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Autore: bloody_lily    23/09/2004    3 recensioni
un biglietto di auguri.
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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La fatina della luna stava facendo le frittelle

Il momento del non-ritorno.

 

Buon Compleanno, amore mio.

 

 

La fatina della luna stava facendo le frittelle.

Il suo profilo si descriveva leggermente brunito sulla superficie opalescente e perfettamente circolare della bella signora.

E così era la sera delle frittelle, dei lupi mannari, delle feste in campagna e anche delle scoperte sconvolgenti, anche se in quel momento ancora non lo sapevo.

Me ne stavo sdraiato su una panca nella piana appena sotto a quella che avevano adibito a pista pseudo-discotecara. Liscio e rock nella mia idea che in amore c’è sempre un momento del non-ritorno, annunciato da trombe apocalittiche e fiamme infernali e chissà cos’altro.

Guardavo le stelle in una sorta di ammirazione concentrata, perché da casa mia che era in centro non se ne vedevano così tante neanche quando le insegne di palazzi e negozi si spegnevano e tutta la città rimaneva come avvolta da un mantello di seta scura cosparsa di paillettes. Ce n’erano di luminosissime e di appena abbozzate nel loro albore lontano. Quando ero piccolo mio nonno mi aveva insegnato a distinguere le costellazioni, ma in quel momento non ne riconoscevo né mi sarebbe interessato riconoscerle. Mi bastava limitarmi a sorridere, naso per aria e Jack Daniel’s nel bicchiere.

Aveva un che di rassicurante, quel bicchiere. Ma anche questo l’ho scoperto poi: sul momento mi limitavo appunto a sorridere ignaro.

Era il compleanno di Chety, e non stava andando neanche male. Di solito i compleanni non mi entusiasmavano, anzi. Finivo sempre per isolarmi da qualche parte e flesciarmi su qualche stupidata come un quadro da profani appeso alla parete di qualche salotto o una fotografia scattata da un’angolazione particolarmente inutile. Già allora ero un cultore delle immagini. Cromatismo, vividismo, espressionismo spirituale.

Ad un certo punto della contemplazione sono stato costretto a cercare con i miei gli occhi che mi stavano fissando. Sapevo che erano i suoi, perché quando mi guardava me ne accorgevo sempre. Come lei si accorgeva quando ero io a guardarla. Era una specie di gioco fra noi: l’unico che ci concedessimo persino in pubblico. L’ho vista appoggiata al ciliegio, poco lontano dalla mia panca, mi sono tirato a sedere, le ho detto “Ehi”.

Lei ha subito colto l’invito, ed è venuta a sedersi accanto a me. Non ci toccavamo affatto, eppure io avrei giurato di sentire contro il mio fianco sinistro il calore del suo braccio. Mi ha guardato sorridendo appena, ha detto “Credevo fossi da qualche parte a vomitare”.

Ho ghignato e sorseggiato il mio Jack. Ho detto “Non sono ubriaco”. L’avrei detto anche con dei terribili dolori alla pancia e un atroce mal di testa pur di non mostrarmi debole, comunque in quel momento non mi sembrava di essere ubriaco.

Nana mi ha puntato un dito sul naso, e dopo aver controllato che ero in grado di seguire il suo procedimento anche incrociando gli occhi ha annuito, ha chiosato “No, non ancora” sempre sorridendo.

È seguito un attimo di silenzio. Lei si è messa a guardare il cielo, e io mi sono messo a guardare lei. Ho bevuto un altro sorso.

Aveva un’espressione tranquilla, e mi sono chiesto come mai per una volta non stessimo litigando. Ho bevuto ancora, ho detto “Che bel cielo, stasera, c’è persino la luna piena”.

Nana mi ha guardato con quei suoi occhi strani. Credevo volesse inghiottirmi nel grigioverde. Invece ha detto “Preferisco il falcetto crescente” e io l’ho guardata stralunato e le ho detto “Anch’io”. Ci vuole una certa sensibilità, per aprezzare il fascino del falcetto crescente. Lei mi sembrava più tipa da luna piena.

