimenti ti pesto a sangue”rispose lei . Le risate del giovane erano faticosamente soffocate. “che volevi? Dai una cosa breve devo tornare ad allenarmi” “ma nulla… diciamo parlare un po’.  Questo posto mi impensierisce  lo sai” “ si si  lo so… strano però…” “cosa…?!”  “bhe solitamente parli con Andela dei tuoi stati d’animo o sbaglio” “ma che dici …non è vero”  lui sorrise,  per accondiscendenza. Era tuttavia più consapevole di quanto non sembrasse che erano cresciuti, che rispetto a quando da bambini erano soliti  praticare ogni sorta di giochi insieme ora Danka preferisse, alla sua, una compagnia femminile.  “Bhe che ti turba?” le chiese. “Ecco…  veniamo qui tutti gli anni fin da bambini. Ti sei  mai chiesto perché? Nella capitale tuo padre ormai come mercante ha fatto fortuna. Tua madre, come la mia, fa parte di una famiglia rinomata. Perché tanto attaccamento a questi posti sperduti? Non dovrebbero avere difficoltà nel conoscere famiglie, anche più abbienti,  più vicine alla nobiltà” “vi è molta nobiltà a Tantro” “non intendevo questo…” “ si lo so…ma sai in vero, non ci ho mai pensato. Credo che mio padre pensi al mio futuro. Un uomo deve saper padroneggiare l’arte della guerra. A Tantro così come nelle lande vi sono molti guerrieri capaci. Sono temprati nel corpo e nella mente. Altri non sarebbero così affidabili insegnanti.” “mmmmh” Il sguardo di Danka era dubbioso. Sapeva che il legame con le lande non aveva origine dal ramo paterno di Jarilo. Sua madre così come le sue due sorelle discendevano da una stirpe che aveva giocato un grande ruolo nella storia di quei territori.  Tantro stessa, di cui Abbas era il sovrintendente, in realtà apparteneva  ai territori del fratello delle loro madri. ”cosa ti importa… questo sarà l’ultimo anno che tu e Andela passerete qui.” Danka fece un espressione muta. Era combattuta. Le dispiaceva di separarsi da Jiarilo, ma d’altro canto era sollevata di allontanarsi da quei territori. La inquietavano oltremisura. “Senti Jarilo… Tu… insomma, ti hanno mai parlato della notte in cui sei nato?!” “si tante volte... mia madre era in preda ad una gravissima febbre da giorni. La mia nutrice mi disse, che ella  a causa delle doglie  e della febbre  delirava oltremisura. Rischiò di morire e anche io, c’era la possibilità non vedessi la luce...” “e di ciò che vide… cioé di quello che disse o sostenne di aver visto quella notte, fra i deliri… Te ne hanno mai parlato?” “No…ma poi a che scopo?  Tanto erano solo deliri…non significavano nulla”Danka sapeva. Sapeva cosa accadde quella notte. Aveva udito di nascosto un paio di volte, da sua madre, e dalla stessa madre di Jarilo cosa ella vide. La turbò molto da piccola. Ma non lo svelò mai. Sapeva che non se ne poteva parlare e che Jarilo volevano ne restasse all’ oscuro. “smettila di pensare troppo.” Disse lui con voce allegra “sembri sempre più una donnetta. Ricomincia a prendere lezioni di scherma con me. Almeno la finirai di fingere, lo sappiamo che sei più uomo di me con una spada in mano. Non che poi ci voglia tanto…si sa che sono completamente privo di talento” Danka si sentì ribollire. Stranamente. Non era la prima volta che Jarilo scherniva lei e se stesso usando quel tono. Ma quella volta per lei fu insopportabile. Prima che potesse fermarsi si sorprese a dire “Smettila… che uomo potrai mai diventare? Ci tieni tanto a denigrarti?! Io non vedo nell’essere nata donna una mortificazione. E tu? Tu riuscirai ad essere fiero per una volta di quello che sei?” Jarilo cambiò improvvisamente espressione. Dalla sorpresa che scosse il suo sguardo per un attimo, assunse un area gelida. Uno sguardo di distacco totale. Non disse nulla. Danka già pentita pure stette in silenzio. Vi fu un lungo momento silenzioso. Venne presto interrotto. Un vecchio dalla bassa statura seguito da due guardie si avvicinò ai due giovani. Aveva una faccia rugosa, un naso adunco, la pelle incredibilmente pallida.  