Ed eccomi tornata!!
Mamma
mia… erano secoli che non
pubblicavo qualcosa! Bèh, questa nuova schifezza mi
è
uscita fuori abbastanza
di getto, dopo un luuuuungo periodo di fissazione con Twilight
&
co. Questa fanfiction conterà solo di due capitoli, infatti
il
prossimo sarà anche l'ultimo. Dovrei aggiornare
approssimativamente in tre giorni. Va
bèh, senza che sto qui a tediare i (pochi) lettori che
avranno
il coraggio di
entrare in questa pagina… Buona lettura (spero)!
Gea Kristh
***
Capitolo 1
Still
Bella’s POV
Aprii
gli occhi quando un suono improvviso
ruppe il silenzio. Era notte, e come tutte le notti non dormivo,
limitandomi a
giacere inerte sul grande letto della mia camera. Mia e di Edward.
Quel pensiero fugace mi fece sorridere, e se avessi potuto sono sicura
che
sarei arrossita. Potevano passare anni, decenni, ma l’effetto
che il mio angelo
mi faceva non cambiava. Sembravo sempre una bambina alla sua prima
cotta.
Mi
tirai su e scesi dal letto. La camicia da
notte che indossavo ondeggiava ad ogni passo, lambendomi piacevolmente
le
cosce; seta perlacea che scendeva morbidamente sulle mie forme.
Mi
infilai una vestaglia che giaceva su una
sedia in un angolo, poi aprii la porta e scesi le scale, fino ad
arrivare nel
grande salone di casa Cullen. Casa mia.
Edward
suonava il piano. Una melodia che riconobbi come la canzone preferita
di Esme
quasi immediatamente; la prima che gli avessi mai sentito suonare.
Cercai con
la coda dell’occhio gli altri, ma non vidi nessuno. E, oltre
alla dolce musica,
nessun altro rumore vibrava nell’aria. Una notte
pressoché immobile.
Quella
sera io e mio marito eravamo soli,
ricordai. Il resto della famiglia era a caccia, e sarebbe stata via per
l’intero fine settimana.
L’improvviso
silenzio mi riportò alla realtà.
Edward mi guardava, con quel suo sorriso sghembo che adoravo, e con un
aggraziato movimento della mano mi invitò a sedermi accanto
a lui sulla panca
del pianoforte. Un secondo dopo ero al suo fianco, in attesa di sentire
ancora
la musica invadere la mia mente. Le mani del mio angelo si mossero
agilmente
sui tasti color dell’avorio, e l’aria si
riempì di quella che riconobbi
immediatamente essere la mia ninna nanna. Sorrisi, non potei proprio
farne a
meno. L’amore che provavo per Edward non aveva
fine…
-
E così siamo soli…- iniziai dopo un
po’.
Avevo voglia di sentire la sua voce.
-
Già. Domani si parte.- non aveva smesso di
suonare mentre mi rispondeva. Se avessi avuto un cuore che batteva in
petto,
allora quello avrebbe accelerato drasticamente il ritmo.
Mugolai
qualcosa in risposta, avvicinandomi al
corpo di lui. Un braccio mi cinse la vita, attirandomi stretta. La
pelle di
Edward non mi era mai più parsa ghiacciata dopo la mia
trasformazione, eppure
continuava a farmi rabbrividire di piacere. Sorrisi ancora al pensiero
che, in
fondo, ben poco era cambiato da quando ci eravamo conosciuti.
-
Si torna a Forks infine…- un sussurro che
udii distintamente. Era vero. Erano passati sessantacinque anni, uno
più uno
meno, da quando avevamo levato le tende dal paesino in cui tutto aveva
avuto
inizio. Mi sorpresi di come il tempo era volato, di quanto brevi mi
fossero
parsi quei sei decenni e mezzo.
Ricordavo
ancora come fosse stato il giorno
prima il momento in cui i denti affilati di Ed avevano sfiorato la
pelle
fragile del mio collo, per poi affondarvi, dolorosamente. Il veleno
secreto
dalle ghiandole della sua bocca mi era entrato in circolo, dando il via
a quel
processo di cambiamento che, per tre giorni interi, mi aveva mandato in
delirio. Lo ricordavo, e, nonostante la memoria tendesse a cancellare
gli
avvenimenti del passato, rabbrividii impercettibilmente al ricordo di
tanto
dolore.
