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Autore: SerenaDeA    02/07/2013    0 recensioni
Elyna Doria è genovese e non lo negherà mai. Da anni vaga per la Valle d'Aosta, un paese che odia profondamente perché la tiene lontana dalla sua amata Genova. Eppure, non può tornare.
La ferita non dava segni di guarigione. Ero presa frequentemente dalla febbre; regolarmente, verso sera iniziavo a delirare.
- Loenso… appreuvo a mi… l’ho ammassou, ucciso… io… mi l’avei ammassou! Segnô, sarvame! Ascì mi... anche io... morta... non volevo... scià, perdon! Segnô, perdon! Lollo, perdoname... no... Mi no voevo, zuo... Giuro! Ma... Lollo, portame con ti... Segnô, ammassame, te prego... belin, Segnô, te prego!
Dopo quasi una settimana mi ripresi. La gamba mi faceva ancora male e faticavo a camminare. Ma durante la convalescenza avevo capito una cosa.
Genere: Drammatico, Generale, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Prologo - Contime 'na stoja

Prologo


L’incendio infuria alle mie spalle, una lama di calore mi sfiora una spalla. Ho undici anni. Un dolore bruciante, un buco nella stoffa, provocato da una spada o un pugnale? Non mi volto a guardare. Sono terrorizzata. Corro ancora più velocemente, tenendomi la spalla. Erano arrivati. Quelli che mia madre temeva. Qualcosa mi sbarra il cammino; incespico e cado, ma niente m’impedisce di strisciare tra le foglie secche. Sento qualcosa che mi sfiora, uno stivale preme sulla mia ferita. Urlo di dolore e paura mentre una mano rude mi afferra i capelli e mi alza da terra.  È un uomo, con una faccia sporca e macchiata di sangue. Ghigna feroce al mio terrore, e d’un tratto mi ritrovo a non aver più paura. Rabbia. Una rabbia furiosa scorre nel mio corpo come veleno, la uso: mordo la mano dell’uomo che mi tiene, lui mi molla con un gemito e un’imprecazione. Faccio in tempo a voltarmi e a sfilargli lo spadone dalla cintura. Lui mi prende per la gola, ed io sfrutto le lezioni di scherma che mi aveva dato mio padre: tondo, affondo. La mano dell’uomo si stacca dal polso. Continuo a combattere, mio malgrado, per quella vita che non mi merito. Ancora, tondo, affondo. Con un altro grido l’uomo mi dà un violento calcio. Cado a terra. Lui mi è sopra. Mi toglie la spada di mano con un sorriso trionfante. Stupido, penso. Tiene l’arma in modo che se l’avessi spinta verso di lui l’avrei ammazzato. Rimango lì, indecisa; istinto o ragione? Vita o morte? L’istinto ha la meglio; mi alzo di scatto e spingo con tutte le mie forze. Il mio affondo gli ha trafitto il ventre, perde sangue, muore. La mia mente rimane come paralizzata. Ho ucciso. Ancora.
La mia mente vola a quattro anni fa. I giochi, la pietra, l’acqua limpida, il sangue scarlatto. Un pugnale risplende vermiglio nella mia mano. Il terrore e le urla. Non capivo cosa fosse successo, ma una certezza era vivida nella mia mente. L’ho ucciso. Le parole di un ragazzo rimbalzano nella mia mente. 
- Ti l’ha ammassou, a l’ha ammassou! - grida verso di me e agli altri che stanno intorno. L’ho ammazzato. Sì, l’ho ammazzato. Segnô, l’ho ammassou. Pietæ, Segnô, pietæ.
 
Mi alzai con un sussulto. Dopo troppi secondi mi resi conto che era solo un incubo. Da molto tempo non sognavo piùquegli anni, era segno che qualcosa sta per finire. Il passato mi veniva incontro, non potevo più nascondermi.  Mia madre mi aveva insegnato a interpretare i sogni; sapevo perfettamente cosa questo significava: nuovo dolore, altre decisioni da prendere, altri sbagli, altre morti, altri cambiamenti, ma in peggio o in meglio? Non lo sapevo.
  
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