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Jonghyun si svegliò di soprassalto.
Era, come sempre, nel suo letto. Le lenzuola gli
si erano
infilate tra le gambe durante la notte, perciò era sudato oltre
ogni
immaginazione.
Cercò di srotolarsi da quel fagotto di
tessuto azzurro,
imprecando a bassa voce già appena sveglio.
“Per fortuna che il buon giorno si vede dal
mattino”, pensò
il ragazzo, sbuffando.
Si diresse velocemente in bagno, amava allietare
la pelle
dal caldo torrido estivo che lo assaliva già dal primo mattino.
Lanciò uno sguardo
fuori dalla finestra, non doveva essere poi molto tardi, poiché
il sole non era
alto in cielo e i raggi penetravano attraverso il vetro, scaldando ed
illuminando le chiare piastrelle del pavimento lucido del locale.
Preferì una doccia fredda, almeno si
sarebbe svegliato e i
muscoli si sarebbero tolti di dosso quel lieve senso di torpore che
ogni giorno
d’estate li afflosciava.
Appena uscito dalla doccia, gocciolante, rimase un
momento a
fissare il suo corpo ben allenato, attraente, scolpito ed assolutamente
perfetto.
Si sorrise, grazie all’immagine riflessa sullo specchio posto di
fronte a lui,
si stupì di quanto quella sua espressione fosse ammaliante.
Si, la modestia era una dote di cui Kim Jonghyun
non ne
possedeva nemmeno una briciola.
Lasciò i capelli scuri bagnati, si
sarebbero probabilmente
asciugati prima di uscire di casa. Si passò comunque una mano
tra i ciuffi
ribelli, scuotendo quella chioma scura e lucente, in un’azione
che ricordava
vagamente quella compiuta dai cani nel tentativo di scrollarsi di dosso
l’acqua
dal pelo.
E così faceva Jonghyun ogni mattina,
agitando la testa in
quel modo estremamente buffo, mentre si aiutava in quell’impresa
con una mano.
Una volta vestito, si diresse in cucina per la
colazione. I
suoi genitori ancora dormivano, perciò decise di fare piano. Si
preparò del
caffè mentre sbirciava fuori dalla finestra il sole che si
alzava lento.
La seconda cosa che detestò di quella
mattinata, dopo le
coperte, avvenne appena guardò l’orologio.
Segnava le otto e quaranta.
Sputò buona parte del caffè che
aveva in bocca e dal
bicchiere che aveva in mano sembrò scoppiare uno tsunami, grazie
al movimento
brusco del suo braccio.
Ma Jonghyun era troppo impegnato a scappare fuori
di casa
per accorgersi che la sua maglia era ormai più simile al manto
dei dalmata,
piuttosto che alla precedente trama monocolore, bianca.
Per fortuna nella zona in cui abitava non
mancavano mai i
bus che portavano alla città, per cui non dovette aspettare
molto alla fermata.
Avrebbe saltato la prima ora, questo era certo. Forse anche la seconda,
se il
bus non si dava una mossa.
Picchiettò a terra con un piede per tutto
il tragitto,
guadagnandosi delle occhiatacce dal signore che stava seduto di fronte
a lui.
Continuava a guardarlo dalla testa ai piedi con un’espressione
circospetta,
come se avesse avuto davanti un clown, o qualcosa di simile.
Il bus era all’ultima fermata prima della
sua scuola, e
Jonghyun finalmente guardò l’orologio sospirando di
sollievo. Mancavano cinque
minuti. Avrebbe fatto in tempo.
Avrebbe fatto in tempo se non avesse visto.
Avrebbe fatto in tempo se il suo cuore non avesse
perso
qualche battito.
Avrebbe fatto in tempo se non avesse notato quel
particolare, fra la massa.
Lo sguardo perso fuori dal finestrino
agganciò una figura
nota.
Il bus fu troppo veloce perché potesse
vederne i
particolari, ma Jonghyun giurò di aver visto un ragazzo dai
capelli
biondissimi, abbastanza lunghi. Un’acconciatura troppo esemplare
per essere
adottata da più di uno o due ragazzi in quella cittadina.
