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Autore: Remiel    04/07/2013    4 recensioni
Protagonista di questa storia è la semidea Cithara, figlia di Apollo, che scoprirà di possedere sin dalla nascita una dote particolare...
Arrivata al Campo Mezzosangue in seguito al rapimento della madre, Thara farà la conoscenza di varie persone tra le quali Emile, figlio di Ermes, incaricato di accompagnarla alla scoperta del mondo delle divinità e dei suoi poteri di semidea, e Raven, figlio di Apollo e capo dormitorio, nonché capo della banda musicale del Campo.
Il mistero del rapimento della madre di Thara si infittisce con la sparizione di altre donne. Chi le sta portando negli Inferi, e a che scopo?
Dal Cap.2
"Mi accorsi che era tempo di andare all’entrata e scesi le scale circolari con calma, assaporando il rimbombo del rumore che i piccoli tacchi delle ballerine producevano a contatto col marmo bianco. Chiusi gli occhi, deliziata da questo suono, mentre riconoscevo senza problemi prima un La, poi un Do provocato da un passo più deciso, un Fa… Questo era il vero dono che mi aveva fatto mio padre: la Musica."
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La storia è "ambientata" nel mondo di Percy Jackson, più che essere una fanfiction vera e propria... Dunque, buona lettura anche a chi non conosce i libri!:)
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Gli Dèi, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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[Call your name - Sawano Hiroyuki]
[Code Name Vivaldi - The Piano Guys]
[Immortalis - Future World Music]
[Robot Koch ft. John LaMonica - Nitesky]

“Resisti, manca poco!” continuavo a ripetermi per spronarmi a correre. “Più veloce… Più veloce!”
Nel frattempo portai la mano al bracciale, tramutandolo in arco. Sentendo il peso rassicurante dell’arma mi confortai: avevo pur sempre solo sei frecce ma almeno non ero disarmata.
Mano a mano che mi avvicinavo, la boscaglia si infittiva e rallentava la mia corsa.
«Maledizione!» urlai disperata, accanendomi contro un cespuglio di rovi che mi bloccava la strada. Quanto avrei voluto avere una spada in quel momento, invece che un arco…!
Ebbi l’impressione che il passaggio si stesse restringendo, tanto che mi sembrò di trovarmi in un tunnel piuttosto che nell’immensa grotta dell’Oltretomba. “Un tunnel senza uscita, immagino… Magnifico.”
All’improvviso, un bagliore accecante mi costrinse a chiudere gli occhi.
Ero arrivata.
Rimasi stordita per qualche secondo mentre cercavo di riprendermi dalla visione paradossale che si stagliava davanti a me.
Eris era protesa su di una grande voragine e stava versando al suo interno un liquido dorato dalla coppa che teneva stretta tra la mani. Era proprio la coppa a rilucere di viola, così violentemente da essere abbagliante. Come se non bastasse, da quello stesso burrone si stava levando una nube dall’aspetto venefico che aveva preso ad avanzare verso di me ‒o meglio, verso l’uscita.
Vidi la follia nello sguardo di Eris rivolto all’abisso, assieme all’odio covato per chissà quanti millenni, ed ebbi paura. La sua risata cupa fece tremare le pareti della grotta.
«Finalmente! Dopo tutto questo tempo…»
Come in trance, cercai con lo sguardo le nove Muse.
Stese prone in semicerchio dietro ad Eris e col volto smunto rivolto a terra, erano ormai prive di forze. A vederle così risultava difficile sperare in una loro ripresa, pareva che le catene avessero risucchiato loro ogni forza vitale. Gli anelli erano stretti attorno ai polsi e alle caviglie di ciascuna, collegando tra loro le donne, mentre i due capi delle catene erano ben saldati in un grosso cerchio, agganciato allo stelo del calice tra le mani della dea della Discordia.

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“Ma certo… Le catene!” Dovevano essere quelle la causa delle loro sofferenze!
Il calice sembrava senza fondo, il liquido scorreva inesorabile. Era la Linfa delle Muse?
Mi concessi un’ultima occhiata alla massa indistinta ch’era mia madre e avanzai. Ora come ora mi chiedo come avessi potuto dimenticare un dettaglio così importante, il vero motivo della mia corsa folle…
Incoccai una delle mie preziosissime frecce per scagliarla contro la dea.
