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Autore: Elaysa    04/07/2013    4 recensioni
Dicono tante cose sull’amore, che è cieco, che arriva quando una persona meno se lo aspetta, ma soprattutto dicono che non ha età, che può arrivare a 15 come a 60 anni e che può coinvolgere persone anche con età diverse.
E’ il caso di Federica ed Emanuele, i protagonisti della storia, due persone diverse, con vite diverse, con interessi diversi ma soprattutto con età diverse.
Lei, adolescente, sedicenne al secondo anno di liceo socio psicopedagogico; non ha mai conosciuto il vero amore ed è in attesa del principe azzurro in cui fortemente crede.
Lui, persona matura, 25 anni, con un lavoro fisso che gli permette di mantenersi da solo. Ha conosciuto fin troppe stronze da credere ancora nell’esistenza del vero amore.
Apparentemente questi due individui non hanno niente in comune e i meno fiduciosi direbbero che il l'incontro sia stato solo un caso.
Loro ancora non lo sapevano ma di lì a poco tutto questo avrebbe avuto molto significato, avrebbe cambiato i loro stili di vita, e quella che sembrava abitudine sarebbe stata sconvolta e loro si sarebbero ritrovati catapultati e immersi in una situazione quasi impensabile che li avrebbe fatti maturare, cambiare e soprattutto vivere.
Genere: Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Contesto generale/vago
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Il giorno seguente mi svegliai con una forza che non avevo mai avuto in diciassette anni, soprattutto alle sei e mezzo di mattina.
Durante la notte avevo sognato auto sportive nere, incontri galanti, frasi dolci, da bacio perugina, scritti su bigliettini e romantici baci al sapore di caffè.
Ero raggiante, i miei pensieri non facevano altro che tornare su di lui, sull’incontro che mi aspettava stamattina. Avrebbe sicuramente migliorato la mia giornata.
Mentre mi preparavo, lo immaginavo assorto nei suoi pensieri mentre si annodava la cravatta e, sotto sotto, speravo che quei pensieri parlassero di me.
- Ma certo che parlano di te! Hai per caso dei dubbi? -  esordì la mia vocina interiore.
- Buongiorno coscienza! Ti sei svegliata con il piede giusto stamattina? – le risposi, mentalmente.
Davvero, non riuscivo a capirla. Un giorno mi dava contro, insinuando che lui non fosse il ragazzo giusto per me perché era troppo grande, mentre io, ero solo una ragazzina illusa; il giorno seguente invece, cambiava totalmente tono e cercava addirittura di convincermi che mi stava pensando.
Mah, chi la capisce è proprio bravo! Spero che si renda conto che tutto questo per me, ha grande importanza e che prima o poi, mi sosterrà in questa avventura.
Sospesi la mia conversazione mentale e mi dedicai, anima e corpo, ai preparativi per questa mattinata tutt’altro che comune.
Improvvisamente, mi bloccai. Ero talmente contenta di uscire con Emanuele, che non avevo minimamente pensato alla scusa da inventare con i miei, e, cosa ancora peggiore, non mi ero neanche degnata di scendere di sotto per salutarli.
Scesi di corsa le scale, sentendomi immensamente in colpa.
Mi affacciai alla cucina e vidi mia madre intenta a preparare la colazione per tutti.
Perfetto.  Non le avevo detto che io non ci sarei stata. La verità era che non sapevo cosa dirle. Che impegno potevo mai avere alle 7 del mattino di un giorno in cui sarei dovuta andare a scuola?
Nel giro di tre secondi, la mia mente andò ovunque, tentò di trovare una qualsiasi scusa, anche banale, per giustificare la mia assenza a colazione.
Tutto inutile. Non riuscii a concepire un valido motivo.
Proprio in quel momento, accadde quello che avrei volentieri rimandato a qualche secondo dopo: mia madre si girò e, vedendomi sulla soglia della cucina con lo sguardo perso nel vuoto mi salutò e mi chiese se stessi bene.
Balbettai qualcosa di incomprensibile. Anche in questo caso non sapevo che dire.
Detto sinceramente, no, non stavo per niente bene. Tutti i sensi di colpa che avevo cercato di soffocare in quegli ultimi giorni, stavano riaffiorando adesso per una banalissima colazione fuori casa.
Era davvero troppo. Stavo oltrepassando il limite. Almeno così pensavo in quel momento.
