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Autore: Lockheed    20/01/2008    23 recensioni
“Tonks…” mormora.
“Dove siamo?” la tua voce si spezza.
“Non lo so…” sussurra.
“Teddy…dove…”
“Non lo so…” ripete, la voce incrinata.
Ti stacchi dall’abbraccio, guardandolo negli occhi con i tuoi colmi di lacrime.
“Siamo morti, vero?”
Silenzio.
Genere: Malinconico, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altro personaggio, Andromeda Tonks, Nimphadora Tonks, Remus Lupin
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: Spoiler!
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Incontriamoci nello spazio
Potremo guardare
la Terra che sorge





Cammini lenta.
Sei circondata da un’infinità incalcolabile di puntini luminosi, che irradiano una debole luce nel buio della notte.
Vagabondi tra le stelle, sfiori le comete, accarezzi i pianeti.
Non ricordi come sei arrivata lì.
In mezzo al cielo, al centro dell’universo.
Ma hai paura, non vedi dove vai, la notte è troppo fitta, la luce troppo debole.
Senti qualcuno muoversi, vicino a te.
Geme, sommesso.
Ti allontani, con frettolosi passi all’indietro, andando a sbattere contro un meteorite che cambia traiettoria senza farti male.
Senti ancora quell’ansito.
Lo ascolti bene, cercando di focalizzare l’ombra che si sta alzando dal buio.
Lo ricordi, l’hai già visto.
Il suo profilo lo distingui e ti ricorda qualcuno, qualcuno che conoscevi bene.
Ma ora quel ricordo sembra invischiato in ragnatele appiccicose che non lo lasciano libero, imprigionandolo dentro la tua testa.
Si alza barcollando e si guarda intorno, non sei sicura che possa vederti.
“Tonks” sussurra la sua voce.
Il tuo nome.
Non te ne eri accorta, ma fino a quell’istante, avevi dimenticato il tuo nome.
Tonks. Ninfadora Tonks.
Ti guardi intorno, impaurita.
Tonks. Si, sei certa che sei tu. Ma che cos’eri? Chi eri?
Frughi in ricordi che stanno sbiadendo, cercando disperatamente di aggrapparti a qualcosa, ma le tue mani non riescono ad afferrare altro che aria inconsistente.
Tonks. Un’umana. Una strega.
Oh, certo. Una metamorfomagus.
Di colpo quello ti ritorna chiarissimo in mente.
Avevi i capelli rosa di solito, li ricordi bene, ma potevi cambiarli a tuo piacimento.
Come quelli di tuo figlio.
Figlio?
Poi, un flash.
Lupin. Matrimonio. Teddy. Guerra. Morte.
La tua vita spacca le barriere che la legavano e irrompe con la potenza di una cascata, inondandoti di emozioni, facendoti perdere l’equilibrio.
Ti appoggi a una stella, e per un istante ti stupisci che non ti bruci.
Serri gli occhi, cercando di calmarti, di riprendere in mano la situazione, facendo respiri profondi.
Apri gli occhi. L’ombra scura si sta guardando spaesata intorno. La raggiungi, affrettando i passi instabili nel buio.
Gli getti le braccia al collo e lui ti guarda, stupito.
Capisci dai suoi occhi che ci ha messo molto meno tempo di te a ricordare tutto.
Ti stringe e ti accarezza i capelli.
“Tonks…” mormora.
“Dove siamo?” la tua voce si spezza.
“Non lo so…” sussurra.
“Teddy…dove…”
“Non lo so…” ripete, la voce incrinata.
Ti stacchi dall’abbraccio, guardandolo negli occhi con i tuoi colmi di lacrime.
“Siamo morti, vero?”
Silenzio.
Un infinito attimo di silenzio.
Una stella cadente passa a pochi centimetri da voi in un bagliore argentato.
“Io…penso…penso di si” la sua voce quasi non si sente.
Leggi sulle sue labbra le ultime parole.
Ti aggrappi disperatamente a lui singhiozzando affannosamente, pensando a quel bambino che hai lasciato, a quel figlio che non avresti visto crescere, vivere, giocare, farsi male, innamorarsi, andare a scuola, ridere, scrivere, camminare.
Lupin ti accarezza piano i capelli, lacrime calde gli rigano il volto, solcando le cicatrici che la vita gli aveva donato.
Passano ere e millenni, secoli e anni, mesi e giorni, ore e minuti e secondi.
Forse solo una manciata di istanti.
Il tuo respiro si calma, gli occhi ancora arrossati.
Ti sposti e guardi Remus, che ti asciuga una lacrima con un dito.
“Remus…” provi a parlare, la voce esce flebile “…vorrei…vorrei solo vederlo un’ultima volta…”
Ti fa un sorriso storto.
“Forse ci riusciremo. Siamo nello spazio no? Allora andiamo a cercare la Terra.”
Lo guardi e nei suoi occhi brilla una speranza che si riflette anche nei tuoi.
Annuisci e lo prendi per mano, e iniziate a camminare veloci, sempre più veloci, fino a correre, affannati e ansimanti, verso quello scoglio che sapete essere la Terra.
La guardate, da lontano, i cuori che vi rombano nel petto.
Vi avvicinate, lenti, e oltrepassate la coltre di nubi senza sentire freddo gelarvi né pioggia bagnarvi, precipitate per metri vedendo i continenti ingrandirsi, le nazioni vorticare confuse e le luci della città illuminare la strada deserta.
Fermi, sul cemento della piccola stradina.
Davanti, la casa di tua madre.
Le luci sono tutte spente, tranne una, una sola, il salotto.
Tiri la mano di Remus e entrate nella casa, senza bisogno di aprire la porta, passando attraverso il muro che, semplicemente, al vostro passaggio si apre silenzioso e invisibile.
