ATTENZIONE:
In questa storia verranno sfiorati alcuni temi importanti come demenza
mentale, stalking e abuso di minori* . Gli
avvenimenti narrati sono riportati in una realtà un
po’ diversa di The Vampires Diaries dove non si sono
verificati i seguenti eventi: la morte dei genitori di Elena,
l’incontro di Elena con i fratelli Salvatore, la morte di
Lexi, l’amicizia di Elena, Caroline e Bonnie.
(*) per abuso di minori non si intende assolutamente abuso sessuale.
Riassunto
dei capitoli
precedenti:
Caroline,
ragazza di Mystic Falls dal passato
apparentemente semplice, è affetta da una strana sindrome
davvero insolita per
un neovampiro come lei: ha la fobia del sangue. Questa paura dipendeva
da un
episodio infantile: all’età di circa sei anni
Caroline era stata rapita per
capriccio di un essere mostruoso e aveva trascorso più di
nove settimane
rinchiusa in una cantina buia e sporca dove alle continue e
terrificanti visite
del mostro, durante le quali si nutriva di lei schizzandola di sangue,
si
alternavano le visite di un volto amico che la coccolava e la
rassicurava. A
più di dieci anni dall’accaduto Care si ritrova
trasformata in vampiro e
Katherine la conduce alla pensione Salvatore affidandole alle cure di
Stefan. Ma
Caroline non sa, Caroline non ricorda: quello è proprio il
suo aguzzino nonché mostro
della sua terribile infanzia. Stefan dal canto suo non sa come
rimediare per
quel terribile misfatto, tanto che pensava addirittura che la bambina
fosse
morta, ma adesso non ha alcuna intenzione di fare del male a Caroline,
con la
paura però che lei possa ricordare qualcosa. A compromettere
la loro convivenza
vi è il ritorno di Damon il quale sapendo il segreto del
fratello accondiscende
a stare zitto impegnandosi anche lui alla salvaguardia della vampira a
dir poco
malata. Caroline infatti è affetta da crisi, momenti di
panico, perde il controllo
e distrugge ciò che trova alla semplice vista del sangue;
è gracile perché il
suo corpo si rifiuta di assumerlo. Ogni
giorno di quei
sei mesi di convivenza con i due Salvatore, Caroline aveva incominciato
a
ricordare qualcosa, tassello dopo tassello, allarmando i due vampiri.
L’arrivo
di Katherine complica la situazione visto che Caroline lega uno stretto
rapporto con lei, fidandosi ciecamente. Alla pensione giunge anche
Lexi, amica
di Stefan, e cerca di metterla in guardia nei confronti del suo passato
e della
paura incondizionabile che le genera. C’è una
porta. La cantina. Caroline non
sa perché ma sente che vi sia rinchiuso qualcosa dentro. Una
bestia. Un mostro.
E così scopre il suo passato, ricorda la cella e il luogo,
rivede il volto del
suo aguzzino e rivede Stefan. Tra i due scoppia una profonda lite che
porta
anche allo sfaldamento del rapporto tra i due fratelli. Dopo una breve
battaglia Damon decide di andarsene ma, fermato da Caroline
segretamente
innamorata di lui, alla fine è Stefan ad andarsene,
lasciando la pensione. Il
crimine è stato scoperto ma non è finita. Il
mostro è ancora dentro casa pronto
a escogitare la prossima mossa del piano per sbarazzarsi della vampira.
Katherine
dopo aver sedotto Damon lo convince che la soluzione migliore sia
uccidere la
vampira. Così armato di paletto entra in camera di Caroline,
la quale viene
prontamente salvata dall’intervento di Lexie che muore sul
colpo. A Caroline
non resta altro che scappare.
15.
Tana
«Bambolina,
dove sei?»
Con queste parole Damon si aggirava per la casa
deserta da più di un quarto d’ora e ogni
scricchiolio di scarponcino era una
nuova goccia di sudore freddo che imperlava la fronte di una Caroline
quasi
inesistente e terribilmente silenziosa.
Che si fosse tramutata in aria o che fosse
diventata invisibile erano due ipotesi che il cervello del vampiro
avevano
rifiutato sin dal principio eppure ad ogni nuovo nascondiglio sventato
e
trovato vuoto, quelle due ipotesi tornavano prepotentemente a bussare
all’uscio
della mente del Salvatore.
«Conto fino a cinquanta - ma tanto so che ci sei»
proruppe esasperato il giovane Salvatore, ma l’unico
risultato fu il
ripercuotersi delle sue parole sulle pareti inanellate di crepe della
pensione.
