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Autore: One_Directioner    03/07/2013    4 recensioni
Poco prima ero comodamente seduta sulla poltrona in salotto, guardando l’uggiosa Londra piangere le sue solite lacrime. Ogni volta che mi mettevo a guardare la pioggia, la malinconia prendeva il possesso di me e tanti ricordi dolci ed amari mi riaffioravano alla mente. Riuscivo ancora a vederci correre sotto la pioggia. Tutti quanti vedendoci avrebbero riconosciuto in noi due innamorati. Una piccola lacrima scivolava sul mio volto rugoso, mentre chiudevo gli occhi, lasciandomi affogare nei ricordi.
Genere: Drammatico, Malinconico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna | Personaggi: Altri, Harry Styles
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Memories.


Giro la maniglia della porta per entrare in soffitta e, una volta entrata, quello che mi trovo davanti mi rallegra e rattrista allo stesso tempo. Forme di mobili coperte da bianchi lenzuoli impolverati, scaffali pieni di libri, scatole sparse per tutta la stanza, talmente tante da quasi rendere invisibile il pavimento. L’unica luce è data da un piccolo lucernario al centro del soffitto. A fatica mi faccio avanti in quel caos ordinato, viaggiando con gli occhi per tutta la stanza alla ricerca di quell’oggetto.

Qualche ora prima prima ero comodamente seduta sulla poltrona in salotto, guardando l’uggiosa Londra piangere le sue solite lacrime. Come ogni volta che guardo la pioggia, la malinconia aveva preso possesso di me e tanti ricordi dolci e amari affiorarono alla mia mente. Riuscivo ancora a vederci correre sotto la pioggia. Tutti quanti, vedendoci, avrebbero riconosciuto in noi due innamorati. Una piccola lacrima scivolava sul mio volto rugoso, mentre chiudevo gli occhi, lasciandomi affogare nei ricordi.
                                                                    
Scendo velocemente le scale, cercando di fare meno rumore possibile; i miei genitori stanno dormendo, ma non voglio rischiare di farmi scoprire. Prendo le chiavi e chiudo la porta, accompagnandola. Percorro il vialetto di casa e lo vedo. Appoggiato al lampione, mani in tasca e aria spavalda. Mi avvicino a lui. L’ombra dei suoi riccioli che riusciva a coprire il suo viso scompare man mano che si avvicina a me e finalmente riesco a vedere quegli smeraldi che poi avrei scoperto di amare.
- Sei arrivata finalmente – mi dice, prima di appoggiare una mano sul mio fianco. Un brivido mi colpisce al suo tocco, lui se ne accorge e sorride. – Che ne dici, ci facciamo un giro? – Annuisco e inizio a camminare al suo fianco. Sto facendo la figura della scema, ma mai mi sarei aspettata che Harry mi chiedesse di vederci. Sono più piccola, sicuramente meno matura. Cosa può trovarci in me?
Percorriamo la strada in silenzio, fino a raggiungere Hyde Park, che riesce sempre a calmarmi un po’. Sarà che ci ho passato tutta la mia vita.
Costeggiamo il laghetto, sto per sedermi su una panchina, ma Harry me lo impedisce. – Sdraiamoci sull'erba, così guardiamo le stelle. - Lo guardo un po’ sorpresa dalla sua proposta, ma accetto sorridente, mi piace come idea.
Passiamo un’ora buona a osservare il cielo, a immaginarci costellazioni tutte nostre e a conoscerci meglio, e scopro con piacere che Harry non è il ragazzo altero che immaginavo, è sorprendente.
Arrivati davanti a casa corriamo fin sotto al portico, così da poterci nascondere, e ci sediamo dietro alla staccionata.
- Grazie per la serata, Harry. Mi sono divertita - gli dico, sorridendogli.
- Anch'io Luce. Quando posso rivederti? - la sua richiesta mi sorprende, non me l’aspettavo.
- Non so Harry, i miei… - cerco di rispondergli, ma lui non mi lascia finire la frase.
- Vediamoci di nascosto, come stasera. - mi chiede, con lo sguardo entusiasta di chi sa di aver appena avuto un’idea meravigliosa. Non sono sicura che sia la cosa giusta da fare, ma lui mi prende una mano e guardandomi negli occhi mi sussurra – Ti prego Luce… - lascio perdere le parole, lui mi guarda e legge nei miei occhi la risposta. Le sue labbra si aprono in un sorriso e in un moto di gioia mi abbraccia. Mi coglie di sorpresa, è una strana sensazione, ma potrei anche abituarmici…