Nel salotto una donna dai cappelli neri è accasciata al suolo, gemente.
Il suo volto inondato di lacrime, gli occhi gonfi e serrati, si dondola piano, ritmicamente, continuando a sussurrare frasi sconnesse.
Lasci la mano di Lupin, che ti trattiene solo un attimo, prima che il tuo sguardo incroci il suo e lui capisca cosa vuoi fare.
Ti avvicini, piano, alla donna.
Ti chini, su di lei, portando il tuo viso all’altezza del suo.
“Dora no…non anche lei…no…no…non anche lei…”
Il sussurro di tua madre è fievole, ti asciughi le lacrime col dorso della mano.
La guardi, cercando disperatamente di darle un conforto, ma non sai come fare, non sai cosa fare.
Improvvisamente lei alza lo sguardo e tu incroci i suoi occhi.
Il suo pianto si interrompe.
Ti guarda, ma sai che non può farlo davvero, non può vederti.
Allunga una mano verso di te e tu allunghi la tua, finché le vostre dita non si sfiorano e lei sussulta.
Ritrai la mano di scatto, spaventata.
Ma tua mamma si sta asciugando le lacrime con la manica, si sta alzando. Si sistema i capelli sciolti, si ricompone il vestito.
Si incammina verso il muro, mentre tu rimani lì, seduta sul pavimento, e Remus ti guarda comprensivo.
Tua mamma si ferma, e guarda una foto.
Una foto della tua famiglia.
La prende e la stringe al cuore, sospirando, mentre le ultime lacrime silenziose le solcano il volto e un singhiozzo si spezza nel suo petto.
Ti alzi. Guardi Remus, che annuisce piano.
Andate verso le scale, le salite, lenti, un passo alla volta, un gradino dopo l’altro, attraversate il pianerottolo e vi fermate davanti alla porta.
Il muro che vi separa dalla stanza si scioglie al vostro passaggio e vi trovate in una camera grande e accogliente, con le pareti chiare e gli armadi di legno.
Nel grande letto matrimoniale al centro un fagotto sto dormendo fra le coperte rimboccate.
Gridi, sopraffatta dal dolore. Corri sulla sponda del letto e fai per gettarti sul piccolo ma le braccia forti di Remus ti bloccano e ti stringono a sé, mentre lanci un grido di disperazione che solo lui può sentire e ti divincoli scompostamente, cercando di liberarti dalla sua presa che ti stringe ancora di più.
Prendi a pugni le sue braccia, mentre guardi tuo figlio respirare lento, mentre le lacrime cadono nel vuoto e svaniscono, mentre parole di conforto ti arrivano sussurrate e incomprensibili perché il tuo dolore è troppo forte, troppo vero, troppo distruttivo per essere consolato.
“Amore basta” il suo tono è fermo e deciso, la voce, spezzata, appena udibile.
“NON VOGLIO ESSERE MORTA!” urli lottando contro la sua presa ferrea “NON VOGLIO ESSERE MORTA! HA BISOGNO DI ME!”
“Non possiamo fare niente, tesoro.”
“Perché?” sussurri accasciandoti sconfitta tra le sue braccia “Perché…perché…perché…”
La tua voce è solo un mormorio mentre singhiozzi e tiri pugni senza forza sulla spalla bagnata di lacrime di Remus.
Ti accarezza piano, stringendoti a lui e sorreggendoti.
Continui a guardare il volto di tuo figlio, quei capelli così simili ai tuoi, gli occhi chiusi che sai essere dello stesso identico colore di quelli di Remus, con le pagliuzze dorate, guardi le sue mani stringere il cuscino e vorresti solo toccarle e vedere il suo dito che si stringe al tuo.
Non riesci a fermare le lacrime, che ora scendono silenziose.
Remus appoggia la testa sulla tua e chiude gli occhi, una lacrima ti bagna i capelli.
“L’abbiamo fatto per lui” sussurra piano sopra di te.
Annuisci, lentamente.
Lo sai. Lo sapevi che sarebbe potuto succedere.
Ma adesso è troppo difficile da accettare.
Ti liberi dalla presa di tuo marito, che dopo un istante ti lascia andare.
Ti siedi sul letto, senti il materasso adattarsi al tuo corpo ma rimanere perfettamente piatto. Per una frazione di secondo pensi che sei tu che ti sei adeguata a lui.
Allunghi una mano, gli sfiori una ciocca di capelli.
E lo guardi, con uno sguardo che racchiude l’amore di un mondo intero, e vuoi che lui lo sappia, vuoi che lui lo senta, quel calore, e che non lo lasci mai, che sappia sempre che voi ci sarete e che non lo abbandonerete mai e veglierete su di lui e lo vedrete crescere anche se lui non potrà vedervi ma lo saprà, lo sentirà, che voi siete con lui e lo custodite per sempre nel suo cammino.
Avrai bisogno di tempo, lo sai.
Molto tempo.
Senti Remus prenderti per mano e ti lasci guidare.
Guardi tuo figlio un’ultima volta, prima di voltargli le spalle e attraversare il muro e tornare verso il cielo infinito.
Ma vi fermate, qualche istante, e scorgete il mondo che si sta lentamente svegliando alla luce dell’alba.
Un nuovo mondo sta nascendo.
Avete lottato e siete morti per questo.
Vedete un fiore sbocciare e una stella cadente fendere le tenebre che si stanno rischiarando.
Vedete i sorrisi stanchi di chi ha combattuto, vedete le lacrime versate per voi e per gli altri che hanno lottato e lo capite, lo sapete.
Avete fatto la cosa giusta.




Questa ce l'ho in testa da quando ho finito il settimo e dovevo scriverla per forza, me la sentivo dentro che voleva uscire.
Maledettamente triste, lo so.
  
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