Storie originali > Romantico
Segui la storia  |       
Autore: Old Paradise Street    02/07/2013    2 recensioni
Mai giudicare un libro dalla copertina, ma le persone non sono libri e i volti non sono copertine. Dobbiamo imparare a leggerci dentro, tra le righe, negli sguardi, scoprire cosa si cela dietro l'apparenza, dobbiamo riuscire ad abbattere quel muro, quel guscio con il quale ognuno prova a difendersi, sentendosi al sicuro.
Sophie, adolescente inglese rimasta orfana in un incidente.
Martina, figlia di un noto imprenditore italiano.
Due ragazze estranee che si ritrovano a vivere sotto lo stesso tetto.
'Gli opposti si attraggono ma i simili convivono'
Genere: Romantico, Sentimentale, Triste | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago, Scolastico
Capitoli:
   >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Old Paradise Street - dove tutto ebbe inizio

Pov Sophie


Prologo



Perché, mi chiedo io, perché. Perché con tutte le cose che possono succedere proprio quella peggiore doveva accadere? Ormai è passata una settimana da quel maledetto giorno, quel giorno in cui è morta tutta la mia famiglia. E solo io sono sopravvissuta.

 Questo è il pensiero che mi tormenta da più di due giorni, da quando mi sono svegliata dal coma in cui sono finita dopo l’incidente. Perché solo io?
Mi alzo, ho bisogno di prendere una boccata d’aria. Accidenti, che mal di testa, non ce la faccio, mi risiedo sul letto. Uno, due, tre, ok, ce la posso fare, la testa gira un po’, ma sono in grado di camminare. Raggiungo la porta della stanza, piano piano, ma la raggiungo. Per fortuna sono in camera da sola. La donna che occupava l’altro letto l’hanno dimessa l’altro giorno, anche lei scampata ad un incidente. Era simpatica, ci ho parlato solo per due giorni, da quando mi sono svegliata a quando l’hanno dimessa, ma sembrava proprio una bella persona. In genere io confido molto nella prima impressione che mi dà la gente. E di solito non mi sbaglio mai, appena vedo gli atteggiamenti di una persona lo sento a pelle se può piacermi o meno e di conseguenza decido se farla entrare nella mia vita per conoscerla meglio oppure tenermi alla larga e se possibile evitare ogni rapporto.

Esco dalla camera e nel corridoio incontro un’infermiera, una delle tante che mi hanno fatto visita in questi giorni, credo si chiami Emma.
- Buongiorno signorina Adams –
- Buongiorno – Oddio si è fermata, vorrà di sicuro mettersi a chiacchierare, ma possibile che con tutte le persone che ci sono nel corridoio proprio con me vuole parlare? Proprio oggi che voglio rimanere sola?
- Come si sente oggi? Si è ripresa? – Sarà sempre gentile, carina e adorabile ma quando inizia a fare tutti quei sorrisini e tutte quelle domande, vuol dire solo una cosa: ha voglia di parlare. Spero solo che non cominci con l’interrogatorio e non la tiri per le lunghe. Nel dubbio meglio troncare subito la conversazione.
- Va molto meglio, grazie – Evito di dirle che ogni tanto mi gira la testa altrimenti comincia con i suoi monologhi su quanto è o non è normale, frequente o insolito avere qualche capogiro in queste situazioni. E intanto prego che accetti questa semplice risposta e se ne vada senza commentare. Ho davvero bisogno di respirare aria fresca.
- Benissimo sono contenta che lei stia bene. Ha bisogno di qualcosa? Come mai è uscita dalla sua camera? – Come non detto. Le mie preghiere sono state vane.
- Oh no, niente non si preoccupi. Avevo solo bisogno di prendere una boccata d’aria fresca, stia tranquilla. Arrivederci. – Sfoggio il mio miglior sorriso e me ne vado. Ho bisogno di uscire da queste mura. Anche solo per dieci minuti.