 
Frugo tra gli scaffali impolverati, scopro i mobili alla ricerca di quell’oggetto che sembra sparito. Alzo con fatica qualche scatola e, finalmente, lo trovo. È un bauletto di legno, con qualche lavorazione incisa sul coperchio. Con un rapido movimento caccio via tutta la polvere che lo ricopre e lo apro, venendo subito colpita dall’odore pungente della vecchia carta. Scopro una poltrona dal telo che la ricopre e mi ci siedo, per osservare più comodamente il contenuto del bauletto: biglietti, lettere e molte fotografie. Prendo in mano qualche foto e lentamente le osservo una a una, sentendo una strana sensazione nascere in me. Molto tempo prima le avevo messe in ordine cronologico, quindi riguardarle ora è come rivivere la nostra storia, mia e di Harry. Dal fidanzamento ufficiale, nonostante i miei genitori non fossero d’accordo, al nostro matrimonio, la nascita della nostra bimba, fino alla sua partenza per la guerra, causa delle decine di lettere che conservavo gelosamente dentro quel bauletto. Abbandono le foto e prendo in mano i fogli di carta rovinati. Le rileggo una ad una e piano le lacrime si fanno spazio sul mio viso, lacrime silenziose e dolorose. Posso sentire ancora quello che provavo in quel periodo. L’ansia, la paura, il terrore di non poterlo più stringere tra le braccia. Una sensazione di abbandono contro la quale lottavo giorno e notte. Allora, per scemare un po’ la mia tensione, iniziai a scrivere lettere che poi mai gli avrei mandato. Un po’ come un diario destinato a lui. Scrivevo ciò che facevo ogni giorno, come per renderlo partecipe della mia normale quotidianità. Scrivevo le mie sensazioni, le mie paure. Scrivevo di amarlo, che mi mancava e che non vedevo l’ora che tornasse. Cercavo di mantenere un minimo della sanità mentale che la sua partenza mi aveva portato via.
Letta anche l’ultima lettera un altro forte ricordo mi colpisce come un’onda e mi ritrovo di nuovo a chiudere gli occhi, abbandonata allo schienale della poltrona che sembra abbracciarmi, cercando forse di consolarmi…

- Vieni qua piccola, fatti abbracciare.  –con un sorriso smagliante prende in braccio la bambina che non riesce a capire perché il suo papà se ne stia andando.
Io li osservo, appoggiata allo stipite della porta che dà verso il soggiorno. Lo vedo guardare negli occhi la piccola Emily, sussurrarle di stare tranquilla, che il papà sarebbe tornato presto, e stringerla forte tra le braccia. – Vedi, il papà sta andando a combattere tante persone cattive per proteggerti, perché non vuole che tu e la mamma vi facciate male. Vedrai che torno in un baleno, piccola mia. E appena torno ti porto al parco e a prendere il gelato che ti piace tanto, magari con qualche tuo amichetto. - la sta rassicurando lui. La stringe in un ultimo abbraccio e la posa a terra. Lei però. prima di salire in camera sua, gli riafferra la mano.
- Io ti prometto che ti aspetterò, ma tu promettimi che tornerai. - gli sussurra, con gli occhi lucidi.
- Te lo giuro. - le risponde lui, abbassandosi alla sua altezza e dandole un bacio sulla fronte.
Una volta salita la bambina, lo guardo e gli vado incontro. Lui mi prende tra le sue braccia e mi bacia, con una dolcezza disarmante. Sento la sua paura, ma anche la sua volontà, la sua forza, la sua voglia di vivere. E sento che sarà in grado di mantenere la promessa fatta a nostra figlia. Mi faccio forza, devo farmi vedere forte, per lui.
Interrompo il bacio e faccio sfiorare i nostri nasi, per poi appoggiare la mia fronte alla sua. Sospiro.
- Ricordati la promessa che hai fatto ad Emily. Devi tornare... - gli dico, con voce flebile.
- Stai tranquilla amore mio, non succederà nulla... - mi rassicura lui, con voce ferma. Lui vuole tornare.
- Guarda che se non torni ti vengo a prendere io e ti riporto a casa di peso... E non ti conviene… - gli dico con tono minaccioso e scherzoso allo stesso tempo, cerco di sciogliere un po’ la tensione.
Una macchina accosta di fronte al vialetto e un clacson suona. Deve andare. Ci scambiamo un ultimo bacio e lo osservo allontanarsi, salire in macchina e andarsene, senza mai voltarsi.

Chiudo la porta alle mie spalle e mi ci appoggio, iniziando a scivolare lentamente verso il basso. Finalmente posso piangere.
 
- Mamma... Mamma dove sei? -
Una voce mi risveglia dai pensieri, è Emily. Vorrei dirle che sono qua e che sto bene, ma non ho la forza di alzarmi e di abbandonare il passato.
Come se mia figlia mi avesse capito, sento dei passi salire le scale, sempre più vicini. La porta si apre ed Emily, vedendomi in quelle condizioni, corre verso di me.
- Mamma stai bene? Ti è successo qualcosa? Perché piangi? – mi chiede, ma poi il suo sguardo cade sul bauletto e non ha bisogno di una mia risposta. Mi abbraccia. -  Mamma perché l’hai riaperto? Ti avrò detto mille volte di non farlo. Non voglio che tu soffra. -
- Mi manca, Emily… –
le sussurro, esprimendo tutto il mio dolore, guardandola come chiedendole aiuto.
- Manca anche a me mamma… - mi risponde.
Restiamo lì, a far nulla, per non so quanto tempo. Poi scendiamo ed Emily prepara due tazze di tè che beviamo in salotto.
- Voglio andare a trovarlo, è un po’ che non ci vado... – le dico. Lei annuisce.
- Domani ti ci porto, ora è tardi mamma. Devo andare. Tu promettimi che non salirai più da sola in soffitta però... – mi chiede lei apprensiva e dispiaciuta di non potermi portare da lui, al cimitero.
- Te lo prometto. – le dico, sapendo che mai avrei mantenuto quella promessa.
  
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