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Autore: Friedrike    06/07/2013    4 recensioni
[Ispirata al film di titolo "Der Verdingbub."]
 
Campagne italiane, inizi del '900.
Ormai mandare avanti la fattoria da soli, sembra impossibile: è per questo che una coppia di coniugi non più giovani decide di farsi aiutare. Il parroco del piccolo villaggio in cui vivono affida loro due ragazzi, Ludwig e Felicia. 
Ben presto però i due adulti si riveleranno sfruttatori senza scrupoli che li umilieranno continuamente. 
-Tienimi con te- lo supplicò. -Non mi fido di nessun altro.- 
-Lo prometto- le rispose. -Rimarrai qui con me.-
Genere: Angst, Fluff | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Germania/Ludwig, Nord Italia/Feliciano Vargas
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Dovunque sarai, ti amerò per sempre.'
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CAPITOLO IV.





  






Ludwig non sapeva se il padrone l'avesse toccata ancora.
Lei diceva di stare bene e lui non poteva che credere a quegl'occhi così puri e docili. 
Era i suo primo amore e forse sarebbe stato anche l'ultimo. Lui la vedeva in questa maniera: lei era l'unica degna di stargli vicino, non perché le altre non fossero alla sua altezza, semplicemente perché lui non aveva idea che ci fossero altre ragazza al di fuori di lei.
Felicia quel tardo pomeriggio,  si fermò un attimo, seduta sul prato, e guardò il cielo già quasi buio.
Era terso, l'aria limpida e lei si sistemò un fiore tra i capelli. 
Strinse forte il tessuto della sua gonna, istintivamente, quando il padrone le passò accanto. Lui si voltò e la guardò negli occhi e lei ebbe paura che l'incubo potesse ricominciare.
Sospirò appena. Si abbandonò sull'erba a guardare il cielo, ad immaginare una vita diversa, come aveva fatto tante volte con il ragazzo. Ma stavolta, la immaginò il modo diverso.
Le sue labbra si dipinsero in un piccolo sorriso. 
Immaginò che forse un giorno avrebbe potuto vivere con Ludwig in una casa tutta per loro. Chissà, magari i vecchi padroni sarebbero morti ed in mancanza di eredi la fattoria sarebbe rimasta a loro.  Lei però la sognava in modo diverto. Più colorata, più allegra, tutto più dolce e gentile tra quelle mura. 
Rifletté ancora e si raffigurò a cucinare una torta, in cucina, con un bell'abito, bianco sul seno, poi fermato in vita da un nastro colorato dal quale nasceva poi una bella gonna rossa. Mentre lei cucinava, qualcuno arrivò da dietro ed appoggiò le mani alle sue. Lei sorrise nel sogno. E si voltò e baciò quelle labbra e guardò negli occhi quel ragazzo. Erano azzurri. E lui era Ludwig.  
Il biondo scostò le mani dalle sue e le appoggiò al suo ventre. Sorrise. 
Felicia, quella vera, arrossì violentemente a quel pensiero e spalancò gli occhi. Urlò quasi mettendosi seduta. Lui era lì, la guardava divertito.
-Sei tutta rossa... ma cos'hai, la febbre?- 
A volte era troppo ingenuo. 
La ragazzina scosse frettolosamente la nuca, il fiore le cadde dai capelli castani e finì sull'erba verde, bagnata dal fresco della sera.