Finalmente riesco a raggiungere il balcone del terzo piano e appena esco sento subito l’aria fresca del mattino che mi scompiglia i capelli e gli occhi cominciano a pizzicare. Non solo per il vento. Faccio girare lo sguardo su tutto il panorama che ho davanti. Da dove sono io si vede un bel pezzo di Londra. Riesco a vedere il Tamigi che scorre silenzioso sotto i ponti della città e la attraversa da una parte all’altra, riesco a vedere il London Eye, il Big Ben e in lontananza anche Buckingham Palace. Riesco a vedere la mia città, la mia vita, quella a cui molto probabilmente sarò sottratta perché ora io non ho più una famiglia e visto che sono minorenne non potrò nemmeno vivere da sola nella mia vecchia casa. Forse non vivrò più nemmeno a Londra, a meno che non mi mandino in un orfanotrofio. Anche perché che io sappia non ho parenti che vivono qui. Papà è figlio unico, era figlio unico, e i suoi genitori sono morti prima che io nascessi e mamma, beh, lei è, era, mezza italiana quindi credo che gli unici parenti che avesse oltre ai miei nonni, che sono in una casa di riposo, siano in Italia.
Mamma, la mia mamma, mi manca. Non sono mai stata una settimana senza vederla, eccetto durante i viaggi organizzati con la scuola in cui comunque ci sentivamo tutti i giorni al telefono. Mentre ora, ora è una settimana che non la vedo e non la sento. E purtroppo non potrò farlo mai più. Era una bella donna, sia dentro che fuori. Occhi verdi, capelli color rame, lunghi e ricci, sempre raccolti per metà con un fermaglio. Alta e snella. Era bellissima. Aveva un carattere forte, deciso, non si lasciava mettere i piedi in testa da nessuno, ma era dolce, mi capiva al volo e aveva un’intesa speciale con papà, bastava un’occhiata perché si capissero. In quasi sedici anni della mia vita non li avevo mai sentiti litigare, forse perché quando discutevano lo facevano in privato e tenevano sempre me e Jay al di fuori delle loro questioni personali. Lo amava davvero tanto, ne sono sicura, così come sono sicura che lassù loro sono ancora insieme, uniti come sempre. E papà, il mio adorabile papà, era un mito. Da piccola era il mio eroe, volevo che l’uomo che un giorno avrei sposato fosse come lui. Quale bambina non lo voleva. Crescendo ovviamente avevo cambiato idea, ma quello che mi piaceva di più era che potevo parlare con lui di ragazzi quasi come se fosse una cosa normale. Certo ero sempre la sua “bambina” anche a quindici anni, ma mi lasciava abbastanza libera. Era gelosissimo della mamma, quando passeggiavano insieme si tenevano mano nella mano, come due adolescenti, e lui la stringeva forte a sé, come per marcare il territorio e i profondi sguardi che rivolgeva a qualsiasi altro uomo che la guardasse più del dovuto era come se volessero dire “Ehi tu, sì, dico a te, lei è mia, non te lo scordare. Toccala e poi vedi come ti tocco io”. Ripensandoci mi viene da ridere. Era un comportamento infantile certo, ma infinitamente tenero. Rose e Charlie, Charlie e Rose, i miei genitori. Non avevo mai visto una coppia più perfetta di loro.
E poi ovviamente c’è James, il mio Jay, il mio fratellone, la persona con cui litigavo più spesso, ma una delle persone che amavo di più al mondo. Era mio fratello maggiore, aveva tre anni più di me, era appena diventato maggiorenne, stava facendo la patente, era la cosa che desiderava di più: essere finalmente libero di poter andare da solo in qualsiasi posto senza dover esser accompagnato. Era un ragazzo pieno di vita, sempre allegro e spiritoso, amava rischiare, faceva di tutto per far arrabbiare mamma e papà e poi non so come riusciva sempre a scamparla facendo il ruffiano. Con mamma funzionava sempre, con papà un po’ meno. Lo odiavo per questo, a volte ero gelosa del fatto che le punizioni che toccavano a lui, quelle poche volte che gli toccavano, erano banali, del tipo “lava la macchina” oppure “vai a fare la spesa”, tutte così, mentre a me vietavano di uscire, mi toglievano il computer, la televisione e tutte le cose che mi permettevano di non annoiarmi. Però gli volevo un bene dell’anima, da piccoli litigavamo più spesso di quanto i nostri genitori si concedevano una serata tutta per loro, il che succedeva almeno una volta a settimana, mentre negli ultimi anni avevamo legato tantissimo. Lui mi vedeva come la classica sorellina minore da proteggere. Era geloso dei miei amici maschi perché li vedeva tutti come potenziali fidanzati. Mi costa ammetterlo, ma era anche simpatico, non faceva per nulla fatica a fare nuove amicizie e piaceva a tutti i miei amici. Le mie amiche lo definivano anche carino e beh, oggettivamente parlando, non potevo dar loro torto, era davvero un bel ragazzo e se non fosse stato mio fratello e non mi stesse così tanto sulle scatole in certi momenti, sarebbe potuto piacere anche a me. Ma ovviamente essendo “così bello” non poteva essere single. Infatti aveva una ragazza, Jade, così bella che poteva tranquillamente fare la modella, ma non era la classica “bionda senza cervello”, anzi, oltre al fatto che non è bionda ma ha i capelli castani, è simpaticissima e intelligente. È la sorella che non ho mai avuto. Ha solo un paio d’anni più di me e questo ha contribuito perché andassimo subito d’accordo la prima volta che ci siamo incontrate. Stava con Jay da quasi due anni e ancora non ho capito come facesse a sopportarlo. Dev’essere proprio vero: gli opposti si attraggono. Non sono mai riuscita a vedere mio fratello con un’altra ragazza, forse anche perché quella con Jade è stata la prima storia seria che ha avuto, e purtroppo anche l’ultima. Ora che Jay non c’è più Jade dovrà rifarsi una vita, spero solo che rimarremo unite. Tengo davvero molto a lei ed è l’unica ormai con cui posso condividere il ricordo della mia famiglia. Non è ancora venuta a trovarmi nemmeno una volta, suppongo sia ancora in Francia. Spero che venga prima che mi dimettano. Ho bisogno di parlare con qualcuno che mi capisce veramente e dopo non so se potrò farlo. Ho bisogno della mia quasi sorella/cognata qui con me, il più presto possibile.