Non
ero più tornata a Forks dopo la partenza
per l’Alaska. Avevamo cambiato spesso località,
passando periodi più o meno
lunghi anche in paesi esteri, senza mai rientrare nella penisola
Olimpica.
Mi
sentivo pronta. Sapevo che avrei saputo
affrontare il mio passato, senza rimorsi.
La
musica era cessata di nuovo. Guardai Edward
negli occhi d’ambra, sorridendo allegramente.
-
Non vedo l’ora!- esclamai. Lui mi sorrise a
sua volta, poi poggiò le sue labbra sulle mie. Quando
approfondì il contatto, e
sentii la sua lingua carezzare con dolcezza la mia, ringraziai di non
poter più
andare in iperventilazione.
-
Ti amo.- fu poco più di un sussurro nelle
mie orecchie, ma abbastanza per poterlo udire distintamente. Il sorriso
sulle
mie labbra si allargò e gli gettai le braccia attorno al
collo.
-
Anche io. Da morire.-
Forks
era diversa da come la ricordavo. Più
grande, più trafficata. Non una metropoli, ma una decente
cittadina di
provincia.
Mentre
camminavo verso la scuola superiore che
per la seconda volta avrei frequentato, a partire dal terzo anno,
pensavo alle
mie vecchie conoscenze. I visi che incontravo per strada erano
sconosciuti.
Quelli nella mia memoria sbiaditi. Come se non fossi mai vissuta
davvero qui,
come se fosse stato tutto un sogno che ricordavo a tratti.
Anche
la scuola era cambiata. La struttura
dove essere stata ricostruita, poiché appariva
più nuova, e considerevolmente
più grande, di quella che ricordavo essere.
Al
nostro passaggio la gente si voltava a
guardarci, lanciando occhiate sbalordite e incredule alla nostra
bellezza.
Quegli sguardi che mi avevano messo a disagio nei primi anni, ma a cui
lentamente avevo finito per abituarmi.
Ben
presto il parcheggio fu alle nostre
spalle, e penetrammo nel cortile. Gli altri chiacchieravano tra loro
riguardo
il nuovo arredamento da dare alla casa, rimasta inutilizzata per
più di
sessant’anni, ma io prestavo poca attenzione alla
conversazione, riservandola
piuttosto a ciò che mi circondava. Gli edifici piatti e
monotoni che ricordavo
formare la struttura scolastica erano stati sostituiti da due soli
stabili a
più piani, tra i quali si trovava quella che doveva essere
la palestra.
Entrammo
nell’edificio più prossimo a noi,
cercando la segreteria. Compilammo qualche modulo, e ci venne
consegnato
l’orario delle lezioni. Che monotonia.
-
Ci vediamo dopo.- mi sussurrò Ed in un
orecchio. Gli sorrisi, scoccandogli un bacio su una guancia.
-
A dopo amore.-
Avevo
chimica in prima ora, aula 56. Guardai distrattamente la piantina della
scuola
attaccata ad un muro e mi diressi dove avevo visto la mia classe. In
quello
stesso palazzo salii due rampe di scale e attraversai qualche
corridoio. L’aula
si trovava di fronte a me. Bussai alla porta, visto che la lezione
doveva già
essere cominciata da pochi minuti, e un “avanti” mi
giunse alle orecchie. Aprii
la porta con un movimento fluido, ed entrai. Gli sguardi di una ventina
di
persone si posarono su di me. Non mi curai di quelli eccitati di
diciassettenni
con gli ormoni a mille, e nemmeno di quelli di ragazzette sconcertate e
invidiose. Mi diressi invece alla cattedra, dove un uomo sulla
cinquantina
afferrò il foglio che gli porgevo firmando con grafia
disordinata in
corrispondenza del suo nome.
-
Signorina Hale, giusto?- mi chiese mentre
aggiungeva il mio nome al suo registro. Annuii in risposta, anche se
non mi
guardava.
-
Isabella Hale…- mormorò mentre annotava la
data.