Damon odiava giocare a nascondino. Non che odiasse
di per se il gioco, anzi i ricordi più felici legati alla
sua infanzia erano
proprio le ore trascorse nel giardino paterno con il fratello a
rincorrersi e a
cercarsi a vicenda, ciò che lo tediava era quella ricerca
assurda e abnorme che
lo strascicava avanti e indietro da almeno due ore lungo tutto il
corridoio che
si snodava al primo piano della casa.
Aveva cercato sotto i divani incrostati di muffa e
sudiciume, aveva scosto i vestiti tra le ante degli armadi, aveva
aperto ogni
sorta di botola arrotolando accuratamente tappeti variopinti, ma ad
ogni
tentativo arricciava il naso e assottigliava gli occhi.
Come avrebbe voluto che Caroline avesse quel
minimo di ingenuità! Così come l’aveva
il fratello il quale, nei lunghi
pomeriggi assolati del diciannovesimo secolo, non aveva mai vinto una
partita
di nascondino: eppure si intrufolava ben bene, si ricopriva con foglie
o si
arrampicava sugli alberi, eppure gli occhi del Salvatore dai ciuffi
corvini
ribelli lo acciuffavano subito e indugiavano sul da farsi, se finire
presto
quella sceneggiata o continuare a giocare, facendo finta di non
scorgerlo,
bighellonando sotto le fronde delle querce e dei faggi.
Forse anche Caroline avrebbe fatto così, si
sarebbe nascosta, accucciandosi con le ginocchia contro il petto, nei
luoghi
più disparati ma che i fratelli Salvatore sarebbero riusciti
a trovare perché
la conoscevano fin troppo bene.
Ma in casa Salvatore non si giocava a nascondino,
se ci si nasconde da qualcosa è perché non si
vuol essere trovati.
E per Caroline quel nascondiglio era la garanzia
per la sua sopravvivenza.
«Mi sembra quasi impossibile che una bambinetta
del genere ti sia sfuggita da sotto il naso» si
sbilanciò la vampira mora e con
quelle parole provenienti tra il diciannovesimo e il ventesimo scalino,
annunciò la sua presenza attorcigliando attorno
all’indice una ciocca di
capelli, quasi come se quella fosse il filo di un telefono degli anni
‘Ottanta.
Il ricordo di quel buffo particolare la fece sorridere di gusto e data
un’occhiata fugace al ricciolo del tutto privo di doppie
punte, tornò ad
occuparsi di una faccenda alquanto più importante, sfregando
con il
polpastrello il pomello di legno con cui terminava il passamano della
sontuosa
scala, così come sfregava con gli occhi la figura del
Salvatore a pochi passi
da lei.
Damon roteò gli occhi visibilmente stanchi e
scostò per l’ennesima volta la tenda giallo ocra
facendo passare tra le dita il
tessuto ruvido del lino lavorato. Niente, neanche lì.
Kate arricciò il naso solleticato da una nota di
divertimento che derivava dal continuo cercare del Salvatore che a
intervalli
regolari continuava a rovistare sempre negli stessi nascondigli, come
se solo
cinquantotto minuti prima non avesse adocchiato un particolare
importante, come
se Caroline fosse lì nascosta e lui non l’avesse
vista.
«Evidentemente qui non c’è»
costatò la vampira
indicando con l’indice l’ennesima stanza che Damon
stava mettendo a soqquadro.
Il Salvatore chiuse gli occhi tanto da far unire
le sopracciglia e si portò l’indice e il pollice
della mano destra tra le due
palpebre serrate, quasi per frenare l’impeto di friggere la
vampira nell’olio
bollente e per riacquistare quella lucidità mentale che
– sapeva bene – tra meno
di dieci minuti si sarebbe esaurita.
Emise uno sbuffo seccato e si rivolse alla
vampira, assumendo un’espressione ironica e aprendo il palmo
della mano come se
stesse contando qualcosa.
«Ho cercato giù in cantina, tra le celle, in ogni
singolo angolo della cucina, in salone, dentro la canna fumaria del
camino, in
garage, in bagno, in ogni camera di questa casa; a meno che non sia
diventata
la donna invisibile, dove potrebbe essere?» chiese sarcastico
socchiudendo gli
occhi, enumerando tutti i potenziali nascondigli, per poi dipingersi in
viso
un’aria interrogativa aspettando che la lampadina della
vampira di fronte a lui
si illuminasse perché la sua si era quasi sicuramente
fulminata.
Damon venne investito da un’occhiata omicida
proveniente direttamente dagli occhi della vampira la quale
però dopo pochi
secondi si illuminò.
«Questa pensione è provvista di porte e finestre,
mai pensato che Pollyanna potesse fuggire?»
domandò la vampira dall’aria di chi
la sapeva fin troppo lunga e si precipitò giù per
le scale seguendo il
Salvatore al pari della sua ombra, non volendo perdersi per nulla al
mondo
l’espressione avvilita del vampiro quando il suo cervello
avesse assimilato
l’ipotesi da lei appena proposta.