Il tedesco si sedette al suo fianco, con una spiga tra le labbra, portando poi le mani congiunte dietro la nuca. Stese la schiena e si lasciò andare disteso. Chiuse gli occhi, godendosi ogni tanto l'alito di vento che gli allontanava i capelli dorati dal viso. 
La ragazzina, lo guardò.  Accennò un sorriso, voleva tanto stendersi vicino a lui...
-Felicia?- la chiamò.
Lei si riprese da un altro sogno ad occhi aperti.
-Mh?-
-Ma tu quanti anni hai?- chiese lui. 
Se l'era sempre chiesto.
Era strano, perché parlavano di tutto ma si erano poco soffermati sull'età. 
-Quindici- rispose lei. 
Portò al petto le ginocchia e guardò il padrone prendersela con una capretta. Sussultò quando lui la picchiò un poco con un bastone. -E' cattivo- disse quasi tra sé. 
-Già...- confermò il ragazzo. -La padrona ti sta cercando.- 
Lei sospirò appena e s'alzò. 
Rientrò lentamente in casa. -Mi avete chiamato?- chiese alla donna, la quale annuì svelta. Le mise in mano un catino e le disse di portarlo al padrone. Era vuoto, doveva riportarlo poco dopo pieno di latte fresco. 
Felicia ubbidì, lo prese e lentamente s'avviò verso il vecchio uomo. 
Quando passò accanto a Ludwig, lo guardò con la coda dell'occhio, sperando che dicesse qualcosa, ma lui aveva ancora gli occhi chiusi e le sue povere gambe erano stanche. Si stava riposando solo un momento e non s'accorse di lei. 
Dunque, la ragazzina coi capelli castani, si avvicinò al padrone gli diede il secchiello. 
Lui sorrise in quel modo rivoltante e lanciò un'occhiata alla sua gonna, così lei si coprì d'istinto con le mani, facendo qualche passo indietro, ancora a piedi scalzi. 
Riempito il secchiello, si preoccupò bene di non toccare la mano rugosa e rovinata dell'uomo che glielo porgeva, così s'avvicinò più svelta alla cucina, per scappare da lui. Sapeva che la stava ancora guardando; poteva sentire i suoi occhi su di sé. 
Entrata in casa, stava per avvicinarsi alla padrona, ma inciampò su qualcosa e finì per rovesciare il latte per terra e farsi male ad una mano. 
La donna la fulminò con uno sguardo, l'acchiappò per il polso e la trascinò con sé, incurante delle sue proteste. Prese un  paio di forbici.
-Ti ci vuole una  punizione!- continuava ad urlare. -Sono stata anche troppo paziente con te!-  
Felicia, in lacrime, la pregava di non farlo, ma lei aveva già preso in mano le sue trecce e la guardava soddisfatta. Ne umiliò una. La ciocca cadde per terra e la ragazzina non poté più trattenere i singhiozzi. 
La padrona la lasciò lì per terra, ordinandole di prendere un altro secchiello.
Ma quando uscì, Ludwig non era lì per guardarla. Né per proteggerla. 
Al pomeriggio ebbero ancora un momento per stare insieme. 
Ludwig osservò stupito la sua nuova pettinatura e lei pianse al suo petto.  
Il ragazzo non la vide mai piangere a tal modo, nessun tentativo di calmarla andò a buon fine. 
La strinse a sé e le carezzò un poco la schiena. -Sta tranquilla, ricresceranno- le disse.
Felicia però non riusciva a smettere di piangere. Fu forse "la goccia che fece traboccare il vaso."
Il biondo sospirò e la lasciò sfogare, ma quando i padroni rientrarono dal paese, dovettero entrambi fare dell'utile per la fattoria. Si lanciarono un'occhiata.
Lud voleva solo una cosa: distruggere quelle lacrime. 
 