Mia madre si voltò ancora una volta, accigliata.
- Federica si può sapere cosa ti passa per la testa in questi giorni? Sei così strana! – mi chiese con un tono di voce tra il preoccupato e l’arrabbiato.
- Niente, niente. Sono solo preoccupata per la scuola. – mi affrettai a concludere.
- Potresti almeno parlarne, invece di stare lì da sola con quella faccia da funerale! C’è qualcosa che non va a scuola? Qualche problema? – mi chiese, premurosa.
- Mamma sai benissimo che non voglio parlare di queste cose. È inutile che vi assillo con i miei problemi scolastici, voi avete già tanto da pensare! E poi so benissimo di dovermela sbrigare da sola, voi non potete fare niente. – risposi, agitata, nervosa e un po’ isterica.
- Federica questo tono non mi piace! Non ti obbliga nessuno a parlarne però sappi che io vorrei essere messa al corrente della tua situazione scolastica, mi interessa! – rispose mia madre, agitata anche lei.
- Bè non c’è niente da dire, non voglio parlarne. – mi affrettai ad affermare.
Presi lo zaino con foga e uscii di casa a passo svelto, senza dire nient’altro.Feci qualche passo nel vialetto che da casa portava alla strada. Ero incerta.
Mi dispiaceva essermi comportata in quel modo, non era da me. Non sapevo veramente cosa mi stesse succedendo.
Ero passata dall’essere perfettamente tranquilla a farmi mille paranoie per una stupidaggine e, comportandomi così, avevo trovato un modo per aggirare l’ostacolo.
- E tu questo lo chiami aggirare l’ostacolo? Ti sbagli di grosso, cara mia! Hai peggiorato la situazione! – fece eco la mia vocina interiore.Non la considerai. 
Sapevo che in questo caso aveva ragione. Avevo fatto peggio. Stavo trattando male i miei genitori, soprattutto mia madre Loro in fondo, si preoccupavano per me perché ci tenevano, non perché volevano farsi gli affari miei.
Ero troppo vulnerabile e non sapevo veramente da che parte iniziare per risolvere la situazione.
Dovevo calmarmi.
Avrei pensato al da farsi. Intanto dovevo tornare me stessa per poter essere dolce e carina con Emanuele.
Sorpresa che ancora non fosse arrivato, presi il cellulare dalla tasca, controllai l’orario e vidi che c’erano tre chiamate senza risposta e due messaggi. Aprii l’elenco delle chiamate perse. Erano tutte sue.
Così come i messaggi. Uno diceva: “ci vediamo ai giardini? Sai benissimo che non posso arrivare sotto casa tua, rischierei di beccarmi una secchiata d’acqua e Dio solo sa cos’altro”. E l’altro “Fede hai cambiato idea per caso? O dormi ancora?”.
Non risposi né lo chiamai.
Iniziai a correre diretta verso i giardini vicino casa. Speravo vivamente che mia madre non mi stesse guardando dalla finestra ma ero troppo impegnata a correre incontro a lui che non me ne curai più di tanto. Di solito controllavo, oggi no. Stavo proprio cambiando e non so dire se in peggio o in meglio.
 
Arrivai ai giardini con il fiatone e poco più in là scorsi la sua macchina.
Probabilmente non mi aveva vista arrivare perché non era sceso.
Mi avvicinai lentamente, con l’intenzione di bussare sul vetro del finestrino. Da vero uomo in carriera, era intento a leggere il giornale e neanche mi notò.
Bussai. Si voltò di scatto con il terrore negli occhi. Si vedeva lontano un chilometro che era spaventato.
Io scoppiai a ridere ma quando vide che ero io, la tensione sul suo viso si allentò e sorrise anche lui.
Feci il giro dell’auto, aprii la portiera e salii in macchina, salutandolo.
Lui fece lo stesso, appoggiando dolcemente la sua mano sulla mia gamba.
Quel leggero contatto mi fece trasalire e ancora una volta sentii le farfalle nello stomaco e il cuore accelerare i battiti. Erano le stesse identiche sensazioni della prima volta e devo dire che mi erano mancate.
Mi voltai verso di lui e immediatamente i nostri sguardi si incrociarono.
Non aveva detto una parola ma allo stesso tempo aveva detto tanto con quello sguardo.