Ma con sua grande sorpresa sulle labbra di Damon
era sbocciato un sorriso malinconico e quasi antico, mentre apriva le
ante
della credenza della cucina martoriata, agguantando una tazza beccata.
«Pollyanna può essere frivola, superficiale, a
volte impulsiva, ma non stupida: le avevamo severamente vietato di
uscire fuori
da sola e per di più nella sua città, per quanto
impaurita potesse essere non
ci avrebbe mai disobbedito, ne va della sua stessa vita»
puntualizzò il
Salvatore trangugiando quel caffè amaro e freddo di un
giorno e rigettandolo
senza alcun contegno sul pavimento scheggiato, brontolando qualcosa che
la
vampira si arrese a non capire.
L’amaro in bocca fece ricordare a Damon di Lexie,
la quale stava adagiata morta sulla dura pietra di una delle tante
celle della
cantina. Al Salvatore quel sapore acre e freddo sembrava essere uno dei
tanti
rimproveri rivolti dalla vampira bionda. Era come se la sentisse quella
sua
voce antipatica e ridondante: già
che ci
sei perché non le fai scegliere il colore della lapide?
«Come se non stessimo cercando di ucciderla!»
sbottò Katherine eliminando dalla maglietta i residui di
caffè che Damon le
aveva letteralmente sputato addosso.
Il vampiro scoccò la lingua intorpidita, alzò un
sopracciglio scettico e rimuginò sopra la costatazione di
Kate: in effetti loro
stavano certamente cercando di ucciderla e per di più per un
motivo che, ora
che Damon ci pensava bene, era totalmente campato in aria.
Il Salvatore alzò lo sguardo sulle crepe e un
cruccio gli sopravvenne in testa.
«Katherine, potresti avere la grazia di informarmi
circa le motivazioni che ci hanno spinto a demolire – e
sottolineo la parola demolire
– casa mia?” si rivolse alla vampira
visto che per almeno tre quarti la colpa era la sua.
Kate alzò lo sguardo al soffitto e i suoi occhi si
soffermarono su certe impronte tra le assi di legno, opera sicuramente
non di
semplici topi.
«Perché in casa avete accolto una vampira pazza e
squilibrata che al momento opportuno perderà la testa e ci
ritroveremo tutti
con un’assassina in circolazione. Devo anche ricordarti che
la colpa è di tuo
fratello o quel particolare te lo ricordi?»
blaterò artigliandosi i fianchi.
A Damon quella situazione puzzava e non era solo
il tanfo che si era venuto a creare in cucina di sangue rappreso,
polvere e
caffè bruciato: era che Caroline per quanto insana di mente
potesse essere non
era così grave da attentare alle loro vite.
«E perché ti sta tanto a cuore questa situazione
che riguarda me e mio fratello?» domandò
sventolando l’indice evitando di
indicarla direttamente.
Katherine inghiottì il groppo di stizza che le si
era formato in fondo alla gola, temendo che Damon avesse potuto intuire
qualcosa circa le sue reali intenzioni.
«E tu perché fai tutte queste domande? Sbaglio o
sembra che non vuoi più ucciderla?»
rincarò la dose e avendo agguantato uno
strofinaccio a scacchi per ripulirsi le dita, lo sventolò
davanti al naso del
vampiro dagli occhi blu, quasi come se fosse un guanto di sfida.
«Touche»
ammise di controvoglia Damon il quale era sempre più
propenso a credere che
l’idea – o meglio il piano – che fino a
quel momento aveva perseguito era
assolutamente da cambiare.
Kate sorrise di rimando e, direttasi verso
l’androne della pensione, armeggiò contro una
cassetta in legno dentro la quale
ticchettò un paio di mazzi di chiavi dalla fattura lucente e
argentea.
«Cerca meglio in garage, io salgo al piano di
sopra»
Gli occhi di Katherine si affusolarono pronti a
cogliere una qualsiasi impercettibile indecisione da parte del
Salvatore
contando le finissime goccioline di sudore che si andavano addensando
nella
cavità del collo ricoperto leggermente di peluria.
Ad un’occhiata la vampira lanciò le chiavi che
Damon prese al volo.
«Ricevuto, miss Katherine» brontolò il
Salvatore
rigirandosi tra le mani le chiavi leggere, pur avendo in mente
tutt’altro da fare
che continuare a dar la caccia alla povera Caroline.
La vampira riccioluta tese ogni singolo centimetro
di fibra muscolare finché non udì la porta
richiudersi alle spalle del maggiore
dei Salvatore che – lei sapeva già – non
sarebbe stato più suo alleato.