“Non si è ancora accorta di me, è la mia occasione. Se le strappassi quel calice dalle dita…”
Le mani mi tremavano dalla tensione. Fu allora che una dolce voce familiare riemerse dai miei pensieri per tranquillizzarmi.
“Rilassa le spalle…
Prendi bene la mira…
Tendi l’arco…
…E scocca!”
«Emile!»
Non riuscii a cambiare la traiettoria della freccia quando Emile mi si parò davanti all’ultimo. Il mio cuore perse un battito credendo di averlo colpito, ma tirai un sospiro di sollievo nel realizzare che l’aveva deviata da solo, con la lama della sua spada.
«Dèi, grazie…» sussurrai, ricacciando indietro le lacrime che minacciavano di uscire.
Ci misi un po’ a capire che qualcosa non andava.
«…Emile?» Cercai il suo sguardo, senza risultato.
I suoi occhi verdi erano vitrei.
“Sono inutile.”
Lo guardai confusa. Non aveva parlato, ma era sua la voce che avevo sentito.
“Cerco sempre di aiutare gli altri… Perché? Per sentirmi dire grazie? No, forse è per provare quella sensazione di forza che segue la resa degli altri. Se mi chiedi aiuto, allora riconosci che sono più forte di te. È appagante...”
Stava succedendo la stessa cosa che mi era capitata con la Voce di Alyssa nella prigione di ghiaccio.
“Sono sempre stato debole. Come può qualcuno amare un debole? Anche lei… Vuole proteggermi perché sa che sono debole. Ma io non voglio essere inferiore a nessuno!”
Alzò il suo sguardo spento sul mio e giurai di aver visto una scintilla rossa baluginare in quel verde.
«Emile, cosa succede?» Cercai di suonare sicura ma mi tremavano le gambe.
“Io… Non voglio essere debole.”
In un lampo mi fu addosso. Non tentai nemmeno di evitarlo, era tutto troppo assurdo per essere vero.
«Uccidila, sai che quando ti guarda amorevolmente in realtà ai suoi occhi non sei altro che un gingillo da proteggere. Ora che sa di essere la figlia di una Musa e di un dio non avrà più bisogno di te! Si beerà del suo potere come tutti gli altri e ti sottometterà.» Le parole di Eris mi giunsero ovattate, l’unica cosa di cui ero consapevole erano le mani di Emile strette attorno al mio collo.
Ora avevo la certezza che era stata la dea della Discordia a instillarmi il dubbio appena uscita dalle stanze di Kimon. Il suo era un potere subdolo, forse peggiore anche di quello di Phobos, capace di entrarti dentro e minare la tua volontà con l’odio, la paura e il rancore.
«Non è vero…! Emile, sai che mente!» mormorai tentando di riprendere fiato, le mie dita avvinghiate ai suoi polsi.
A cosa era servito scoprire il piano di Eris in anticipo? A cosa era servito correre, disperarsi in quel modo?
“Non sono debole. Sono forte. L’ho promesso a me stesso.”
«E…mile…» Quando allontanò una mano dalla mia gola, una flebile speranza si riaccese in me, per poi lasciar posto all’angoscia nel vedere quella stessa mano raccogliere la spada da terra, al suo fianco. Le lacrime che avevo tentato di cacciare indietro scendevano copiose, impregnandomi i capelli e le orecchie.
Raccolsi le ultime forze in un grido disperato.
«…Ti amo!»
La lama riflesse la luce viola del calice prima di attaccare. Chiusi gli occhi d’impulso, preparandomi al dolore.
“È la fine.”
Sentii il rumore della lama penetrare nella carne. “Credevo facesse più male… O no, forse sto solo perdendo conoscenza.”
Un liquido caldo mi bagnò il volto e il collo mentre un forte odore metallico mi riempì le narici.
«Ahahah…» La risata sofferente di Emile mi costrinse a riaprire le palpebre. «…Sarei stato davvero un debole se ti avessi fatto del male. Ho giurato che ti avrei protetto da tutto, e questo significa proteggerti anche da me.»
Stringeva ancora la spada nella destra, la lama conficcata nell’altro braccio. Si era ferito per riprendere il controllo!
Ancora troppo scossa per dire alcunché, mi limitai a spostare le dita sul taglio.
«Emile…»
«Non potrei mai colpirti, Thara» disse, posando rapidamente le sue labbra sulle mie.
