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Autore: TheBarrelhouseKid    01/07/2013    1 recensioni
Amate il rag-time? O forse non sapete nemmeno il significato di questa parola? Beh, è l'obiettivo che mi son prefissato attraverso questo mio raccontino: invitarvi a scoprire un nuovo orizzonte dell'infinito panorama della musica... e pensate che il rag-time fece ballare gli States per circa un ventennio (canonicamente 1897-1917) e certo è stato fondamentale per la nascita della musica moderna, ma pochi sembrano ricordarlo. Orbene, passo alla storia: essa, ambientata in Sedalia, comincia col ritrovamento, da parte di un ragazzino, nella soffitta di casa, di un vecchio pianoforte meccanica appartenuto ad un certo James Williams, suo antico parente. Costui fu, all'epoca del rag-time, un pianista di successo, eppure, strana cosa, il suo nome ancora oggi rimane nell'ombra (è comunque un personaggio fittizio). Aveva un carattere molto singolare, il suo posto fisso, l'elegante casa di tolleranza ove suonava ogni sera. Qui conobbe Elisabeth, che sembra l'unica persona a cui importi veramente del nostro protagonista. Egli infatti, ebbe un'esistenza travagliata, ma riuscirà a ritrovare sè stesso attraverso la musica e la cara Elisabeth, tutto immerso nell'atmosfera dei tempi passati. M'interessa molto la vostra opinione anche solo su questo piccolo capitoletto iniziale!!!
Genere: Generale, Introspettivo, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Rag-time

 
 
Notice! Don’t read this book                                                                                                                                                                            fast. It is never right to read                                                                                                                                                                a “book” fast. Author.
 

I

C’è chi crede che i viaggi nel tempo siano solo fantasia, c’è chi, invece, crede siano una realtà futura, ma c’è una cosa cui nessuno potrebbe credere, cui nessuno potrebbe dar prova: un viaggio nel tempo avvenne, sotto gli occhi di tutti, in una cittadina qualunque, Sedalia: una cittadina lontana da qualsiasi centro di cultura, sperduta nel bel mezzo della regione interna del Missouri. Eppure qui un viaggio temporale avvenne... e per di più in una casa qualunque. Era una tiepida giornata estiva e, in verità, non v’accadde alcunché. Il piccolo Brian mai aveva osato scoprire cosa c’era al di là della porta che conduce alla soffitta, non provò mai curiosità nel riscoprire gli oggettini e i ricordi dei suoi antenati dimenticati dal tempo stesso, ma l’occasione buona si presentò, come poi spesso avviene, per caso: giocava a baseball all’aperto con suo padre. Forse il potere di Murphy invase quella vecchia palla perché infranse proprio quell’unico vetro che portava luce alla soffitta. “La prendo io papà!” disse al genitore scocciato per l’accaduto. I passi veloci di Brian risuonarono sui gradini, s’udì la porta che, aperta con violenza, si richiudeva sbattendo. Fu sopra in un attimo. Non aveva però calcolato il buio, difatti inciampò, chissà, forse sulla sua stessa palla. Non si fece nulla di grave, un paio di lividi e nulla più, solo che, rialzandosi dolorante, un qualcosa attirò la sua attenzione: magari perché, filtrata dalla polvere e dalle ragnatele, la luce metteva in risalto quello che all’apparenza gli sembrava un vecchio mobile appoggiato ad una parete, avvolto da un non più bianco telo. Ai piedi del “vecchio mobile” diverse scatole colorate di cartone di piccola taglia sparse un po' qua e là, strette, lunghe una trentina di centimetri, che però non attirarono l’attenzione di Brian il quale, volendo svelare l’arcano, tolse il velo con moto violento. Quando la nube di polvere, che provocò non pochi colpi di tosse al ragazzino, si diradò e tutto, si fa per dire, calcolando l’oscurità, fu nitido, ecco apparire un pianoforte, color noce, di quei modelli verticali d’una volta. Risuonò la voce del padre. “Ecco ci sono quasi, è buio qui, provo a cercare da questa parte adesso” fu la risposta del figlio. Ma, come volevasi dimostrare, contrariamente alle sue parole, Brian si avvicinò a quel decrepito strumento. Non era un pianoforte normale: di solito i pianoforti non hanno un doppio sportello scorrevole sul fronte, né due oculi in vetro colorato ai lati dello stesso (ornati tra l’altro con motivi floreali). I tasti erano ormai ingialliti, a diverse altezze, alcuni come se rimasti premuti; l’avorio prezioso era ormai perso e consumato in diversi punti; sul bordo ligneo esterno, ove poggia la tastiera, due o tre levette metalliche; anche questa è cosa inusuale in un pianoforte comune. Desistendo dal desiderio di giocare coi tasti, per non farsi udire dal padre, Brian toccò comunque una delle levette: niente. Ne toccò dunque un’altra: dall’interno s’avvertì stavolta un rumore meccanico: come una bestia che dopo un sonno durato almeno un secolo apre gli occhi e si desta, così due debolissimi fasci di luce elettrica attraversarono il vetro colorato dei due oculi. Sembrava proprio che il pianoforte stesse fissando minacciosamente Brian che, scosso, si era ritirato di qualche passo. Ma il sussulto continuava dalle viscere dello strumento: i mantici ricominciavano a soffiare e a risucchiare l’aria, su e giù facevano i pistoncini che muovono l’asse su cui scorre il supporto musicale, tutto, insomma, ricominciava a svolgere dopo tanto tempo quel per cui era stato progettato. Il ragazzino aprì il doppio sportello intarsiato per osservare cosa avveniva all’interno di quel pianoforte meccanico, ma vide solo un rullo di carta perforata che scorreva davanti ai suoi occhi. Benché l’inchiostro fosse leggero si riusciva ancora a leggere questa dicitura sfuggente:
 