Contrariamente a ciò che avrebbe mai sognato di
fare, Damon era arrivato alla conclusione che quello fosse il momento più
adatto per attuare il piano Salvatore
che consisteva, come prima
fase del piano, il ritrovo di suo fratello.
Bill
Cleverstone, 1847 - 1898
Erano queste le parole
incise sulla grossolana
pietra sepolcrale che giaceva simile alle altre nel cimitero di Mystic
Falls.
Stefan spolverò la dicitura in basso rilievo per
poi scontrare una mano all’altra per eliminare i residui di
terriccio e polvere
dalle sue dita.
A differenza del fratello, il quale non vi si
recava quasi mai, al minore dei Salvatore era sempre piaciuto
gironzolare per
il camposanto, sin dai tempi quando, accompagnato
dall’arcigno padre o in
compagnia della balia, andava a far visita alla madre defunta. Lo
attiravano
soprattutto quei nomi e le date incise sul marmo che nascondevano
chissà quali
storie e quali famiglie, i visi paffuti degli angeli dai riccioli ben
marcati o
i fiori scolpiti e così realistici da sembrare imbalsamati.
Ma quello era un tempo ormai fin troppo lontano.
Per Stefan recarsi al cimitero nel ventunesimo
secolo era sinonimo di ricordi e di rimorsi, della consapevolezza che
poteva –
doveva – esserci anche lui tra quelle tombe, tra i compagni
del suo secolo.
Il Salvatore si rizzò in piedi facendo leva sulle
ginocchia e dopo aver dato un fugace sguardo alla tomba che conteneva
l’ennesimo conoscente dei secoli passati, affondò
le mani nelle tasche dei
jeans facendo scricchiolare i suoi scarponcini sul selciato rovente del
cimitero.
Paradossalmente a ciò che aveva temuto, nulla si
era mosso dal fronte Caroline e, benché avesse la netta
sensazione che prima o
poi avrebbe ricevuto qualche malcapitata notizia dalla sua amica Lexie,
era più
che deciso di non mettere più piede alla pensione almeno per
i prossimi
cinquant’anni, ne andava della vita della sua Care.
Stefan aggrottò la fronte arrestando il suo
strascichio lento e continuo dei suoi passi alla vista di un ragazzo
del suo
stesso istituto.
Non che Stefan fosse propriamente stupito
dell’incontro con quel ragazzo giacché aveva avuto
modo di incontrarlo in
diversi luoghi lì a Mystic Falls; ciò che
più lo stupiva era sorprenderlo di
fronte a quella che ad occhio e croce doveva essere la tomba di
Caroline.
«Ciao» salutò il ragazzo dai capelli
scuri e
ispidi così come gli occhi non appena si accorse del
Salvatore il quale
gentilmente rispose al saluto sentendosi impacciato per la prima volta
in
centosessantaquattro anni.
«Devi essere Stefan Salvatore, del terzo anno,
dico bene?» chiese il ragazzo affondando le mani dentro le
tasche della giacca
di pelle nera.
Il vampiro dagli occhi verdi annuì e la lingua
limò il suo interno guancia quasi come a manifestare il suo
lento frugare tra
le scartoffie della sua mente alla ricerca di
un’identità che Stefan conosceva
fin troppo bene.
«Esatto. E tu devi essere Tyler Lockwood del
quinto anno, il figlio del sindaco, dico bene?» lo
scimmiottò lievemente e
Tyler si aprì in un sorriso a trentadue denti che in
realtà era carico di amarezza
e irritazione.
Stefan conosceva i Lockwood del diciannovesimo
secolo e il loro temperamento irruento, per cui era più che
convinto che non
dovevano essere cambiati di molto.
Il Salvatore affilò lo sguardo per un momento per
poi posarlo sulla lapide.
Caroline
Forbes,
1994 - 2011
«La ragazza morta
quest’estate. La conoscevi?»
chiese Stefan giocherellando con la cerniera del suo giubbotto, gli
occhi fissi
su Tyler.
Il ragazzo tirò un sospiro amaro e Stefan
irrigidì
la mascella, sentendosi ingiustamente responsabile per
l’accaduto.
«Si. Ero con lei e il suo ragazzo quando ha avuto
l’incidente. Guidavo io. Stavamo tornando da una festa e non
so cosa sia potuto
accadere ma ho perso il controllo dell’auto. Quando mi sono
svegliato mi sono
ritrovato soltanto un taglio alla tempia. Lei, un trauma
cranico».
Si umettò le labbra non distogliendo lo sguardo
dalla terra umida come se lì distesa vi fosse Caroline, con
lo sguardo attento
e un po’ corrucciato. Ma Stefan sapeva che la sua Care non si
trovava lì
sottoterra: era nella sua stanza alla pensione Salvatore, servita e
riverita,
con un peso in meno dal cuore ora che il mostro finalmente era uscito
dalla sua
vita.
