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Autore: drawandwrite    04/07/2013    5 recensioni
Ryan Gray è un normalissimo studente Americano, da poco trasferito in Giappone per studi specifici.
La sua vita viene da subito turbata da un incontro particolare, che lo spaventerà e ecciterà al contempo.
Nel frattempo le vite Di Nozomi, Komachi, Karen, Urara, Rin, e Kurumi trascorrono tranquille.
E così sarà finché la loro strada non si incrocerà con quella di Ryan Gray.
Genere: Fantasy | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altri
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Rin strinse con forza il manubrio della bicicletta, mentre le sue gambe spingevano imperterrite i pedali, alimentate solo dalla rabbia bruciante che si dimenava nel petto della ragazza, privandola del respiro, strappandole a forza le energie e prosciugando il fuoco che la teneva in vita, spegnendolo, soffocandolo, opprimendolo.
Si sentiva umiliata, presa in giro, incompresa.
Percepì la rabbia raccogliersi in un groppo in gola, tanto grande da soffocarla, indolenzirle la gola e incendiarle lo sterno, mentre un sottile velo di lacrime si faceva strada con brutalità fra le iridi focose della rossa, forzandole le palpebre.
Rin strinse gli occhi, ricacciando indietro con veemenza le lacrime, combattendo contro se stessa, opponendo una disperata resistenza alla collera, una collera che le squassava il corpo, le graffiava lo stomaco con artigli acuminati, le avvelenava la mente.
A capo chino continuò a pedalare, con tanta foga da rovinare le giunture della bicicletta, tenendosi sulla destra, mentre i chiari delle macchine la accecavano con alternanza, sferzando il suo corpo con spostamenti d’aria pesanti. Ogni muscolo del suo corpo tremava di sofferenza, la sua mente innalzava un coro di odio e si sforzava fino allo stremo per impedire all’ira di sfondare il suo petto, sottile involucro, troppo volubile per includere appieno i suoi sentimenti, quell’impetuoso torrente di fuoco che premeva, spingeva, spaccava e stroncava ogni respiro sul nascere.
Una goccia d’acqua, gelida come ghiaccio, le precipitò sull’avambraccio, teso come la corda di un violino, subito seguita a ruota da un leggera pioggerella frizzante, fredda, ma non abbastanza forte per poter lavare il cuore di Rin, greve di odio e di rabbia, palpitante di sentimenti strazianti. Fu, perlomeno, un sollievo, il fresco velo d’acqua cristallina che prese a precipitarsi dal cielo, carezzandole il corpo bollente d’ira, senza, però, spegnerla.
Bastò poco perché Rin si trovasse in balia di una tempesta fredda, sferzata da perle impetuose di pioggia, investita dal vento, eppure ancora arida, asciutta, divorata dalla rabbia.
La ruota anteriore della sua bicicletta incespicò in un dislivello della strada, colmo di pioggia, facendola inevitabilmente slittare di lato, sbilanciando Rin e trascinandola a terra di peso, in una caduta che le estirpò di netto il respiro e le colpì le scapole.
La vista le si offuscò per un secondo, mentre la nuca le pulsava di dolore.
Lentamente, Rin si mise a sedere su suoi polpacci, allo stremo delle sue possibilità al limite di ogni sopportazione, lasciando cadere le spalle in avanti e chiudendosi in un dolore intimo, non condivisibile. Aveva un polpaccio graffiato, le bruciava, ma il dolore era attutito; ogni senso era attutito, sovrastato solo dalla rabbia che le rendeva il respiro greve, come una bestia iraconda, priva di lucidità umana, guidata dal puro e semplice istinto di sbranare.
Faticava a respirare, ira e odio si le si annodavano in gola, fino a lasciarle nient’altro che una minima fessura per l’aria. Faticava a ragionare, la sua mente si ritraeva, come ferita da aculei aggressivi, si rintanava in un piccolo spazio di sé, lasciando la presa sul controllo del proprio corpo, sulla lucidità, ormai smarrita, sulla capacità di ragionamento.