Ora sto piangendo come una fontana, ricordare le persone a cui voglio più bene al mondo fa male, molto male. Soprattutto con la consapevolezza che non potrò vederli mai più. Perché è così e devo accettarlo. Mamma, papà e James se ne sono andati e non torneranno più. Sono rimasta da sola. A neanche sedici anni sono rimasta da sola ad affrontare il mondo, troppo grande per me.

Guardo il mio riflesso per la prima volta da giorni sul vetro a specchi della porta che conduce all’interno dell’ospedale.
A stento mi riconosco: la ragazza che vedo non sono io, non posso essere io. La ragazza che vedevo negli specchi di casa mia era più bella, più pulita, aveva sempre il sorriso sulle labbra e gli occhi azzurri erano più limpidi, ogni suo stato d’animo si rifletteva nei suoi occhi, i lunghi capelli biondi erano curati, luminosi e il corpo era più pieno. La ragazza che vedo riflessa su quella porta ha la bocca serrata, gli occhi spenti arrossati dal pianto, il viso rigato dalle lacrime, i capelli arruffati raccolti in una coda di cavallo tutta spettinata, con una fascia bianca sulla fronte da cui si intravede un cerotto. Il corpo è esile, fin troppo.
Sembra fragile, e forse lo è davvero.
Non posso credere di essere io, mi tocco la fronte e sento la fascia, fino ad oggi non mi ero nemmeno accorta di averla. Quel leggero tocco fa un male allucinante. Ecco spiegati i forti mal di testa degli ultimi giorni, avrò una ferita causata dall’incidente.

