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Autore: maavors    07/07/2013    3 recensioni
Mia Nisi è il nuovo sottotenente dei RIS di Roma. Il suo arrivo porterà molti cambiamenti nel (quasi) tranquillo ambiente romano.
IMPORTANTE: sto aggiornando e modificando i capitoli. 05/01/2016
Genere: Commedia, Romantico, Science-fiction | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Crack Pairing | Personaggi: Bartolomeo Dossena, Nuovo personaggio, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 11
 
La capacità umana di provare senso di colpa
è tale che le persone riescono sempre trovare
il modo di incolpare se stesse.
Stephen Hawking
 
Era un’insolita calda giornata di Marzo, Mia stava camminando in un bosco. I raggi del sole le penetravano sulla pelle attraverso i vestiti. Continuava a camminare ma non si sentiva a suo agio, si sentiva seguita, come quando stai tornando a casa di notte e sei sicuro che qualcuno sia dietro di te, pronto ad attaccarti, tu ti giri di scatto ma non c'è nessuno. Anche Mia si voltò, sapendo che niente la stava seguendo, ma quasi le venne un colpo quando invece vide un grosso lupo grigio. Aveva una strana espressione sul muso, sembrava un ghigno. Senza avere il tempo di iniziare a correre il lupo fece un balzo e la azzannò. Mia cadde a terra priva di sensi, morente.

Si svegliò sudata con un dolore lancinante all'addome. La stanza dove si trovava non era decisamente casa sua. Le pareti erano di un celestino spento e accanto a lei c'erano dei macchinari che emettevano un suono regolare ogni secondo. Si stava per rimettere a dormire quando lo sguardo le cadde sulla poltrona vicino al letto. Un ragazzo stava dormendo, aveva la testa appoggiato allo schienale e non riusciva a vederlo in viso. Sembrava un bambino. Presa dal sonno chiuse gli occhi e si riaddormentò.

Il prato sotto di lei le solleticava la schiena, facendola ridere. Doveva essere Agosto, perché il sole era terribilmente forte, quasi fastidioso. Non c'era vento e l'aria era umida, voleva mettersi sotto un albero, ma non ne vedeva e non riusciva ad alzarsi. Aveva le gambe bloccate, non le sentiva, non riusciva a muoverle. Era paralizzata. Urlò, cercò di chiamare qualcuno, ma era inutile, non c'era nessuno, nessuno sarebbe venuto in suo soccorso. Il sole picchiava forte, non riusciva più a vedere, sentiva la forza di gravità premerle sullo stomaco e il cuore le batteva forte in gola. La luce la stava accecando, stava morendo.

"Mia!" qualcuno la strattonò. Era una voce familiare, calda e dolce, quella che la stava chiamando "Mia, svegliati." Quando aprì gli occhi vide una chioma di ricci neri che contornava il volto di Daniele. Le stava sorridendo amichevolmente "Scusa, non volevo svegliarti ma ti stavi agitando" le disse con aria gentile "Cos'è successo Ghiro?" l'espressione di serenità che echeggiava sul suo volto mutò, come risvegliato da un sogno. "C'è stato uno scontro a fuoco, magari ti ci vuole del tempo per ricordare" aveva l'aria distante, lo sguardo basso "Ma almeno li abbiamo presi?" gli chiese. Le rispose con un semplice sì, poi il suo sguardo si fissò sulla porta, facendo voltare curiosa anche Mia. Appoggiata sullo stipite si trovava una donna, aveva dei lunghi capelli neri e gli occhi, dello stesso colore, contornati da una sottile linea di eyeliner.
"Ciao sono Selvaggia! Daniele mi parla tantissimo di te!" disse entrando dentro la stanza con aria leggera. Mia sorrise imbarazzata "È veramente brutto quello che ti è successo" continuò lei con aria cupa, Mia le sorrise. "Ho visto Lucia e Orlando all'entrata, verranno qui tra poco hanno detto" disse Selvaggia a nessuno in particolare "Perfetto, allora è meglio che torni in caserma, ho delle indagini in corso. Ah, e quando ti dimettono ti aggiorno, ci servono i tuoi super consigli" affermò Daniele uscendo dalla stanza. Selvaggia la salutò con la mano e seguì Ghiro.

Non c'erano lupi o il sole accecante, non c'era niente. Solo Mia e il vuoto. Stava precipitando, il vento le spostava i lunghi capelli biondi e si sentiva leggera. Non aveva la forza di urlare o di cercare qualcosa a cui aggrapparsi. Le mancò il respiro, non c'era aria. Una mano calda la riportò alla realtà.