The famous and celebrated
“Maple Leaf Rag”
Composer: Scott Joplin
Performer: James Williams
Tempo: 112 B.P.M.
Copyright: 1899

      
                                                                                           A "Rag-notes" production                                          
                                                              "the most reliable rolls according to the original scores"                                      

N° 005 (I)

      

Williams?! No, benché la scritta fosse già scomparsa dalla sua vista, Brian non si era sbagliato: lesse proprio quel cognome, il suo cognome! Che un suo antenato fosse un pianista? Improbabile. La sua famiglia, del resto, non aveva mai dimostrato tutta questa predisposizione verso l'arte delle Muse. Eppure, se tale James Williams fu così, diciamo, importante da poter vedere il proprio nome stampato su di quell’obsoleto supporto musicale, come mai lui, Brian, non ne sapeva nulla? E poi quel pianoforte, lì, in quella casa, come spiegarlo? Ma ancor prima che l’attuale rampollo dei Williams potesse formulare tali domande, ecco che i primi fori sulla carta avevano già raggiunto la barra che, risucchiando l’aria, trasmette ai martelletti le note scritte, riproducendo dunque i suoni. Partì la musica. Subito la melodia di quell’allegro rag invase con prepotenza l’ambiente. Dopo un secolo d’inattività, si può ben immaginare come dovesse essere il suono di quel relitto, scordato com’era. In una parola ferrigno, ma anche molto cupo e sordo direi. Il feltro dei martelletti era ormai consumato e il nudo legno così scoperto sbatteva sulle corde in modo squillante. Ricordava il suono di quei tipici vecchi pianoforti da saloon, detti, volgarmente, “honky-tonk pianos”; insomma dava quel tocco in più al brano e, al tempo stesso, lo storpiava; insomma, l'effetto che ne derivava era di un suono assai sporco all'udito ma non per questo sgradevole. Se vi fosse stato lì, sotto casa Williams, un newyorkese del passato, sarebbe rimasto sorpreso nel ritrovare a Sedalia la Tin Pan Alley della città natia. Solo che non fu un newyorkese dei primi del Novecento ad udire quella musica, bensì, com’è presumibile, il padre di Brian che corse subito dal figlio. Accese l'interruttore della luce. Lo sorprese quindi mentre, in un cantuccio, osservava timoroso eppure incantato i tasti del pianoforte meccanico che si premevano da soli seguendo la melodia incisa, già, come se un fantasma fosse lì a suonare il brano. La rapsodia dei segni incisi su carta catturava poi i suoi occhi: rimase meravigliato dagli splendidi "disegni" che prendevano forma e vita sul rullo che scorreva e rimase ancor più meravigliato dalla meccanica del piano che permetteva tutto quello. Entrambi rimasero senza parole per un momento. Brian fu il primo ad aprir bocca: "Papà, sai chi era James Williams?". Pronunciato quel nome, suo padre fece mente locale ma non seppe rispondere nulla a riguardo; lo rese pensieroso solo quel cognome che riconobbe come omonimo al suo. Chiese allora al figlio da dove l'avesse mai tratto fuori. Gli disse del pianoforte; la musica di quello, intanto, continuava tristemente inascoltata dall'indifferenza dei due, ma soprattutto del padre il quale, col suo arrivo, aveva rotto la magia del momento (peccato! valeva la pena udire quella gioiosa melodia che ormai era al termine). Nel tentativo di dare una risposta alla domanda del figlio, il padre di Brian d’impulso cominciò a rovistare tra le scartoffie della soffitta. Balzarono ai suoi occhi quelle scatole di cartone sopra citate che riportavano sulla faccia laterale di minor superficie vari titoli di pezzi d'altri tempi tutti tra il 1889 e il 1922, tutte provviste di data d'incisione, nome del compositore e nome del loro esecutore che risultava, però, esser sempre lo stesso: quel misterioso James Williams. Ma erano tante, veramente tante e tante furono scoperte in grandi e vecchi bauli ben sigillati. Saranno state almeno un centinaio senza timor d'iperbole. Veramente una rara collezione! Se solo i due avessero avuto la pazienza necessaria per analizzare tutto quel patrimonio, ci si sarebbe accorti che esso si divideva in quattro gruppi principali: Scott Joplin, James Scott, Joseph Lamb, Vari. Quel James era un fanatico del rag-time! Trovarono anche molti documenti interessanti: liste, appunti, spartiti manoscritti appena cominciati e mai finiti, foto autografate, tutto organizzato col massimo rigore, compresa una foto di un bel giovane col braccio sulla spalla d'una splendida fanciulla elegantemente vestita, entrambi seduti su di un costoso divano. James forse? Sì, era lui! A dir la verità, non saprei dire se poi alla fine il rispolverare più a fondo la storia di James fosse cosa d’interesse per padre e figlio, ma a me la cosa importa moltissimo e ho deciso di ricostruirne la storia, non che mi par degna d’essere ricordata, tuttavia. Perciò se qualcuno vuole con me intraprendere un viaggio nel passato, chiuda gli occhi e si fidi di me.  
 
 
 
  
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