-
Prego, siediti pure dove vuoi.-
Con
un rapido sguardo valutai che l’unico
posto libero era a un banco in prima fila, accanto ad un ragazzetto un
po’
bruttino. Mi diressi senza esitazioni alla sedia, accomodandomi.
La
lezione di chimica si preannunciava noiosa.
Con un orecchio ascoltavo a ciò che il professore diceva,
rispondendo alle sue
domande rivolte a testare le mie conoscenze di tanto in tanto, ma la
mia
attenzione andava a tutt’altro. Chissà cosa stava
facendo Edward…
Per
la noia a un certo punto mi misi ad
ascoltare i discorsi dei miei compagni di corso. A quanto pareva ero
diventata
l’argomento piccante dell’ora. Due ragazzette
sedute vicine parlavano a bassa
voce del mio abbigliamento, criticando il fatto che la gonna fosse
troppo lunga,
e la maglietta poco attillata. Per una con il fisico come il mio,
assolutamente
perfetto, dicevano, quello era senza dubbio uno spreco.
D’altronde, a me la
gonna che arrivava poco più su del ginocchio e la maglia con
le maniche a tre
quarti di cotone piacevano. Non avevo bisogno di mettermi in mostra,
né lo
desideravo.
La
moda di quegli anni somigliava a quella di
una quarantina di anni prima. Maglie corte, attillate, e gonne a mezza
coscia,
o jeans scuri – neri o grigi. Non che a me interessasse
più di tanto, ma
Rosalie e Alice mi avevano dato modo di essere un’esperta nel
campo.
Nel
banco dietro al mio due ragazzi fissavano
come in trance la mia schiena. Poverini, mi facevano quasi pena. Altri
due
ragazzi, invece, poco più in là, discutevano a
bassa voce del mio di dietro. Da
sballo, a quanto ne dicevano.
-
Signorina Hale, mi sai dire i coefficienti
per bilanciare questa formula chimica?- chiese il professore. Il
silenzio
assoluto cadde nella stanza, mentre rispondevo con voce annoiata. Avevo
una
laurea in chimica.
-
Bene. Mi chiedevo che tipo di corso di
chimica avessi frequentato precedentemente.- continuò
l’uomo.
-
Frequentavo il corso avanzato.- risposi
senza particolare inflessione nella voce.
L’uomo
annuì e tornò alla spiegazione. L’ora
passò
monotonamente. Il ragazzo al mio fianco sedeva rigidamente, con mio
sommo
divertimento, e non si azzardava a girare lo sguardo di mezzo grado
dalla
faccia del professore, nonostante non gli stesse prestando un briciolo
di
attenzione. Quando suonò la campanella di fine lezione mi
alzai, raccolsi le
mie cose e controllai nell’orario che materia avessi.
Matematica. Che palle.
Odiavo quelle materie, per il semplice fatto che mi annoiavano a morte.
Dopo
aver frequentato decine di volte la scuola superiore e
l’università si
cominciava a non sopportare più di ripetere sempre le stesse
cose.
A
matematica seguirono Inglese e fisica.
Passate le prime quattro ore, mi diressi a mensa. Notai che solo Jasper
era già
arrivato. Faceva la fila per prendere un vassoio. Mi accostai a lui e,
con un
sospiro, gli domandai:
-
Allora? Come è andata?-
-
Più che altro una noia mortale. Però in
seconda ora ho avuto storia con Rosalie, e almeno abbiamo chiacchierato
un
po’.-
-
Beato te! Io invece mi sono limitata alla
noia.- Jasper mi sorrise divertito dalla mia espressione.
Intanto
vidi Emmett, Alice e Rose avvicinarsi
a noi. Tra una chiacchiera e l’altra arrivò anche
il nostro turno, e presi due
vassoi, uno per me e uno per Ed, riempiendoli di poche cose
dall’odore disgustoso.
Cibo. Un tanfo tremendo. In un angolo trovammo un tavolo libero,
abbastanza
grande per noi sei.
-
Ma è proprio necessario frequentare una
scuola?- Alice si stava lamentando della monotonia della nostra vita da
quel
punto di vista. E non aveva tutti i torti, visto che tutti noi ne
eravamo
stufi.
-
Potremmo andare a ritirarci in qualche
località esotica la prossima volta.- propose Emmett. Non
male come idea.