Le campane del Big Ben cominciano a suonare, conto i rintocchi, dodici, forse è meglio rientrare, arriverà qualcuno a breve per consegnarmi il pranzo, ma non riesco a muovermi. Ho freddo, sto tremando e sono congelata. È stata una pessima idea uscire senza nemmeno una sciarpa addosso. In fondo è pieno inverno e il pallido sole inglese non scalda molto e ad ogni modo l’aria è fredda, dovrei seriamente rientrare se non voglio prendere una broncopolmonite. Il problema è che non ce la faccio. Oltre ad avere i piedi congelati, non riesco a muovermi, a tornare dentro all’ospedale. Il mio sguardo è ancora fisso sul mio riflesso. Forse l’unica cosa bella di quell’immagine è lo sfondo. Ho le braccia strette al petto, come per proteggermi, da cosa ancora non lo so, ma di sicuro da qualcosa dovrò farlo.
La porta si apre e al posto della ragazza fragile ne compare una in carne ed ossa, è Emma.
- Signorina Adams! Cosa ci fa ancora qui fuori?! Fa freddissimo e lei è congelata, sta tremando e ha le labbra viola! Venga dentro forza o sia ammalerà sul serio – Mi circonda le spalle con le braccia e mi strofina le mani sulla schiena per riscaldarmi e mi conduce dentro. La seguo senza obiettare – Doveva coprirsi prima di uscire! Siamo al 30 di Dicembre, non è mica estate! – Mi accompagna fino in camera e poi mi mette una coperta sulle spalle. Sento subito il cambiamento di temperatura. Nelle mani e nei piedi ricomincia a circolare il sangue e sento il calore che piano piano invade il mio corpo.
- Q-quanto tempo sono rimasta fuori? –
- Circa un’ora. Ci siamo incontrate nel corridoio intorno alle 11.00 e ora è mezzogiorno. Sono venuta a portarle il pranzo e non l’ho trovata. Sono subito venuta a cercarla sul balcone. Meno male che doveva solo prendere una boccata d’aria! Forza signorina Adams... –
- Sophie, mi chiami Sophie. E la prego mi dia del tu. Non sopporto che mi si dia del lei. Mi fa sentire vecchia. – Riesco a sorriderle.
- Bene, Sophie, finisci di mangiare tranquillamente intanto vado a prenderti un tè caldo così ti riprendi e ti scaldi più in fretta – Prima di uscire però si volta e mi guarda sorridendo – Comunque anche io odio che mi si dia del lei, quindi per te io sono Emma – Annuisco prima che lei si chiuda la porta alle spalle e continuo il mio pranzo.