Dalle viscere del proprio corpo un ruggito di odio si arrampicò per ogni centimetro disponibile, iniettandole nelle vene una furia cieca, una spinta insopprimibile che giunse fino alle labbra e si liberò, straziando la sua gola e graffiando la usa voce. Un urlo terrificante, di chi è colmo d’ira, di chi ha perso il controllo. Di chi è crollato.
 
Ryan si strinse nel cappotto, rabbrividendo leggermente, colto alla sprovvista da quell’improvvisa pioggia impietosa, fortunatamente aveva con sé l’ombrello e ora poteva contare sul riparo rassicurante, sempre sperando che un simpatico fulmine non lo incenerisse.
Dal momento che erano passati parecchi giorni dall’ultimo attacco nemico, Kurumi, pur non essendo riuscita ad appurarne appieno il motivo,gli aveva concesso una serata in tutta tranquillità e, per ogni eventualità, gli aveva lasciato il numero di telefono.
Sospirando alzò lo sguardo sui nuvoloni gonfi e scuri, opponendo resistenza al forte vento freddo che traspirava il suo corpo fino a gelargli le ossa. Gli ricordava terribilmente la sensazione inebriante di freschezza che lo aveva afferrato, un momento prima di perdere coscienza e controllo di sé, scatenando ciò che si sarebbe potuto definire un enorme vortice. Non avere il controllo del proprio corpo si era rivelato terrificante.
Scosse il capo per dissipare dalla mente riflessioni sgradevoli, quella serata voleva passarla senza pensieri e preoccupazioni. Abbassando lo sguardo sulla strada, la speranza parve vacillare, Ryan si arrestò di colpo, inchiodandosi sul posto, mentre il cuore gli balzava in gola.
Davanti a lui, a terra, una sagoma scura, gobba, respirava a fatica, reprimendo a stento una furia incontrollata. Fece un passo indietro; non credeva che il nemico potesse sferrare un attacco quella sera, in fondo era da molto tempo che il portale non si attivava, Kurumi era persino arrivata a pensare che il processo si fosse arrestato.
Il battito del cuore aumentò ad un ritmo impazzito, mentre la paura gelida gli strigliava nel petto. Frugò nella tasca dei jeans, risoluto a chiedere aiuto a Kurumi con il cellulare. Ma, nel medesimo istante in cui le sue dita trovarono ciò che cercavano, una macchina sfiorò il fianco della sagoma indistinta, illuminandola con i chiari quel tanto che bastava per far sussultare nuovamente Ryan.
Lasciò la presa sul cellulare, quindi si avvicinò cautamente, acuendo la vista per poter dare una conferma a ciò che la luce aveva rivelato.
-Rin?- sussurrò, sconcertato –Sei tu?-
Zazzera rossa, spalle larghe da palestra; nonostante la ragazza gli desse la schiena, Ryan non aveva dubbi: Quella che aveva davanti si trattava di Rin.
I battiti del cuore non diedero alcun segno di calmarsi ma, questa volta, la sensazione non fu sgradevole, e un leggero calore prese a scaldargli il petto e a sciogliere il gelo del terrore.
La ragazza trasalì leggermente, quindi gli lanciò un’occhiata di puro fuoco da sopra la spalla, mentre i tratti si facevano aspri e collerici, trasfigurati nettamente da un’ira senza nome.
-No- ringhiò, respingendolo con voce graffiante –vattene-
Solo allora Ryan notò la bicicletta a terra, il manubrio graffiato dall’attrito e il corpo  metallico sverniciato. Fu improvvisamente assalito dall’angoscia. Pur prevedendo la reazione collerica della ragazza, si precipitò da lei, riparandola dalla pioggia.
Aveva il viso contratto in una smorfia perenne, la mandibola serrata a forza, il corpo scosso da violenti tremiti, forse dovuti al freddo: indossava solo la consueta tuta leggera, comprendente la maglietta a maniche corte e pantaloncini a tre quarti. Solo una leggera felpa, lacerata dalla caduta, probabilmente, le avviluppava le spalle. Era completamente lucida di pioggia, annaffiata da capo a piedi, i vestiti le si afflosciavano addosso, incollati al corpo in piena tensione.
