Mi sono buttata.
No, non da un ponte, purtroppo per voi, ma ho provato a scrivere una fun fic con
per protagonista un personaggio che non ho mai visto in azione.
Inoltre, lo stile non è
il mio, ma ne ho adottato uno completamente
diverso.
Gradirei sapere cosa ne
pensate, sia se vi fa letteralmente schifo, sia se mi volete proporre per il
Nobel alla letteratura.
Vi lascio alla
lettura.
*Marghe*
Elevator.
Robert Chase odia le 8 di
sera.
Il momento esatto in cui le persone –
quelle che hanno qualcuno da cui tornare - se ne
vanno.
Prendono le loro cose nello
spogliatoio e tornano ad essere uomini e donne stanchi, senza la minima traccia
del dottore con la cartella tra le mani.
Varcano le porte dell’ospedale con un
sospiro di sollievo, che hanno dovuto trattenere sino a quell’istante, in cui
sono finalmente usciti dal mondo parallelo in cui si trova il Princeton
Plaisboro.
Ma per lui non fa alcuna differenza,
essere dentro o fuori dal mondo parallelo. È tutto, comunque, qualcosa di etereo
ed inafferrabile. Come se la sua vita, i suoi anni, gli stessero passando
davanti come un film, la cui pellicola è leggermente rovinata, e l’immagine
sfocata.
Il bottone s’illumina, quando preme il
dito su di esso.
L’ascensore arriva qualche attimo
dopo.
Al suo interno
nessuno.
Dieci minuti dopo, nel film è
subentrato un nuovo protagonista.
I suoi contorni sono sfocati come il
resto della pellicola, ma è una donna, con dei capelli castani che le scendono
mollemente sulle spalle e l’espressione dura di chi nasconde ciò che ha dentro,
ma per quanto si sforzi non riesce mai a
cancellarlo.
L’ascensore è bloccato. Per Chase non
fa differenza. In fondo, che cosa avrebbe fatto, una volta raggiunto il piano
terra? Sarebbe andato a casa, fingendo di avere qualcuno che l’aspettava, come
tutte le persone normali.
Però, per 13 forse significa qualcosa.
Magari lei ha qualcuno, o anche solo un gatto, per il quale vale la pena
d’uscire dal mondo di vetro in cui sono rinchiusi.
Si siede per terra a gambe incrociate.
Appoggia la testa al muro, chiude gli occhi.
Nel buio distingue chiaramente la voce
di 13 che rimbomba nel poco spazio.
“È inutile, è insonorizzato” é la
prima cosa che le dice, da quando l’ha incontrata.
Forse non l’ha detto. Forse l’ha solo
pensato, perchè non viene ascoltato minimamente.
“È inutile. É
insonorizzato.”
Si siede anche lei. Lui continua a
tenere gli occhi chiusi, ma può sentire lo sguardo della ragazza che lo
fissa.
Venti minuti dopo, il silenzio ha
invaso completamente lo spazio, lo sta quasi soffocando. Gli occhi continuano ad
essere su di lui.
Gira la testa in una angolazione
dolorosa, ma resta fermo e la guarda a sua volta.
È bella. Bella e
triste.
Gli occhi felini non lo abbandonano e
sembrano animati da una sorta di curiosità apatica, in cui la ragazza vive e
Chase non ne sa il motivo.
La linea delle labbra è sottile e
netta, anche se di un rosa tenue, e spicca nel pallore del volto. Una ciocca le
è caduta sul viso ed improvvisamente sente la necessità di spostarla
delicatamente.
Resiste.
“Ciao.”
Si sente stupido. La saluta dopo 30
minuti in cui sono rimasti soli.
Però è l’unica cosa che la voce roca
riesce a dire. É come se la malinconia che lei ospita dentro di sè lo stesse
travolgendo.
“Ciao.” Decide di giocare con lui e
sembra che imiti il sussurro che lui stesso ha
usato.
I gatti l’hanno sempre affascinato.