Poi riprese.
«I medici sostenevano che non ce l’avrebbe fatta,
che il trauma era stato troppo forte e che poteva compromettere alcune
funzioni. Sapevamo del rapimento di Caroline da bambina e anche delle
sue fobie
che nel tempo si erano affievolite, eravamo pronti ad accettarle e a
debellarle
qualora si fossero ripresentate. Invece no, Caroline il giorno dopo si
svegliò
con il sorriso raggiante, borbottando di aver fame, spulciando le
riviste di
moda che io e il suo ragazzo le procuravamo. Sembrava andare tutto per
il
meglio quando-»
La sua voce si smorzò e digrignò i denti con gli
occhi inondati di lacrime represse e di cui – il Salvatore
pensò – solo la
lapide ne era a conoscenza.
Stefan deglutì in attesa del seguito di quella
storia.
«Quando l’infermiera ci informò che era
morta nel
sonno e che non avevano potuto far niente per lei. Nessuno la vide
più o almeno
io non la vidi più. Era come se qualcosa mi proibisse di
guardarla per
un’ultima volta»
Il Salvatore riassestò col piede un ramoscello che
contorcendosi stava arrampicandosi su per la pietra.
Non che non fosse evidente che Tyler - così come i
restanti amici di Caroline presenti in ospedale – fosse stato
soggiogato, ciò
che più crucciava la mente del giovane Salvatore
è quale vampiro sano di mente
avrebbe voluto trasformare un’umana per suo capriccio.
In realtà di vampiri capricciosi ce n’erano
parecchi
e lui guarda caso ne conosceva proprio uno.
«Il fatto è che quella stessa notte io
l’ho vista,
era viva-» sbottò il ragazzo rivolgendo i suoi
occhi grandi contro uno Stefan
alquanto scosso dal racconto ma al contempo curioso di sapere quel
dettaglio,
forse vitale per raccapezzarsi in quella storia.
«-ed era con tuo fratello»
Caroline strizzò gli
occhi e sperò con tutto il
cuore che il ragno avvinghiatosi ai suoi capelli fosse scivolato via e
l’avesse
lasciata in pace.
La soffitta Salvatore non era di certo il sinonimo
della pulizia ma era il miglior luogo per nascondersi quando non si
voleva
essere trovati.
A Care ricordava tanto la soffitta nella vecchia
casa di nonna Forbes, quando, lasciando in casa le urla di mamma e
papà e i
piatti rotti, si arrampicava sulla scala a chiocciola con la gonna che
le si
arrotolava tutta. Stava lì in mezzo a due o tre cappelli
fuori moda, fotografie
impolverate e vecchi gatti impagliati che con i loro occhi vuoti le
facevano
rizzare le codine bionde.
La vampira si osservò la ciabattina superstite con
cui era scappata dalla sua stanza, l’altra sua omologa
sarà andata perduta
durante la fuga. Si sgranchì le dita dei piedi facendo
ondeggiare le righe
verdi e azzurre della calza destra ricoperta di fuliggine e sporcizia.
A quella vista la bionda si intristì
all’improvviso: la consapevolezza che Damon, il ragazzo che
aveva amato e che
adesso considerava quasi come un fratello, volesse ucciderla le faceva
decisamente male.
Aveva ancora riflessa negli occhi verdi la morte
di Lexie, il tonfo sordo del suo corpo ormai vuoto. Era la prima volta
che
vedeva qualcuno morire, umano o vampiro che fosse, e ora poteva pure
giurarlo:
era uno spettacolo semplicemente orrendo.
Come
se non
stessimo cercando di ucciderla! La voce leggermente
stizzita della sua amica vampira dai riccioli castani
solleticò le sue orecchie
già particolarmente sensibili nell’udire ogni qual
tipo di rumore sospetto.
Le labbra screpolate le si tesero
impercettibilmente impedendo ai canini di fuoriuscire dalle gengive
estremamente rigonfie e si accorse di tale reazione solo quando i denti
le
maciullarono parte del labbro inferiore, quando il sapore del suo
sangue le
incrostò le papille gustative.
La bionda ebbe subito un motivo di ribrezzo che le
fece accapponare la pelle delle braccia sotto la sottile maglia di
cotone.
Caroline non aveva mai provato l’ebbrezza della
caccia, il macabro rumore di una carotide pulsante pronta per essere
dilaniata
dai suoi denti: all’infuori dell’infausto incontro
ravvicinato con Matt, non
aveva mai divorato nessuno, o almeno che lei ricordasse.
Era la rabbia non la sete che le innestava quelle
reazioni inattese, come un effetto domino che perduta la
lucidità era tutto un
susseguirsi di gesti automatici e incontrollati, visti e imitati da
chissà
quale genere di mostro e che lei ripeteva con minuziosa attenzione nei
dettagli.
