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Autore: Ely_fly    03/07/2013    5 recensioni
Dunque, salve a tutti :)
Sono tornata, stavolta con una song-fic ambientata al liceo.
Garfield e Rachel fanno parte del club di canto e il ragazzo cerca di sfruttare l'occasione per esprimere i suoi sentimenti, con una canzone, appunto. Anzi, più di una. Ma saranno sufficienti ad aprire gli occhi alla ragazza?
Genere: Commedia, Song-fic | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Beast Boy, Raven
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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L’aereo atterrò senza problemi di sorta e Rachel sembrò scoppiare di gioia per il fatto di essere finalmente tornata con i piedi ben piantati a terra.

«Giuro, a Jump torno a piedi!» esclamò, mentre aspettavano i loro bagagli.

«Se vuoi metterci quei cinque o sei mesi, fai pure. Io credo che prenderò l’aereo» ribatté Garfield, ridacchiando. La ragazza stava per replicare, quando il tapis roulant entrò in azione e le valigie cominciarono a scorrere lente davanti a loro. Con grande cavalleria, il biondo recuperò anche il trolley della ragazza, che lo ringraziò.

«Dovrebbe esserci qualcuno ad aspettarci, giusto?» domandò poi, alzando lo sguardo su Garfield, che indicò qualcosa dietro di lei con un’espressione alquanto stupita: «Qualcuno tipo lui?»

Rachel si voltò e seguì il dito del biondo, che puntava un uomo di mezza età che sembrava essersi vestito al buio, navigante in un bagno di sudore. E che reggeva un cartello con i loro nomi.

«Ti prego, dimmi che non è vero» gemette la ragazza, non riuscendo comunque a distogliere lo sguardo da quello scempio d’uomo.

«Se vuoi non te lo dico, ma non credo che cambierà qualcosa» replicò il biondo.

«Come temevo» borbottò lei, facendosi forza e cominciando a trascinare il trolley in quella direzione.

«Bè, perlomeno sembra un tipo simpatico» commentò Garfield, seguendola.

«Anche io sembrerei simpatica, con una giacca verde acido e dei pantaloni rossi. Senza dimenticare la camicia azzurra» replicò Rachel, storcendo il naso.

«Ma tu sei simpatica» disse il ragazzo, senza nemmeno badare a quel che stava dicendo.

La ragazza arrossì. Non era abituata a sentirsi fare dei complimenti e soprattutto da un ragazzo. Non che avesse una cotta per Garfield, assolutamente no! E naturalmente lui non aveva una cotta per lei, giusto? Dopo averlo sentito cantare in aereo non era più riuscita ad addormentarsi, ma si era convinta che stesse solo seguendo il film. Lei cantava sempre, quando guardava i film, mandando in bestia Richard che non riusciva a seguire la storia. Era logico pensare che lo facesse pure Garfield, giusto? Anche perché non poteva piacergli in quel senso… E poi, quella Markov si era dichiarata. Le doveva aver risposto, no? Certo, i loro addii non erano stati così strazianti come si immaginava, ma magari si erano salutati in privato…

«Ehi, ci sei?» le chiese preoccupato il ragazzo, voltandosi a guardarla: si era fermata di botto e aveva lo sguardo fisso.

«C-Come?» rispose lei, brillantemente.

«Tutto bene?» domandò Garfield.

«Sì. Non… Non farci caso» replicò lei, ricominciando a camminare.

“Chi la capisce, è bravo” pensò il ragazzo, affrettandosi a raggiungerla.

 

«Salve. Lei è della Juilliard?» domandò educatamente Rachel, quando raggiunsero l’uomo che reggeva il cartello.

«Oh, sì, esatto. Voi siete Rachel Roth e Garfield Logan, da Jump City?» chiese l’uomo, asciugandosi il sudore con un fazzoletto viola a pallini gialli. Garfield soffocò una risata, mentre Rachel lo guardava orripilata. Con uno sforzo enorme, i due riuscirono ad annuire.

«Ottimo! Seguitemi, seguitemi. Gli altri ragazzi sono già arrivati. Sono certo che diventerete ottimi amici!» esclamò gioviale l’uomo, facendogli cenno di seguirlo e zampettando allegramente attraverso l’atrio. I due ragazzi si scambiarono uno sguardo, poi lo seguirono.