Sono eleganti, silenziosi ed egoisti. Si muovono con una lentezza spasmodica ed
i loro occhi osservano il mondo attorno con una sorta di conoscenza
atavica.
Lei gliene ricorda uno in modo quasi
spaventoso.
Vorrebbe prendere la pila ed
illuminarle la pupilla, per vedere se si riduce ad una striscia sottile
nell’iride acquosa.
Resiste. Esattamente come
prima.
Sorride. Le pupille si
restringono.
“Devi andare a
casa?”
“No.” Scrolla le spalle. Gli occhi non
si lasciano. Sono bloccati, e lui non trova la forza per alzare lo
sguardo.
“Nemmeno
io.”
“Credevo avessi
qualcuno.”
“Anche io...non stavi con Cameron?” La
sua voce è quasi melliflua e Chase pensa quasi che sia un gioco della sua mente.
Ma le labbra si muovono e deve convincersi che deve
rispondere.
“Abbiamo chiuso. Una settimana fa.”
O meglio, lui ha chiuso, perchè non poterla avere
è doloroso, ma mai quanto sentirsi presi in giro e dover sempre fingere di non
vedere.
Annuisce impercettibilmente. I gatti
annuiscono?
Cameron improvvisamente non è più
importante. É una figura sullo sfondo della sua mente, nel posto che
fondamentalmente ha sempre occupato.
Però è più piccola ed assomiglia meno
ad un angelo che lo pugnala continuamente al cuore.
Adesso sono quegli occhi che lo
pugnalano, ma nonostante gli facciano male si rifiuta di lasciarli
stare.
“Mi dispiace.” Sembra quasi una
battuta, perchè la sua voce esprime qualcosa di completamente diverso dal
dispiacere. Ma comunque, è talmente indifferente che Chase non la riesce ad
interpretare.
“Non è un
problema.”
Lo sguardo si sposta lento e per un
attimo crede che gli stia fissando le labbra.
Ma non ha il tempo di averne la
certezza, perchè si fissa sulle porte bloccate dell’ascensore in una frazione di
secondo.
Ora può vedere il suo profilo. Ma lei
sembra totalmente assorta nella contemplazione delle porte, come se sopra vi
fosse proiettato un film. Così anche lui si volta.
Niente film, solo del
vetro.
“Come va con House?” Ricomincia lo
scambio, troppo breve per interpretare i toni, troppo lungo perchè venga
dimenticato.
“Mi sto abituando. Non è tanto
male.”
“Sei la prima persona a dire una cosa
simile.” Constata Chase. Forse dovrebbe sorridere. Improvvisamente il suo viso è
talmente pesante da non riuscire a muoverlo per creare una espressione. Resta
serio.
“Lo
immaginavo.”
“Perchè hai lasciato Cameron?” Gli
chiede con un filo impercettibile di imbarazzo nella voce. Ma ancora, non riesce
ad esserne sicuro.
“Che cosa ti dice che la ho lasciata
io?”
“Il modo in cui lo hai
detto.”
Forse è bravo a nascondere le
emozioni, ma forse lei è più brava ad
interpretarle.
Cameron...Cameron...Deve quasi sforzarsi di ricordarne il volto, perchè
le sue fattezze si fondono con quelle della donna seduta accanto a
lui.
I capelli biondi si tingono di scuro,
gli occhi si assottigliano.
Rinuncia a dipingerla nella
mente.
“Non funzionava.” Risposta semplice,
priva di significati. Più o meno come la loro
storia.
“Perchè me l’hai chiesto?” Tocca a lui
fare la domanda.
Silenzio.
Il confine su cui camminano lo sta
stufando. É come se nessuno dei due osasse mettere un piede oltre una linea
nella sabbia, per paura delle onde che si infrangono di lì a
poco.
Posa un piede sulla sabbia dall’altra
parte. Si forma una impronta.
“Sei sempre così
riservata?”
“Abbastanza. Mi sembra che lo sia
anche tu.”
