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Autore: RiverFlowsInYou    03/07/2013    1 recensioni
Le cose si rompono in continuazione.
Bicchieri, piatti, unghie.
Le promesse. I cuori. Le vite.
Ma non la tua, Piccola mia.
Genere: Drammatico, Fluff, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: Tematiche delicate
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Fragile come vetro.
 
Nel mio primo ricordo, è notte, notte fonda.
 
La notte più sbagliata e più giusta in assoluto.
 
 
Ero incinta di te da soli cinque mesi e mezzo, e nel pieno di una notte, un forte dolore al grembo mi svegliò.
Man mano che il dolore aumentava sentivo la stoffa sotto alla mia schiena sempre più calda e umida. 
Svegliai tuo padre e con il volto ormai rigato dalle lacrime gli dissi che non mi sentivo bene. 
Accese la luce e mi tolse le coperte di dosso.
Il terrore aveva preso il controllo del mio corpo e con gli occhi chiusi, tremavo, tremavo, e con un pugno imprigionavo un piccolo pezzo del lenzuolo sul quale ero distesa.
Non era il freddo che mi faceva tremare, era il terrore di vedere quelle candide lenzuola tinte di rosso.
Tuo padre mi mise una mano dietro il collo e mi fece sedere.
 
Il mio pianto non si placava.
 
E le mie lacrime non erano di dolore, in quel momento era la mia ultima preoccupazione.
In quel momento le mie lacrime erano di paura; paura di non aver mai potuto tenerti fra le mie braccia, cullarti con una ninna nanna, baciarti prima di farti addormentare la sera.
 
I miei occhi a malavoglia si aprirono e tutto quello che videro non furono lenzuola tinte di rosso acceso, ma di un delicato rosa pesca.
 
Le mie mani tremavano talmente forte e veloce quasi a non poterne percepire il movimento, mentre pronunciavo il nome della mia ginecologa, nonché migliore amica.
Tuo padre sapeva che volevo chiamarla, sapeva che lei era disponibile a tutte le ore per me.
 
Per me e te, per noi.
 
Non perse tempo e andò a chiamarla, mentre io mi contorcevo su me stessa cercando di alleviare quel dolore che sembravano calci tirati dritti nello stomaco, dove stavi tu, anche se si ostinava a non passare, ma solo ad aumentare.
 
Tuo padre le spiegò la situazione e lei disse di andare in un ospedale distante circa trenta chilometri.
Ci disse di andare proprio in quell’ospedale perché era da lì che portavano i bambini prematuri o malati nel miglior ospedale pediatrico di tutta la città.
Papà mi prese una giacca e me la infilò, così anche per sé.
Stavamo per uscire quando sentii la delicata voce del tuo piccolo fratellino dire “mamma”.
Aveva l’età di quattro anni e mezzo, e non potevo di certo lasciarlo solo.
 
In quell’istante capii qual’era la cosa che mi lasciava un peso sulle spalle, solo ero troppo presa da quello che era accaduto che neanche la persona più stupida della terra avrebbe lasciato suo figlio di quattro anni e mezzo in casa alle tre di notte.
 
Mi odiavo con tutta me stessa.
 
Lo presi in collo, ma subito papà me lo sfilò e lo mise sul fianco sinistro e io stavo appoggiata sulla sua spalla destra.
Andammo in macchina e portammo tuo fratello dalla zia, che però lo lasciò a zio e tua cugina e venne con noi all’ospedale.
 
Appena arrivati, mi portarono nella sala parto.
Cercarono in tutti i modi di non farti nascere proprio quella notte, ma di lasciarti in grembo per farti crescere come avresti dovuto per altri quattro mesi.
 
Purtroppo, tu quella notte non saresti nata come tuo fratello, ma saresti nata per un taglio nella mia, non ancora molto grande, pancia, dove, fino a poco prima tu te ne stavi lì, a crescere piano piano, mese dopo mese.
 
Nascesti un bel Lunedì d’Aprile.
 
Ricordo ancora quando nacque tuo fratello e non appena mi dissero che era un bel maschietto sentii il suo dolce pianto fra le mie braccia.
Ma per te, piccola mia, non fu così.
Non riuscii a sentire nemmeno il più piccolo suono provenire dalla tua minuscola bocca.
Non sentii il tuo dolce pianto da lontano, tanto meno fra le mie braccia.
 
Appena venuta alla luce ti portarono via, via da me, via da tua mamma.
 
Finito l’intervento , speravo fosse andato tutto bene, ma sapevo che nulla era andato bene.
Quel taglio, quello che mi avevano inciso in grembo per farti nascere, aveva provocato dentro di me una forte emorragia interna.
Il sangue, quel rosso acceso di cui avevo il terrore, mi copriva dalle ginocchia alla nuca e un’ostetrica chiamò mio padre per tenermi le braccia, visto che nemmeno una camicia di forza sarebbe bastata per tenermi ferma.
 