Raggiunsero un minibus nel parcheggio dell’aeroporto, davanti al quale c’era un gruppetto di ragazzi, pressappoco della loro età. La loro guida li indicò: «Abbiamo studenti da ogni parte del mondo, ma lasciate che ve li presenti: dunque, Maria e Klaus sono austriaci; Dimitri e Alexandra vengono dalla Russia; Ines e Cesar dalla Spagna; Clara e Fabrizio, italiani; Noriko e Kota, dal Giappone e poi Élodie e François, francesi.»

Rachel e Garfield fecero dei cenni ogni volta che lui nominava una coppia di ragazzi. Terminato l’elenco, indicò loro due: «Questi sono Garfield e Rachel, direttamente dalla California. Ma vi conoscerete meglio in questi tre mesi. Prego, salite. La scuola ci aspetta!» Fece una risata e si accomodò al posto di guida, dopo aver caricato i bagagli degli ultimi arrivati. I ragazzi si affrettarono a salire.

«Ci siete tutti? Molto bene! Partenza!» esclamò, avviando finalmente il minibus. «Vedrete, alla Juilliard tutti i vostri sogni si avvereranno. Ed è per questo che voglio farvi sentire questa magnifica canzone, vedrete che apprezzerete!» aggiunse qualche secondo dopo, deludendo le aspettative di chi sperava che avrebbe finalmente taciuto (leggasi: Rachel). Schiacciò un pulsante e nel bus si diffusero le note di una canzone che tutti ben conoscevano.

 

I have a dream
a song to sing
to help me cope
with anything

 

Tutti i ragazzi si scambiarono delle occhiate: era ovvio che tutti loro avessero dei sogni che speravano di vedere realizzati alla Juilliard, ed era una cosa che li aveva aiutati nelle situazioni difficili. Rachel ripensò a sua madre, in ospedale. Garfield ai suoi genitori, morti in Africa. E anche gli altri ragazzi pensarono alle loro vite fino a quel momento. Senza i loro sogni di gloria alla Juilliard, probabilmente non ce l’avrebbero fatta.


If you see the wonder
of a fairy tale
you can take the future
even if you fail

“Già” pensò amaramente Rachel. “Ma cosa succederebbe, se io fallissi prima di riuscire a vederla?”

 

I believe in angels
something good in
everything I see
I believe in angels
when I know the time
is right for me
I'll cross the stream
I have a dream

“Sì, io credo negli angeli… Mamma, papa, io credo in voi” pensò Garfield, guardando pensosamente fuori dal finestrino, mentre ascoltava la canzone.


I have a dream
a fantasy
to help me through
reality

 

“La realtà è quella che è. E nemmeno una fantasia potrebbe aiutarmi” pensò tristemente Rachel, voltandosi verso Garfield e trovandosi davanti un viso triste quasi quanto il suo.


And my destination
makes it worth the while
pushing through the darkness
still another mile

“Ce la posso fare. La Juilliard è qui” pensò Garfield, voltandosi verso Rachel e vedendo il suo viso. Le fece un minuscolo sorriso e le strinse la mano, come in aereo, facendola arrossire.

 

I believe in angels
something good in
everything I see
I believe in angels
when I know the time
is right for me
I'll cross the stream
I have a dream

 

“Forse forse gli angeli esistono…” pensò Rachel, fissando la sua mano, intrecciata a quella di Garfield. Rispose al suo sorriso.

 

I'll cross the stream
I have a dream

 

“Io ho un sogno e lo realizzerò” pensò deciso Garfield, sorridendo ancora di più quando Rachel rispose al suo sorriso.

 

I have a dream
a song to sing
to help me cope
with anything

 

“Ce la posso fare. Tieni duro, mamma” pensò Rachel, chiudendo gli occhi per un istante e ripensando a sua madre.


If you see the wonder
of a fairy tale
you can take the future
even if you fail

Credere alle favole era una cosa che gli era sempre riuscita facile… Garfield chiuse gli occhi a sua volta, ricordando i suoi genitori prima dell’incidente.

 

I believe in angels
something good in
everything I see
I believe in angels
when I know the time
is right for me
I'll cross the stream
I have a dream

«Tu hai un sogno, Rachel?» chiese sottovoce Garfield, mentre le note cominciavano a sfumare.