Qualcosa si mosse, in fondo all’anima di
Jonghyun. Qualcosa
di prepotente, qualcosa di forte, ma anche di inafferrabile. Quel
dettaglio gli
diceva qualcosa, ma più cercava di afferrare il concetto e
più questo si
allontanava da lui.
Poi, in un secondo, ricordò.
Il suo sogno.
Come aveva fatto a dimenticare quel sogno che
sembrava
essere durato un’eternità?
Com’è che si chiamava quel ragazzo
venuto dall’oceano? Qual’era
il suo nome? Perché non riusciva a ricordare?
Il suo sguardo si spostò indietro,
cercò di individuare un
volto, ma l’automezzo aveva percorso troppi metri e ormai le
persone avevano
tutte facce diverse da quella interessata.
Si rilassò sul sedile, seppur questo fosse
scomodo, e tenne
gli occhi fissi sul pavimento.
Il sogno di quella notte non era stato un caso
isolato. L’aveva
fatto altre volte, in precedenza. Non gli aveva mai dato molta
importanza,
anche se in fondo, nel suo cuore, sentisse quanto invece fosse
importante e
sentiva un incredibile dolore al petto ogni qual volta sottovalutava la
valenza
di quelle visioni notturne.
Lui non era affatto un tipo così
sdolcinato, pieno di
sentimenti e soprattutto, non era attratto da quel ragazzo sconosciuto.
Non
aveva mai avuto problemi con il suo stesso sesso, certo, ma questa era
rimasta
una sua idea nascosta, sempre tenuta segreta quando andava a scuola o
aveva
rapporti con altre persone.
Lui era normale, e voleva rimanere tale per il
resto della
sua vita.
“Hei, tu, mi senti?”
Jonghyun si riscosse, puntando i suoi grandi
occhioni neri
sul volto dell’anziano che gli sedeva di fronte.
“E’ questa la tua fermata, no? Ti sto
tenendo l’autobus
fermo da un minuto, muoviti a scendere!”
“Oh..si, grazie” Jonghyun
farfugliò qualcosa e si inchinò
brevemente, prima di uscire veloce dalle porte scorrevoli.
Corse dentro il cortile del liceo, dove molti
studenti
passavano le loro ore buche stesi sul prato a prendersi il sole, o a
leggere,
molti si dirigevano in caffetteria, altri in biblioteca, altri ancora
correvano
come lui, verso la propria classe.
Entrò appena prima dello squillo della
campanella. Salvo.
Con un sonoro sbuffo, si sedette accanto alla
finestra, vicino
al suo compagno di banco che lo guardava divertito.
“Cos’è, hai fatto a botte con
qualcuno?” Ridacchiò Minho con
la sua solita voce profonda.
“Cosa?” Jonghyun era stremato dopo la
corsa, nemmeno si
accorse delle allusioni del suo migliore amico.
“La tua maglia” Sussurrò
l’altro indicando con un cenno il
suo torace.
Jonghyun si guardò notando solo in quel
momento le enormi
macchie marroni, di diverse misure, sulla sua maglia bianca.
“Oh mer..”
“Signor Kim!” Il professore si sedette
alla cattedra, con un
sorriso. “Vedo che il suo linguaggio è già
deplorevole dal mattino”
Una risatina collettiva percorse la classe.
Jonghyun si guardò un po’ attorno
infastidito, per poi
togliersi quella maglia di dosso, rimanendo in maniche corte.
“Veda di non distogliere l’attenzione
delle signorine della
classe, signor Kim” Disse scocciato il professore con lo sguardo
fisso sul
registro, intento a iniziare l’appello.
Minho gli diede una gomitata giocosa, complice, e
Jonghyun
sorrise ammiccando ad un paio di compagne di classe che si sciolsero
definitivamente sulle loro sedie di fronte a quella distesa di denti
bianchi e
perfetti.
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“Perché alla prima ora non
c’eri, Jonghyun?”