Un mugghio aggressivo ci interruppe e mi fece balzare il cuore in gola. Emile fu più lesto di me, si alzò in fretta parando il colpo del Minotauro appena uscito dalla voragine.
Rimasi paralizzata per un attimo nel realizzare quanto fosse enorme: alto poco meno di tre metri con delle corna appuntite come rasoi, gli occhi brillavano di un viola intenso. L’intero corpo del mostro era ricoperto da peluria ispida ma più di tutto mi preoccupavano i suoi muscoli rigonfi e pronti a scoppiare, quasi che grazie al rito di Eris avesse fatto il pieno di steroidi.
E noi avremmo dovuto cercare di tenere a bada altri mostri forti come ‒se non più‒ di quello?
“Padre, fa che i rinforzi arrivino in fretta. Altrimenti non ce la faremo mai.”
Mi sollevai anch’io, recuperando velocemente l’arco e incoccando una freccia, pronta all’attacco. Mi restavano solo cinque frecce…
“Sono stata un’idiota a non prendere una faretra seria dall’armeria. Non l’avrei rubata, si sarebbe trattato solo di ‘prendere in prestito’…” Sorrisi tra me e me, perché stavo cominciando a ragionare come una figlia di Ermes. Forse stare con Emile aveva iniziato a influenzare anche il mio modo di pensare.
«È inutile combattere! Arrendetevi, miserabili Semidèi, non avete speranze di vincere!» gridò Eris dall’altra parte della caverna, il calice sempre stretto tra le mani. Dovevo sottrarglielo ad ogni costo…
“Una cosa alla volta.”
Emile evitò l’ennesimo pugno lanciato dal Minotauro, sgusciando dalla sua presa, e mirò alle gambe con la spada. La lama rimbalzò all’indietro contro la sua pelle coriacea.
«Porca… Non può essere come quel maledetto Leone!» imprecò Emile.
«Non lo è infatti…» sussurrai, tendendo l’arco. In realtà non ne ero per niente convinta, ma avevo bisogno di infondermi coraggio.
Il Minotauro non si era allontanato molto dal luogo dal quale era uscito, la fenditura era proprio dietro ai suoi enormi zoccoli. Se solo fossi riuscita a farlo indietreggiare appena ‒quel tanto che bastava per farcelo cadere dentro‒ almeno sarei riuscita a prendere un po’ di tempo. Attualmente sembrava l’idea migliore, soprattutto perché dei ruggiti provenienti dalla bocca del Tartaro preannunciavano l’arrivo di nuove creature altrettanto desiderose di ridurci a brandelli.
Scoccai la freccia.
«Gwoooooh!!!»
«Bel colpo, Thara!»
L’uomo toro arretrò di qualche passo tra le grida di dolore, tenendosi l’occhio ferito con entrambe le mani artigliate. Un fiotto di sangue e materia gelatinosa prese a scorrergli attraverso le dita e a impregnargli la barba incolta.
“Non è abbastanza…!” pensai mentre cercavo di rimanere lucida e trattenevo i conati.
Emile lo colpì al basso ventre facendolo retrocedere ancora, finché non decisi di sacrificare un’altra freccia.
Questa volta mirai al naso taurino. Con un ultimo muggito, il Minotauro cadde all’indietro e scomparve nell’abisso.
Non ebbi il tempo di esultare, che degli occhi serpentini attirarono la mia attenzione. Dapprima un paio, gli occhi parvero moltiplicarsi in mezzo alla nube viola sempre più fitta, tanto che mi chiesi se non si trattasse di un’allucinazione. La risata malefica di Eris tornò a risuonare attorno a noi, rimbombando tra le pareti.
Emile si voltò verso di me gridando.
«Sta’ giù!»
Prima che potessi correre al riparo, una raffica di spilli piombò su di noi.
«Scusate, è qui la festa?» Profumo d’incenso.
«Ehi Noir, smettila di fare il figo. Pensavi che ti avrei lasciato tutto il palcoscenico?»
Sussultai.
«…Kimon! Raven!»
«Guarda che ci siamo anche noi!» mi rispose la calda voce di Loren.
Allontanai la testa dall’abbraccio protettivo di Emile, che si era buttato su di me all’attacco del mostro, e sorrisi ai nostri compagni. Grazie al tempestivo arrivo di Raven e Loren con due larghi scudi davanti a noi non eravamo stati colpiti dagli aculei velenosi.