 
La sera giunse tardi, più del solito. 
Quando la ragazzina entrò nel porcile, questo non conteneva altro che i maiali e la loro puzza alla quale però s'era ormai abituata. 
Poco dopo il ragazzo la raggiunse. Aveva un nuovo taglio sul viso, quello sulla guancia era scomparso, adesso però ne aveva un altro sul mento. Non disse nulla in riguardo. Le si avvicinò e spalancò lo sguardo. 
"Forse si sentiva brutta" pensò.
Lei abbassò il capo.
Aveva tagliato anche l'altra treccia ed i capelli corti non le stavano poi così male. 
-Come... mai?- bisbigliò lui.
L'italiana accennò un sorriso triste. -Non aveva senso tenerne una sola...- 
Lui annuì e sedette un poco distante, ma lei fece cenno di avvicinarsi ed il biondo non poté che ubbidire. Non senza arrossire, le disse impacciato: -S-sei molto carina, ehm, così, insomma...-
Anche lei si mostrò imbarazzata e le sue gote assunsero una tonalità più rosea. -G-grazie...- farfugliò. Timidamente, si avvicinò alla sua guancia e la baciò in modo dolce.
Ludwig si ritrovò a pensare che, forse, quello era il più bel giorno della sua vita.
Le sorrise goffamente. 
Osservò quegl'occhi, quelle labbra e avvicinò un poco il viso al suo, con gli occhi azzurri socchiusi. Fu qualcosa di istintivo. Gli venne spontaneo, dritto dal cuore. 
Lei rabbrividì appena. 
Iniziò ad avere paura. Cominciò a chiedersi se lui non voleva proprio questo, usarla, andare oltre, ma subito qualcosa le fece cambiare idea. Si fece comunque  indietro e mormorò incerta: -N-no, t-ti prego, io...- 
Il ragazzo riaprì per bene gli occhi ed accennò un sorriso. Appoggiò la mano sulla sua guancia e parlò in modo tenero, con una dolcezza che non gli apparteneva, che non pensava propria. Le disse: -Sono io, Ludwig; e non voglio farti del male.- 
Provò a rassicurarla con uno sguardo. Per fortuna ci riuscì. 
 Pareva ancora un po' spaventata, tuttavia, e il biondo le prese una mano carezzandola dolcemente. Appoggiò le labbra alle sue. Erano seduto l'una di fronte all'altro. Fu il loro primo dolce bacio. Non l'avrebbero più dimenticato. 