 Fece per scostarle una ciocca che le colava fra l’incavo del naso e dell’occhio, ma lei, cogliendolo di sorpresa respinse il gesto con violenza, spingendolo indietro fino a fargli mancare l’equilibrio.
-Vattene- gridò, la furia nella voce, negli occhi, in ogni minimo centimetro di lei.
-Rin- riprese lui imperterrito, incassando il rifiuto senza nemmeno darci troppo peso, al momento ogni pensiero era sovrastato dall’angoscia –Stai bene?- si rialzò, indagando con occhio svelto, scivolando con  lo sguardo sulla ragazza, alla ricerca del più insignificante graffio.
Percepì la pioggia precipitarsi sul suo corpo, raccogliersi in rivoli freschi e cingergli il corpo. Un tuono squassò la terra e un fulmine schiarì la strada, accedendo gli occhi di Rin di una luce terrificante, aggressiva. Uno sguardo affilato, quasi omicida, racchiudente la forza esplosiva di un incendio, il calore delle fiamme, la forza del fuoco. Uno sguardo incontrollato e sperduto, venato di una furia degna di una bestia.
Fece per avvicinarsi a lei, ma Rin lo freddò con la semplice forza dei suoi occhi, inchiodandolo sul posto con il cuore in gola.
Con la rabbia nel corpo, la ragazza si rialzò di scatto, e, in un battito di ciglia, sfrecciò via, urtandolo con una spalla, tanto forte da rischiare di gettarlo a terra.
 
Rin riprese a correre, portando il proprio corpo allo stremo, graffiandosi la gola, stretta nel nodo dell’ira. Le gambe le dolevano per lo sforzo, gli addominali protestavano con un coro sferzante, il polpaccio era una pura esplosione di dolore e la pioggia le entrava nel corpo fino a gelarle il sangue.
Raggiunse i pressi del parco, si appoggiò ad una ringhiera e fu piegata in due dall’impeto dell’affanno, scossa da tremiti gradualmente più violenti e afferrata da una rabbia più accecante. Percepì sulla lingua il disgustoso sapore del sangue, mentre il polpaccio veniva accolto da un macabro abbraccio rosso.
Strinse gli occhi con forza e si portò una mano al collo. Il respiro era sempre più difficoltoso, le pareti della gola le dolevano da impazzire, contratte nell’estremo sforzo di ingoiare il boccone amaro dell’ira.
Udì dei passi frettolosi alla sua schiena e un respiro in affanno, quindi si rizzò e riprese a camminare sotto la pioggia, imperterrita.
-Rin- la voce di Ryan le giunse soffocata, rotta dalla corsa, ma i suoi passi erano sempre più prossimi.
-Va’ al diavolo- reagì lei, fuori di sé.
Il ragazzo ammutolì ma non smise di seguirla nemmeno per un secondo.
 
Ryan aveva intuito quale fosse la meta di Rin. Aveva anche notato la ferita al polpaccio, e inorridiva alla vista del sangue che le colava lentamente sulla pelle candida. Camminarono ancora per venti minuti pieni, e il leggero zoppicare di Rin, inizialmente impercettibile, si fece a mano a mano più pesante ed evidente, fino a rendere ogni passo una sofferenza terribile.
Eppure, la ragazza non cedette finché non raggiunse la palestra. Ormai era notte fonda, qualsiasi corso si fosse svolto la sera, ora era terminato, la porta era chiusa e l’interno deserto e silenzioso.
Si sostenne al muro, riparandosi sotto la tettoia della palestra, la quale sporgeva quel tanto che bastava per garantirle almeno un posto all’asciutto.
Con un gemito straziato Rin si lasciò cadere a terra, appoggiando la schiena alla parete dell’edificio e portandosi le ginocchia al petto, torturandosi le labbra con i denti.