Quando torna ha un bicchierino della macchinetta con dentro del tè in una mano e qualche biscotto pre-confezionato nell’altra.
-Grazie, sei molto gentile – Comincio a sorseggiare il tè e il senso di calore aumenta.
- Sophie? C’è qualcosa che non va? Prima quando ti ho visto al di là del vetro sembravi molto triste, avevi lo sguardo assente, eri immobile, come paralizzata. Se vuoi con me puoi parlarne, capisco come ci si sente quando si perdono le persone a cui si vuol bene. –
- Grazie mille, Emma. Non posso certo dirti che va tutto bene, che è tutto a posto, perchè sarebbe una bugia colossale, lo sappiamo tutti. Solo non mi va di parlarne, scusa. È ancora troppo presto. –
- Certo, ti capisco. Comunque se hai bisogno sai dove trovarmi.-
- Grazie davvero, Emma, per tutto.-
- Figurati. – Non sarei mai riuscita a ringraziarla abbastanza per tutto quello che aveva fatto in questi giorni, mi aveva aiutato davvero tanto a superare la morte della mia famiglia. – Comunque farai meglio a prepararti, oggi ti dimettiamo. –
- Ah, bene. – No che non andava bene. Non andava bene per niente. Chi mi sarebbe venuto a prendere? Dove sarei andata? E Jade? Avevo bisogno di parlarle. Almeno un’ultima volta. Almeno finché ero qui avevo un posto dove stare, mentre ora non so nemmeno dove andrò a finire.
- Ehi, Sophie, non sei contenta? Finalmente uscirai di qui. Non sarai più costretta a mangiare il cibo orribile che cucinano giù in mensa e sarai libera di andare dove vuoi. – Riusciva ad alleggerire anche i momenti più tesi.
- Già, scusa se lo dico ma il cibo era davvero immangiabile. Comunque dove sono i vestiti che avevo la sera dell’ incidente? Perchè ho solo quelli vero? –
- Ehm, si hai solo quelli con cui sei arrivata qui – Ecco, te li avevo messi nell’armadietto –
- Grazie. Vado a cambiarmi allora. – E intanto mi avvio verso il bagno. Dopo essermi vestita mi sciacquo un po’ il viso ed elimino del tutto le tracce del pianto. Il mio aspetto è migliorato un po’ rispetto a come mi ero vista riflessa sul vetro. Almeno ora sono quantomeno presentabile.
- Emma, ma la fascia la posso togliere, vero? –
- Oh, sì ora te la tolgo – Mi si avvicina e inizia ad allentare la fascia finché non la slega del tutto. A dire il vero fa un po’ male ma è sopportabile. – Dobbiamo anche cambiare il cerotto, vieni – Mi porta in bagno e tira fuori un cerotto molto grande dall’antina. Mi toglie l'altro e disinfetta la ferita. È la prima volta che la vedo. Brucia tantissimo. È un lungo taglio obliquo sulla fronte, che parte dal centro e finisce sulla tempia destra.
- Perché non mi sono mai accorta che mi cambiavate i cerotti e le bende? –
La domanda sorge spontanea, non posso aver tenuto lo stesso cerotto e la stessa fascia per una settimana, devono pur avermelo cambiato qualche volta.
- Perché li cambiavamo mentre dormivi, ti facevamo una leggera anestesia per non farti sentire dolore. Fidati, è stato meglio così. Prima la ferita era molto più profonda, ora si è rimarginata, avresti sentito molto male se fossi stata cosciente. Comunque ora la fascia non c’è più bisogno di tenerla. Basta solo il cerotto. -
Mentre usciamo dal bagno la porta della stanza si apre ed entra un'infermiera.
- Signorina Adams, ha visite. – Detto questo se ne va e dietro di lei compare una ragazza alta dai capelli castani.
- Jade! – Le corro incontro e le salto al collo. Non vedevo l’ora di riabbracciarla.
– Finalmente sei venuta! Mi sei mancata tantissimo! Avevo bisogno di vederti, di parlarti. – Affondo il viso nei suoi capelli e la stringo forte.
- Anch’io Sop, anch’io -
Restiamo così, abbracciate, finché la voce di Emma non ci interrompe.
- Ehm bene, io vi lascio sole, avrete tante cose da dirvi. Solo, Sophie, ricordati che fra un'ora ti vengono a prendere. Devi farti trovare giù in sala d’attesa. Ovviamente stai tranquilla vengo io ad avvisarti quando è il momento di andare.
- Dove andrai Sophie? Chi ti viene a prendere? –
- Non lo so nemmeno io – Mi era completamente passato di mente di chiederlo a Emma. Ero troppo presa dal pensare a dove sarei andata per chiedermi chi mi sarebbe venuto a prendere. – Emma, tu lo sai?
- Sì, viene un assistente sociale, penso. Credo che ti debbano comunicare dove andrai, prima di accompagnarti. Non penso che ti mandino direttamente anche perché dovrai passare da casa tua per prendere le tue cose, suppongo. –
- Oh, ok grazie. –
- Bene, a dopo Sophie. Arrivederci. – Detto questo esce dalla stanza e io rimango da sola con Jade.
Ci sediamo sul letto e soltanto guardandoci ci capiamo, gli occhi cominciano a pizzicare mentre cerchiamo di cacciare indietro le lacrime e ci stringiamo in un altro forte abbraccio in cui diciamo più di quello che potremmo esprimere a parole.

