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Autore: myheartwillgoon    03/07/2013    3 recensioni
Tutto iniziò con una vacanza... Da sola, a Dublino
La famiglia che la ospita diventa la sua seconda casa. Marito e moglie con due figli adorabili.
Uno scontro con un uomo al parco la condiziona nel profondo.
Una serie di coincidenze li riporta a rincontrarsi.
Un incidente e tutto va a rotoli.
L'odio che prova è grande, ma riuscirà a resistere al suo cuore?
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Danny O'Donoghue, Glen Power, Mark Sheehan, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 3   “Malinconia”


Passarono due settimane da quell’evento ma la ferita rimaneva aperta. Non sono una di quelle che si dimentica presto di tutto, ci metto molto ad assimilare simili colpi. Continuavo ad ascoltare la sua musica, ma con malinconia, come se mancasse qualcosa alle parole di ogni canzone, come se mancasse sempre la fine di ogni strofa, come se mancasse qualcuno per completarla.
   Andai ancora al parco ma non lo incontrai più. Ogni volta che ci incamminavamo per quel luogo il mio battito accelerava come se dopotutto sperassi di ritrovarmelo davanti con un mazzo di fiori pronto a chiedermi scusa. Nessuna traccia. Poco male, cercavo di far credere a me stessa.
   Il lunedì della terza settimana Alisha avendo la giornata libera ci propose di andare a trovare suo marito al lavoro. Lei era un’infermiera, mentre della professione di Chris non sapevo nulla.
   Prendemmo il bus e vi restammo fino in centro quando Alisha e i bambini si alzarono. Ero talmente immersa nei miei pensieri che non mi accorsi di dover scendere finché Nick mi strattonò per una manica. Mi ridestai scuotendo la testa e sorrisi, fingendo che fosse tutto a posto.
 

Il suo sguardo si era soffermato sulla schiuma che scendeva attraverso lo scarico della doccia. Uscì, legandosi l’asciugamano attorno alla vita. Si osservò allo specchio. La pelle chiara sembrava più pallida del solito e gli dava un aspetto malaticcio che solitamente non aveva. I capelli corvini parevano impazziti e la barba di qualche giorno lo rendeva ancora più trasandato.
   «Datti una mossa, sembri uno zombie» disse alla sua immagine, schiaffeggiandosi le gote e facendole arrossare. Accese la radio e alzò il volume. Si sistemò i capelli e si rase. Tornò nella camera da letto, aprì l’armadio e si infilò una camicia e un paio di jeans neri. Controllò l’orologio, aveva ancora quasi un’ora prima dell’appuntamento con Mark e Glenn.
   Sdraiato sul suo letto chiuse gli occhi e la memoria lo divorò come una belva affamata.
   Gli sembrava di sentire ancora il profumo di Helen, quante volte si era sdraiata lì, lamentandosi del fatto che lui non riuscisse a sistemare il letto decentemente. In quanto a faccende domestiche era sempre stato un disastro. Aveva una donna che stirava i vestiti e puliva casa, ma almeno un paio di coperte era in grado di gestirle, anche se non bene.
   «Amore, ti ho mai detto che ti vedrei bene con un grembiulino nero di pizzo a fare la polvere?» gli diceva, ridendo.
   Aveva una risata così contagiosa che era impossibile resistere. Un giorno l’aveva fatto davvero, per il compleanno di Helen. Aveva comprato un grembiulino sexy e l’aveva indossato, rendendosi ridicolo davanti a tutti i presenti della festa a sorpresa. Non gli era importato, almeno lei aveva gradito molto.
   Il loro primo anniversario l’aveva portata a vedere le scogliere. Lei si era commossa e per tutta la giornata non aveva abbandonato il sorriso, nemmeno per un secondo.
   Aprì gli occhi e si sentì singhiozzare come un neonato.
   I bei ricordi presto sparirono per lasciare spazio alla litigata che gliel’aveva portata via. Non aveva più risposto alle sue chiamate, non un messaggio. Così aveva deciso di lasciarla continuare la sua vita. Le aveva preso un mazzo di fiori e li aveva lasciati fuori dalla sua porta, con una lettera in cui si scusava per tutto.

A Helen,
perdonami per tutto quello che ho fatto di male, per quanto ti ho fatta soffrire. Ora ho capito che hai bisogno di ricominciare una vita fuori da questo carcere. Mi dispiace non esserci, ma passerà..
Ti amo,
Danny.

 

Era una specie di grattacielo, non altissimo, a dir la verità. Alisha suonò a uno dei citofoni e subito gli fu aperto. Ci invitò ad entrare come se fossimo a casa sua. Prendemmo l’ascensore e salimmo fino all’ultimo piano. Ero curiosa di sapere dove stessimo andando, ma non chiesi.
   Cleo mi teneva per mano e mi aveva nominato sua sorella, cosa che mi rendeva estremamente orgogliosa.
   Il campanello dell’ascensore ci avvisò dell’arrivo al piano. Uscimmo e ci ritrovammo in una sala abbastanza grande e molto luminosa, con grandi vetrate su tutta la parete più ampia. Ai muri erano appesi numerosi poster di band irlandesi e non, a partire dagli U2. Mi venne in mente casa, dove mio papà ascoltava spesso i loro cd a tutto volume. Sorrisi tra me e me.
Notai anche dischi d’oro e di platino affissi in preziose cornici. I bambini si precipitarono verso le poltroncine rivestite di raso. Questa stanza comunicava con un’altra molto simile, divisa in due da una vetrata. All’interno due uomini stavano sistemando alcuni strumenti musicali mentre intravidi Chris di spalle che sistemava la console per la registrazione.
   Capii immediatamente dove ci trovavamo: in uno studio di registrazione.
  
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