L’aereo atterrò senza problemi di sorta e Rachel sembrò scoppiare di gioia per il fatto di essere finalmente tornata con i piedi ben piantati a terra.
«Giuro,
a Jump torno a piedi!» esclamò, mentre aspettavano
i loro
bagagli.
«Se
vuoi metterci quei cinque o sei mesi, fai pure. Io credo che
prenderò l’aereo» ribatté
Garfield, ridacchiando. La ragazza stava per
replicare, quando il tapis roulant entrò in azione e le
valigie cominciarono a
scorrere lente davanti a loro. Con grande cavalleria, il biondo
recuperò anche
il trolley della ragazza, che lo ringraziò.
«Dovrebbe
esserci qualcuno ad aspettarci, giusto?» domandò
poi,
alzando lo sguardo su Garfield, che indicò qualcosa dietro
di lei con
un’espressione alquanto stupita: «Qualcuno tipo
lui?»
Rachel
si voltò e seguì il dito del biondo, che puntava
un uomo di
mezza età che sembrava essersi vestito al buio, navigante in
un bagno di
sudore. E che reggeva un cartello con i loro nomi.
«Ti
prego, dimmi che non è vero» gemette la ragazza,
non riuscendo
comunque a distogliere lo sguardo da quello scempio d’uomo.
«Se
vuoi non te lo dico, ma non credo che cambierà
qualcosa»
replicò il biondo.
«Come
temevo» borbottò lei, facendosi forza e
cominciando a
trascinare il trolley in quella direzione.
«Bè,
perlomeno sembra un tipo simpatico» commentò
Garfield,
seguendola.
«Anche
io sembrerei simpatica, con una giacca verde acido e dei
pantaloni rossi. Senza dimenticare la camicia azzurra»
replicò Rachel,
storcendo il naso.
«Ma
tu sei simpatica» disse il ragazzo, senza nemmeno badare a
quel che stava dicendo.
La
ragazza arrossì. Non era abituata a sentirsi fare dei
complimenti e soprattutto da un ragazzo. Non che avesse una cotta per
Garfield,
assolutamente no! E naturalmente lui non aveva una cotta per lei,
giusto? Dopo
averlo sentito cantare in aereo non era più riuscita ad
addormentarsi, ma si
era convinta che stesse solo seguendo il film. Lei cantava sempre,
quando
guardava i film, mandando in bestia Richard che non riusciva a seguire
la
storia. Era logico pensare che lo facesse pure Garfield, giusto? Anche
perché
non poteva piacergli in quel senso… E poi, quella Markov si
era dichiarata. Le
doveva aver risposto, no? Certo, i loro addii non erano stati
così strazianti
come si immaginava, ma magari si erano salutati in privato…
«Ehi,
ci sei?» le chiese preoccupato il ragazzo, voltandosi a
guardarla: si era fermata di botto e aveva lo sguardo fisso.
«C-Come?»
rispose lei, brillantemente.
«Tutto
bene?» domandò Garfield.
«Sì.
Non… Non farci caso» replicò lei,
ricominciando a camminare.
“Chi
la capisce, è bravo” pensò il ragazzo,
affrettandosi a
raggiungerla.
«Salve.
Lei è della Juilliard?» domandò
educatamente Rachel,
quando raggiunsero l’uomo che reggeva il cartello.
«Oh,
sì, esatto. Voi siete Rachel Roth e Garfield Logan, da Jump
City?»
chiese l’uomo, asciugandosi il sudore con un fazzoletto viola
a pallini gialli.
Garfield soffocò una risata, mentre Rachel lo guardava
orripilata. Con uno
sforzo enorme, i due riuscirono ad annuire.
«Ottimo!
Seguitemi, seguitemi. Gli altri ragazzi sono già
arrivati. Sono certo che diventerete ottimi amici!»
esclamò gioviale l’uomo,
facendogli cenno di seguirlo e zampettando allegramente attraverso
l’atrio. I
due ragazzi si scambiarono uno sguardo, poi lo seguirono.