«Sì, e tu?» replicò lei, aprendo gli occhi.

«Anche io.»

«Ce la faremo, vero?» domandò la ragazza, guardandolo.

 

I'll cross the stream
I have a dream

 

«Certo» la rassicurò Garfield, prima di venire sballottato contro il sedile davanti.

«Quest’uomo non sa guidare» commentò Rachel, raddrizzandosi sul sedile, il momento magico rotto dalla guida pericolosa dell’autista, che aveva fatto un centimetro al battistrada.

«Concordo. Credi che arriveremo vivi a scuola?» domandò Garfield di rimando, artigliando i braccioli del suo sedile e temendo per la sua vita.

«Lo spero» sospirò la ragazza, adagiandosi sul sedile. «Garfield, non esagerare!» esclamò poi, notando la posizione del ragazzo.

«Tu puoi avere paura dell’aereo e io non posso avere paura di uno psicopatico alla guida di un minibus su una delle autostrade più intasate d’America?» domandò il ragazzo, alzandosi di scatto e voltandosi verso di lei.

«L’aereo è un altro discorso! Qua almeno abbiamo i piedi ben piantati a terra!» ribatté la ragazza, fronteggiandolo.

«Ti dirò, mi fido di più di una carcassa a diecimila metri d’altezza, piuttosto che di questo qui con le ruote a terra» replicò Garfield, sporgendosi verso di lei.

«Non vedo come questo autobus possa essere pericoloso. Non corriamo il rischio di precipitare da un momento all’altro» fece lei, sporgendosi a sua volta.

«Scusate? Siamo arrivati» si intromise il ragazzo spagnolo, Cesar. I due si resero improvvisamente conto della loro posizione: arrossirono entrambi e si allontanarono di scatto. «Grazie» mormorò Rachel, alzandosi e scendendo di fretta dall’autobus.

«Carina la tua ragazza» disse lo spagnolo a Garfield, che stava cercando di liberarsi dalla cintura di sicurezza. Sì, l’aveva davvero allacciata. Quell’uomo lo spaventava.

Il biondo alzò lo sguardo sorpreso, rosso come un peperone: «Ehm, no. C’è un errore, lei non è la mia ragazza. Siamo solo amici!»

Il ragazzo alzò un sopracciglio: «Certo.» Poi scivolò verso l’uscita, rincorso dall’altro ragazzo, che urlava: «Siamo solo amici! Non è la mia ragazza!»

«Chi non è la tua ragazza?» chiese Rachel, che era appena fuori dall’autobus ad aspettarlo (voleva semplicemente sfruttarlo per scaricare il trolley).

«Nessuno» borbottò Garfield, mentre lo spagnolo se la rideva.

«Come ti pare. Mi aiuti a scaricare la valigia?» commentò lei, guardandolo.

«Certo» rispose il ragazzo, raggiungendo il bagagliaio, solo per trovare che il trolley della ragazza era già stato scaricato da un orgoglioso François, che sorrideva raggiante.

«Questa?» domandò il ragazzo francese, guardando Rachel.

«Oh. Sì, grazie» rispose lei, disorientata, avvicinandosi per prenderla.

«La porto io, non ti preoccupare» si offrì il ragazzo, cominciando a trascinare via il trolley verso l’ingresso.

«Ma…» balbettò la ragazza, raggiungendolo. Era la sua valigia, santo cielo!

Garfield rimase fermo come un baccalà a guardare. Erano arrivati da nemmeno un’ora a New York e già quel tipo ci stava provando? Assurdo!

Quasi a leggergli nel pensiero, la ragazza francese gli si avvicinò e gli disse: «Mi dispiace. François è fatto così, quando vede una bella ragazza non può fare a meno di diventare così. Dovresti dirgli che è la tua ragazza.»

«No, lei non è la mia ragazza. Siamo solo amici» puntualizzò Garfield, voltandosi verso la ragazza, che si limitò ad annuire con aria saputa. «Se lo dici tu… Comunque faresti meglio a sbrigarti, stanno aspettando solo te.» E con questo si allontanò, raggiungendo il gruppo davanti all’ingresso.

«Cavolo!» imprecò il ragazzo, affrettandosi a scaricare la sua valigia e correndo fino all’ingresso.

  
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