«Alla buon’ora eh?» fece Emile, aiutandomi a rialzarmi.
Qualcuno replicò in tono sgarbato.
«La colpa è vostra, avreste potuto invitarci subito!» Non credevo Kimon avesse annoverato tra i rinforzi anche i figli di Ares Lena e suo fratello energumeno (che avevo scoperto chiamarsi Garrit).
Da lontano, Martha mi mandò un bacio e strizzò l’occhio, alludendo probabilmente alla mia vicinanza con Emile. Stavo per farle la linguaccia quando il sibilo stizzito del mostro mi fece accapponare la pelle.
Giusto, non era ancora finita.
Quello che si parava davanti a noi era uno scenario da incubo: dal baratro era appena uscita l’Idra in tutta la sua magnificenza, con le nove teste che continuavano a fissarci con aria davvero poco cordiale.
«Ehm… Non la ricordavo così grande» fu l’unico commento che fece Kimon, prima di eclissarsi. Era un dio, certo, ma non credevo che avesse qualche potere particolare oltre la sua aura assopente. Immaginavo avrebbe cercato di essere utile dalle retrovie.
«Bene, dobbiamo resistere solo fino a quando non arriveranno gli dèi, giusto? Poi ci penseranno loro» chiese conferma Loren. Anche in una situazione del genere non lasciava da parte quel pizzico di svogliatezza che lo caratterizzava.
Di tutta risposta Raven caricò una delle teste dell’Idra, spalleggiato dalle frecce di Martha.
«Per tutti gli dèi, abbiamo l’occasione di entrare nella storia Loren! Sii serio per una volta!» lo rimbrottò nostra sorella.
Dentro la caverna si era creato un putiferio, eliminare l’Idra si stava rivelando più difficile del previsto.
«Thara… Forse è meglio se vai via. Qui è pericoloso» mi sussurrò Emile, prendendomi da parte. La ferita che si era inflitto doveva fargli male perché era diventato pallido, con la fronte imperlata di sudore. Strappai un lembo della mia maglia per stringerla attorno al suo braccio e scossi la testa.
«Devo raggiungere Eris e toglierle quella dannata coppa dalle mani, solo così gli archetipi smetteranno di uscire dal Tartaro.»
“Solo così riuscirò forse a salvare mia madre.”
Abbassò lo sguardo, pensieroso, prima di rispondere.
«…Ho capito. Tu vai, ti copro io.»
Gli accarezzai la guancia e poi iniziai a correre, abbassandomi di tanto in tanto per evitare gli attacchi fulminei dell’Idra. Dietro di me sentii la lama di Emile cozzare contro quella che immaginavo essere la pelle del mostro.
Con un’ultima capriola e un’agilità che non credevo di possedere, raggiunsi un punto abbastanza tranquillo da permettermi di mirare al calice e dargli la giusta traiettoria per allontanarlo da Eris.
La Discordia sembrava inconsapevole di quello che le stava accadendo attorno, teneva gli occhi rossi fissi sulla bocca del Tartaro mentre mormorava qualcosa di incomprensibile. Poteva un dio cedere alla follia?
“Niente distrazioni, tira!”
«Aaaargh!»
La coppa rimbalzò sul terreno roccioso con un tintinnio, scaraventata lontano dalla freccia. Eris si voltò di scatto e mi fissò furente, le iridi iniettate di sangue.
«Tu… Hai idea di cosa hai fatto?! Hai interrotto il rituale!»
Deglutii, imponendomi di mantenere la calma e mostrarmi decisa nonostante l’aura omicida emanata dalla dea. Le puntai contro l’ultima freccia che avevo a disposizione.
«Divina Eris, è finita. Le altre divinità saranno qui tra poco... Ha perso.»
Lei cominciò a ridere in modo sgraziato, come se avessi detto qualcosa di molto divertente.
«Ti credi tanto grande perché hai più sangue divino degli altri tuoi compagni, eh? Sì, è questa la verità. Ma mi dispiace, arrivati a questo punto nemmeno Zeus in persona può fermare il corso degli eventi. Anche se non tutta la Linfa delle Muse è finita nel Tartaro… Buona parte di essa è già stata assorbita dalle creature.»
Prese un respiro e mi sorrise, mostrando i suoi affilati denti bianchi.