Lacrifas consigliere del reggente di Tantro,  Abbas, era un uomo dalla dubbia moralità. Di certo non ispirava fiducia o simpatia nel prossimo.  Il suo sguardo tradiva una mente maledettamente sveglia, i cui propositi non erano propriamente leciti, i cui pensieri non erano certo limpidi. Ma l’etichetta esigeva che venisse trattato con tutti i riguardi. Così come lui trattava i suoi ospiti con riguardo, finto… ma pur sempre riguardo. Si rivolse avvicinandosi a Jarilo “ Giovane Opuquercu. Il signore mi manda a dirvi che sarebbe lieto se vi uniste a lui nella cerimonia di presentazione delle  truppe.  Ritiene sarebbe una buona esperienza per la vostra formazione ”  Jarilo  si inchinò leggermente “ditegli che non lo farò attendere” “Milady Danka. Non scordate che una donna dovrebbe chinarsi in presenza di un uomo. Siete irriverente e sfrontata” Disse rivolto alla giovane in tono arcigno. Jarilo solitamente la difendeva in quei casi. Non disse nulla.  Danka quasi attese una sua risposta poi disse “perdonatemi. Ero sovrappensiero” e chinò il capo in una riverenza. Lacrifas si allontanò con le guardie al seguito borbottando.  Danka si sentì umiliata dal silenzio di Jarilo ma non disse nulla.  Dawoud nella sua casacca bianca così appariscente a confronto con la sua pelle scura emerse dalla porta della sala d’armi. Il vecchio consigliere non lo degnò di uno sguardo. E fu totalmente ricambiato.  Jarilo si allontanò per il corridoio “Maestro riprenderemo dopo…Vogliate scusarmi” lo salutò con un cenno del capo “Danka dopo dovrò allenarmi” e detto questo se ne andò senza voltarsi. Danka era rossa in viso. Gli occhi lucidi. Avrebbe voluto urlargli qualcosa. Ma tacque. Se avesse detto qualcosa di sbagliato ora, avrebbe rischiato di incrinare il rapporto con Jarilo irrimediabilmente. Nonostante tutto, il bene che gli voleva era più forte del suo orgoglio. Deawoud le si avvicino. Le porse con un sorriso un fazzoletto bianco “madame le lacrime di rabbia non si addicono al vostro viso” “si grazie…”lo prese e si asciugò le lacrime mal trattenute. “affrontate questioni delicate con poco tatto madame. Eppure il signorino solo a voi concede tanta franchezza” “perdonatemi… sono incorreggibile. Non so, a volte non mi trattengo. Però lasciare che mi parlasse così…quell’uomo…” “Un saggio fra la mia gente scriveva: Esistono due uomini. Uno dorme nella luce. L’altro veglia nelle tenebre. Voi avete disturbato il secondo che dimora dentro vostro cugino madame. Tornerà lo stesso quando si rasserenerà” …L ‘uomo che veglia fra le tenebre…questa frase colpì molto Danka. “Dawoud tu hai sentito di cosa parlavamo.” “un pò” “ascolta tu lo sai vero…tu sai cosa vide la madre di Jarilo mentre lo dava alla luce fra i deliri della febbre” “signorina …” il suo tono si fece serio “voi davvero pensate troppo” “io non penso…lo so” lui non rimase sorpreso…aveva capito che la giovane sapeva, e anche che lei intuisse che lui fosse a conoscenza di quei fatti “il padre me lo rivelò quando me lo affidò” “dimmi il tuo pensiero…” “la madre era in punto di morte… e Jarilo rischiava di non vedere la luce … Vide l’ombra nera della morte. Ma è stato graziato. Per fortuna. Tutto qui”  Danka non disse nulla… Ma non vi era solo l’ombra della morte in quella visione…lo sapeva. “Dawoud dimmi…perché in pubblico viene chiamato Opuquercu? odio quel nome. Andela mi ha detto che in pubblico anche noi dobbiamo chiamarlo così fintanto che siamo qui…” “Jarilo è un nome  che può dare dei fastidi a coloro che vivono fra le lande. Il signore Padre di Jarilo e Abbas, signore di Tantro, hanno pensato bene di presentarlo alla corte come Opuquercu. E poi esso è un termine che indica :Colui che è un opera fra le quercie. Io dico che gli si addica non trovate ?” lo disse con un sorriso ed un tono calmo che un po’ rasserenò Danka “sì”.       