Si avvicinò lentamente e mi diede un casto bacio a stampo sulle labbra.
Trasalii, ancora una volta.
Era un bacio delicato, che come l’altra volta, non aveva secondi fini.
Quella mattina però, ero in vena di dolcezze e, in un modo un po’ troppo erotico per una ragazzina di diciassette anni, lo presi per la cravatta, lo attirai a me e mi abbandonai, con passione, ad un bacio lungo e romantico. Lui inizialmente si trattenne, sorpreso di questa mia improvvisa reazione: non se l’aspettava.
Poi piano piano, vedendo che ero convinta di ciò che facevo, si lasciò andare anche lui e, come un normale ragazzo della sua età, accolse quel bacio che di dolce aveva ben poco.
Accarezzavo dolcemente la sua lingua con la mia, desiderosa di sentire il contatto fisico con lui.
Contrariamente a quanto potreste pensare, la cosa finì lì e quando fui soddisfatta, mi staccai da lui, guardandolo fisso negli occhi.
Non era proprio bravo a mascherare le sue emozioni!
Sul suo volto ebbi l’opportunità di leggere un insieme di sensazioni indefinite: c’erano la paura, la felicità, la sorpresa.
- Che è quella faccia? – gli dissi, ridendo quasi.
- Fede io… N-n- non mi aspettavo una reazione del genere da parte tua! – rispose, sorridendo.
- Scusami. Non so cosa mia sia preso. Oggi sono imprevedibile. – esordii, amareggiata.
- Tu mi stai chiedendo scusa? – mi chiese lui.
- Si, si ti sto chiedendo scusa perché non mi era mai capitata una cosa del genere. Mi sento male al pensiero di essermi comportata in un modo simile con te… - riposi, abbassando lo sguardo sulle mie mani che, dalla sua cravatta, erano finite sulle mie gambe. – è evidente che non ti è piaciuto.- finii.
- Ma stai scherzando? Non è questo, è che non me l’aspettavo da te. Ci conosciamo da così poco! Pensavo che un bacio del genere si dovesse riservare al proprio fidanzato! – esordì lui.
Oh.. la delusione mi si leggeva negli occhi. Quindi noi eravamo semplicemente conoscenti?
- Ok, non succederà più – dissi, con lo sguardo ancora basso.
- Fede, ti prego, guardami. – iniziò a parlare lui.Io timorosa alzai lo sguardo verso i suoi occhi.
- Io…. – lasciò la frase a metà.
Temetti il peggio.
- Manu senti, non volevo… - iniziai io, abbassando di nuovo lo sguardo.
- Fede io…. Non mi sono mai sentito così bene come in questo momento.
Per un attimo stentai a crederci, aspettai qualche secondo nel tentativo di rendere reali quelle parole. Quando mi convinsi, alzai la testa e puntai i miei occhi dritti nei suoi. Il sorriso da una parte all’altra del volto. Mi avvicinai e lo avvolsi in un abbraccio intimo che non ha bisogno di altre parole.
Quando ci staccammo, mise in moto la macchina e ci avviammo verso il bar dove ci attendeva la colazione.
In quel breve tragitto, i miei pensieri ripresero a girare vorticosamente nella mia testa.
Pensavo a mia madre che avevo lasciato così, senza una parola; pensavo a Laura che non vedevo l’ora di rivedere; pensavo a lui, che un attimo fa era dannatamente fragile e che ora, guidava sicuro di sé. Pensavo a quel bacio che non era adatto ad una ragazzina; pensavo alla sua reazione; alle mie paure e alle sue parole.
Pensavo a me e mi resi conto che stavo cambiando. Mi decisi a parlargliene.
Del resto era più grande di me, mi avrebbe capita.
 
Arrivati al bar, ordinammo la colazione che ci fu portata al tavolo qualche minuto dopo.
Non riuscivo a staccargli gli occhi di dosso; non riuscivo a non sorridere. Nonostante tutte le discussioni lasciate in sospeso con mia madre, ero felice e tutto per merito suo.
Decisi che era ora di dire qualcosa.
- Stamattina mi sono sentita in colpa… -iniziai, ma lasciai la frase a metà non sapendo bene come continuare.
- Fede te l’ho già detto, non hai motivo di sentirti in colpa. Hai fatto quello che sentivi ed era ora, aggiungerei. Per una volta hai badato solo alla tua felicità senza farti troppe paranoie. E io ne sono stata contento. – pronunciò lui, tutto d’un fiato.