"Buongiorno tesoro!" Mia aprì gli occhi e trovò davanti a lei una schiera di sorrisi: Lucia, Orlando, Emiliano e Bianca. "Ciao ragazzi" disse lei debolmente, meravigliandosi di riuscire a respirare. "Sono stati qui Daniele e Selvaggia prima" continuò Mia mentre Lucia si sedeva sulla poltrona dove stava dormendo il ragazzo la sera prima. "Ti senti meglio? I dottori hanno detto che ci vorranno almeno un paio di settimane prima di tornare a casa" le chiese Orlando e la ragazza non poté fare altro che annuire. Non sapeva nemmeno lei come stava, ricordava poco di quello che era successo e la testa iniziava a farle davvero molto male. "Senti Mia..." iniziò Emiliano "Mi dispiace per quello che è successo. Penso sia colpa mia, se avessimo aspettato i rinforzi, se non avessimo fatto di testa mia... probabilmente non ti sarebbe successo niente" era visibilmente scosso e si vedeva che si sentiva terribilmente in colpa "Non ricordo molto, però ricordo una cosa: non è colpa tua. Abbiamo aspettato i rinforzi prima di intervenire, qualunque cosa io abbia fatto dopo... l'ho deciso io. Non sentirti in colpa per me" affermò Mia con un sorriso cercando di rassicurare il collega.
Ci fu un momento di silenzio imbarazzante, nessuno sapeva cosa dire e Mia avrebbe tanto voluto farsi un'altra dormita. "Non credo sia normale quello" disse Bianca, che come al solito era rimasta in silenzio fino a quel momento, indicando la macchia di sangue che si stava allargando all'altezza dell'addome di Mia. Arrivò un dottore in pochi minuti e iniziò a visitare la ragazza, facendo uscire i colleghi dalla stanza. Disse parecchie parole, ma la ragazza non prestò molta attenzione, captò solo "ferita" e "assoluto riposo". Uscì dalla camera dicendo che per qualsiasi cosa avrebbe dovuto suonare il pulsante rosso sopra il letto.
Non appena il dottore uscì dalla stanza Mia provò a chiudere gli occhi, sperando di non fare altri incubi, ma nel momento in cui appoggiò la testa sul cuscino sentì bussare alla porta. Era Lucia che aveva dimenticato la borsa, o meglio, Orlando si era dimenticato di prenderla.
Si avvicinò al letto della ragazza e le fece una carezza "Mi dispiace. Non avrei mai dovuto farti immischiare in questa situazione"
"No, Lucia, non iniziare anche tu. Facciamo un lavoro che prevede anche questo. Non è colpa di nessuno" disse Mia confusa. "L'hai sentito Bart?" chiese il capitano con aria sospetta "No" rispose secca l'altra. "Il modo in cui ti stringeva la mano sull’ambulanza... Non appena quel suo amico gli ha detto quello che stavate facendo, tu ed Emiliano, si è precipitato in caserma. Ha preparato una squadra di rinforzi in meno di dieci minuti. Sai chi altro farebbe una cosa del genere? Io per Orlando" si scambiarono uno sguardo e Mia non rispose.

Si accorse dell'assenza di Lucia solo quando il telefono iniziò a squillare e la svegliò. "Pronto?" disse lentamente, sua madre la tenne al telefono per un'ora. Voleva sapere tutto e Mia si sentiva così impotente a non ricordare. Voleva urlare e chiamare Bart "Scusa mamma, ora devo proprio andare, stanno bussando alla porta" non appena chiuse la telefonata una donna entrò nella camera seguita da un carrello con del cibo "Ora di cena" disse "ah e questa mattina è passato un bel giovanotto che chiedeva di lei. Gli ho detto che stava riposando" aggiunse con un sorriso mentre si richiudeva la porta alle spalle. Il suo primo pensiero fu Bart, sicuramente era lui. Non conosceva nessuno a Roma, ad eccezione dei suoi colleghi e non credeva che nessuno di Parma o Firenze avesse fatto tutta quella strada solo per vederla. Era sovrappensiero e quasi non si accorse del telefono che squillava ancora. Lo prese in mano e sentì lo stomaco contrarsi, fece un bel respiro profondo e premette su "accetta". Per un po' nessuno dei due disse niente, ma solo sentire il respiro regolare di Bart la faceva stare bene. "Mi dispiace" la sua voce la risvegliò da tutta quella situazione, e le sue parole le entrarono uno per una dentro la pelle, riscaldandola.
"Oh no ti prego, non ricominciare anche tu. 'Non è colpa tua'. Non faccio altro che ripeterlo da stamattina" lo sentì accennare un sorriso dall'altra parte, ma quando riprese a parlare la sua voce era dura "No. È davvero colpa mia. Se non fossi stato così imprudente, se mi fossi accorto che quello psicopatico stava dietro di me, non mi sarei fatto colpire come un coglione, tu non avresti dovuto affrontarlo da sola e non ti sarebbe successo niente. È colpa mia, e non so cosa fare per farmi perdonare" le sue parole gli uscirono come proiettili, era ferito, tra tutti loro forse lui era quello che si sentiva più in colpa. Non era colpa sua, Mia lo sapeva. "Be' potresti cominciare col venire a trovarmi quando non sto dormendo. Mi hanno detto che sei passato stamattina."
"Veramente, non… sono appena tornato a casa. Ho fatto la notte, non potevo stare qui a casa."
"Non eri qui stanotte? Mi sembra di aver visto qualcuno, pensavi fossi tu."
"No Mia, io ho lavorato. Magari mi hai sognato" disse accennando una battuta. "Già" rispose lei, ma era sicura di non aver sognato nessuno, era sicura di quello che aveva visto. "Vieni domani?"
"Certo" fece una pausa "buonanotte" Mia non rispose e attaccò.
Mille pensieri iniziarlo a frullarle in testa, il bel giovanotto era reale e anche quello che aveva visto sulla poltrona. Non poteva essere Bart e non poteva essere lui... No. Se lo impose. Non era Christian. Non era Christian.

 
aggiornato e corretto 01/03/2016
  
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