Alla fine dopo qualche minuto è Jade che rompe il silenzio.
- Sophie, lo sai vero che per te io ci sarò sempre? Chiedimi qualunque cosa e farò l’impossibile per accontentarti. Se potessi ti ospiterei anche a casa mia fino a quando non divento maggiorenne e poi mi trasferirei e ti adotterei, ma purtroppo la scelta non dipende da me, i miei genitori hanno già tre figli a cui pensare e doverne sfamare un quarto per loro è impensabile. -
- Tranquilla, Jade. Lo so che posso sempre contare su di te se ho bisogno. Non serve che tu me lo dica. Ti chiedo solo di rimanermi accanto, sei l’unica che può capire davvero come mi sento e da sola non ce la faccio a superare tutto questo –
- Certo, tesoro. Non ce nemmeno bisogno di chiederlo. Sai che farei questo ed altro per te -
- Mi mancano davvero tanto, Jade. Ogni giorno che passa è come se il vuoto che ho dentro si allargasse sempre di più. – Ormai non ha più senso trattenere le lacrime. Mi sono tenuta tutto dentro per troppo tempo. Ora è giusto che mi sfoghi un po’.
- Lo so, Sop. Mi sento nello stesso modo. È come se qualcosa qui dentro, dentro al petto, è come se stesse crescendo sempre di più. E cresce nutrendosi di me. Mancano tanto anche a me, e non solo Jay, ovvio, anche Rose e Charlie. Erano come due secondi genitori per me. Dobbiamo farci forza a vicenda e aiutarci a superare questo brutto momento. Col tempo tutto sarà più facile. Non dico che si sistemerà ogni cosa, ma sarà più facile. -
- Certo, dobbiamo avere fiducia nel tempo. Il tempo guarisce tutto, sì.- Il tempo guarisce ogni ferita, dicono. Speriamo sia vero. – Ma ora cambiamo argomento, ti prego. Parlami del tuo viaggio in Francia. Com’è stato? –
- È andato alla grande, fino a Natale, dopo non lo so. Negli ultimi giorni ero come un robot. Mi muovevo, facevo tutto, ma era come se la testa fosse da un’altra parte. Col corpo ero in Francia, ma con la mente ero qui a Londra. Se sono rimasta lì fino a ieri, è perché non potevo partire, l’aeroporto era chiuso per il maltempo. Ma credimi, fosse per me sarei venuta qui subito dopo l’incidente. –
- Non ti preoccupare, piuttosto parlami della prima parte del viaggio, cos’hai visto? –
- Sono stata due giorni interi a Parigi. Ho visto tantissime cose, tutti i luoghi più belli, entrambe le sere sono stata sulla Torre Eiffel, è stupenda. Ho comprato moltissime cose. La vista dalla cima della Torre è mozzafiato. Da lì si vede quasi tutta Parigi. Molte coppie si baciavano, non so se è una tradizione o meno, so solo che è una cosa assolutamente romantica... Avrei tanto voluto che James fosse stato lì con me. – Continua a raccontare, io ascolto rapita. È sempre stato il mio sogno visitare Parigi, la città dell’amore. Mi dice tutto quello che ha visto, ogni cosa che ha fatto. Alla fine mi consegna un pacchetto, dicendo che appena l’ha visto a pensato subito a me. Lo scarto: è una confezione della Lancôme, che contiene ogni genere di prodotto di cosmetici: da creme e trucchi per il viso a smalti per le unghie a lozioni per il corpo. Direi che come regalo è azzeccato: lei sa quanto mi piaccia sperimentare nuovi trucchi e nuovi abbinamenti di colori e di stili.
- Ti piace? – Mi chiede Jade appena vede l’espressione sul mio volto.
- Sì, tantissimo! Grazie mille! Lo sai quanto adoro queste cose. –
-Lo so, te l’ho preso apposta. Comunque avevo comprato anche questi per i tuoi genitori e per James. Però voglio che li tenga tu. – Mi porge tre pacchetti. Sul primo c’è scritto “Alla seconda mamma e cuoca migliore del mondo. Per essere alla moda anche davanti ai fornelli”. Lo apro e contiene un grembiule da cucina con l’immagine di alcuni piatti tipici francesi e c’è anche ricamato il nome “Rose”. Abbinati ci sono anche due guanti, sempre da cucina. – So quanto piaceva cucinare a tua mamma. –
- Già, le sarebbero piaciuti davvero molto. – Apro il secondo pacchetto su cui c’è scritto “Al signor Adams che ama intrattenere gli ospiti descrivendo i suoi viaggi migliori. Un piccolo pensiero per immortalare i momenti speciali.” E ne tiro fuori un album fotografico con le foto della Francia e l’ultimo modello di macchina fotografica della Canon. Papà amava fotografare tutto. Il terzo pacchetto ha solo una breve frase “A cento di questi giorni, amore”. Lo scarto e tiro fuori una cornice che contiene una foto di Jade e mio fratello sul London Eye e una collana di quelle che hanno il cuore diviso a metà per regalarne una alla persona amata. Alzo lo sguardo su Jade e mi accorgo che sta piangendo. D’istinto la abbraccio.
- Forse questo è meglio che lo tenga tu...-
In quel momento entra Emma per avvisarci che gli assistenti sociali sono arrivati dovrei scendere.