«Il Caos è giunto. Ho vinto.»
Un nuovo terremoto scosse la terra, quasi a conferma delle sue parole. Rabbrividii con orrore quando un paio di artigli cercarono appiglio tra le rocce e la testa leonina della Chimera sbucò dall’abisso, seguita dalla quella bicefala dell’Ortro e di non so quale altro archetipo.
La nebbia viola che non era riuscita a sfociare dall’imboccatura del tunnel, ora stagnava nell’aria rendendola irrespirabile.
«Merda, questi cosi non finiscono più!» sentii gridare Lena.
Purtroppo non fu necessario dare un’occhiata attorno per capire che aveva dannatamente ragione e che eravamo in una situazione disperata.
Eris rise ancora, di gusto, avvicinandosi a me. Speravo che fosse l’effetto allucinogeno della nube o qualcosa del genere, ma sembrava che stesse aumentando di statura avvolta nella sua aura rosso granato.
«Dovresti ringraziarmi, non farai nemmeno tanta strada per raggiungere l’Eliseo al momento della  tua morte! Quando avrò finito con te troverai i tuoi amici ad aspettarti all’altro mondo.»
Il panico mi assalì e mollai la presa sulla cocca della freccia, lanciandola involontariamente verso la dea.
Lei rimase imperturbabile anche con l’icore dorato che le scendeva in un rivolo dalla nuova ferita sulla guancia, con quel suo sorriso perfido stampato sul volto.
Indietreggiando mi trovai a toccare con la schiena le pareti della grotta e realizzai di non avere vie di fuga.
Senza un’arma e con le spalle al muro.
Ero spacciata.
Il terreno tornò a tremare ma questa volta anche Eris trasalì, fino a quando qualche spiraglio di luce comparve dall’entrata dov’era nata la foresta.
«FUORI DAL MIO REGNO!!!» La voce tonante di Ade risuonò all’interno della caverna sovrastando tutti gli altri rumori. «Eris, sarai punita severamente per le tue colpe! Arrenditi!»
«Questo mai! …Ade, proprio tu dovresti capirmi!» sibilò lei, dimentica della mia presenza.
L’armata degli Inferi era finalmente arrivata a dare man forte.
«Desiderare il Caos è qualcosa di malato, Eris! Sconvolgere l’ordine è sbagliato. Anche il Regno dei morti ha un ordine, tutto deve averlo!»
«…Zeus deve pagare!» Scandì ogni parola con odio.
Cercai di rendermi invisibile per non interferire con il loro diverbio. Assistere a uno scontro tra divinità era terribile, la tensione nell’aria quasi soffocante. Lanciai un’occhiata ansiosa a mia madre, ma da quella distanza non riuscivo a capire se si stesse riprendendo.
«Combatti contro di me, se ne hai il coraggio. Zeus non è privo di colpe però questo non ti dà il diritto di venire a casa mia e coinvolgermi nella tua vendetta personale!»
Eris si allontanò da me procedendo a grandi falcate verso Ade, più rabbiosa che mai.
«Io sono la Discordia!»
«…E io sono la Morte!»
La terra tremò ancora.
Ignorai i brividi e i crampi allo stomaco provocati dall’agitazione e ne approfittai per correre da mia madre, rischiando di inciampare sul terreno disconnesso.
«Mamma… Mamma come stai?» sussurrai dopo averle preso la testa fra le mani. Sostenere il peso morto del suo corpo abbandonato mi provocò il magone e lo sguardo spento che mi rivolse fu come una pugnalata. «Mamma…!»
Anche le donne al suo fianco avevano smesso da tempo di lamentarsi, giacevano in pose scomposte con gli occhi chiusi e il volto contratto in un’espressione sofferente.
Mi rannicchiai su di lei per farle scudo col mio corpo dai rumori della battaglia, mentre le lacrime tornarono ad appannarmi la vista.
“Ci dev’essere qualcosa che posso fare… Non può morire così!”
«Thara… Bambina mia…»
«…Mamma! Sono qui!» risposi, con rinnovata speranza. «Cosa posso fare?!» Mi spaventai della foga con cui glielo chiesi, sembrava più un’imprecazione rivolta alla sorte piuttosto che una richiesta disperata.
Mia madre riuscì solo a biascicare qualcosa prima di tornare incosciente.