Raggiunsero
un minibus nel parcheggio dell’aeroporto, davanti al
quale c’era un gruppetto di ragazzi, pressappoco della loro
età. La loro guida
li indicò: «Abbiamo studenti da ogni parte del
mondo, ma lasciate che ve li
presenti: dunque, Maria e Klaus sono austriaci; Dimitri e Alexandra
vengono
dalla Russia; Ines e Cesar dalla Spagna; Clara e Fabrizio, italiani;
Noriko e
Kota, dal Giappone e poi Élodie e François,
francesi.»
Rachel
e Garfield fecero dei cenni ogni volta che lui nominava una
coppia di ragazzi. Terminato l’elenco, indicò loro
due: «Questi sono Garfield e
Rachel, direttamente dalla California. Ma vi conoscerete meglio in
questi tre
mesi. Prego, salite. La scuola ci aspetta!» Fece una risata e
si accomodò al
posto di guida, dopo aver caricato i bagagli degli ultimi arrivati. I
ragazzi
si affrettarono a salire.
«Ci
siete tutti? Molto bene! Partenza!» esclamò,
avviando
finalmente il minibus. «Vedrete, alla Juilliard tutti i
vostri sogni si
avvereranno. Ed è per questo che voglio farvi sentire questa
magnifica canzone,
vedrete che apprezzerete!» aggiunse qualche secondo dopo,
deludendo le
aspettative di chi sperava che avrebbe finalmente taciuto (leggasi:
Rachel).
Schiacciò un pulsante e nel bus si diffusero le note di una
canzone che tutti
ben conoscevano.
I have a dream
a song to sing
to help me cope
with anything
Tutti i ragazzi si scambiarono delle occhiate: era ovvio che tutti loro avessero dei sogni che speravano di vedere realizzati alla Juilliard, ed era una cosa che li aveva aiutati nelle situazioni difficili. Rachel ripensò a sua madre, in ospedale. Garfield ai suoi genitori, morti in Africa. E anche gli altri ragazzi pensarono alle loro vite fino a quel momento. Senza i loro sogni di gloria alla Juilliard, probabilmente non ce l’avrebbero fatta.
If
you see the wonder
of a fairy tale
you can take the future
even if you fail
“Già” pensò amaramente Rachel. “Ma cosa succederebbe, se io fallissi prima di riuscire a vederla?”
I believe in angels
something good in
everything I see
I believe in angels
when I know the time
is right for me
I'll cross the stream
I have a dream
“Sì, io credo negli angeli… Mamma, papa, io credo in voi” pensò Garfield, guardando pensosamente fuori dal finestrino, mentre ascoltava la canzone.
I
have a dream
a fantasy
to help me through
reality
“La realtà è quella che è. E nemmeno una fantasia potrebbe aiutarmi” pensò tristemente Rachel, voltandosi verso Garfield e trovandosi davanti un viso triste quasi quanto il suo.
And
my destination
makes it worth the while
pushing through the darkness
still another mile
“Ce la posso fare. La Juilliard è qui” pensò Garfield, voltandosi verso Rachel e vedendo il suo viso. Le fece un minuscolo sorriso e le strinse la mano, come in aereo, facendola arrossire.
I believe in angels
something good in
everything I see
I believe in angels
when I know the time
is right for me
I'll cross the stream
I have a dream
“Forse forse gli angeli esistono…” pensò Rachel, fissando la sua mano, intrecciata a quella di Garfield. Rispose al suo sorriso.
I'll cross the stream
I have a dream
“Io ho un sogno e lo realizzerò” pensò deciso Garfield, sorridendo ancora di più quando Rachel rispose al suo sorriso.
I have a dream
a song to sing
to help me cope
with anything
“Ce la posso fare. Tieni duro, mamma” pensò Rachel, chiudendo gli occhi per un istante e ripensando a sua madre.
If
you see the wonder
of a fairy tale
you can take the future
even if you fail
Credere alle favole era una cosa che gli era sempre riuscita facile… Garfield chiuse gli occhi a sua volta, ricordando i suoi genitori prima dell’incidente.
I believe in angels
something good in
everything I see
I believe in angels
when I know the time
is right for me
I'll cross the stream
I have a dream
«Tu
hai un sogno, Rachel?» chiese sottovoce Garfield, mentre le
note cominciavano a sfumare.
«Sì,
e tu?» replicò lei, aprendo gli occhi.
«Anche
io.»
«Ce la faremo, vero?» domandò la ragazza, guardandolo.