- No, non mi riferivo a prima… ho avuto una non-discussione con mia madre… - mi rattristai.
- Ah, e cosa è successo? Che significa una non-discussione? – chiese lui, preoccupato e curioso.
- Significa che lei si è preoccupata per me e io l’ho ripagata uscendo di casa senza dirle niente. Mi sento in colpa ma in quel momento era l’unica cosa che potessi fare. Mi sono sentita oppressa. – risposi, alzando lo sguardo.
Lui non rispose.
- Scusami, non voglio assillarti con i miei problemi. – esordii.
- No no, non mi assilli! Fede lo vuoi capire che io ne sono contento? Significa che mi stai facendo entrare nella tua vita. Piano piano, ma meglio di niente! – rispose lui, pacato.
- Sul serio lo pensi? – chiesi, timorosa.
- Certo, perché hai questi dubbi? – chiese, perplesso.
- No così, oggi sono paranoica. – risposi, tentennando.
- Non devi esserlo. Dimmi di tua madre, piuttosto. – continuò lui.
- Eh niente, che devo dirti? È finita lì, io me ne sono andata e non l’ho più sentita. E ora non so che fare, ce l’avrà sicuramente con me, sarà ferita, delusa. – conclusi, guardandolo negli occhi.
- No, non credo. Secondo me invece ti capirà. Stai cambiando ed è normale che accadano queste cose. Anzi, ti dirò di più, questa discussione sarà solo la prima di una lunga serie. Ma non devi sentirti in colpa. – rispose, convincente
.Lo guardavo e pensavo che era impossibile non sentirsi in colpa. La stavo riempendo di bugie, non la rendevo partecipe della mia vita anche se avrei dovuto farlo. Dannazione, avevo solo diciassette anni e lei era pur sempre mia madre. Mi rendevo conto che stavo cambiando ma allo stesso tempo pensavo di non essere nessuno per poter trattare così la persona che mi aveva messo al mondo e che mi amava più di ogni altra cosa.
Stavo pensando solo a me stessa, ai miei interessi, alla mia felicità e solo ora mi accorgevo che chi mi stava vicino, si stava preoccupando perché mi vedeva cambiata.
L’amore ti fa sentire invincibile ma allo stesso tempo ti fa essere vulnerabile. Cambi umore così, all’improvviso, quasi senza motivo e fai male, ferisci chi ti sta vicino, senza neanche accorgertene e quando te ne accorgi, sarà troppo tardi.

- A che pensi? – chiese lui.
- A niente… e a tutto. Volevo ringraziarti, spero solo che questa sarà solo la prima volta che ci sarai per me. – esplosi.
- Vieni qui, piccola. Abbracciami. – esordì.
Non me lo lasciai ripetere due volte. Mi alzai dalla sedia e andai verso la sua.
Esitai un attimo poi mi sedetti sopra le sue gambe e gli gettai le braccia al collo: ero al sicuro, mi sentivo protetta, a casa.
Era incredibile come in un momento il tuo umore potesse cambiare: da triste e abbattuta diventi sollevata e tutto grazie ad un abbraccio, un semplice abbraccio che spesso vuol dire molto, se dato dalla persona giusta. Ebbene si, era l’unica persona che in quella situazione poteva consolarmi.

Mentre stavo attaccata a lui come un koala sta attaccato al suo albero, gli occhi mi caddero sul suo orologio e quando vidi l’ora, per poco non ebbi un infarto.
- Porca miseria, sono le 8! Devo andare a scuola, io! – esordii facendo sobbalzare Emanuele.
- Guarda che non è tardi! – rispose lui, cercando di convincermi.
- Ma come? Sono le 8 Manu, le 8! Alle 8 suona la campanella a scuola e io devo, o meglio dovrei, essere in classe. Ah, certo, tu sei vecchio, forse non te lo ricordi. – parto alla carica, convinta delle mie ragioni e scoppio a ridere nel pronunciare l’ultima frase.
Lui mi guardò con gli occhi sbarrati e inizia a ridere e farmi il solletico.
Ridevamo. Eravamo felici. Senza pensieri. Anche la scuola sembrava un ricordo ormai. Lui era il mio mondo e volevo dirglielo.