«…Le catene…»
Subito, presi le catene in mano saggiandone la consistenza e le battei sulla roccia più vicina. Come era ovvio che fosse, il metallo azzurrino non diede cenno di volersi rompere.
Mi guardai intorno alla disperata ricerca di qualcosa di contundente finché non vidi luccicare una delle mie frecce. Corsi a prenderla e tornai da mia madre, cominciando a picconare gli anelli con violenza sempre maggiore.
«Perché non ti rompi?! Perché?!» Un altro colpo. La punta della freccia s’incrinò. «Perché…»
Eppure il bronzo divino avrebbe dovuto rompere con facilità quelle catene!
Stavo per abbandonarmi alla disperazione, non riuscivo nemmeno più a vedere dove stavo colpendo per colpa delle lacrime e finii per ferirmi alla mano.
«Mamma…»
Un boato proveniente dall’ingresso mi obbligò a voltarmi di scatto.
«Mi sembra un po’ troppo affollato qui dentro!» osservò una voce maschile in tono scherzoso.
«Tu e le tue solite manie di protagonismo…»
Questa volta era stata una ragazzina sui dodici anni a parlare.
«Meritavamo un’entrata in scena spettacolare. Siamo divinità, sorellina» le rispose lui, come se fosse la cosa più ovvia del mondo.
Una donna con un’armatura lucente, una lancia in mano e l’aspetto molto più serio di loro li affiancò, mettendo fine al loro battibecco.
«Smettetela di blaterare e proteggete i Semidèi!»
Dietro di lei si delineò la figura massiccia di un uomo con la barba nera e grigia e un cipiglio severo, una saetta sprizzante piccoli lampi stretta nella destra. La sua aura, in quanto a potenza, non aveva nulla da invidiare a quella di Ade.
«Nessun archetipo generato dal tuo rituale uscirà di qui, Eris!»
Forse sarei dovuta rimanere affascinata dalla forza emanata da Zeus, ma in quel momento ero troppo impegnata a osservare il ragazzo che era entrato per primo.
Non dimostrava più di vent’anni e, perfino nella penombra in cui era caduta la caverna, il biondo dei suoi capelli era così chiaro da abbagliare. Nella sua armatura dorata era magnifico, la perfetta incarnazione del Sole.
Quello che avevo davanti agli occhi era mio padre.
Il cuore palpitò quando i suoi occhi incontrarono i miei. Mi aveva riconosciuta? Erano anni che non lo vedevo. Anzi, era la prima volta che lo vedevo nella sua versione giovanile.
«Thara… Vai via…» Mia madre aveva riaperto gli occhi e ora mi stringeva il braccio con debolezza.
Scossi la testa con vigore, riprendendo a colpire le catene.
«Non me ne andrò senza di te.»
Una mano calda mi bloccò il polso a mezz’aria, mentre stavo caricando un altro colpo.
«Lascia stare, qui ci penso io.»
Non mi chiesi come avesse fatto a raggiungermi così in fretta ‒d’altronde era un dio‒ e rimasi a osservare Apollo spezzare le catene di tutte le prigioniere con facilità grazie a un pugnale. Le manette che stringevano i polsi e le caviglie delle Muse si aprirono, cessando di rilucere di azzurro.
«Ora va meglio» mormorò soddisfatto.
Tornai a guardare mio padre, in silenzio, rapita dalla sua figura simile a un’apparizione. L’aura scintillante della sua armatura era dannatamente ipnotica.
Apollo diede un bacio sulla fronte a mia madre, mi carezzò la testa e si alzò sorridendo, per poi tornare alla battaglia e sparire nella mischia velocemente, così come era giunto.
Restai a fissare il vuoto che aveva lasciato per qualche secondo prima di concentrarmi nuovamente su mia madre. Pur non avendo delle ferite visibili, tutte le Muse versavano in condizioni preoccupanti.
«Stai meglio?» le chiesi.
Vedendola annuire mi rilassai e sospirai di sollievo.
«Tesoro… Hai usato il Dono?»
«Credo di sì… Sì.» Ormai non aveva senso nasconderlo.
Inaspettatamente l’espressione di mia madre si  rabbuiò.
«…Quante volte?»
La domanda mi lasciò spiazzata, ci misi un po’ a rispondere.
«Io… Non lo so. Un paio di volte. Perché?» Presa dall’ansia e dalla foga del momento avevo dimenticato il male alla gola, che tornò subito a farsi sentire.
