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Autore: arthursheart    05/07/2013    2 recensioni
Si trovavano in una stanza quadrata non molto grande e poco illuminata, le pareti erano blu scure e c'erano due sedie. Justin si sedette su una di queste invece la ragazza, che era molto agitata, iniziò a camminare avanti e indietro. Aveva paura, era terrorizzata e non capiva cosa volesse da lei quell’uomo.
"Justin avevi detto che non stava succedendo niente! Perché mi hai portato qui? Chi erano quei tizi e cosa vogliono da me?" disse la ragazza con la voce tremolante.
"Jennifer non avere paura. Stai calma! Hai detto che ti fidavi di me, no?!"
"Adesso non so più se mi fido di te!” disse la ragazza continuando a fare su e giù nella stanza.
“Jennifer è già abbastanza complicato, non ti ci mettere anche tu!” disse il ragazzo alzando la voce.
La ragazza si fermò e rivolse lo sguardo all’amico, poi disse:
“Bene, allora mi fiderò di te quando mi dirai tutto! Voglio sapere perché sono qui!"
"Certo, adesso se per favore ti siedi ti dirò tutto ciò che so e che mi hanno detto devo dirti!" aspettò che la ragazza si sedeva accanto a lui e poi iniziò a parlare di nuovo.
Genere: Azione, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Justin Bieber, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Capitolo 28
What's happened?


Da quando aveva saputo di Trevor, Jennifer era arrivata a una sola soluzione plausibile: non poteva più farsi prendere di sorpresa e, soprattutto, non voleva farsi trovare impreparata. E questo, per lei, significava aumentare le ore e l’intensità dell’allenamento.
L’aveva proposto il giorno dopo aver scoperto che Ashley avesse arruolato Trevor, sorprendendo non poco Joseph, il quale, tuttavia, ne fu felice.
“Devi insegnarmi a combattere” aveva detto lei, dopo aver espresso il desiderio di aumentare il ritmo dell’addestramento.
“Sai già combattere” le aveva, invece, detto Joseph, con le braccia incrociate al petto e un sorriso compiaciuto.
“Conosco tutte le tecniche di combattimento esistenti, ma fino ad ora non mi hai mai permesso di metterle in pratica”
“Quindi..”
“Quindi da oggi voglio iniziare a combattere” lo interruppe, poi si voltò verso il ragazzo che affiancava Joseph “contro Oliver” concluse sorridendo.
Joseph non poté fare altro che accontentare la sua richiesta.
C’erano, però, alcune note negative che il caro vecchio Joseph non aveva preso in considerazione. La prima era il conseguente abbassamento dell’attenzione durante le ore scolastiche.
La diligente studentessa Jennifer Evans aveva totalmente messo da parte i suoi primari doveri: non era più in grado di seguire le lezioni, troppo occupata a ripensare a questo o quella tecnica o strategia di combattimento.
Il voler migliorare a tutti i costi era diventato, per la ragazza, un’ossessione.
Un’altra nota negativa era l’impazienza che la ragazza aveva nel voler allenarsi. Impediva a Oliver di fermarsi alla mensa, utilizzando sempre la scusa di mangiare un panino durante il tragitto; il panino, però, non era mai stato mangiato, e Jennifer continuava a saltare i pasti.
 
Il sabato mattina di quella stessa settimana, Jennifer si svegliò con l’ormai conosciuto dolore ai muscoli. Si preparò velocemente, e scese al piano inferiore per avvisare la madre che, anche quella sera, sarebbe tornata dopo cena.
Era appena entrata in cucina quando la madre, che era di spalle, la precedette con un tono serissimo.
“Devi fare colazione”
“La farò al bar vicino la scuola, mi sta aspettando Matt” mentì prontamente, anche se era curiosa di conoscere il perché dello strano comportamento della madre.
Non aveva voglia di mangiare, voleva solo che quella mattinata passasse in fretta per poter andare ad allenarsi.
“Matt continuerà ad aspettare, siediti” ordinò con un tono che non ammetteva altre repliche, poi si voltò per riporre in un piatto le uova strapazzate e il bacon, che aveva appena finito di preparare.
“Non le mangio quelle cose”
La donna le lanciò un’occhiataccia per poi iniziare a parlare, mantenendo un tono calmo.
“Ieri sera, quando sei tornata e sei andata a rifugiarti in camera tua, il tuo amico, quello che ti accompagna a casa dalla palestra, è venuto a parlarmi”
“L-lui ha fatto co-cosa?” balbettò la ragazza, incredula.
“Mi ha detto che non stai mangiando alla mensa scolastica, perché ti precipiti in palestra” continuò la donna, mettendo il piatto pieno di cibo sul tavolo, avanti alla figlia.
“Non è vero!”
Charlotte per la prima vera volta quella mattina, incontrò il suo sguardo, accompagnato da un sopracciglio alzato.
“Ti sei guardata allo specchio ultimamente?” fece una pausa per osservare l’espressione sorpresa che si stava disegnando sul volto della figlia.
“Stai scomparendo. Non voglio essere chiamata dall’ospedale o dalla scuola perché sei collassata” concluse, poi, tornando a trafficare con le pentole.
Jennifer afferrò il piatto e lo fece più vicino.
“Non hai mai cucinato queste cose” pensò a alta voce.
“Il tuo amico mi ha anche consigliato cosa hai bisogno per rimetterti in forze”
Osservò il cibo per qualche secondo, poi iniziò a mangiare silenziosamente e velocemente per poter uscire e andare a scuola, dove avrebbe affrontato Oliver: un conto era che la controllassero e cercassero di darle ordini, un altro era che coinvolgessero la sua famiglia.
 