Lo guardai dritto negli occhi, gli sollevai il mento con la mano e, lentamente, con tutta la dolcezza che ero capace di esternare, gli dissi che con lui stavo bene, che mi sentivo a casa, al sicuro. E che stava diventando importante.
Lo so, potrebbe sembrare strano e ridicolo dire certe cose ad una persona che si conosce appena ma vi assicuro che non stavo per niente esagerando.
Ero entrata completamente in un altro mondo del quale non sapevo neanche l’esistenza.
Era come se fossi approdata in un’altra vita e forse, in un certo senso era così. Stavo iniziando un nuovo capitolo della mia esistenza e sapevo già che sarebbe stato diverso dagli altri e mi avrebbe fatta crescere.
- Dai andiamo! – mi riscossi dai miei pensieri.
- Ma… se per un giorno non andassi a scuola e stessi con me?  – mi chiese, titubante. – potremmo andare al mare. – continuò, fiducioso.
- No no, veramente non posso. Scusami. Siamo quasi alla fine dell’anno e non posso permettermi assenze. – risposi, dispiaciuta.
Lessi la delusione nel suo sguardo e mi rattristai un po’.
- Portami a scuola, dai. – continuai.
- Ok, se proprio ci tieni! – si convinse lui e mise in moto.
Durante il tragitto, anche se breve, ripensai al nostro incontro. Non so perché ma la macchina conciliava i pensieri.
Sobbalzai quando sentii la sua mano sulla mia gamba. Io allungai la mia e la poggiai delicatamente sulla sua.
Entrambi voltammo lo sguardo e il suo sorriso rispecchiava il mio.
 
Arrivammo a scuola. Era tardissimo, la professoressa di storia doveva essere già arrivata da un po’. Lei era l’eterna puntuale, quella che non sbagliava mai.
Salutai Emanuele con un bacio a stampo, chiusi la portiera della macchina e gli urlai che ci saremmo sentiti nel pomeriggio. Lui fece un cenno di assenso con il capo e ripartì.
Salii le scale trafelata e preoccupata. Mi sarei beccata sicuramente una sgridata da Miss Puntualità.
La porta della classe era chiusa segno che la lezione era già iniziata. Cavolo!
Aprii piano la porta come se non volessi far sentire la mia presenza.
Non appena ci fu abbastanza spazio per passare, entrai in classe e subito sentii addosso venticinque paia d’occhi. Anzi, ventisei. C’era anche lei, Miss Puntualità.
- Le sembra questa l’ora di arrivare? – esordì la professoressa.Come volevasi dimostrare.
- Mi scusi professoressa, ho avuto qualche problema stamattina. – risposi, intimidita dal suo sguardo inquisitore.
Mi sentivo come se stessi andando al patibolo.
Mi avviai al mio posto ma fui interrotta da una voce che proveniva dalle mie spalle.
- No no, non si sieda. Lei è interrogata.-
Oh merda! E adesso? Non avevo studiato niente ieri, avevo solo letto qualche pagina e, conoscendo il soggetto, leggere non bastava.
In quel preciso istante, mentre pregavo con tutta me stessa che fosse solo un brutto sogno, una voce si levò dal fondo dell’aula.
- Professoressa, vorrei essere interrogata io. –
Era Laura, riconobbi la sua voce. Mi voltai e le sorrisi, speranzosa.
- Come vuole, però prima devo interrogare la sua amica. – disse l’arpia che stava seduta in cattedra, rivolta a me.
- Professoressa io… non sono preparata. – dissi.
- Ah no? Questo equivale a 2, cara la mia Federica! Bene bene, un 2 a fine anno è proprio indicato. – esordì lei, con quella voce stridula che ti entrava dentro fino alle ossa.
Per tutto il resto della lezione non proferii parola. Fingevo di ascoltare la lezione noiosa che il professore stava spiegando. In realtà non capii niente di ciò che diceva.
Il  mio cuore e la mia mente, nonostante tutto, erano rimasti ancora dentro quella macchina nera.
- Così non va bene, finirai per rovinarti. – si fece sentire la mia vocina interiore.
La ignorai.
 
 
Vi chiedo ancora scusa per il ritardo ma non ho più avuto tempo per scrivere L
Ora gli esami sono finiti quindi spero di potermi dedicare di più alla storia.
Grazie a voi che mi seguite sempre
A presto!
  
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