«Non devi più usare la Voce! Altrimenti tu…»
«Thara! Attenta!» urlò qualcuno.
Riuscii a girarmi in tempo per vedere una coda gigantesca dalle scaglie adamantine venire a tutta velocità verso di me, prima di venire scaraventata contro la parete rocciosa.
«Aaahhh!»
Soffocai un gemito mentre il dolore si propagava lungo l’intero corpo come una scarica elettrica, la vista appannata. Portai la mano alla testa e la osservai: stavo sanguinando.
Una figura mi si parò davanti a tutta velocità, fronteggiando il mostro per difendermi.
Quando finalmente riuscii a rialzarmi, misi a fuoco i capelli biondi del mio salvatore.
«Papà…?» sussurrai, per poi correggermi subito. «…Emile!»
Non so da quanto stesse combattendo in quelle condizioni ma era ovvio che non sarebbe resistito a lungo. Alcuni dei lunghi aculei velenosi vomitati dall’Idra spuntavano dalle parti scoperte dal corpetto di cuoio, sulla schiena, e una lunga ustione gli copriva parte della gamba destra.
Presi la prima cosa che mi capitò tra le mani, una roccia, e la scagliai contro il Pitone con tutta la forza che mi rimaneva.
«Emile, ti prego scappa!»
Lui non rispose e rimase stoicamente a difendere la sua posizione, senza cedere di un passo.
Non stava proteggendo solo me, si era messo davanti alle Muse esanimi per non lasciarle in balìa del mostro. Stava proteggendo anche mia madre.
Arrancai verso di lui, urlando tra le lacrime.
«Padre! Aiutami!»
Possibile che nessuno potesse arrivare in suo soccorso?!
«Stai lontana!»
Il Pitone emise un sibilo minaccioso e inarcò la schiena per prepararsi all’assalto. Quando vidi i suoi denti acuminati lacerare il braccio di Emile il tempo parve rallentare.
La lama del gladio aveva passato da parte a parte la fauce superiore del mostro, rubandogli un grido di dolore, ma questo aveva arpionato il braccio di Emile e non sembrava intenzionato a lasciarlo andare. Il sangue del Pitone andò a mescolarsi a quello del Semidio.
«Emile!!!»
Un dardo dorato perforò la gola del mostro, che dimenò le spira in modo convulso fino a sparire in una nube di fumo. Sapevo che era stato mio padre a scagliare quella freccia.
Con un clangore metallico, la spada rimbalzò a terra mentre Emile cadde in ginocchio prima di accasciarsi al suolo.
Mi gettai su di lui e lo presi tra le braccia.
«…Emile! Ti prego, resisti…» Asciugai con violenza le lacrime che mi ostacolavano la vista, portando le mani al suo viso. L’odore acre del sangue mi penetrò le narici.

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«Ehi… Cos’è quell’espressione triste?» mormorò con un sorriso. Il morso del Pitone gli aveva lacerato il braccio riducendolo a brandelli e il sangue usciva abbondante. Mi accarezzò la guancia con la sinistra.
«Immagino non sia una bella visione, eh…?» cercò di sdrammatizzare riferendosi alla ferita. «Per te che hai così paura del sangue…» Fu scosso da un colpo di tosse.
Avrei voluto dirgli di smetterla, che quello non era un problema adesso e che sarebbe andato tutto bene, ma non riuscivo a parlare. Continuavo solo a singhiozzare.
Improvvisamente, come un raggio di sole si fa spazio tra le nuvole dopo la tempesta, così la mia mente si rischiarò e compresi.
Le ultime strofe della Profezia…
“Una cosa cara di certo andrà perduta,
ma la sua importanza dipenderà dalla funzione adempiuta”
Una cosa cara… O meglio, una persona cara. Avevo ritrovato Eleuse e mia madre sembrava essersi ripresa, senza le catene ad assorbirle la Linfa vitale.
I rumori della battaglia si fecero improvvisamente lontani, simili a una debole eco.
Colui che avrei perso era Emile.
Tornai al presente e osservai con nuova lucidità le sue ferite, per cercare una conferma.
«Thara, devi ascoltarmi…» biascicò mentre lo giravo su un fianco per estrarre gli aculei dell’Idra.