Un
profumo familiare mi solleticò il naso,
dolce e forte. Assolutamente irresistibile. Seppi che Edward stava
arrivando.
Mi voltai verso l’ingresso della sala con un mezzo sorriso,
in attesa, e dopo
poco lui fece il suo ingresso, in tutta la sua gloria. Gli sguardi che
l’intera
popolazione femminile di quella scuola gli rivolgeva mi davano
fastidio, ma
cercai di non badarci. Essere gelosa non serviva a nulla, purtroppo.
Lui era
assolutamente e irrimediabilmente perfetto, e potevo fin troppo bene
capire le
occhiate adoranti che gli venivano rivolte.
Quando
arrivò finalmente al nostro tavolo mi
sorrise e mi baciò su una guancia, facendomi, tanto per
cambiare, emozionare.
Si sedette osservando il vassoio tra il disgustato e
l’esasperato.
-
Scusate il ritardo, la prof di francese non
mi mollava più.- sussurrò, con voce troppo bassa
per essere udita da orecchie
umane. Gli rivolsi un mezzo sorriso divertita dalla sua espressione
infastidita.
-
Scusato. Che hai la prossima ora?-
-
Educazione fisica.- mi rispose. Battei le
mani entusiasta.
-
Andiamo insieme allora! Anche io ho
educazione fisica! –
Ed
mi sorrise, con quel sorriso che adoravo.
-
Avete idea, - cominciò, - di quante teste
avete fatto girare voi tre in questa scuola? Siete diventate il centro
delle
fantasie sessuali di ragazzini con gli ormoni sballati. –
ghignò verso Rose,
Alice e me. La mia biondissima sorella scrollò le spalle, un
mezzo sorriso
dipinto sulle labbra perfette. Alice sghignazzò tra
sé e sé, gettando
un’occhiata maliziosa a Jasper che le aveva stretto la mano
infastidito. Io
sbuffai solamente, trattenendomi dall’esprimere qualche
commento acido. Edward
mi prese la mano tra le sue, intrecciando le nostre dita. Amavo il
contatto
della mia pelle con la sua. Amavo tutto ciò che riguardava
lui, in realtà.
-
Comunque, non è per dire, ma ho sentito
addirittura le bidelle spettegolare sui vostri
fondoschiena.- Rose calcò il tono sull’aggettivo
possessivo, inviperita. Non
l’avrei mai detto prima di conoscerla bene, ma è
una tipa estremamente gelosa
del suo Emmett.
-
Tanto per cambiare.- aggiunsi io. Edward
ridacchiò e si sporse a scoccarmi un bacio sulla guancia.
Odiai il fatto che
eravamo in pubblico, e che quindi non poteva osare di più.
Regola Cullen numero
1.
-
Ci vediamo dopo.- salutammo gli altri quando
la campanella suonò, incamminandoci verso la palestra. Fuori il tempo era
discreto, almeno per gli
standard di Forks: nuvole scure a coprire il cielo, vento forte, ma
almeno
niente pioggia. Arrivammo camminando mano nella mano, tra i
pettegolezzi di
quelli che ci vedevano insieme. Per quanto ne sapevano loro, noi
avremmo dovuto
essere fratelli.
Mi
andai a cambiare nello spogliatoio
femminile, indossando una tuta non troppo pesante. Le altre ragazze
avrebbero
voluto uccidermi, avrei giurato dai loro sguardi di fuoco.
Evidentemente la
gelosia che il mio corpo causava le aveva toccate parecchio. La cosa
non mi
infastidiva più di tanto, né mi lusingava. Ero
indifferente all’opinione degli
umani.
Quando
entrai nella palestra, Edward era già
lì, un po’ distante rispetto agli altri. Mi
accostai a lui, sorridendogli.
-
Mi sto seriamente trattenendo dall’uccidere
qualcuno.- mi disse.
Lo
guardai incuriosita, non capendo a che cosa
si riferisse. Con un rapido, troppo perché gli altri
presenti lo cogliessero,
movimento del viso indicò un gruppetto di ragazzi.
-
Ti stanno mangiando con gli occhi, per non
parlare dei loro pensieri. Dio, ma quanto possono essere maniaci dei
diciassettenni?! – ridacchiai divertita dalla sua gelosia.