 
 
Il sole... 
C'era e non c'era quel giorno, nascosto un po' tra le nuvole giocherellone.
Ludwig era da solo, a piedi nudi, che passeggiava sul viale. Notò una donna d'un tratto, giovane con gli occhiali sul naso aquilino, un po' come il suo, con i capelli legati in una coda di cavallo. 
Non trovò motivo per avvicinarsi a lei più del dovuto e scese lento per la collinetta, con le mani in tasca e gli occhi azzurri che vagavano qui e là. Aveva un'aria più spensierata del solito. Ripensava alla sera prima, a quel bacio... 
Trovata una collinetta più isolata, si distese su di essa con le mani congiunte dietro la nuca. Il padrone non l'avrebbe di certo rimproverato, perché non sapeva fosse lì. Era uscito la mattina presto per andare in paese e non sarebbe tornato prima di pranzo. Lui aveva finito i suoi doveri e si era preso un momento di pausa.
Fischiettava la canzone della sua infanzia, quella che la sua mamma gli canticchiava dolcemente da bambino, con gli occhi chiusi, quando la donna lo interruppe. 
-Tu sei Ludwig, vero?- chiese con un sorriso.
Lui spalancò gli occhi, sorpreso, poi annuì. Non disse una parola. Gli estranei non gli piacevano tanto. Si chiese tuttavia come faceva lei a sapere come si chiamasse. La scrutò per bene. Felicia gli aveva raccontato di una maestra un po' impicciona, chissà se era la ragazza che adesso aveva davanti. Era giovane e forse troppo curiosa.
-Ti chiedi come faccio a saperlo, vero? Tu e lei siete gli unici ragazzi che non vedo mai a scuola. Mi piacerebbe vedervi, prima o poi.- 
La sua gonna leggera svolazzava col vento. Lei non se ne curò. Sorrideva sempre. Non aveva un sorriso particolare né particolarmente bello, eppure lei continuava a sorridere come se fosse l'unica sua salvezza di vita. Continuava inoltre a guardare, con i suoi piccoli occhi verdi, il ragazzo in attesa di una qualche reazione da parte sua ma nulla, proprio nulla!, faceva egli trasparire dal proprio volto. Era freddo, di ghiaccio. E non si captava alcun segnale da quello sguardo chiaro, puro, innocente. Non si vedeva tutto il dolore, aveva imparato a nasconderlo. Però lui stava male. I suoi occhi non versavano più una lacrima, ma il suo cuore piangeva ogni sera. Gli mancava tutto della sua vecchia vita. La mamma, il papà, il suo amato fratellone... 
L'avevano preso in giro tanto, il povero Gilbert, per i suoi colori malati ed il suo sguardo da demonio. E Ludwig, piccoletto, lo aveva sempre difeso, perché questo i genitori gli avevano insegnato. 
L'albino aveva sacrificato la sua vita per proteggerlo. Il biondo era rimasto l'unico in casa, scoppiato l'incendio, e lui si era precipitato a soccorrerlo, finendo però colpito da una trave che aveva ceduto. Stordito, aveva perso conoscenza. Qualcuno prese il piccolo, ma non si curarono di lui. Fu la scusa per togliere la creatura di Satana dalla circolazione. Il bambino tedesco si dimenò, chiamando il nome dei suoi familiari, ma nessuno lo aiutò veramente. Lo sbatterono in Italia, poi da un istituto all'altro ed ora eccolo lì in fattoria.
I suoi genitori non piacevano a nessuno. Probabilmente perché avevano... troppi ideali.  Si erano messi nei guai più di una volta per cercar giustizia.
Studiare gli era sempre piaciuto. Non aveva più potuto farlo.
Per questo, adesso, guardava la donna con un velo di curiosità negli occhi. 
-Noi non possiamo venire- le rispose dopo qualche momento di esitazione. Si mise seduto, aveva tra le labbra un filo di grano giallo. Il vento gli carezzò di nuovo i capelli. 
-E perché no? I tuoi tutori non lo vogliono?- continuò la donna. Era così insistente!
-Non sono i miei tutori, sono i miei padroni- la corresse lui. 
Lei rabbrividì quasi. Non le piaceva quella parola. Lo vedeva già come uno schiavo, legato e torturato e, in un certo senso, lo era. Mangiava quando i padroni glielo consentivano, dopo lunghe ore di lavoro e a volte non aveva come coprirsi dal gelo invernale. Però si sentiva relativamente libero. Era una strana condizione, la sua. 
-Cos'hai fatto sul collo? Le tue mani sono così rovinate...- costatò osservandole.
Il ragazzo scrollò le spalle e alzò il colletto della camicia malconcia per coprire i segni della cinghia.
La calma era finita per lui.
Il padrone il giorno prima l'aveva picchiato, sfogando i malesseri degli ultimi giorni ad ogni colpo di cinghia. Aveva fatto male. Lui voleva pregarlo di smetterla, ma non sarebbe servito, ne era certo. Incassò i colpi in silenzio e non ne fece parole neppure con la ragazzina italiana, perché non voleva si preoccupasse. Voleva vederla felice. Detestava la smorfia di dolore che si dipingeva sul suo viso ogniqualvolta che le dava una notizia simile. 
-Ludwig, i tuoi padroni ti picchiano? A me puoi dirlo! Io voglio aiutarti.-
"Warum?" si chiese subito il ragazzo. "Lei non mi conosce. E se lui venisse a sapere che le ho parlato, mi farebbe male di nuovo. Und ich... voglio stare bene."
Si affrettò a scuotere la testa. -Loro non lo farebbero mai. Sono un po' severi, ma mi hanno dato una casa, un letto e due pasti al giorno. Non posso lamentarmi di questo.-
Conoscendo la propria capacità di mentire, decisamente scarsa, cercò di essere più sincero possibile. Il fatto che fossero severi era certamente la verità. Anche il fatto che gli avevano dato una casa e due pasti al giorno. Beh, anche il letto, seppur fosse costituito da un po' di paglia in un angolo. E anche il fatto che non poteva lamentarsi, altroché! 
La donna sospirò sconfitta. D'un tratto in lontananza il vecchio padrone s'avvicinò svelto. Era di umore nero. Gli affari erano andati male. Aveva venduto a pochissimo prezzo la carne di mucca ricavata dall'ultima perdita che aveva avuto. Dato che l'animale era morto così, senza un apparente motivo, avrebbe voluto almeno guadagnarci qualche cosa. Invece gli affari erano andati malissimo.
S'agitò vedendo il ragazzino parlare con l'estranea ed afferrandolo per un braccio lo trascinò fin dentro casa, urlandogli addosso. Di nuovo, si sfilò la cintura.
 