«Non parlare. Devi mantenere le energie per quando ti porteranno in infermeria.»
Sussultando a ogni ago estratto, continuò.
«…Non mi importa cosa succederà. Voglio solo che tu sappia… Questi giorni al Campo, con te… Sono stati i più belli della mia vita.»
Ignorai il nodo alla gola che mi si era formato nel sentire le sue parole e gli rivolsi un sorriso.
«Lo sono stati anche per me.» Pregai con tutto il cuore che non riuscisse a leggere nella tristezza dei miei occhi il mio vero intento.
Nonostante avessi cercato di tamponare la ferita, il sangue non accennava a fermarsi.
«…Ti amo.»
Lo baciai sulle labbra, assaporando quello che sapevo sarebbe stato il mio ultimo bacio.
«…Ti amo anch’io» sussurrai.
Lui chiuse gli occhi con espressione soddisfatta. Poteva finalmente riposare.
«Sono felice di averti conosciuta…»
Rallentai il ritmo del respiro, socchiudendo le palpebre. Mia madre mi aveva intimato di non usare ancora il Dono, probabilmente avrei rischiato la vita.
“La persona per la quale vivere, è anche la persona per la quale morire?”
Lo guardai per un’ultima volta e gli passai le dita fra i capelli.
“…Sì, lo è.”
«…Non ti dimenticherò mai, Emile.»
Riportai alla mente le parole che avevo cantato al ramoscello di alloro. Che buffo, erano passati solo alcuni giorni eppure pareva fosse trascorsa un’eternità da quel giorno!
Cantai.
«Melo̱día,
Óla eínai éna kai éna eínai óla
I̱ zo̱í̱ mou, i̱ zo̱í̱ sas…»
♫♪♫
 
Una luce calda mi pervase le braccia, irradiandosi dalla gola, e andò ad avvolgere le ferite di Emile.
Il flusso del sangue si interruppe, la bruciatura alla gamba iniziò a guarire.
Sentii qualcuno gridare il mio nome, forse era mia madre.
«…To rév̱ma roí̱ mésa sto Sýmpan,
af̱thórmi̱ti̱.
Epistrofí̱ sto Néa Zo̱í̱.»
♫♪♫
 
La carne tornò a ricoprire il suo braccio, solo il sangue sul terreno era rimasto a ricordare la ferita del Pitone. Lentamente, il colorito stava riapparendo sul volto di Emile.
Continuai a cantare finché non sentii le energie abbandonarmi e la testa cominciò a girare.
 
Il dolore alla gola si era fatto lacerante, oltre ad ardere ora era come se mi avessero costretta a ingoiare una miriade di spilli.
Con le ultime forze, mi stesi al suo fianco. Osservai il suo volto sereno e sorrisi.
«…Spero tu possa essere felice.»
Ancora, udii più voci chiamare il mio nome.
Poi, il mondo attorno a me divenne buio e la Melodia scomparve per lasciare spazio a un rassicurante Silenzio.
 
 
 
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Nota dell'Autrice:
...Quanto ho faticato per scrivere questo capitolo!ç_ç Spero che non risulti come un'accozzaglia di cose a caso, ma che abbia un nesso logico anche per voi lettori. Mi è dispiaciuto non poter dare molto spazio ai ragazzi del Campo ma, essendo la storia dal punto di vista di Thara, mi è sembrato più naturale che corresse ad aiutare la madre senza prestare troppa attenzione alla battaglia.
Se qualcuno si chiede il perché dell'arrivo dei ragazzi, ebbene ecco la spiegazione: Raven (con Eleuse e Alyssa al seguito) è stato accompagnato da Kimon al Campo tramite uno dei suoi portali. Lì, hanno spiegato la situazione a Chirone e al Signor D. e mentre questi decidevano il da farsi Raven è andato a recuperare le persone di cui si fida di più (Loren e Martha) per portarle con lui e soccorrere Cithara. Lena e Garrit lo hanno seguito perché adorano Alyssa e volevano farla pagare ad Eris per come l'ha trattata.
Inutile dire che l'hanno tutti perdonata. :)
 
Riguardo questo capitolo... Non dirò nulla oltre a "non disperate". C'è ancora l'Epilogo. ♥
 
Che dire... Spero che i disegni e il capitolo vi siano piaciuti! Restate con noi per l'ultimo, vero round finale!
 
 
Remiel ♥
   
 
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