Era la rabbia che adesso le ribolliva nelle vene
ma, per quanto fosse incandescente, la paura spargeva acqua sul fuoco,
rilassava i muscoli, ritirava gli artigli. Dopotutto codarda
c’era sempre stata
anche d’umana.
Caroline protese il busto in avanti e accostò
l’orecchio all’asse malconcia del pavimento
butterato e divorato dalle termiti.
Non che ne avesse realmente motivo date le sue capacità
sopraffine, ma era
un’abitudine alla quale faticava rinunciare.
Devo
anche
ricordarti che la colpa è di tuo fratello o quel particolare
te lo ricordi?
Katherine rispose a quella che la bionda percepì come una
domanda alla quale
non aveva prestato attenzione e si infuriò contro se stessa
per non aver
origliato per bene. Ma l’argomento Caroline, sebbene non
avesse udito il resto
della conversazione, l’aveva indovinato già da
tempo e il solo ritorno di
quella sensazione le provocò un rigurgito di sangue che le
impiastricciò la
bocca di bile amara e sangue putrefatto.
Era più che logico che si trattasse di Stefan e
del suo inconfessabile misfatto per cui Care continuava a sentire
bruciare i
morsi e le cicatrici come se fossero stati inferti sul momento.
Ciò di cui non
riusciva a maturare la completa accettazione era l’idea che
avesse realmente
intenzione di farle del male. Per quanto le loro menti fossero
realmente
affette da chissà quale pazzia interiore, non erano poi
così malvagie da
garantire la morte dell’altro.
Non come la mente lucida e senza scrupoli di
Damon.
E
perché ti sta
tanto a cuore questa situazione che riguarda me e mio fratello?
Intonò il Salvatore con voce rauca e ovattata dallo spesso
strato di legno che
divideva la soffitta al corridoio sottostante.
Quelle poche parole bastarono a rianimare la
speranza della povera Caroline la quale sfregando le unghie contro le
assi di
legno si prospettava una scena ben diversa dalla realtà con
un Damon persuaso
dall’idea di ucciderla e una Katherine seriamente preoccupata
per la sua scomparsa.
Se li immaginava battibeccare lì sotto di lei a
pochi metri di distanza, con gli sguardi assassini che rimbalzavano tra
le
pareti e imprecazioni dette a mezz’aria. E magari sarebbe
potuta scendere,
avrebbe potuto distendere le braccia e le gambe intorpidite, avrebbe
potuto
rimuovere il sottile strato di cenere dai capelli annodati, e magari li
avrebbe
trovati in cucina con una tazza di caffè in mano pronti ad
accoglierla e a
sgridarla per la marachella che aveva commesso. Ma Caroline sapeva bene
che
quei giorni erano finiti, che il tempo dei sorrisi e dei rimproveri era
già
scaduto da un pezzo. Il loro era un gioco perverso a cui lei stava
imparando a
giocare seppur a sue spese.
Un nuovo bisbiglio e la bionda tese ancora le
orecchie avvertendo il fruscio di tende e lo strascichio di mobili.
Sbaglio
o sembra
che non vuoi più ucciderla? Le arrivò
all’orecchio
la voce ovattata di Katherine e per poco non graffiò
l’asse di legno sulla
quale era premuta la mano leggermente sudata.
Si sentì solleticare il collo da qualcosa di
sottile e di viscido e si tappò la bocca ricacciando
l’urlo stridulo che sapeva
avrebbe emesso alla vista di quell’orrendo millepiedi.
Strizzò gli occhi colta
alla sprovvista da un moto di disgusto ma che in fin dei conti non era
poi così
tremendo paragonato alla sensazione del sangue e del sapore della
ruggine in
bocca.
Afferrò tra le dita quel minuscolo essere e lo
fece ruzzolare due o tre scatoloni più in là. Poi
si prese i capelli biondi fra
le mani sudice e con fare frenetico li torturò, le pupille
grandi e lucide
roteavano velocemente come se da qualche angolo buio dovesse apparire
una nuova
bestiola pronta a mettere a repentaglio ancora di più la sua
vita.
Colta dalla veridicità di quel pensiero, Caroline
pose nuovamente attenzione alla conversazione che si stava svolgendo a
pochi
metri sotto di lei.
Mantenne il fiato ben stretto tra la faringe e il
palato e assottigliò lo sguardo come se questo le avesse
consentito di
registrare meglio perfino gli ultrasuoni.
Ciò che la povera Care riuscì a percepire fu il
ronzio monotono e quasi stanco di una mosca a pochi metri da lei. Poi
il
cigolare della porta di ingresso e lo scatto metallico della serratura.
Passi
che si allontanavano.