I'll cross the stream
I have a dream
«Certo»
la rassicurò Garfield, prima di venire sballottato contro
il sedile davanti.
«Quest’uomo
non sa guidare» commentò Rachel, raddrizzandosi
sul
sedile, il momento magico rotto dalla guida pericolosa
dell’autista, che aveva
fatto un centimetro al battistrada.
«Concordo.
Credi che arriveremo vivi a scuola?» domandò
Garfield
di rimando, artigliando i braccioli del suo sedile e temendo per la sua
vita.
«Lo
spero» sospirò la ragazza, adagiandosi sul sedile.
«Garfield,
non esagerare!» esclamò poi, notando la posizione
del ragazzo.
«Tu
puoi avere paura dell’aereo e io non posso avere paura di uno
psicopatico alla guida di un minibus su una delle autostrade
più intasate
d’America?» domandò il ragazzo,
alzandosi di scatto e voltandosi verso di lei.
«L’aereo
è un altro discorso! Qua almeno abbiamo i piedi ben
piantati a terra!» ribatté la ragazza,
fronteggiandolo.
«Ti
dirò, mi fido di più di una carcassa a diecimila
metri
d’altezza, piuttosto che di questo qui con le ruote a
terra» replicò Garfield,
sporgendosi verso di lei.
«Non
vedo come questo autobus possa essere pericoloso. Non
corriamo il rischio di precipitare da un momento
all’altro» fece lei,
sporgendosi a sua volta.
«Scusate?
Siamo arrivati» si intromise il ragazzo spagnolo, Cesar.
I due si resero improvvisamente conto della loro posizione: arrossirono
entrambi e si allontanarono di scatto. «Grazie»
mormorò Rachel, alzandosi e
scendendo di fretta dall’autobus.
«Carina
la tua ragazza» disse lo spagnolo a Garfield, che stava
cercando di liberarsi dalla cintura di sicurezza. Sì,
l’aveva davvero allacciata.
Quell’uomo lo spaventava.
Il
biondo alzò lo sguardo sorpreso, rosso come un peperone:
«Ehm,
no. C’è un errore, lei non è la mia
ragazza. Siamo solo amici!»
Il
ragazzo alzò un sopracciglio: «Certo.»
Poi scivolò verso
l’uscita, rincorso dall’altro ragazzo, che urlava:
«Siamo solo amici! Non è la
mia ragazza!»
«Chi
non è la tua ragazza?» chiese Rachel, che era
appena fuori
dall’autobus ad aspettarlo (voleva semplicemente sfruttarlo
per scaricare il
trolley).
«Nessuno»
borbottò Garfield, mentre lo spagnolo se la rideva.
«Come
ti pare. Mi aiuti a scaricare la valigia?»
commentò lei,
guardandolo.
«Certo»
rispose il ragazzo, raggiungendo il bagagliaio, solo per
trovare che il trolley della ragazza era già stato scaricato
da un orgoglioso
François, che sorrideva raggiante.
«Questa?»
domandò il ragazzo francese, guardando Rachel.
«Oh.
Sì, grazie» rispose lei, disorientata,
avvicinandosi per
prenderla.
«La
porto io, non ti preoccupare» si offrì il ragazzo,
cominciando
a trascinare via il trolley verso l’ingresso.
«Ma…»
balbettò la ragazza, raggiungendolo. Era la sua valigia,
santo cielo!
Garfield
rimase fermo come un baccalà a guardare. Erano arrivati
da nemmeno un’ora a New York e già quel tipo ci
stava provando? Assurdo!
Quasi
a leggergli nel pensiero, la ragazza francese gli si
avvicinò e gli disse: «Mi dispiace.
François è fatto così, quando vede una
bella ragazza non può fare a meno di diventare
così. Dovresti dirgli che è la
tua ragazza.»
«No,
lei non è la mia ragazza. Siamo solo amici»
puntualizzò
Garfield, voltandosi verso la ragazza, che si limitò ad
annuire con aria
saputa. «Se lo dici tu… Comunque faresti meglio a
sbrigarti, stanno aspettando
solo te.» E con questo si allontanò, raggiungendo
il gruppo davanti
all’ingresso.
«Cavolo!»
imprecò il ragazzo, affrettandosi a scaricare la sua
valigia e correndo fino all’ingresso.