 
Non persero più occasione per stare insieme. 
In quei pochi momenti di pausa, i due ragazzi, si tenevano la mano o rimanevano abbracciati. 
L'estate stava finendo e adesso il freddo era loro nemico. Alle volte con la scusa di cercare calore si stringevano forte, ad entrambi sembrava di entrare nella pelle dell'altro. Si sorridevano sempre. Ludwig non aveva mai sorriso così tanto. Voleva ancora scappare, ma con rassegnazione aveva capito finalmente l'impossibilità del loro progetto. 
Felicia invece era sempre più oppressa da tutte le attenzioni che riceveva e pensava più spesso alla possibilità di una vita migliore.
Il padrone tornò a tormentarla.
Loro non lo sapevano, ma era la moglie che lo istigava. 
Andava dal marito e gli diceva di continuo: -Riprenditela! E' tua! Sii uomo!- 
Lui non era sempre così convinto di farlo. 
La donna però insisteva. Odiava quella ragazzina, voleva soffrisse le pene dell'inferno. Non le aveva mai fatto niente, eppure lei la detestava. Forse perché era così giovane, così bella, così pura, e tutti la guardavano con ammirazione. Ancora una volta sembrava un angelo. I suoi modi così dolci, così apprensivi! Era meravigliosa.
E la padrona più vedeva che tutti le volevano bene, più si rabbuiava ed abbrutiva. Avrebbe voluto vederla mal ridotta, diventare brutta. Ma Felicia non sarebbe mai diventata brutta. Lei era bella dentro, prima di esserlo al di fuori. E malgrado avesse tagliato le sue belle trecce, la questione poco cambiava. Poco serviva avere capelli lunghi. Alla ragazzina però mancavano.
Le avevano chiesto tutti che fine avesse fatto sua chioma e lei, melanconica, aveva detto che le piaceva cambiare. Non era vero. Le novità non le piacevano. 


 
Comunque sia, la donna, brutta vecchia e cattiva, aveva intercettato quelle occhiate che i due garzoni si scambiavano. Avrebbe solo voluto lui la smettesse di guardare lei. Anche lui è bello, ha gli occhi profondi, intensi, ed i capelli liscissimi e dorati. Perché doveva guardare una sguattera? 
Cercava sempre di interrompere quei momenti dolci tra loro anche se, in realtà, i due ragazzi non si sfioravano neppure se non da soli. 
Quando Ludwig stava svolgendo le sue mansioni, la padrona lo guardava di nascosto. Lui non s'accorse mai di nulla. Era troppo ingenuo ed innocente pure lui. Certo, aveva istinti e bisogni. Ma li teneva costantemente a bada. E solo una persona aveva il suo cuore ed i suoi occhi tra le mani. 
Anche quel giorno lui, la ragazzina italiana e l'anziana donna -non così vecchia, a dir la verità- erano in cucina. Faceva molto freddo fuori e dato che il padrone non c'era, la moglie aveva dato il permesso al garzone di lavorare in casa. Lui stava utilizzando del legno ed un coltellino. Felicia stava cucinando.
La donna, mentre cuciva qualcosa, puntò lo sguardo sul ragazzo. -Tu, com'è che ti chiami?, dovresti mangiare di più. Ti vedo sciupato.- 
Il biondo non rispose subito. Non capiva il suo gioco ma era certo che stesse tramando qualcosa di losco. 
Continuò ad intagliare un pezzo di legno, glielo aveva insegnato suo padre e con anni di esercizio era diventato piuttosto bravo. Ogni volta che poteva rubava un tozzo di legno e lo portava con sé, per dargli forma. Adesso stava cercando di fare un animale e ci stava riuscendo. Aveva finito tutti i suoi compiti e si stava riscaldando un po' al camino prima di tornare al porcile. 
Felicia non dormiva più con lui. 
I padroni, di comune accordo, li avevano separati.
La moglie non voleva vederli insieme ed il marito voleva avere un passatempo per la notte.
Così lei venne chiusa a chiave in quella camera, perché "fuori, in inverno, fa freddo." Ma tutti e quattro la sapevano come una scusa. 
Il tedesco finalmente rispose alla domanda e lo fece con tono piatto. -Mangio quello che mi date da mangiare voi.-
Non gli piaceva doverli chiamare "padrone" e "padrona." Si sentiva uno schiavo. E gli piaceva pensarsi libero. Così evitava sempre, quando poteva. 
-Tu- ripeté le donna, il suo sguardo saettò sulla figura della ragazzina ed il suo tono s'era subito indurito. -Dagli qualcosa di caldo da mangiare.- 
L'italiana un po' incerta annuì e gli scaldò subito un po' di zuppa. Non era molto, era l'equivalente della sua porzione. Immaginò che il ragazzo dovesse avere quella quantità. Ma quando la donna vide la scodella mezza vuota, tuttavia, le diede n ceffone. -Cosa sei, stupida? Ha bisogno di mangiare, o prenderà un malanno.- 
D'un tratto le venne un'idea. Come un'illuminazione, dal nulla. 
-Da questa sera- esclamò. -Tu dormirai al porcile e lui nella tua camera.- 
I due ragazzini spalancarono gli occhi. Lei ubbidì svelta. Lui, no.
-Non è necessario, non mi ammalerò; sono forte.- 
La padrona prese la zuppa e gliela servì bruscamente. -La decisione è presa.- 
Non poterono rifiutarsi. 
Il padrone, fu contento anche lui. 
Quella sera fu la prima dopo molti mesi un cui il biondo dormì in un letto vero, comodo, sotto le coperte.  
La vecchia donna bussò alla sua porta chiedendo permesso. Lui, stupito, acconsentì. Lei si sedette al suo letto e gli carezzò una guancia.
-Signora... ma che fate?-
-Shh, ragazzo, riposa... Hai lavorato molto, devi essere stanco.-
-Perché mi state accarezzando?- chiese lui, mettendosi seduto. 
All'improvviso, un urlo, aprì una ferita sul suo petto. Felicia; doveva essere per forza lei. Subito s'alzò e s'avvicinò alle scale, ma la donna lo afferrò per un polso e gli diede un ceffone intimandogli di tornare a dormire. Lo spinse dentro e, con moltissima fatica, lo chiuse lì. Il ragazzo continuò a battere pugni contro la porta. 
Non gli piaceva maltrattarlo ma non si tratteneva dall'alzargli le mani. Secondo lei, lui lo meritava. -Sei un ingrato! Ti faccio dormire su quel letto, così comodo, e tu che fai? Ti preoccupi per lei.-
Nessuno fece nulla.
La notte calò. 
L'italiana ed il tedesco s'addormentarono esausti. 
 
