Aggiornamento settimanale...questo capitolo funge da spartiacque, comincia a smuoversi qualcosa...basta, ho già anticipato troppo! Grazie, come sempre, a chi legge (soprattutto e Moon) ed alle mie inossidabili commentatrici: BlackPearl, Michi88!! Buona lettura!
Passarono lentamente due settimane. Per Victoria la degenza in ospedale
era uno strazio; si sentiva molto debole, ma nonostante ciò
voleva tornare a casa il prima possibile. Emma e Joel le mancavano
terribilmente. Orlando li portava da lei ogni giorno ma, intuitiva come
solo le mamme sanno essere, Vicky sapeva bene che i suoi ragazzi non
sarebbero stati tranquilli finché non l’avessero
vista tornare a casa.
Perciò, parlò coi dottori e decise di firmare per
uscire. A nulla servirono i tentativi dei medici, di sua madre e di suo
fratello per dissuaderla. Orlando non provò nemmeno a
convincerla a ripensarci : la conosceva bene e sapeva che quando si
metteva in testa una cosa era impossibile farle cambiare idea. In
fondo, erano sempre stati uguali in questo.
I dottori si raccomandarono di non lasciarla sola e di assisterla,
visto che era ancora molto debole e consigliarono di assumere
un’infermiera, almeno per i primi tempi, che avrebbe
provveduto a farle iniezioni e flebo. Josephine avrebbe
voluto trasferirsi dalla figlia, ma era da tempo affetta da una brutta
ernia al disco e non sarebbe riuscita a star dietro ai nipoti ed alla
casa; quindi Orlando pensò che la cosa migliore fosse
tornare a casa finché lei non si fosse completamente rimessa.
I primi giorni furono quelli dell’assestamento, i
più duri: Vicky si era categoricamente rifiutata di dormire
al piano inferiore, come le aveva proposto Orlando, voleva tornare
quanto prima alla normalità, incurante delle sue ancora
precarie condizioni. Così finì per approfittarsi
del suo fisico e dopo quattro giorni dalle dimissioni, si
ritrovò costretta a letto con la febbre. Questo episodio le
servì per darsi una regolata e per prendere più
seriamente la convalescenza.
Si sentiva indebolita e stanca, ma allo stesso tempo serena e
tranquilla come non le succedeva da tempo. E questo dipendeva dalla
presenza di Orlando: riaverlo in casa, vederlo fare avanti e indietro
dalla sua camera, osservarlo mentre si prendeva cura dei ragazzi,
mentre aiutava Joy a vestirsi o Emma a finire i compiti le riempiva il
cuore di gioia. Era un po’ come tornare indietro ai loro
tempi più felici. Se il suo incidente poteva aver avuto
qualche aspetto positivo, questo era di certo il più
rilevante. E poi era sempre così premuroso ed attento nei
suoi confronti e percepiva che lo faceva perché davvero
teneva a lei e non perché si sentisse in dovere di farlo.
Era piacevolmente sorpresa dal suo atteggiamento, ma voleva essere
cauta: dopotutto era normale che si preoccupasse per lei, era pur
sempre la madre dei suoi figli.
Dal canto suo, anche Orlando era contento di esser tornato a casa loro.
Certo, avrebbe preferito tornarci in altre circostanze, però
era lì, con Vicky e i suoi ragazzi, del resto non gli
importava poi molto. La mattina, dopo aver accompagnato i figli a
scuola, lavorava a casa, al portatile e non passava mai in studio, se
non per cose particolarmente urgenti; si teneva in contatto con Dom e
con la sua segretaria telefonicamente o via fax. Nel frattempo Susan,
l’infermiera, provvedeva a cambiare le medicazioni a Vicky ed
a metterle la flebo; lui saliva di tanto in tanto a controllarla e ad
assicurarsi che stesse bene. Poi, preparava qualcosa da mangiare ed
aspettava che Joy ed Emma tornassero. Siccome Victoria era
ancora troppo debilitata e faticava a fare le scale, erano i ragazzi a
salire da lei dopo pranzo, per raccontarle la loro giornata. Ormai
facevano i compiti nella sua stanza, e rimanevano lì fino
all’ora di cena. Susan se ne andava per ritornare il mattino
seguente, Orlando cenava coi figli, li faceva preparare per la notte e
li metteva a letto; poi tornava in cucina per caricare la lavastoviglie
e saliva a dare la buonanotte a Vicky prima di andare a sua volta a
dormire nella stanza degli ospiti.
Una sera la trovò seduta sul letto, circondata da un sacco
di album e di foto sparse sul piumone.
“Che fai? Non dovresti riposarti un
po’?”- le domandò curioso, restando
fermo accanto alla porta.
Lei sollevò il capo dalle foto che stava guardando.
“Sto a letto praticamente tutto il
giorno…più riposata di
così…Sto solo guardando delle vecchie
foto…”- rispose infine.
A quel punto lui entrò e si avvicinò a lei,
andandosi a sedere sul letto. Osservò meglio le fotografie e
notò che erano foto loro, del matrimonio, del viaggio di
nozze, dei ragazzi da piccoli, delle vacanze con la famiglia al
completo. Ed ovviamente c’erano anche quelle di Delia. Ne
prese una e non riuscì a trattenere un sorriso amaro.
“Credevo che fossero ancora tutte in
soffitta…”-
“Le sono andata a riprendere il giorno dopo che ce le hai
portate…e le ho messe nel mio
comodino…”- rispose candidamente.
Lui continuò ad osservare la foto.
“Era così allegra…e
sveglia…”-
“Eccome se lo era…”-
“Mi manca…”- le confessò. Ed
era la prima volta che parlava di lei con Vicky.