Uscì di casa qualche minuto dopo e grazie alla rabbia che provava in quel momento, riuscì a raggiungere velocemente la scuola. Prima di entrare nell’edificio, fece un respiro profondo per calmarsi, poiché non aveva nessuna intenzione di apparire agitata, e poi si immerse in quei corridoi affollati di studenti.
Arrivò al suo armadietto e si appoggiò ad esso con la schiena, intenzionata ad aspettare Oliver lì, per riuscire a parlargli dopo il suono della campanella, quando il corridoio sarebbe stato deserto.
Era intenta ad osservare il pavimento nel mezzo del corridoio, quando l’armadietto accanto al suo fu aperto, e una voce la fece ritornare alla realtà.
“È interessante il pavimento?”
Jennifer si voltò giusto in tempo per vedere Oliver girarsi di spalle, intenzionato ad allontanarsi per raggiungere l’aula.
“Aspetta un attimo” esclamò, quindi, lei, afferrandolo per la giacca.
Oliver ritornò a guardarla, negli occhi, con un sorriso innocente disegnato sul volto. “Che succede?”
La campanella suonò in quell’istante, e i molti studenti che si erano attardati a chiacchierare si dileguarono in pochi minuti, lasciandoli da soli.
Continuarono a guardarsi negli occhi fin quando sentirono anche l’ultima porta chiudersi.
“Com’era la colazione?” chiese Oliver, continuando a sorridere innocentemente.
Lo sguardo di Jennifer si indurì, e afferrò Oliver per le spalle e bloccandolo tra il suo corpo e gli armadietti.
“Cosa diavolo ti è saltato in mente? Parlare con mia madre..” fece una piccola pausa per ridacchiare e poi continuò. Vivere a stretto contatto con Oliver e Joseph le stava facendo prendere anche molte delle loro abitudini, come, in quel caso, la teatralità.
“Non devi intrometterti” scandì, avvicinando il suo viso a quello del ragazzo.
I nasi quasi si sfioravano.
Rimasero a osservarsi per qualche istante, Oliver non tradiva alcuna emozione, e continuava a sorridere. Con un colpo di reni, però, rovesciò la situazione portando Jennifer con la schiena sul suo armadietto, poi appoggiò le mani sugli armadietti adiacenti, bloccandole ogni via di fuga da quella posizione.
“Io devo intromettermi” sussurrò, sottolineando con il tono di voce il ‘devo’.
“Non puoi continuare così, senza forze non servi a molto”
Jennifer stava per ribattere, quando alcuni passi risuonarono in uno dei corridoi adiacenti.
“Stai al gioco” le sussurrò Oliver prima di allontanarsi di qualche metro.
A voce più alta, per farsi sentire da chiunque stesse arrivando, disse: “Jennifer, ti senti bene?” poi iniziò a riavvicinarsi lentamente.
Le appoggiò una mano sulla fronte, e con l’altra le strinse una spalla per farla abbassare un po’. Tutto sotto lo sguardo curioso e indagatore della ragazza che non sapeva cosa avesse intenzione di fare.
Qualche istante dopo la voce del vicepreside rimbombò in tutto il corridoio.
“Perché voi due non siete in classe?”
“Professore.. buongiorno” Oliver sorrise e fece un cenno col capo verso l’insegnante.
“Sono arrivato in ritardo, e ho trovato Jennifer appoggiata agli armadietti. Ha appena finito di dirmi che ha avuto un capogiro”
La ragazza osservava il professore con una certa ansia, sperando che la recita fosse verosimile. Appena Oliver finì di parlare e, quindi, Jennifer fu messa a conoscenza del suo ‘piano’, il vicepreside li scrutò con un sopracciglio alzato.
Jennifer cercò di fare un’espressione sofferente, cosa che le riuscì abbastanza bene sia perché in quel momento era nel panico, e non aveva bisogno di una punizione di sabato pomeriggio, sia perché aveva il viso pallidissimo; poi, come se il suo corpo avesse percepito la situazione di ‘pericolo’, sentì le gambe cedere e la vista si offuscò, prima che toccasse terra, Oliver la afferrò e la prese in braccio passandole un braccio sulla schiena e uno sulle gambe.
Il vicepreside si avvicinò velocemente e i rumori dei suoi passi risuonarono in tutto il corridoio.
“Jennifer “ la chiamò Oliver sussurrando, e osservando con preoccupazione il volto della ragazza.
“È svenuta” esclamò il vicepreside, guardando da vicino l’allieva.
“La porto a casa” disse, invece, Oliver e senza aspettare la risposta affermativa del professore si avviò verso l’uscita continuando a controllare con lo sguardo il viso dell’amica.
Delicatamente, Oliver la posizionò nell’auto e abbassò il sedile per farla stendere, non se la sentiva di stenderla su quelli posteriori poiché voleva tenerla d’occhio mentre guidava.
Andò a sedersi al posto del guidatore e prima di partire, cercò di svegliarla scotendole una spalla, poi le accarezzò una guancia.
“Che ti è preso, eh? Mi stai facendo spaventare” sussurrò, sorridendo.
Si sentiva in colpa, sapeva che Jennifer era in quella situazione perché lui non era riuscito a controllarla.
Mise in moto l’auto e iniziò guidare.
Dopo qualche minuto, con la coda dell’occhio, intravide il corpo di Jennifer fare piccoli movimenti, poi udì la sua voce, forte e chiara:
“Perché non sono a scuola?”
“Sei svenuta, devo portarti a casa” rispose con naturalezza, pur conoscendo la reazione che avrebbe avuto la ragazza.
E, infatti, Jennifer iniziò a urlare.
“No! Devo andare a scuola, ci devo andare”
“Per fare cosa? Imbambolarti durante le lezioni a osservare il vuoto?” ridacchiò Oliver.
La ragazza iniziò a muoversi nervosamente sul sedile, mentre cercava un modo per sfuggire al ritorno a casa, che significava anche dire addio all’allenamento di quel pomeriggio.
“Adesso chiamo mia mamma, così non c’è bisogno che mi porti a casa”
“Hai fatto colazione stamattina?” chiese, invece, Oliver, evitando ciò che aveva appena detto la ragazza.
“Sì, ho mangiato tutto quello che tu hai imposto a mia madre di cucinare” rispose lei, senza nascondere il fastidio che stava provando in quel momento, sia perché non era stata minimamente considerata sia per la colazione che non aveva potuto evitare.
“Ma sei svenuta” sussurrò l’altro, corrugando la fronte.
“Allora? Posso chiamare mia madre?” cambiò argomento, pensando che fosse la cosa migliore da fare.
“Dille che sei svenuta e che adesso ti porto a mangiare per compensare il tuo calo di zuccheri”
Jennifer stava per ribattere, stava per dire che non era quello che aveva pensato di raccontare, ma restò zitta e chiamò la madre, accontentandosi di ascoltare una ramanzina per aver fatto un giorno di assenza a scuola, di sopportare i numerosi ‘lo sapevo che saresti svenuta’, ma poter comunque andare ad allenarsi nel pomeriggio.
 
