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Autore: Stay away_00    07/07/2013    2 recensioni
Ecco perchè, sul retro di un sacchetto di carta marrone,
provò a scrivere un’altra poesia,
e la intitolò “Il nulla assoluto”,
perchè i versi, in realtà, parlavano di questo.
E si diede una A,
e si tagliò i suoi dannatissimi polsi.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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*Guardò quel suo quaderno rosso ancora una volta, come se lui avesse potuto dare una risposta a tutte le domande che si stava porgendo,ma lui era un inanimato testimone di quello che accadeva, di quello che stava per accadere, testimone di tutte quelle volte in cui si era sentita sola, testimone del dolore e della rabbia che l’aveva circondata per anni, precisamente quattro anni, erano passati quattro anni dalla prima volta per cui aveva pianto per quello, quattro anni da quando aveva visto il suo mondo sgretolarsi, pezzo dopo pezzo, la sua anima cadere, la sua mente cedere, il suo spirito diventare una macchia nera e indistinta al volere di quelli che tutti chiamavano “Diavolo”.

Ormai lei pensava di aver capito cosa fosse realmente reale, ormai lei pensava di sapere cosa ci fosse dietro tutto quello, dietro Dio.

Dio, quante volte aveva pregato? Quante volte, mentre i suoi occhi erano bagnati dalle lacrime, il viso rigato e l’aria triste, aveva unito le mani e alzato lo sguardo – un po’ titubante – aveva chiuso quei suoi occhi colmi di incertezze e aveva sussurrato qualche parolina, ma Lui non aveva mai risposto, lui non l’aveva mai presa per mano e accompagnata, non l’aveva mai cullata tra le sue braccia, nessun Dio avrebbe mai permesso che un’anima tanto innocente provasse così tanto dolore, e allora cosa? Chi? Chi era l’artefice di tutto quello? Chi le faceva così tanto male? E perché lo faceva? Lei era sicura di non meritarlo, lei era sicura che sarebbe andata meglio, ne era sicura.

Erano passati tre anni dalla prima volta in cui aveva scritto su quel suo quaderno rosso:

“Non importa se sia rabbia, dolore o indifferenza; Nei miei occhi si è acceso qualcosa”.

Furono quelle le parole che la fecero stare meglio, anche solo per un attimo, anche solo per una frazione di secondo, si sentiva completamente viva, nei suoi occhi si era acceso qualcosa, aveva provato quello che bramava da troppo tempo e anche se le circostanze non erano state delle migliori, lo aveva provato ed era stato bello.

Erano passati tre anni da quando quel quaderno aveva cominciato ad essere testimone di quello che provava e aveva cominciato a pensare a lui come una specie di amico, un confidente, l’unica persona su cui poteva realmente contare, lui, il suo amico.

Era passato un anno dalla prima volta in cui aveva affondato la lametta nella sua carne e aveva visto il sangue scorrere, ricordava con una certa paura mista a piacere il colore del sangue che le colava appena lungo il polso, aveva sempre amato il colore rosso, rosso come il suo quaderno, sembrava che ogni cosa riconducesse a quel colore e in un certo senso ne era quasi contenta, credeva che la sua esistenza girasse intorno al rosso, il colore del suo sangue.

Ricordava il panico che l’aveva investita, credendo di aver fatto una stupidaggine, ricordava le lacrime che le riempirono gli occhi e il fazzoletto che premeva sulla ferita, ricordava tutto quello come il più terribile dei sogni e il più piacevole degli incubi ricordava come si fosse ripromessa che non lo avrebbe mai più fatto, ma poi ci era cascata, ancora e ancora e le sue mani lentamente si erano colorate di rosso e quasi si era sentita un’assassina.

Uccideva la sua rabbia, il suo dolore, uccideva quelle lacrime che puntualmente le rigavano il viso, non faceva altro, voleva solo sentirsi bene, per una volta e quel leggero bruciore, quel sangue, quel bruciore, che le ricordava che il suo cuore batteva ancora, che le ricordava che c’era ancora altro sangue.

Ed era passato appena un giorno da quando quel pensiero gli aveva sfiorato la mente, era successo così, quasi per caso, aveva visto quella ragazza nei bagni della scuola, il corpo cereo e il sangue, c’era così tanto sangue e in un primo momento ne era rimasta quasi affascinata, la bellezza della morte coglieva tutti, sempre.

Poi, mentre lei rimaneva ancora immobile un urlo aveva  infranto quel silenzio, quasi teatrale, aveva sentito un paio di mani che l’afferravano e che la spingevano fuori, mentre altre la circondavano ed era assalita dalle voci, così tante domande e così tante lacrime, era circondata da quello che le avevano fatto provare per gran parte della sua esistenza e non poteva che esserne compiaciuta, vedendolo negli occhi di coloro che le avevano fatto del male, non poteva che adorare quello sguardo.

E in quel momento?

In quel momento lei era li, seduta sul pavimento immacolato –tanto bianco da sembrare di affondare nella neve – della sua camera, di fronte a lei lo specchio, alla sua sinistra una lettera, in cui aveva scritto poche cose, anzi, nulla, non aveva scritto quasi nulla se non il verso di una poesia che le era piaciuta tanto.

“Ecco perchè, sul retro di un sacchetto di carta marrone,
provò a scrivere un’altra poesia,
e la intitolò “Il nulla assoluto”,
perchè i versi, in realtà, parlavano di questo.

E si diede una A,
e si tagliò i suoi dannatissimi polsi.”

Tirò su col naso, mentre sentiva il sapore salato delle lacrime sulle labbra, erano ore che ormai osservava la sua immagine, senza trovare il coraggio di fare quello che aspettava da sempre, era quello il suo segnale, era stata quella ragazza la risposta di Dio, ormai sapeva cosa doveva fare, ma era lecito avere paura.

Cosa ci sarebbe stato dopo? Cosa avrebbe fatto?

Non parlare, non pensare. Era questo che voleva e in un attimo, quella lametta affondò verticalmente per l’ultima volta nel suo braccio, aveva raggiunto il suo intento, aveva ucciso tutti i suoi demoni, aveva ucciso colei che le faceva più male di tutti.

Aveva ucciso se stessa.

   
 
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