 
Il giorno dopo il primo pensiero per il tedesco fu di andare da lei. 
Si vestì in fretta, scese le scale (era appena l'alba quando lo "liberarono") e rifiutò la colazione. Uscì svelto di casa, corse al porcile e spalancò anche questa porta. 
-Felicia! Felicia, dove sei?- la chiamò a gran voce. Si guardò intorno. Non la vide. 
Salì le scale in legno per arrivare a quel piccolo piano sopraelevato, ma un gradino si ruppe e lui cadde con un tonfo sordo sulla paglia. Non si lasciò scoraggiare. Riprese a salire e si affrettò negli ultimi gradini, perché vide la ragazza in uno stato pietoso. Era rannicchiata nell'angolino. Aveva ancora la veste alzata. C'era sangue dappertutto. E lei aveva graffi dappertutto. Aveva il viso pallido e le occhiaie. 
-Mein Gott...- disse tra sé il ragazzo. 
Le si avvicinò, incurante della sua nudità, e le prese il viso tra le mani, chino accanto a lei. La ragazzina aprì un poco gli occhi e lo guardò. Avrebbe voluto piangere ma non ne aveva più la forza. Cercava solo conforto.
-Hai bisogno di aiuto...- sussurrò lui. 
Si chinò sull'amata e le diede un bacio sulla fronte. Con gesto di rispetto, prese l'orlo della sua gonna e la coprì, senza neppure guardarla. La sua mano stringeva quella di lei, delicatamente. 
-N-non te ne andare...- lo pregò l'italiana. Lui scosse la testa e le baciò la mano. 
Era inginocchiato davanti a lei. Avrebbe fatto di tutto per farla stare bene. Qualsiasi cosa...
-Sto... morendo?- chiese lei. 
Si sentiva debolissima. Le sue parole erano poco più che un sussurro, il ragazzo doveva prestare particolare attenzione per capire cosa dicesse. Le sorrise, uno di quei sorrisi che donava solo a lei. Rassicurante. Ecco cosa voleva: calmarla. 
-Nein, nein... ci sono io qui con te, lieber.-
Portò la mano libera tra i suoi capelli e l'accarezzò in modo tanto tenero.
Sapeva bene, però, che lei aveva bisogno di cure. L'avrebbe aiuta, in qualsiasi modo, se lo era appena promesso.
Le disse di chiudere gli occhi e di concentrarsi su un pensiero che la faceva sorridere. 
Passarono alcuni minuti.
Lei accennò l'ombra di un sorriso. 
 
 
 
 
 
 
 
  
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