E mi è uscito un “Non guardarmi così, sei una minaccia alla mia incolumità emotiva”. A questo punto mi sono convinto di essere ubriaco: il mio cervello doveva aver messo il pilota automatico e tutto ciò mi sembrava un’idea davvero pessima. Da sobrio non avrei mai detto niente del genere.

Ho nascosto il muso nel bicchiere.

Lei però non si è scomposta, ha detto “Sai cosa odio, di questa situazione?”.

Io ho fatto di no con la testa, ho appoggiato il bicchiere da una parte convinto che fosse meglio non finirlo neanche, il Jack Daniel’s, se dopo nemmeno un bicchiere ero già ubriaco. E dire che solitamente l’alcool lo reggevo anche bene.

Ha detto “Se anche penso che sei una persona speciale non te lo dirò mai” tornando a guardare il cielo. Ma ormai ero troppo lanciato per non pensare che era una frase metaforica.

Ho risposto “Rifai un po’ quel tuo giochetto con il dito…”, giusto per sapere se stavo già volando con la fantasia o se… se.

Mi ha di nuovo puntato l’indice sul naso. Ho chiesto “Allora? Sono ubriaco?”.

Nana ha scosso la testa. Non ero ubriaco. Non ero ubriaco.

E ho cominciato a pensare che forse non so riconoscerlo, il momento del non-ritorno. Perché quando ti rendi conto che ti senti felice semplicemente stando seduto ad una persona e sentendola parlare di te, quando speri che continui a sorriderti, quando ti rendi conto che il suo sguardo ti cambia e non sei ubriaco vuol dire che il fantomatico momento lo hai già passato. E sono cavoli.

Però non appena ho realizzato mi sono subito sentito felice. Per il solo fatto di essere innamorato di Nana, della persona più… beh, vivida dell’universo.

In fondo so che non sarebbe potuta finire altrimenti, perché effettivamente siamo sempre stati come due tessere contigue di un puzzle. Abbiamo anche sempre dormito come due cucchiai in un cassetto, calibrando la nostra posizione in funzione dell’altro, in seguito. Ma in quel momento, scoprire che la persona con cui discutevo anche di ogni più piccola cosa era la persona con cui sarei voluto crescere, mi aveva colpito come vedere la neve sulla verzura di maggio.

Ho riso. Ho detto “Sai cosa odio, io? Odio il tuo essere tutto ciò che mi manca per essere una di quelle palle asessuate e perfette che la leggenda chiama esseri androgini”. L’ho baciata su una guancia, ignorando la sua aria sorpresa. Ho continuato “Sai che a volte hai ragione? Io non ne capisco proprio niente di sentimenti né di metafore e nè interpretazioni! Avanti, scegli una stella. Sarà la stella di questa serata illuminante”.

Mi ha dato l’impressione di aver capito il motivo del mio comportamento, perché ha sorriso, ma non saprei dire se poi avesse capito sul serio, non gliel’ho mai chiesto. In ogni caso ha indicato una stella molto luminosa verso est. In quel momento non sapevamo che la nostra stella non l’avremmo più saputa individuare, e che di quella serata ci sarebbe rimasto solo un ricordo bellissimo. Beh, in fondo Nana dice sempre che ci è rimasta anche la consapevolezza che, anche se non visibile, nell’universo c’è sempre una nostra stella.

Siamo rimasti a guardare lontano per un momento interminabile, finchè dal piano discoteca non è partita All I Have To Do Is Dream.

A quel punto l’ho presa per mano. Non mi è sembrata sorpresa ma piuttosto felice della mia illuminazione.

Ci siamo messi a volteggiare abbracciati fra gli alberi di ciliegie, pesche e albicocche. Sembravamo due pazzi, ridevamo anche quando andavamo a sbattere contro qualcosa. Non ho neanche fatto finire la canzone, le ho detto “Ti voglio bene” e, mentre tutto ciò che avrei dovuto fare sarebbe stato sognare, l’ho baciata.

 

 

 

 

 

Avrei dovuto postarla ieri, perché effettivamente il compleanno era ieri. Ma siccome tutto ciò era praticamente un biglietto di auguri, ho voluto prima farlo leggere al diretto interessato ^_^

[E non chiedetemi come mi è uscito un affare simile è_é]

  
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