Lui chiuse l’ombrello e si appoggiò al muro, mantenendo una distanza di qualche metro dalla ragazza, la quale non avrebbe retto la sua compagnia, ne era certo.
Rin stava male, ma non voleva ammetterlo, né a lei né a nessun’altro. E Ryan era pronto a scommettere che stesse lottando con tutte le sue forze per non permettere alle lacrime di averla vinta su di lei che, testarda com’era, aveva sviluppato la convinzione che il pianto fosse sinonimo di debolezza e non di emozione. Il suo orgoglio le impediva di crollare, le impediva di mostrarsi volubile, aveva timore di vedere se stessa in lacrime. Se stessa debole.
Rimasero così, in silenzio, Rin intenta a soffocare l’ira, Ryan col respiro sospeso, riluttante all’idea di abbandonarla in quello stato.
-Rin- osò in fine, spezzando il silenzio con voce flebile –ricordi quando mi hai detto che le lacrime non servono a nulla?-
La ragazza parve non reagire, ma il suo fuoco intimo trovò una via di uscita per avvampare, anche solo per un secondo.
-Secondo me non è vero- completò Ryan, con tono di voce vago, ma con un preciso obiettivo.
Quella semplice affermazione, così velata e sfiorante solo in parte i riguardi della ragazza, una lievissima folata di vento, una spintarella appena percettibile, fu la goccia che fece traboccare il vaso.
Rin scoppiò in lacrime, portandosi le mani al viso, tentando invano di celare il pianto, che le rigava il viso come fuoco liquido. Le spalle presero ad essere scosse, i primi singhiozzi brutali si fecero sentire e le squassarono il petto.
Un lieve sorriso si aprì fra gli angoli della bocca di Ryan, scorgere lacrime sgorgare da quegli occhi cremisi lo rinfrancò, non perché fosse felice che Rin stesse male, era felice perché finalmente mostrava dell’umanità, dell’emozione, perché finalmente si era lasciata andare e aveva spezzato la maschera impassibile incollata sul suo viso.
Con cautela le si avvicinò, indeciso sul da farsi: non era ancora sicuro che la ragazza avrebbe gradito la sua compagnia, non ora che era in lacrime. Frugò fra le sue tasche e ne estrasse un fazzoletto di seta.
Lentamente le si accucciò di fianco, porgendole il fazzoletto e lanciandole una fuggevole occhiata in viso.
Era una persona completamente diversa. Aveva finalmente messo in luce una metà della sua personalità che celava da tempo. Ryan provò un brivido enigmatico nello scorgere Rin così diversa: volubile, quasi fragile, come se si potesse sbriciolare sotto il tocco più delicato.
Gli occhi non sprizzavano più scintille impazzite, ma non erano neppure cenere spenta, solo alte lingue di fuoco, fiere ma più dolci e mansuete.
Allungò una mano tremante e accettò il fazzoletto, con il quale tentò di asciugare le lacrime più insistenti, ma quelle continuavano a sgorgare imperterrite, spinte sotto i colpi dei singhiozzi violenti.
Gettò con forza un pugno a terra, lasciando ciondolare il capo fra le ginocchia, mentre un sottilissimo velo di vergogna le solleticava le guance. Vergogna per le proprie lacrime e per la nuova figura di sé, esile e tutt’altro che fiera.
Probabilmente la presenza di Ryan la metteva in soggezione; l’orgoglio della ragazza si ribellava all’idea che occhi diversi dai suoi penetrassero la sua armatura scontrosa. Ma il ragazzo non aveva intenzione di forzarla, solo di confortarla.
-Vuoi che me ne vada?- le chiese con tono premuroso, timoroso di rappresentare un fastidio alla ragazza piuttosto che sostegno disponibile.
Lei rimase dapprima in silenzio, lasciando posto al ticchettio insistente e ritmico della pioggia che scemava gradualmente, fino a dissolversi in una leggerissima pioggerella dispersa dal vento.
Poi scosse lentamente il capo, incassato fra le spalle esili, tormentate dai singhiozzi frequenti e violenti.