Prendo le scale, per guadagnare tempo. Cammino il più lentamente possibile, ma quando arrivo nell’atrio dell’ospedale per poco le mie gambe non cedono. Non è difficile riconoscere quelli dell’assistenza sociale, sono due uomini in giacca e cravatta, immobili, con un'espressione talmente seria che sembrano quasi dei manichini. Mi avvicino molto lentamente cercando di mostrare una sicurezza che non possiedo affatto.
Appena si accorgono della mia presenza si voltano verso di me, dopo essermi detti qualcosa fra loro.
- Lei è la signorina Sophie Adams? – Mi chiede uno dei due guardando scettico Emma e Jade.
- Sì, sono io. –
- Bene, noi siamo degli assistenti sociali e dato che sei minorenne, il nostro compito è affidarti a qualcuno che abbia le competenze adatte. –
- D’accordo. E chi sarebbe questa persona? – Ma non possono farla breve e dirmi dove andrò a vivere?
- Non c’è fretta, ragazzina. – Oh, forse per loro non c’è fretta – Prima di tutto dovremmo parlarne in privato. Chi sono queste ragazze? –
- Può tranquillamente parlare davanti a loro. Lei è la fidanzata di mio fratello, non abbiamo segreti, e lei è l’infermiera che mi ha aiutato in questi giorni. –
- La ragazza passi, ma l’infermiera non può restare. –
- Sì, certo. Allora io vado. E... buona fortuna, Sophie. Addio. –
- Grazie, Emma. Grazie di tutto. – La abbraccio e poi la guardo allontanarsi finchè gli assistenti non riportano la mia attenzione su di loro.
- Come dicevo, abbiamo trovato qualcuno che potrebbe adottarti. È l’unica tua parente che siamo riusciti a rintracciare. Si chiama Barbara Costantini,  è una zia di tua madre, sorella di tuo nonno... – Costantini, sorella del nonno, il nonno è italiano.... no, non può... – e abita in Italia. – Ecco, appunto.
-I-in Italia? - io e Jade eravamo entrambe sbalordite.
- Certo. Questa tua zia abita in Italia, a Venezia. Quindi dovrai trasferirti lì. Che tu lo voglia o no. 


*Spazio dell'autrice*
Ciao a tutti!! Come vi è sembrato questo primo capitolo? Vi è piaciuto? Spero tanto di sì. Mentre lo scrivevo ho quasi pianto e penso che sia davvero commovente...
Ovviamente la storia non è incentrata solo su Sophie e quindi dal prossimo capitolo scopriremo la vita che vivrà in Italia, e come la vivrà. Il genere è romantico ma non è il tema principale. Tutto si svolge attorno al rapporto fra Sophie e Martina (la vedrete nel prossimo capitolo, e con questo ho già svelato troppo :D)
Questa storia è stata scritta anche dal punto di vista di Martina, l'altra protagonista, dalla mia amica, o meglio socia, e la potete trovare sempre su questo account, quindi...leggetelaaaaaaaaaaa!!! XD 
Mi farebbe davvero piacere sapere cosa ne pensate e quindi vi chiedo di lasciare qualche recensione appena avete un po' di tempo. Per un'autrice è importante sapere cosa pensano i lettori e poi fa sempre piacere vedere che qualcuno è interessato ai suoi scritti :)
E con questo vi lascio. Ciauuuz!
Silvia

  
Leggi le 2 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
   >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Romantico / Vai alla pagina dell'autore: Old Paradise Street