La Grande sala del trono si ergeva alta. Entrandovi per il grande arco principale ecco che si aprivano serie di colonne lungo le sue pareti. L’effetto era solenne. Esse sostenevano una serie di archi concatenati che culminavano in una grande volta. Le colonne a muro erano spoglie di decorazioni ed imponenti. Allo stesso modo il soffitto sostenuto dagli archi era privo di affreschi. L’unico colore che regnava sovrano indiscusso era quello della nera pietra di cui era fatto il castello. La struttura spoglia ma al contempo tanto elegante faceva sì che tutte le prospettive convergessero verso la grande volta situata sopra il trono, sostenuta da una fila di colonne minori. Queste erano più esili, dal corpo cilindrico e terminavano con capitelli dalle fantasie floreali. Non erano alte neanche la metà delle strutture portanti situate lungo le pareti laterali e questo perché esse sostenevano, attraverso un’ unica fila di archi dalla punta acuta, un’unica parete ove alte e lunghe finestre ne occupavano quasi l’intera superficie, inondando l’ambiente di luce. Era come entrare in un immensa, alta navata ove ogni linea, ogni pietra, ogni luce era posta scrupolosamente al fine di guidare l’occhio verso il trono, posto come un altare al culmine della sala. Il trono, anch’esso, era interamente scolpito nella pietra. Tant’è vero che si presentava, in un certo senso, come parte della sala stessa. La pietra che lo formava si ergeva dal pavimento, e non vi erano giunture, spazi o linee divisorie che asserissero la possibilità che esso potesse essere spostato dal suo luogo. Egli era parte della struttura come lo erano le colonne e forse anche di più. Aveva una forma poco raffinata. La pietra era liscia, perfettamente levigata. L’unica eccezione a quel suo aspetto spoglio erano due teste d’aquila scolpite alle sommità delle braccia. Irradiato dai raggi di luce che convergevano su di esso, incanalati dalle grandi finestre, era in grado di distribuirli equamente lungo tutta la sala. La pietra che lo definiva infatti presentava in tutta la superficie della sua struttura delle lavorazioni in argento opaco, quasi impossibili da distinguere, per colore, dalla pietra lavica ma che erano in grado di scomporre la luce e diffonderla ovunque. Stesse lavorazioni erano presenti lungo le pareti laterali sostenute dalle immense colonne, cosicché nessun angolo venisse lasciato al buio. Un prodigio della tecnica.