Ryan inarcò le sopracciglia, piacevolmente sorpreso e, per una volta, pensò che, forse, anche le persone più forti avevano bisogno di qualcuno su cui appoggiarsi.
Si inumidì le labbra, leggermente imbarazzato, quindi le si sedette accanto appoggiando i gomiti sulle proprie ginocchia. Si ritrovò in una scomoda posizione di incertezza, in cui una parte di lui lo spronava a fare di più, e la parte restante gli bloccava la mente, ricacciando indietro ogni suo pensiero contrastante.
In bilico fra l’osare e non osare, Ryan prese a torturarsi le mani, nervoso e immerso nei propri pensieri finché un singhiozzo più violento lo riportò alla realtà, focalizzando ogni sua attenzione su Rin.
Senza più pensarci due volte, allungò un braccio, passandolo attorno alla sua schiena, le afferrò la spalla e la trasse gentilmente a sé, in un timido contatto non intimo come l’abbraccio, ma abbastanza per infonderle sicurezza. Sbuffò la tensione, aspettando con pazienza che il pianto liberatorio di Rin scemasse, le lacrime si asciugassero, e lei trovasse il coraggio di uscire dal suo guscio d’orgoglio.
 
Rin sospirò pesantemente, un’ultima lacrima bollente fece capolino fra le sue ciglia, inumidendole il viso e segnando la fine di quel pianto.
Una forte emicrania da disidratazione prese a martellarle le tempie con forza, e brividi continui si arrampicarono sul suo corpo. Si portò il palmo alla tempia, mentre i residui delle lacrime le schermavano la visuale.
Tossicchiò, leggermente imbarazzata dalla situazione, riscuotendo Ryan, il quale ritrasse immediatamente il braccio come se fosse stato morso da una serpente.
-Ehm … -esordì, tentando di strapparsi dalla crisi in cui era caduto –Va meglio?-
Lei annuì debolmente. Effettivamente, ora l’angoscia si era fatta più leggera, perlomeno ora le permetteva di respirare.
Ryan si alzò e le porse la mano con timidezza –Vieni- disse, forzandole un sorrisetto.
Rin afferrò la mano e si rialzò, ma quando il ragazzo parlò di riaccompagnarla a casa, di irrigidì di netto, opponendo una ferma resistenza. –No- sussurrò, rabbiosa, quasi spaventata –Ti prego-
Il ragazzo corrugò la fronte senza capire, ma non lasciò la presa sul polso della ragazza, la quale aveva preso a dimenarsi per sgusciare dalle sue dita, mormorando frasi a sprazzi e mezze suppliche.
-Rin- scattò, afferrandola per le spalle e sovrastando le sue proteste con tono di voce ferma –Non ti riporterò a casa, se non è quello che vuoi.
La ragazza si rilassò notevolmente sotto il suo tocco e sospirò di sollievo.
Ryan afferrò l’ombrello, lo aprì e le sorrise –Dove vuoi andare?-
Rin fu afferrata dall’angoscia, si passò una mano sui capelli con fare irrequieto –Non lo so- sospirò con voce incrinata, ventata di un’agitazione piuttosto palese.
Ryan inarcò le sopracciglia e dovette afferrare appieno la situazione, perché la sua espressione si fece improvvisamente grave –D’accordo- disse, senza perdersi d’animo –il mio appartamento è vuoto- Affermò, con assoluta naturalezza – c’è abbastanza spazio per due persone-
Rin alzò lo sguardo, sorpresa dall’estrema premura della proposta, quindi annuì lentamente. Il modo di fare di Ryan l’aveva colpita: Lui non aveva tentato di penetrare la sua riservatezza e il guscio acuminato che rivestiva la sua personalità, al contrario lui l’aveva abbracciato, senza chiedere alcuna spiegazione, senza esaminare la situazione.
-Ehi- sussurrò, abbassando lo sguardo –Grazie-
Ryan le sorrise e, insieme, si gettarono sotto la pioggia. 
  
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