“Mi sono svegliato tardi” Cercò
di liquidare le domande di
Minho con quella risposta semplice e chiara.
“Non capisco comunque le
macchie” Ridacchiò il moro, decisamente più
alto del suo compagno, anche se entrambi stavano seduti diritti.
“Ho visto che era tardi e così mi
sono rovesciato il caffè
addosso, ho perso l’autobus e..”
“E..?” Minho sembrò
interessarsi appena sul volto dell’amico
passò un’ombra di incertezza.
“E ho corso fino a qui”
Minho parve deluso da quella risposta,
chissà cosa credeva.
Jonghyun si morse le labbra, indeciso se parlare
dei suoi
sogni e di ciò che aveva visto prima a Minho. Dopotutto gli
aveva già parlato
dell’argomento quando aveva sognato per la prima volta quello
strano ragazzo
biondo. Ricordava l’enfasi durante la spiegazione, di come gli
sembrasse
assolutamente reale tutto quello che aveva vissuto la notte.
“Ma
si, Minho, dai! Hai presente quando fai quei sogni
più vividi degli altri? Ti sarà già successo,
no?”
“Hum,
probabile”
“Quelli
che capisci che non possono essere sogni,
troppo reali, troppo consistenti, che magari ti pizzichi e ti fai male,
e dici
che allora non è un sogno ma è la realtà. Mi sono
documentato, sai? Ho letto su
internet alcune notizie. Dicono che si chiamino sogni lucidi.
Perché non sono
proprio sogni, ma sono verità parallele”
Minho
aveva alzato un sopracciglio, confuso.
“Ah
si?”
“Si,
io lo vedevo, Minho. L’avevo davanti a me! Ed era
troppo bello per essere una creazione della mia mente, capisci? Una
bellezza
così non può essere inventata dalla mente
dell’uomo, ma...ma…Minho, io credo
sia reale”
“Reale?”
“Minho,
mi segui? Lui!
E’ reale, non me lo sono inventato! Io lo conosco davvero!”
“Jonghyun, ti sei reso conto che mi
stai parlando di un
ragazzo, vero? Uno sciupafemmine come te! Stento a riconoscerti, amico
mio”
Rise il gigante, dandogli una pacca sulla spalla amichevolmente.
Jonghyun si era sentito ferito ed incompreso dalle
sue
parole, perciò stentava a parlarne ancora.
Quel ragazzo non se l’era immaginato…
o forse si? La sua
mente l’aveva identificato come un ragazzo più alto di
lui, ma più piccolo d’età.
Ma nel suo sogno si rivelava come divinità. Forse non lo era?
Forse era
solamente una sua fervida immaginazione notturna? Magari le
divinità nemmeno
esistevano, e certamente non avevano quella forma. Le divinità
sono anime
austere ed egoiste, come dicono gli antichi testi greci. Il suo cuore
però non
era della stessa idea. Gli stava suggerendo di crederci, poiché
ciò che aveva
visto numerose notti, compresa quella appena passata, era vero.
Magari la sua mente gli stava giocando brutti
scherzi, ma
lui voleva credere a tutti i costi al suo istinto.
Minho probabilmente pensava si trattasse di una
sciocchezza,
ma in fondo al cuore lui sapeva che ciò che sentiva era vero,
palpabile e
pronto a rivelarsi al mondo.
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“Dai, Jonghyun, muoviti!”
La giornata era via via migliorata. Non era
perfetta, certo,
tra il risveglio, il ritardo, la maglia, e alcuni votacci durante la
mattinata,
ma era pur sempre una bel giorno estivo, soleggiato e piacevolmente
tranquillo.
Jonghyun si mise lo zaino in spalla, camminando
fuori dall’aula.
Gli studenti si riversavano nei corridoi dopo la fine delle lezioni,
quelli che
avevano anche il pomeriggio si dirigevano fuori per pranzare.
Jonghyun vide Minho in fondo al corridoio, intento
a
raggiungere l’aula ristoro per primo, in cerca dei pasti
migliori, così
Jonghyun abbandonò la sua andatura spavalda e si mise a correre
verso di lui.