Le famiglie nobili dei vari feudi  avanzavano lungo la grande sala. Fra loro, chi presenziava per la prima volta alle cerimonie del castello di Tantro, non poteva nascondere lo stupore.   Per ogni famiglia, un vassallo fungeva da apri fila.  Portava  alto lo stendardo con il simbolo nobiliare, lo seguivano i membri delle chiatte regnanti. Solo I membri per diritto di sangue di ogni casata  erano ammessi alla presenza di Abbas, signore della reggia. Egli era in piedi, sotto la grande volta, si appoggiava alla nobile spada della sua stirpe. Fermo, in corrispondenza del grande trono. Non aveva l’autorità per sedervi. Egli ne era solo il custode. Così tutti i membri della stirpe prima di lui. Durante le funzioni pubbliche egli era l’unico che poteva posarsi di fronte al trono. I consiglieri, e coloro ai quali era chiesto di assistere, stavano dietro, ritti, lungo le colonne che sostenevano la volta. Jarilo era fra loro. Osservava nel silenzio l’avanzare degli stendardi. Seguiti dai rappresentanti dei feudi, I vassalli giunti al cospetto del signore proclamavano il nome della famiglia cui appartenevano, dopodiché si facevano da parte e i lord salutavano con un profondo inchino prendendo  poi posto lungo la grande sala.  Era la prima cerimonia di questo tipo a cui prendeva parte, non poteva non percepire una certa agitazione, per contro ancora pensava alle parole di Danka.

 

Andela giaceva fra bianche lenzuola. I suoi capelli, già chiari alla sera, divenivano biondi al mattino, quando l'ora era tarda. Riflettevano meravigliosamente il colore del sole. La sua veste, lino leggero, candido, le regalava una semplicità innaturale.  La pelle chiara, una corporatura esile, polsi sottili, mani affusolate adagiate sopra i guanciali del suo letto. Il viso si abbandonava ad un riposo leggero. Danka che era con lei, la osservava quasi incantata. Era affascinata da quel suo corpo di donna. Al contempo ne invidiava le fattezze. Riposavano spesso le due nello stesso letto. Erano momenti quelli per scambiarsi confidenze, nutrire un rapporto sincero.  Si abbandonavano a dolci sogni insieme, o ad un  vago riposo. Ma Danka mai dormiva. Preferiva sentire il respiro di quella figura, contemplarla mentre  chiudeva gli occhi, vedere come lasciava il suo corpo posarsi leggero nel sontuoso giaciglio che per qualche momento condividevano. Ammirava le sue gambe sinuose, il suo ventre nascosto dalle pieghe della veste, le spalle lasciate un po’ scoperte. I suoi seni non prosperosi, sul suo corpo morbido, le davano un idea di un qualcosa di immaturo, ma profondamente incantevole. Come una splendida rosa in fiore, ma ancora custodita da un tenero bocciolo. La bellezza, per Danka, non poteva che essere quella. Andela aprì lentamente i suoi occhi, assumevano un colore vivo, come il cielo dopo una tempesta. Si voltò verso di lei…” a cosa pensi?” Danka stesa accanto a lei, nella sua veste rosa, si girò osservando il soffitto. “ A nulla di importante… Andela tu hai letto molto non è vero?!” “quello che ho potuto…ma c’è tanto di più da leggere a questo mondo” “cosa si dice dell’angelo della morte? I racconti…le storie…vorrei conoscere. Non quello che viene  recitato durante le sacre funzioni” “molti filosofi ne hanno parlato. Chi con timore. Chi con rispetto. Perché? tanto giovane pensi alla morte?!” “così… sai per parlare.”  