Avrei voluto
baciarlo, ma non era il caso, ricordando la regola Cullen al riguardo.
-
E io che dovrei dire allora?- gli domandai,
indicandogli delle ragazze che gli lanciavano occhiate ammirate e
adoranti.
-
E’ peggio quello che stanno pensando i
maschi di te, te lo assicuro.- mi sorrise.
-
Mh… solo perché sono più pervertiti in
proporzione a delle ragazze.-
-
Vero. Hanno una spiccata fantasia, bisogna
riconoscerlo.-
La
nostra discussione venne interrotta
dall’arrivo di un uomo, che si presentò a noi come
Coach McKenzie. Gli porgemmo i soliti
fogli, che lui firmò
prima di riconsegnarci.
-
Cullen, Hale! – ci richiamò dopo che avemmo
corso chiacchierando tra noi per una trentina di giri di campo. Ci
avvicinammo
a lui, che continuò:
-
Come ve la cavate con la pallavolo?-
Edward
rispose per entrambi scrollando le
spalle. Il coach gli passò una palla che lui
afferrò. Una volta che le due
squadre furono formate, io e Ed ci dirigemmo alla nostra
metà campo. Eravamo
insieme con altri due ragazzi e due ragazze. Io andai alla battuta, e
il mio
angelo si sistemò in ricezione, alla mia immediata sinistra.
Al fischio del
coach schiacciai, cercando di misurare la forza. Nonostante ce ne
avessi messa
il meno possibile, la palla schizzò velocemente, e quelli
della squadra
avversaria nemmeno provarono a prenderla. Edward ridacchiò
tra sé, e io gli
lanciai un’occhiata divertita.
Altro
fischio, altra battuta. Altro punto.
Si
andò avanti così, finché sul sette a
zero
il coach decise di farci girare comunque, perché altrimenti
non c’era partita.
Alla battuta andò una ragazzetta bassina, che
schiacciò con poca forza, riuscendo
a malapena a fare passare la palla oltre la rete. Quelli della squadra
avversaria rimadarono la palla dalla nostra parte con una schiacciata
non male,
per i loro standard, ma commisero l’errore di direzionarla
verso Edward. Lui
con un bacher la recuperò senza problemi, figuriamoci,
mandandola direttamente
tra le mani del nostro alzatore. Sotto rete l’altra ragazza
la rimandò di là, con
un palleggio piuttosto scadente e una smorfia disegnata sul viso.
Quelli della
squadra avversaria ancora una volta schiacciarono dalla nostra parte,
questa
volta verso la ragazzina alla mia destra – quella che aveva
battuto -, che con
un po’ di difficoltà recuperò la palla,
mandandola verso di me. Con un ghigno
lanciai una fulminea occhiata a Edward che, capendomi al volo, quando
gli alzai
la palla – con una certa classe, devo ammetterlo –
schiacciò facendo punto.
-
Cullen, Hale, giocavate nella squadra di
pallavolo nella vostra scuola precedente?- ci chiese il coach allibito
dalla
sua postazione accanto alla rete.
-
No.- gli risposi io. Edward scosse la testa
in segno di diniego.
-
Facevate parte di qualche altra squadra?-
-
No.-
-
Praticate qualche sport?-
-
No.- Edward si limitò a osservare il viso
del prof con un certo divertimento.
-
Avete praticato qualche sport?-
-
No.- questa volta gli risposi con tono
esasperato. Il coach non fece più domande.
Tornammo
alla partita, che alla fine vincemmo
abbastanza in fretta. Mi ero già cambiata quando
suonò la campanella.
L’ora
successiva avevo informatica, e passò
più o meno in fretta.
Finalmente
mi diressi verso il parcheggio,
verso le due macchine che avevamo usato quella mattina: una BMW e una
Mercedes.
Edward era poggiato con nonchalance alla carrozzeria grigio
metallizzata della
vettura, e mi fissava mentre camminavo verso di lui, un sorriso sghembo
sulle
labbra. Lo salutai con un bacio su una guancia, e lui mi
carezzò una spalla
con un movimento lento che mi fece quasi impazzire.
-
Pronta per tornare a casa?- mi chiese
aprendomi la portiera, da vero gentiluomo.