Se n’erano realmente andati?
La vampira non ebbe il coraggio di rispondersi ma
ugualmente svuotò i polmoni dell’ossigeno ormai
ristagnato e rasserenò le
spalle che ormai avevano assunto un aspetto granitico.
Evitò di mordicchiarsi il labbro inferiore anche
se il movimento ad intermittenza della palpebra destra mostrava tutto
il suo
nervosismo. Sgusciò veloce tra gli scatoloni evitando di
fare il minimo rumore
– cosa sicuramente non facile date le assi di legno marce e
non molto stabili
che regalavano bubbolii sinistri ad ogni peso che vi si poggiava.
La vampira tirò su la maniglia della botola che
collegava direttamente la soffitta al corridoio del primo piano
sottostante. Le
scivolò dalle mani sudate e la botola si richiuse producendo
un tonfo sordo che
ammutolì il cuore di Caroline.
Rimase senza respirare cinque forse dieci minuti
prima di ricominciare a battere le ciglia, a respirare regolarmente, a
sentire
i nervi delle sue gambe allentarsi e formicolare.
Contò mentalmente fino a tre come quando da
bambina aspettava con ansia e paura che il dentista gli togliesse un
dente,
quando si corrucciava gli occhi e prometteva di non mangiare
più caramelle.
Contò mentalmente fino a tre e aprì la botola
fiondandosi sul pavimento sottostante coprendosi istintivamente gli
occhi e il
viso come se da un momento all’altro dovesse uscire un mostro
pronto a
infliggerle del male, ma tutto ciò che ritrovò ad
osservarla furono le tendine
giallo ocra e il tappeto a lei tanto familiare.
Si stava nascondendo da- quanto? Mezz’ora, tre
ore- o forse erano giorni? Il tempo non le era sembrato mai
così assente come
in quel momento. Fatto sta che Caroline, confusa o meno che fosse,
ritrovava
gli oggetti di quella casa come antichi e non più
riconoscibili come quelli che
avevano accompagnato le sue giornate durante il soggiorno alla pensione.
La vampira allungò il collo e si accertò che non
sbucasse alcuna ombra sospetta dalle scale.
Una minuscola speranza si insinuò nel cuore di
Caroline tale da rianimarle gli occhi opachi e le guance smunte. Si
precipitò
al piano di sotto e nonostante il forte capogiro che avvertì
e che fece ruotare
la casa come una giostra cercò di mettere in ordine le idee
e concentrarsi su
ciò che avrebbe dovuto fare. Non ebbe bene il tempo di
pensare al da farsi che
le sue gambe l’avevano trascinata in cucina alla ricerca di
qualche brandello
di cibo così da tamponare la fame straziante che la
corrodeva da ormai non
sapeva quanto.
Setacciò gli scaffali e ogni anta della credenza
immaginandosi
qualche biscotto ammuffito in qualche angolo o delle fette biscottate
sbriciolate nel fondo di qualche cassetto.
Ma non appena gli occhi della bionda
rintracciarono un misero pacchetto di cracker invece di brillare di
felicità si
ingrigirono dalla paura.
«Caroline?»
Una voce dietro di lei le impose a rimanere
immobile come se il semplice fatto di non respirare l’avrebbe
potuta rendere
invisibile.
Katherine sulla soglia della cucina attendeva una
risposta da parte della sua coinquilina.
Care si voltò temendo il peggio.
Gli occhi di Katherine leggermente lucidi erano
affranti e al contempo gioiosi per la scoperta che avevano fatto, le
labbra
erano semiaperte lasciando fuoriuscire un flebile sospiro di sollievo,
le
braccia tese fremevano nella voglia di un abbraccio.
«Oh Care, temevo che ti avesse già
trovata»
esclamò e annullò la distanza tra i loro corpi,
accogliendo tra le sue braccia
una Caroline confusa ma al contempo grata per quella accoglienza.
«Kate perché mi vuole fare questo?»
piagnucolò
Caroline lasciando andare i nervi che avevano ormai oltrepassato il
limite del
sopportabile.
Katherine slegò le braccia attorno le spalle della
vampira e le prese le mani, continuando a guardarla negli occhi color
giada.
«Chi ti vuole fare del male?» chiese la vampira
riccioluta cantilenando, assottigliando gli occhi e irrigidendo
leggermente la
mascella.
Caroline singhiozzò.
«Damon»
Allora gli occhi di Kate si affilarono e una luce
particolare tornò a illuminarle il viso olivastro.
«Oh piccola Care, ma Damon non ti vuole fare del
male» cantilenò posando l’indice lungo
il profilo delle guance della bionda.
Fu allora che si ripresentò prepotentemente quel
senso di malessere, quella paura sviscerante e senso di oppressione che
si
manifestava ogni qual volta riceveva un contatto da Katherine. Non era
una
semplice sensazione, era un avvertimento, era pericolo.