“Sì. Forse sono troppo abituato a
stare da solo.”
L’altro piede si è appena posato. Non
è male come sensazione.
“Anche io...sto spesso da sola.” La
voce si abbassa, e l’ultima parola è confusa.
“Strano. Una ragazza bella come te non
dovrebbe avere problemi a trovare qualcuno.”
“Non voglio qualcuno.”
Si ritrova a desiderare di non essere
mai qualcuno, per
lei.
“Allora cosa
vuoi?”
“Una persona. Una persona simile a
me”
Anche lei ora cammina dall’altra
parte. Forse non è male nemmeno per lei, anche se sembra comporre piccoli
cerchi, come un gatto
circospetto.
“E come sei tu?” Si sente quasi un
interrogatore, con la luce bianca puntata sul viso di lei.
“Credo che sia una cosa impossibile da
dire. Sono alquanto complicata.”
“Anche io lo sono. Ma non in un modo
positivo.” Alza le braccia, le stira verso l’altro senza
fretta.
“Come sai di essere
negativo?”
“Direi perchè tutti mi danno questa
impressione.”
“Anche io te la sto
dando?”
Ecco. Gli occhi sono tornati su di
lui.
Non sa che
rispondere.
“No.” É la cosa più ovvia da dire. Ma
non sente il peso allo stomaco delle menzogne.
“Vedi...non sei negativo.” Fa un gesto
con le mani, come se stesse terminando un discorso in pubblico con una degna
affermazione.
Chase sente degli applausi pacati
nella testa.
“Grazie.”
Gli occhi azzurri cadono
sull’orologio. Sono le dieci.
Se c’era qualche speranza che qualcuno
notasse l’ascensore bloccato, è completamente sparita. Per di più sono in quello
di servizio.
Si rassegna a passare nell’abitacolo
l’interna notte, sino al momento in cui una donna delle pulizie si accorgerà
della immobilità della luce che segna a che piano è
l’ascensore.
“Perchè sembri sempre così indifferente?” La
luce bianca continua ad essere puntata su di lei.
“...”
Non risponde, abbassa il viso, sino ad
appoggiare il mento al petto.
Un rumore metallico e la luce che
illumina l’ascensore si spegne.
Il buio più completo gli entra nelle
ossa.
“Ho imparato che se non ci si fa
travolgere dalle emozioni si soffre di meno.”
La sua voce sembra staccata dal corpo,
come se a parlare fosse una entità nella sua testa, non una donna
concreta.
Annuisce, più a se stesso che a lei,
nel buio.
*
Apre gli occhi, lentamente e li
richiude immediatamente per il fastidio della bianca e sterile luce che invade
nuovamente l’ascensore.
Sente di essere appoggiato al morbido,
esattamente come quando si svegliava nel letto con
Cameron.
Solo che è ancora bloccato
nell’abitacolo ed ha sulla spalla la testa di Remy, che respira lentamente, con
gli occhi serrati.
Non ha idea di come siano finiti a
dormire in quel modo.
Poggia nuovamente la guancia sui
capelli della ragazza, senza più pensare a quanto è
sbagliato.
Ormai la linea nella sabbia è lontana
all’orizzonte ed entrambi l’hanno dimenticata.
La vedete la bellissima
scritta blu qua sotto? Cliccate grazie, perchè ho speso il mio week end scorso
su questa storia, e vedere che tremila la hanno letta ma due hanno recensito,
non mi entusiasma XD.
E una ultima informazione…Una
lettrice ha obbiettato che dentro l’ascensore non si può stare delle ore. A meno
che non sia modello quello di Budapest in cui io sono stata due ore, e dove non
c’erano prese d’aria (esperienza molto poco piacevole, accompagnata dallo sclero
di mia madre che mi urlava di stare calma XD), in quelli moderni si può stare
intere notti, poiché sono alimentati da aria fresca. O comunque facciamo finta
che quello in cui sono 13 e Chase sia fatto così, perché non li voglio far
morire soffocati ;)