Sai? Il livello di dolore che un essere umano può sopportare è incredibilmente alto.
 
Mentre l’ostetrica premeva sulla mia debole pancia tuo papà mi teneva ferma, tanto il bisogno che avevo di toglierle le mani di dosso.
Sapevo che sarebbe stato meglio provare dolore in quel momento che magari dover sopportare un’infezione fatale.
L’ostetrica premé ancora più forte la mia pancia per far uscire tutto il sangue che si era accumulato dentro di me.
 
Potevo sentire il mio volto completamente bagnato dalle lacrime.
Alla fine tuo padre mi lasciò dicendo che ero stata bravissima e lasciando leggeri baci sulla mia fronte e sulla mia tempia sinistra.
 
Dopo meno di cinque minuti entrò tua zia dicendo che ti stavano portando.
Fu così.
 
Non ero assolutamente in grado di alzarmi e ti portarono alla mia sinistra in un‘incubatrice, fronte a fronte.
 
Stavi lì, immobile, senza nemmeno un accenno di respiro e con le mie continue lacrime che mi rigavano il volto, posai una mano sul vetro che ci divideva, proprio dove la tua minuscola manina era poggiata.
 
Il tuo leggero corpicino di un chilo e quattrocentodiciotto grammi, era coperto da un colore aranciato che ti copriva per tutti i tuoi trentasei centimetri di lunghezza, che sembravano la metà, visto come eri accucciata.
Alle tue braccia, alle tue gambe e al tuo petto erano attaccati tubicini, ed una mascherina ti copriva quasi tutto il volto.
Era quella che ti teneva in vita.
 
Quei due o tre minuti che ti fecero restare accanto a me sembravano frazione di secondo e infatti ti dovettero portare via.
 
Adesso, il dolore che provavo quando tuo padre mi teneva ferma, sembrava una carezza.
Sembrava che niente fosse più estremamente doloroso che vedere la propria piccola essere portata via, in fin di vita.
 
Lo era.
 
Piansi tutta la notte, poi mi portarono nella mia stanza, che condividevo con altre cinque ragazze.
La mattina seguente, dopo quelle due ore di sonno, un pianto mi svegliò.
Sognavo fossi tu, sognavo di svegliarmi e trovarti nella culla accanto al mio letto, sognavo di essermi svegliata da quell’orribile incubo..
Ma non eri tu.
Era il bambino di una delle mamme che stava in stanza con me.
In quel momento i miei occhi non mi fecero vedere più nulla; come la scorsa notte il mio volto si riempì di lacrime.
 
Dopo tre giorni cominciai a camminare e a riprendermi dall’operazione.
Camminavo nei corridoi e uno di quei pomeriggi persi la strada e mi ritrovai di fronte ad una grande vetrata, aldilà della quale c’erano le culle di tanti piccoli esserini che dormivano.
 
Ma tu non c’eri.
 
Di giorno in giorno il mio pianto era sempre più amaro.
 
Dopo cinque giorni che sembravano anni mi fecero uscire e senza perdere un minuto andammo all’ospedale dove eri tu e finalmente ti vidi, nella tua incubatrice.
 
Pregavo ogni giorno, stavo ore e ore a pregare per la tua vita.
 
La cosa più brutta era che niente era certo..
Un giorno tutte le incubatrici erano piene, occupate, e il giorno dopo cinque erano vuote.
Una notte, verso le quattro o le cinque, il telefono squillò.
Il medico ci aveva detto che in poche ore saresti potuta andartene.
Non mangiavi, eri troppo debole e ti avrebbero dovuto operare, ma solo con il nostro consenso, con una nostra firma.
Andammo a firmare e alla fine di quell’infinito intervento il chirurgo uscì.
Volevo solo sprofondare nel terreno e non comparire mai più.
 
“Tutto è andato benissimo, ormai è fatta. Andate a riposarvi, non c’è più pericolo.”
 
 
 
Adesso di quelle notti passate a piangere e pregare, pregare di farti vivere sono solo un ricordo.
Adesso bambina mia sei qui, accanto a me, e sei il regalo più bello che la vita potesse mai offrirmi.
 
Ti amo piccola mia.

 
*spazio scrittricee*
Salve gente, visto che ho sempre voluto raccontare
la storia di come sono nata, beh, eccola qua :D 
mi hanno chiesto quanti anni ho e rispondo qui, non so perché, ma insomma ho tredici anni c:
alloraaaa.. spero vi piaccia e nulla, alla prossima :)
--Viky
  
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