La vampira mora si aprì in un ghigno mentre
Caroline poggiava un piede dietro di lei, pronta ad imboccare
l’uscita.
«Quella sono io»
Il tempo che intercorse tra la scarica di
adrenalina che investì le vene di Caroline e il lancio del
coltello da cucina
contro il petto di una Katherine famelica fu minimo.
La vampira bionda abbandonò veloce la cucina e a
grandi falcate si diresse verso l’ingresso. Cacciò
uno sguardo veloce verso le
scale ma scartò subito l’opzione di nascondersi
nuovamente in soffitta
dopotutto non avrebbe potuto rimanere nascosta in qualche buco per
sempre.
Katherine si sfilò velocemente il coltello che si
era ben incastrato tra la quinta e la sesta costola destra e gettata
lontano
l’arma si mosse con tutta tranquillità. I suoi
passi picchiettarono contro il
parquet e Caroline riuscì a malapena a deglutire.
Gli occhi color giada fermi sull’unica via
d’uscita disponibile in quel momento: la porta
d’ingresso.
Fu uno scatto e Caroline era fuori.
La luce calda e densa del sole la colpì in pieno
viso, sulle guance, sulla sommità del collo, lungo le
braccia scoperte, i
polsi, le mani e le dita – dita sprovviste di
quell’oggetto magico e prezioso
che l’abitudine aveva fatto dimenticare a Caroline di averlo.
«Tana libera Caroline» squillò la voce
inquietante
della vampira dai riccioli morbidi i cui occhi si stavano
inevitabilmente
accartocciando.
Ma Care non ascoltava.
Caroline era in fiamme.
***
Chiedo
venia, ve
ne prego! So bene che ho lasciato questa storia praticamente a se
stessa, senza
una fine dignitosa e senza rivelarvi il mistero che si cela alla fine,
ma,
sapete, il blocco dello scrittore prima e la maturità poi mi
ha portato a
trascurare di molto questa fan fiction. Ringrazio già ora
tutti quelli che
avete provato nostalgia per questa storiella e che vi siete
interessati. Che vi
avevo detto, sarei tornata no? E guarda caso oggi è proprio
il primo luglio! Ad
ogni modo dopo il breve riassunto che ho posto all’inizio, il
capitolo inizia
proprio come era finito quello procedente: Lexi è morta,
Damon e Katherine sono
alleati, Caroline è in pericolo, Damon deve uccidere
Caroline. E così il
Salvatore fruga negli angoli più nascosti della casa per
trovare la vampira dai
riccioli biondi anche se evidentemente quella ricerca non lo soddisfa
molto,
mentre Katherine è impaziente che Damon faccia il lavoro
sporco per lei. Damon
non è assoggettato a Katherine o cose simili, ma le parole
della vampira erano
state così convincenti che ci ha creduto. Dopotutto sappiamo
di cosa è fatta
Kate! Ma effettivamente Damon dopo una prima sbandata ritrova la
lucidità e
molla tutto alla ricerca del fratello. Stefan d’altro canto
è all’oscuro di
ogni cosa, come è solito si martirizza credendosi il
colpevole di turno e
guarda caso durante una passeggiata al cimitero incontra Tyler. Non so
voi, ma
a me questa interazione con i personaggi del telefilm un po’
fuori dal comune
mi piace e molto. Spero vivamente di non aver reso Ty oc. Comunque il
Lockwood
informa Stefan di un dettaglio importantissimo: Damon era con Caroline
la sera
in cui è stata trasformata. Questo cosa può
significare? Caroline si nasconde
in soffitta e sì, l’aspetto fanciullesco lo
vedrete ancora per poco: Care è più
forte e più matura di ciò che sembra anche se lei
stessa non se ne accorge. E
comunque ingenuamente dopo aver origliato tre quarti di conversazione
scende di
sotto e incontra niente poco di meno che Katherine. Finalmente Care
capisce chi
è il nemico, ma ormai è troppo tardi. E come se
non bastasse Katherine in
quell’abbraccio con Caroline ha trovato il modo di sfilare
l’anello magico alla
vampira sotto proprio la luce del sole. Vi anticipo già che
il prossimo
capitolo (in fase di completamento state tranquilli) è un
flashback ma questa
volta non contrassegnato da [sei mesi prima] ma sarà il
fatidico flashback
della notte in cui è morta Caroline. Finalmente scoprirete
chi ha trasformato
Caroline e come siano state le sue prime ore da vampira.
Con questo vi
saluto e spero di aver evitato i pomodori!
Ad ogni modo per
qualsiasi cosa mi trovate su face book Dreem L. Efp
Grazie mille per
la lettura,
baci.