Oliver la portò prima in un bar, e le fece fare una seconda colazione con cornetto e cappuccino.
“Meglio evitare un altro calo di zuccheri” le aveva detto quando Jennifer gli aveva riservato uno sguardo omicida.
Trascorsero il resto della mattinata nell’auto, a girare senza meta per le strade di Stratford, aspettando il pranzo.
Non parlarono molto, anche perché Jennifer continuava a guardarlo in cagnesco.
Verso l’una, prima che Oliver potesse dire qualsiasi cosa riguardo il secondo pasto fondamentale di una giornata, Jennifer parlò, interrompendo il silenzio all’interno dell’auto.
“Non mi costringerai anche a pranzare” esclamò, infatti, distogliendo lo sguardo dai palazzi  che sfrecciavano ai lati della strada e puntandolo per l’ennesima volta sul viso sempre troppo rilassato del ragazzo al volante.
“Non sei nella posizione di dettare regole” si limitò a dire, senza degnarla di uno sguardo.
L’aveva spiazzata, non c’erano dubbi, ma la ragazza non aveva intenzione di mollare.
“Sono io a decidere per me, non sei mia madre”
“Come hai deciso in tutta questa settimana? Arrivando al punto di svenire?!” urlò il ragazzo, continuando a tenere gli occhi sulla strada.
“Tu non capisci” sussurrò lei, lanciando una veloce occhiata fuori al finestrino.
La macchina frenò improvvisamente, facendola sbalzare in avanti. Quando si voltò per capire cosa fosse successo, incontrò l’espressione parecchio arrabbiata di Oliver.
“Davvero? Cosa c’è da capire? Non mangi. All’inizio pensavo che fosse una cosa senza importanza, che l’unico pasto che saltavi fosse il pranzo, poi ho iniziato a vedere sintomi di stanchezza, il tuo viso sempre pallido, ti affanni per niente, sei dimagrita troppo in fretta e ho capito che non salti solo il pranzo. Non puoi continuare così! Devi pensare alla tua salute” disse tutto d’un fiato, trattenendo la voce per non urlare troppo.
“So quello che faccio” si limitò a dire lei, non distogliendo lo sguardo dal viso del ragazzo.
“Ti stai uccidendo, ecco cosa stai facendo” continuò lui, urlando a causa della frustrazione.
“No! Io devo dimagrire” esclamò Jennifer, pronunciando la parola ‘dovevo’ con più enfasi.
“E di grazia, per quale fottuto motivo? Eri nella norma!”
“Io..” sussurrò con incertezza.
“Cosa?” la interruppe Oliver con tono duro, scrutando ogni mutamento di espressione della ragazza.
“Non lo so” sibilò, infine, con sguardo basso.
“Andiamo a pranzo” concluse Oliver, riprendendo a guidare.
 