Andela prese a fissare con lei il soffitto “Si dice che un ombra nera appaia a coloro la cui ora è giunta. Che sia apparsa a coloro che disperatamente si sono aggrappati alla vita, in quella che credevano fosse la loro ora. Nessuno ne ha mai visto il volto. Appariva come una figura alta, scarna. Preceduta dal freddo e dall’intorpidimento dei sensi. Essa divora le anime restituendole al nulla” “restituendole al Creatore…” “ammesso che tale Creatore esista. Fra le lande si narra che essa sia sorella della terra. Colei che regola l’ordine del caos che aleggia fra i viventi. Che sia diretta esecutrice della ruota del destino. E che poi nulla sia al di sopra di lei. Nulla, tranne…” “cosa?” Danka, ansiosa aspettava finisse ciò che stava per dire  “ è leggenda fra le lande che  solo un essere può soggiogare la morte, piegarne la forza ai suoi propositi. Aleggia come uno spirito bianco sulla terra. La sua figura è fredda. Ma di quel freddo che ti gela la schiena quando in preda al terrore non puoi muoverti, ne parlare, ne respirare quasi. A volte, pare, esso intervenga sottraendo le anime alla loro ora. Poiché egli ha un disegno, diverso, per loro… Chiamato Uchiulù presso le lande… Nik fra le terne al nord… Piccolo corno fra i gitani che dimorano nelle campagne della la capitale…” “chi è ?! ti prego Andela... dimmelo” Ella si girò, guardandola negli occhi “Ovviamente… Il Demonio…”
 




Jarilo stava immobile, fermo, schiena dritta al fine di mantenere un aria quanto più fiera alla presenza delle nobiltà che presiedevano la sala del trono. Le famiglie si erano ormai disposte lungo tutta l’area. La cerimonia si era conclusa, e pertanto il giovane ora poteva soffermare lo sguardo sui volti dei presenti. Osservava i volti fieri, quelli impassibili, quelli spaesati e quelli che non riuscivano a mascherare una certa tensione. Il suo occhio cadde su un giovane che reggeva fra le sue mani il gonfalone di una delle famiglie più abbienti. Aveva folti capelli, scuri come le piume di corvo, sopra una fronte ampia. Era alto, dalla presenza possente, benché fosse solo un vassallo. Lo osservò per un momento, notando quasi sul nascere che ricambiava il suo sguardo. Aveva occhi chiarissimi, resi penetranti dalle sopraciglia marcate. Jarilo ne fu in un primo momento colpito. Ma dopo la fierezza che era in lui si scosse, trasformò in irritazione tutta la curiosità manifestata pocanzi verso il giovane. Trovava lo scrutare di lui volgare, e carico di quegli stati d’animo disancorò lo sguardo volgendolo altrove. Fu così che notò alcune sparse truppe, disposte al limitare della sala, addossate verso l’arco che segnava l’ingresso. Non esibivano stendardi. Prendevano dovuta distanza dalle famiglie nobili lì presenti. Avevano armature logore, lucide ma piene di ammaccature e segni di battaglia di ogni sorta. Fra loro, un uomo dalla statura corta, fungeva da apri fila. Si accompagnava ad una vecchia spada, incatenata al suo fodero, e la esibiva con naturalezza. Solo a lui fu concesso di avere un’arma fra loro . Jarilo comprese che quelli erano mercenari. Ne fu sorpreso. Ai mercenari era proibito risiedere al consiglio di guerra. Abbas prese la parola: “Signori. Nobili delle lande. Critica e l’ora che ci apprestiamo ad affrontare. Come sapete la guerra bussa alle porte delle terre fedeli ai sacri culti del Creatore. Ad Est i regni che fanno capo alla santa sede sono già allarmati da questa minaccia. Ma a noi, a noi popoli delle terre ad ovest. Che costeggiano il piccolo mare. Che dimorano fra le lande. A noi tocca di difendere per primi, questi nostri confini. Popoli barbari premono alle nostre porte. Dagli usi abominevoli, con la loro inaudita ferocia in battaglia sono giunti da terre lontane. Signori dobbiamo fare fronte comune. Non è questa una minaccia che da soli potremo sconfiggere purtroppo.” Prese la parola un uomo della Contea del Wesserldom. Aveva una veste scura che mostrava, ricamate in petto, due teste di serpente in fili d’oro, che si fronteggiavano “Signore di Tantro, nobile fra i nobili delle lande. Lasciate a noi il compito di fermare questi reietti. Per secoli noi dell’ovest difendemmo i confini delle terre di noi tutti. Il nostro valore e temprato da secoli di battaglie. Non vi sarà certo nemico che possa fronteggiarci  fintanto che saremo nella nostra terra.”  