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Autore: Niki_S    05/07/2013    0 recensioni
Non tutte le storie hanno un lieto fine, no? Ma non tutte le storie finiscono con il punto finale. E poi si sa che è sempre più importante il viaggio rispetto alla meta.
Genere: Angst, Drammatico, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Scolastico
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Capitolo II - Il Caffè Come mi aveva promesso, tralasciando che la proposta fosse stata mia, mi accompagnò alla caffetteria più vicina che, per un fortuito caso, era anche la migliore di tutta Richmond. Mentre camminavamo prestai attenzione al ragazzo che mi aveva mezzo investito, e mi accorsi che non lo avevo ancora guardato, anche se il suo volto mi risultava vagamente familiare. Aveva i capelli castani, ma di una tonalità davvero stupenda come se avesse ogni ciuffo di un colore diverso, e lo stesso valeva per gli occhi che erano anch’essi marroni, ma era impossibile non perdersi dentro. Infatti dovetti scuotere un attimo la testa per ritornare nel mondo reale dominato più dal grigio tetro che da quei colori ramati. E ci stavo ricadendo in pieno. Presi la saggia decisione di spostare lo sguardo dal suo viso, perché aveva troppi pregi su cui rischiavo di fissarmi, e guardai come era vestito. Crescendo nell’alta società, come amava chiamarla mia madre, avevo imparato la nobile arte di giudicare le persone dal loro aspetto e, anche se era una cosa che cercavo di reprimere la maggior parte delle volte, era una mia abilità talmente raffinata che di solito non sbagliavo. Così per una volta decisi di approfittarne. Indossava un lungo cappotto liscio e pulito, ed ero sicuro che se lo avessi annusato avrebbe avuto il profumo del pulito, esattamente come il mio. Abbassai ancora gli occhi, anche se solo per un istante, per guardargli i pantaloni, perché mi davano l’impressione che fossero identici ai miei; e avevo quasi indovinato, tranne che per un piccolo dettaglio: i miei avevano una corta striscia verticale, che dal bordo saliva per non più di cinque centimetri, di un blu chiaro, mentre la sua era verde scuro. Sapevo esattamente cosa significasse quella differenza. Infatti il mio liceo era una scuola privata molto importante dello stato e negli ultimi anni aveva aperto un’altra sede, ad appena qualche chilometro di distanza dalla precedente. Il perché non l’ho mai capito, mi aspettavo invece che si ampliassero al di fuori dell’Indiana, ma chi sono io per capire i ricconi? Comunque la sede nuova aveva rimpiazzato il blu storico con un verde “più moderno, anche per le nuove famiglie che potranno entrare nel nostro istituto privato”, o almeno così diceva il depliant. Tirate le somme Adam era un ragazzo di buona famiglia, simpatico e bello. Su questo almeno non avevo dubbi. Raggiungemmo il bar e lui mi aprì persino la porta, per farmi entrare, un gesto di galanteria che apprezzai e lo ringrazia con un sorriso, per poi precederlo ad un tavolo vuoto in un angolo. Eravamo lievemente isolati dal resto degli altri clienti e quella scelta, per quanto mi illusi fosse casuale, era più che mirata. Volevo parlare da solo con lui, volevo scoprire se avevo fatto bene i conti. Si sedette accanto a me parlammo, ordinando i caffè. Ammetto che se provo a ricordare quel pomeriggio sono poche le cose che ho ancora ben impresse nella memoria. Il suo sorriso, per esempio, che era uno di quelli impossibili da non ricambiare, caldo, solare, ma semplice, come se le tue parole lo divertissero sul serio. E poi i suoi occhi. Ancora adesso che pensare a lui mi fa male non riesco a non amare i suoi occhi, mi ci perdevo ogni volta, senza possibilità di fuggirgli. Ricordo molto bene quello che pensavo, però. Ero affascinato dalle sue mani, che si muovevano in continuazione, anche in gesti piccoli, ma se parlava non stavano mai ferme. Dal canto mio cercavo, nei modi che conoscevo, di fargli capire che ero interessato a lui, ma non riuscivo a vedere se i miei segnali andavano a segno. Probabilmente ero solo impedito in quelle cose, visto che di appuntamenti non ne avevo mai avuti molti, finchè non era stato lui a spiegarmi come fare. Ma in quel pomeriggio mi limitavo a girare la tazza di caffè tra le mani, passandomene, di tanto in tanto, una tra i capelli, cercavo di tenere lo sguardo sul suo, ma spesso cadeva sulle sue labbra. Sì, con il senno di poi quelli potevano essere segnali normali, ma io avevo la testa altrove e si sa che più si pensa alle cose peggio escono. Restammo lì per ore, non saprei nemmeno dire quanto perché parlavamo di tutto e intrattenevamo discorsi così interessanti che il tempo non aveva più importanza. Fu lui a dire di doversene andare.
- Scusami, Oliver – Oh, come pronunciava il mio nome! Lo faceva sembrare più lungo, più sensuale. – Devo assolutamente tornare al campus, o finisco per non trovare niente per cena. –
Dalle sue parole capii che era passato davvero tanto tempo e, ora che ci ripenso , credo che lui avesse guardato spesso l’orologio, cosciente in ogni istante dei minuti che passavano. Ma all’epoca quel pensiero non mi passò nemmeno per l’anticamera del cervello e mi alzai con lui, insistendo per pagare almeno la mia parte, ma lui non cedette. Era un altro gesto educato, pensai. Presi la tazza, che non avevo ancora finito, e lo seguii fuori dal bar, dove io dovevo andare a sinistra e lui a destra, salutandoci per rivederci chissà quando. Ma lui non era della stessa idea. Mi prese la tazza dalle mani e ci scrisse sopra il suo numero.
- Devo ancora assicurarmi che tu non ti sia fatto male. – fu la sua giustificazione, accompagnata da uno scrollare di spalle, per poi andarsene, salutandomi con un gesto della mano. Mentre io me ne stavo lì in piedi, con la tazza in mano e il sorriso sulle labbra.
Che stupido che ero, solo un illuso che voleva credere a tutto, ma l’ho capito troppo tardi. Mi giro sulla sedia per guardare la libreria alle mie spalle ed eccola lì, quel piccolo cilindro di cartone con i numeri scritti in penna, a guardarmi come se lei fosse l’arma del delitto, un’accusa schiacciata davanti alla mia faccia. Mi alzo e la accartoccio tra le mani, questo almeno mi fa sentire un po’ meglio.
   
 
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