Circa mezz’ora dopo, Oliver stava parcheggiando di fronte la palestra e Jennifer osservava l’edificio terrorizzata, poiché se Oliver le avesse urlato contro, Joseph avrebbe fatto di peggio.
Stavano per entrare nella sala dove si svolgevano gli addestramenti, quando Oliver si bloccò, costringendo anche la ragazza a fermarsi.
“Non ho detto niente a Joseph del tuo saltare i pasti, non farmi pentire di non aver rispettato le regole.”
 
Aveva appena finito la serie di esercizi di allenamento giornalieri, che dall’inizio della settimana era di circa un’ora e mezza, quando Joseph, che era stato in silenzio per la maggior parte del tempo, parlò.
“Vediamo se questa prima settimana di combattimenti è servita a qualcosa” poi fece cenno a Oliver di avvicinarsi, e si allontanò dal centro della sala per poter dare più spazio ai due ragazzi.
“Ce la fai a combattere?” le sussurrò Oliver, che in quel momento distava dalla ragazza solo un paio di passi.
“Perché non dovrei?” chiese lei di rimando, con un sorriso di sfida disegnato sul volto.
Iniziarono con i colpi base di un combattimento, solo per iniziare a prendere il ritmo: pugno di Oliver, parato dal braccio di Jennifer; calcio di Jennifer, parato da entrambe le mani di Oliver.
Ritmo che aumentava ogni secondo.
Oliver le afferrò un braccio e iniziò a torcerlo, costringendola a girarsi per evitare una frattura all’arto; appena Jennifer gli diede le spalle, il ragazzo la avvicinò e le passò un braccio sul bacino per tenerla stretta e con poche possibilità di liberarsi.
“Voglio vedere cosa inventi per liberarti” le sussurrò all’orecchio.
Jennifer non ci pensò due volte, agì d’impulso e buttò la testa all’indietro colpendo con forza il punto tra la fronte e il naso del volto del ragazzo.
Approfittando del momento di sorpresa, si allontanò velocemente, e si voltò per poter osservare l’espressione di Oliver.
Il ragazzo sorrideva, anche se gli occhi tradivano la sorpresa che aveva provato, e si asciugò con un braccio il sangue che gli stava uscendo dal naso.
Sperando di coglierlo ancora di sorpresa, Jennifer si avvicinò velocemente con l’intenzione di sferrare un pugno, ma Oliver fu più veloce.
La forza dell’impatto le voltò il viso verso destra, e serrò la mascella per non urlare dal dolore.
Jennifer abbassò lo sguardo mentre si portava una mano sulla guancia sinistra, poi fece due passi indietro.

Spazio autrice:
eccoooomii. sono di nuovo in ritardo, ma questa volta, in parte, non è colpa mia. a casa sono rimasta senza internet e l'unica possibilità che ho di aggiornare è il pc di mia cugina a casa di mia nonna. e poi, dato che sono senza intenret, ho scritto questo capitolo al rallentatore.
avevo detto che in questo capitolo sarebbe tornato Justin, ma mi è venuto troppo lungo e non ho avuto la possibilità di inserirlo.
ma ho già iniziato a scrivere il prossimo, e la nostra bella superstar (per citare una delle frasi preferite di Joseph) ritornerà dall'inizio.
e farà un'entrata in scena da fuochi d'artificio. BOOOOM. lol
sinceramente non vedo l'ora di scriverlo AHAHAHAH
ringrazio voi che continuate a leggere questa mia storia, nonostante i ritardi e lo schifo che scrivo. ringrazio voi che recensite, e soprattutto voi che leggete in silenzio.
amo tutti voi.
al prossimo capitolo. baci, simo.
  
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