naïf
(francese)

ingenuo, spontaneo, genuino
innocente

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La sua lingua madre, molto spesso, presentava davvero cose che persino a lui - che l'aveva amata e trasmessa e continuava ad amare con tutto sé stesso- non piacevano.
Come i sinonimi.
Troppo numerosi, troppo poco musicali -perché lui alla musica ci teneva, ed anche tanto- o semplicemente troppi.
Ed era in quel momento che sceglieva di abbandonarsi alle altre lingue, a scegliere con cura il termine che avrebbe sostituito il suo amato inglese.
Affidava alla scelta del proprio buon giudizio e alla storia che quella lingua aveva dovuto vivere per divenire quella odierna, scegliendo la migliore.
Immedesimandosi nel viandante che aveva diffuso quella tipologia di dialetto, lasciandosi affascinare dalle serpeggianti e carezzevoli parole latine o utilizzando la freddezza imposta delle lingue slave o teutoniche.
Lui, il burbero, sagace e cinico britannico che tutti conoscevano sapeva anche lasciarsi andare - una volta tanto, almeno- ad altre culture.
Nell'attimo che impiegava ad infiammarsi il suo io scrittore, amante e poeta. 
Nell'istante che il suo cervello richiedeva per raccattare e proporre al cuore le parole più belle, delicate, meno usurate dal continuo uso e più consone al loro dovere.
Nel rapido istante che impiegava per arraffare penna e fogli, nell'euforia dell'ispirazione.
Nel secondo che il polso usava per muoversi, rapido e preciso, per tracciare linee scure sulla carta  bianchissima.
Perché in quei minuti in cui tutto il mondo spariva e veniva inglobato nella sua bolla di silenzio e di pacato sollievo non esistevano alleanze, guerre, nemici o amici ma solo parole che vorticavano.
Sul suo palato, che man mano le leggeva, come per rendersi conto di ciò che aveva composto.
Nei tendini delle sue mani, che fremevano piacevolmente di aspettativa.
Nel suo cervello, che in quei pochi momenti, faceva assoluto silenzio.
Nel suo cuore, che come poche volte, cantava.

Aveva finito e ne era piuttosto soddisfatto.
L'avrebbe spedita tramite posta, o chissà, consegnata a mano lui stesso dopo un lungo viaggio.
Perché il telefono era troppo impersonale per uno come lui, il computer troppo falso e freddo, e di certo aspettare la prossima riunione era inaccettabile.

Certo, avrebbe letto quelle righe con le guance in fiamme e la voce tremolante, ma andava bene.
Il suo  Alfred  lo meritava.
Certo che sì, il suo americano innocente se lo meritava tutto.