A malapena mantenne l’equilibrio quando
dall’angolo sbucò un
ragazzo dell’ultimo anno e scontrarono con le spalle.
Jonghyun si voltò per vedere se
l’altro fosse in difficoltà,
infatti era caduto, ma stava già rimettendosi in piedi. Il moro
gli porse una
mano, scusandosi, ma si fermò appena vide il sorriso splendente
dell’altro.
“Tranquillo, sto bene” E i suoi occhi
si ridussero a due
piccole fessure, in quel sorriso.
Jonghyun lo corrispose. Avrebbe volentieri
scambiato due
chiacchiere con quel ragazzo. Qualcosa lo spingeva a farlo, ma al suono
del suo
stomaco brontolante preferì privilegiare il bisogno di cibo e
mettere a tacere
quei gorgoglii, piuttosto che parlare con un perfetto estraneo.
Perciò si inchinò appena e
scappò via, verso il suo
migliore amico.
Aspettare due minuti ancora sarebbe stato
insensato, per
Jonghyun. Ma solamente perché non sapeva.
Il ragazzo con cui si era scontrato si
lisciò i pantaloni e
passò le mani tra i suoi folti capelli scuri dalle sfumature
rossicce. Continuò
quindi il suo tragitto fino ad arrivare alla segreteria.
Salutò con un cenno una donna seduta alla
scrivania,
alquanto anziana. Sembrava aver trascorso la maggior parte della sua
vita in un
ambiente come quello.
“Jinki, buongiorno!” Lo salutò
gioiosa, stava per alzarsi e
salutarlo, ma lui la fermò con un cenno della mano, sempre
sorridente.
“Nonna, stai pure tranquilla” Si
abbassò lui a darle un
bacio sulla guancia, prima di dirigersi verso la stanza accanto, quella
del
preside.
Sentì che l’uomo stava parlando,
così bussò prima di entrare
sulla possente porta di legno di ciliegio, nonostante fosse ormai sua
abitudine
frequentare quel luogo, vista la sua carica di rappresentante
d’Istituto.
“Permesso”
“Oh, Jinki, Vieni pure”
Il preside parlava con un nuovo arrivato,
probabilmente.
Il ragazzo se ne stava tranquillo, seduto sulla
poltrona, e
appena Jinki apparve nella saletta, questo si girò a guardarlo,
curioso.
Il ragazzo in piedi si permise di rimanere un
attimo ad
ammirarlo.
Doveva ammettere che si trattasse di una persona
dalla
bellezza folgorante. Pochi individui avevano avuto quell’effetto
su di lui, suo
fratello era uno dei pochi sulla lista.
I suoi occhi felini si puntarono in quelli curiosi
di Jinki,
che si avvicinò per stringergli la mano.
Doveva essere più piccolo di lui,
perché appena si avvicinò,
balzò in piedi e si inchinò salutandolo con un
“Jinki hyung, felice di fare la
tua conoscenza”
Jinki sorrise genuinamente.
“Il piacere è mio…ehm tu
sei?”
Il ragazzo gli strinse la mano, sorridendo,
procurando un
enorme vuoto allo stomaco dell’altro.
“Kibum, io sono Kim Kibum”
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::INFINITESKYDRIVER CORNER::
Sono sincera nel dire che non sapevo se avrei scritto un seguito..
Ma eccomi qui! Diciamo che...non mi
piaceva l'idea di lasciarla così, e sarebbe stato un peccato non
sviluppare la storia che avevo in mente di costruire sulla base del
primo capitolo. Alla fine era solo un sogno, nnnnaaaaaah. Che cosa
crudele...non capisco perchè devo sempre frantumare i sogni di
sti poveri ragazzi.
Ma sta qui il bello, no? Comunque mi sento cattiva, si. Si meritano un
lieto fine, o forse no... *SUSPANCE*
Come sempre, mi fa piacere sapere commenti, pareri o tutto quello che volete! Non mi resta che darvi l'appuntamento al prossimo capitolo e grazie per aver letto! :D