-
Pronta.- gli risposi sorridendo, mentre mi
sedevo al posto del passeggero. Gli altri sarebbero andati con
Edward
accese il motore e partì. Ci lasciammo
alle spalle la scuola superiore e imboccammo la strada verso casa. La
via mi
era familiare, nonostante fossero passati tanti anni.
-
Vorrei andare in alcuni posti dopo.-
esordii. Volevo andare al cimitero, e volevo andare nella mia vecchia
casa. Mi
chiesi se ci abitasse ancora qualcuno, con una fitta di dolore che
aveva ben
poco a che fare con il piano fisico.
-
Ti accompagno.-
Annuii.
Mossi la mano per accendere la radio.
Le note di Claire de Lune si diffusero nell’aria,
rilassandomi all’istante. Ci
vollero poco più di cinque minuti per arrivare a casa.
Parcheggiammo nel
garage, per poi risalire in casa. La nostra camera era esattamente come
Ed
l’aveva lasciata sessantacinque anni prima: spaziosa, con
ampie vetrate,
scaffalature su una parete, colori chiari. I mobili erano vecchi, ma
non
apparivano logori. Polverosi, certo, ma la maggior parte ancora
utilizzabili.
-
Bisogna rimboccarsi le maniche.- dissi
sorridendo. Edward annuì.
-
Ti va di fare un giro a Seattle per cercare
qualcosa?- mi chiese. Subito annuii, elettrizzata all’idea di
dover girare per
centri commerciali col mio angelo. Amavo fare shopping se
c’era lui con me.
Mi
sedetti sul vecchio letto, e una nuvoletta
di polvere si sollevò in aria. Storsi il naso. Ed si sedette
accanto a me,
abbracciandomi.
-
Sai che sono piuttosto arrabbiata?- misi su
un finto broncio, al che lui sorrise, stringendomi di più a
lui. Poggiai la
testa sulla sua spalla, sospirando. Il suo profumo mi mandava in estasi.
-
Ah sì?- mi chiese con voce bassa e
seducente. Con un dito sollevò il mio mento, fissando i suoi
occhi nei miei. Le
sue iridi color dell’onice mi mandavano brividi lungo la
spina dorsale. Smisi
inconsciamente di respirare. Si avvicinò a me, smisi quasi
di pensare.
-
Sì.- fu un sussurro così basso il mio che
dubitai che anche lui l’avesse sentito. In questo momento, se
fossi stata
umana, sarei svenuta.
-
Posso rimediare allora.-
Unì
le sue labbra con le mie, e istintivamente
gli cinsi il collo con le braccia. Mi spinse gentilmente con la schiena
sul
materasso, e non mi curai della polvere.
Baciare
Edward era una delle esperienze più
belle che avessi mai provato; seconda solo al fare l’amore
con lui, oserei
dire.
Quando
sentimmo gli altri rientrare in casa io
e Edward ce ne stavamo sdraiati sulle coperte impolverate, io supina,
con la
testa piegata da un lato, verso di lui che, accanto a me, era girato su
un
fianco, e con le dita di una mano giocherellava coi miei capelli.
Bello, bello
come solo lui era. In tutta la sua gloria, nudo, mi guardava con
espressione
tanto carica di amore da togliermi il respiro. Letteralmente parlando.
-
Dobbiamo alzarci mi sa.- dissi quando
ritrovai la voce. Lui sorrise notando che mi tremava.
-
Mi sa di sì…- sussurrò chinando il
viso sul
mio e posando un leggero bacio sulle mie labbra. Sospirai.
-
Non mi va…-
-
Nemmeno a me.- altro bacio.
-
Adesso mi alzo.- cercai più che altro di
convincere me stessa, ma non suonai sincera nemmeno alle mie orecchie.
Lui
ridacchiò, facendomi sorridere a sua volta.
-
In fondo è stata una giornata stressante, ho
tutto il diritto di volermi rilassare, no?-
Edward
rise contro i miei capelli.
-
Giusto.- disse.
-
E poi non è che abbiamo qualcosa di urgente
da fare, no?-
-
Assolutamente.-
-
E… Edward?- richiamai ancora la sua
attenzione. Sorrisi furbescamente. – Baciami.-