Lacrifas, fra i consiglieri prese a ribattere in tono acido “fate troppo affidamento sulla vostra forza. Forse non sapete che il territorio di questi barbari si estende per tutto l’ovest oltre le lande. Territori che non conosciamo, se non attraverso racconti di pochi. Ma sappiamo che dal deserto del Koulan, che dalle steppe si estende a nord-ovest fin dove occhio può vedere, per molti e molti orizzonti, si sono radunate circa cento mila lance. Potreste mai voi fermare un tale spiegamento di forze da soli?!” Fra i nobili vi fu un vociare, un’agitazione palpabile a quelle parole. Jarilo ne rimase scosso, non riusciva ad immaginarsi un esercito di tali dimensioni. Non ne aveva memoria neanche nei suoi racconti d’infanzia. Fra i consiglieri vi fu una nuova presa di parola. “Signori, fin ora sapevamo bene che nemico aspettarci. Le terre desertiche erano abitate da tribù nomadi, barbari violenti, ma disorganizzati. Poco numerosi. Una tale orda ci dice che chi li guida sia riuscito ad unire i vari popoli di quelle terre. O che li abbia conquistati. Ciò fa supporre che disponga di un numerò ancor più ampio di soldati.” Fra i lord vi fu chi cominciò a prendere parola “Saranno vile marmaglia presi dalla fame e dalla sete. Piombiamogli addosso e li flagelleremo” “Colpiamoli durante la notte” “travolgiamoli con la cavalleria e con i cannoni”

Abbas alzò la mano, in cenno di silenzio: “Dobbiamo essere cauti. Non è un nemico da poter destreggiare con un attacco frettoloso e alla cieca. Mai come ora dobbiamo studiare come muoverci. Un errore potremmo pagarlo più caro del previsto” Colui che per primo fra i nobili prese parola, aveva di che ribattere “anche se di gran numero, non vi è nemico che colto alla sprovvista, per quanto abile, non ceda alla paura. Se a questa aggiungiamo una netta superiorità tecnica noi…” “e chi dice che questa superiorità sia in vostra mano?” si levò la voce alta e forte dal fondo della stanza. Tutti i presenti si voltarono, sorpresi, quasi inorriditi. Jarilo riconobbe chi aveva parlato. Era il mercenario che aveva notato fra la folla. La sua statura minuta tradiva una voce forte e squillante, un tono fermo e potente. Rimasero tutti interdetti. Allibiti, scossi, quasi inorriditi nessuno proferì parola. Vi fu un lungo momento di silenzio. L'affronto che rappresentava la presa di parola di un miserando soldato senza stirpe di fronte a eredi di sangue nobile, era intollerabile. "Fareste bene a frenare la vostra lingua. Prima che la braga che l'accompagna non la maledica, facendovela estirpare di netto!" Gli occhi di Lacrifas palesavano tutto il suo sdegno, reso più caustico dalle rughe che gli segnavano il volto. Ma venne totalmente ignorato. “Sono armate che attaccano nel pieno silenzio queste. Prima ancora che si possa sentire  il verso d’un animale, piogge di frecce incombono, precise e letali nell’aria, quasi oscurando il cielo. E nel mentre di difendersi, le loro orde a cavallo, suddivise in piccole unità, attaccano rapide e veloci nel caos della battaglia, con precisione. Come guidate dal vento. Mai ho fronteggiato barbari con simili doti in battaglia” Lacrifas replicò “Dissimilate voi…” ma Abbas con un cenno della mano lo interruppe “ le loro frecce sono lunghe dalle lame appuntite e taglienti ai due lati. Usano lance dalle punte uncinate che usano per sradicare gli uomini dalle loro selle. I loro cavalli sono protetti da armature che coprono tutti i lati,  e ciò rende più difficile disperdere le loro truppe.” “Ditemi il vostro nome.” Disse il reggente delle lande. “Fabii, conosciuto come Il Duergo” 
  
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