“Lo so…anche a me manca da morire…Ti
ricordi quando siamo andati a trovare quella tua zia, in
campagna?”-
“La zia Rose? Si, era luglio, credo…Delia
avrà avuto si e no cinque anni…”-
“Si, li aveva compiuti da poco… e si era
incaponita a voler mettere il guinzaglio all’oca che tua zia
aveva in cortile…te lo ricordi?”-
“Si…si me lo ricordo…”-
rispose divertito- “L’ ha seguita per una
mezz’ora buona, ma alla fine ci è
riuscita…e com’era
soddisfatta…”-
Seguì un attimo di silenzio, ma anche se non parlavano era
evidente a cosa stessero entrambi pensando.
“Mi faceva troppo male averle
intorno….”- ammise infine, riferendosi alle foto.
“Anche a me…ma non poterle vedere mi faceva stare
peggio…”-
“Le guardi spesso?”-
“Praticamente ogni giorno…appena ero da sola
venivo a riguardarmele fino ad impararle a memoria…era la
mia boccata d’ossigeno quotidiana…”- gli
spiegò.
“Non so come tu abbia fatto… io non ci riesco
ancora adesso…”- disse, riponendo la foto-
“Ma non dovrei stupirmi più di tanto…tu
sei sempre stata la più forte…”-
concluse.
“Io? No, non è vero…”-
rispose prontamente.
“Si, invece…non hai mai avuto paura di
niente…”- continuò lui.
“Ma se ho paura di tutto…Ho paura di non fare
abbastanza per i ragazzi…ho paura di non essere
all’altezza delle situazioni…ho paura di non saper
aiutare gli altri…e soprattutto ho paura di non aver saputo
aiutare te…”-
Sorpreso da quell’ultima affermazione, lui la
guardò ed i suoi occhi esprimevano un misto di tenerezza,
amarezza, rimpianto e malinconia.
Scosse la testa, ma prima che potesse dire qualcosa lei lo
anticipò.
“L’unico motivo per cui pensavo di poter affrontare
qualsiasi problema, per cui sembravo così
forte…era averti al mio fianco….”-
aggiunse sinceramente, con gli occhi lucidi.
“Te la sei sempre cavata bene anche da sola…lo sai
questo…e lo hai dimostrato nell’ultimo
anno…”- rispose.
“Nell’ultimo anno ho solo finto…ho messo
una maschera, lasciando credere agli altri quello che
volevano…Poi la sera guardavo queste foto e
piangevo…ho finto di stare bene, di aver superato la perdita
di Delia, di farcela anche senza il tuo appoggio…ho finto di
amare David…ma alla fine sono crollata anch’io
Orlando….”- gli confessò.
Lui continuava a guardarla e non sapeva se si sentiva più
stupido o dispiaciuto. In tutti quei mesi non aveva capito
assolutamente niente; si era convinto che lei stesse meglio senza di
lui ed invece non era mai stato così lontano dalla
realtà. Aveva sofferto come e forse più di lui,
dovendo sforzarsi di stare bene, per non appesantire lui e i ragazzi.
“Mi spiace…io…non so come ho fatto a
non capirlo…”-
“Non c’eri mai…”- gli fece
notare, ma il suo non voleva essere un rimprovero, bensì una
semplice constatazione.
“E quando c’ero non ti rendevo di certo le cose
facili…continuavamo a litigare…”-
osservò dispiaciuto.
“Non importa…ormai è
passato…”-
“Vorrei poterti dire che se me ne fossi accorto in tempo mi
sarei comportato diversamente…ma non ne sono
sicuro…”-
“Non fa niente, davvero Orlando…”-
“Invece si…il punto è che ancora adesso
non so dirti come sto…dovrei saperlo, ma non lo
so…per questo non mi sento di prometterti
niente…”- aggiunse.
“Lo so…infatti non ti ho chiesto
niente…”-
Considerando che non si parlavano così sinceramente da
tempo, erano entrambi sicuramente sorpresi ed al contempo confusi.
“Adesso è meglio che ti metti a
dormire…Se hai bisogno di qualcosa chiamami, ok?”-
disse lui.
“Va bene…buonanotte…”- gli
rispose.
Victoria lo osservò uscire. Si sentiva sollevata dopo quella
conversazione. Finalmente era riuscita a parlargli, a dirgli come si
sentiva e, soprattutto, a capire come si sentisse lui. Il percorso era
ancora lungo, ma i segnali lasciavano presagire che forse
c’era ancora una possibilità per loro. Nonostante
il dolore al polso ed alle costole, si addormentò serena
come non le capitava da tempo.
Orlando, invece, faticò a prendere sonno.
Ripensava alle parole di Vicky e non poteva che sentirsi in colpa. Se
fossero riusciti a parlarsi prima come avevano fatto quella sera, di
certo le cose non sarebbero state così complicate.
Perché non si era reso conto che anche lei stava male?
Perché si era ostinato a farle la guerra? Non si era mai
sentito così idiota. L’aveva allontanata e non
aveva fatto niente per impedirlo, anzi, aveva cercato in tutti i modi
di spingerla via, di isolarsi. Sarebbe stato molto più
semplice e logico soffrire in due, anziché lasciarsi
dilaniare individualmente dalla sofferenza. Si era lasciato accecare
dal dolore, dalla voglia di giustizia e, forse, anche di vendetta; non
si era accorto che si stava vendicando a spese della persona sbagliata.
Così ci avevano rimesso tutti: lei, Emma, Joel ed anche lui.
Realizzò che ormai era inutile rimuginare su quanto era
già successo; l’unica cosa che poteva fare era
stare con lei e farle capire quanto ancora tenesse a loro due ed alla
loro famiglia, senza però affrettare i tempi, né
bruciare le tappe. Ritrovarsi non era impossibile, ma richiedeva tempo
e pazienza da parte di entrambi.