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Autore: fabyoletta    07/07/2013    1 recensioni
La Dottoressa Bell, psicologa di rinomata fama a New York, pensava di aver visto e sentito di tutto durante la sua lunga carriera professionale. Di certo, non immaginava che un giorno avrebbe avuto in cura qualcuno come Elizabeth Reed: un vampiro. Tra sedute, confessioni e storie di vita vissuta, la Dottoressa verrà condotta alla scoperta del mondo parallelo dei "non morti" e dell'importante ruolo giocato al suo interno dalla giovane vampira.
Tratto dal capitolo 4
“Pregai Dio di aiutarmi. Mio padre era cattolico e ci aveva sempre costretto ad andare in chiesa. E pur non essendo mai stata una vera praticante, credevo in Nostro Signore” sospirai, chiudendo gli occhi. Rividi il volto sorridente di Micah. Percepii il sapore metallico del sangue riempirmi la bocca. Gli occhi terrorizzati del signor Carroll.
“Ma Dio, aveva altri progetti per me”.
Genere: Fantasy, Mistero, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash
Note: Lime | Avvertimenti: Tematiche delicate, Triangolo, Violenza
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LO STRANO CASO DI ELIZABETH REED

CAPITOLO 1

“Cominciamo pure. Qual è il suo nome?” mi domandò la Dottoressa Bell, pronta a prendere nota sul suo taccuino.
“A che serve? Voglio dire, conosce già il mio nome. Lungi da me interferire con le procedure mediche del caso ma …” provai ad obiettare, iniziando a gesticolare come mio solito.La Dottoressa però, mi interruppe subito con un gesto della mano. “Si calmi, faccia un bel respiro, e provi a rispondermi senza agitarsi” disse con tono melodioso e pacato. Inspirai quindi profondamente, seppur ancora palesemente sull’orlo di una crisi di nervi, per poi gettare fuori tutta l’aria immagazzinata. Era la prima volta che mi trovavo a raccontare i fatti miei a qualcuno, soprattutto dopo …
“Va meglio adesso?” chiese la Dottoressa, interrompendo i miei pensieri.
“Si, un po’” risposi sinceramente, incrociando le braccia al petto.
“Perfetto, allora possiamo continuare. Qual è il suo nome?”
“Beth, anzi no … ” mi corressi subito. “Elizabeth. Elizabeth Reed. Beth è solo un soprannome”. Seguì un minuto di silenzio, durante il quale la Dottoressa si limitò a scrivere e ad annuire.
“Molto bene. Allora, con il suo permesso, vorrei poterla chiamare Beth. E’ d’accordo?”. Che domande erano mai quelle? Cominciavo a dubitare seriamente della possibilità che questa … cosa … potesse essermi di aiuto.
“Si, certo” acconsentii, prendendo a giocherellare con un filo scucito del mio maglione.
“Bene, Beth. Vorrei che mi parlasse della sua famiglia, dei suoi genitori, se ha fratelli o sorelle” disse, facendomi sobbalzare. Sentii le mani che iniziavano a tremare e il respiro che si faceva corto. Varie immagini si sovrapposero nella mia mente, come un grosso puzzle ridotto in mille pezzi. Volti, voci, luoghi e ambienti che parevano essere di tempi lontani. Quanto era realmente passato da quando avevo perso la mia famiglia? Non ricordavo più, o forse non volevo ricordare.
“Beth, mi sente?”. La voce della Dottoressa Bell mi riportò nello studio, sottraendomi alla tempesta in corso nel mio subconscio. Scrollai la testa, passandomi le mani tra i capelli.
“Mi perdoni io … credo di non essere ancora pronta a parlarne. Forse sarebbe meglio iniziare dal presente, che ne dice?” proposi, alzandomi dal lettino sui gomiti. Lei però scosse la testa in segno di diniego, invitandomi a ristendermi. “Con calma, non c’è nessuna fretta Beth. Faccia spazio nella sua mente. So che è difficile, ma sono sicura che è forte abbastanza da recuperare quei ricordi”. Forte abbastanza? No, non lo ero affatto. Se fossi stata in grado di mettere ordine nella mia testa  non mi sarei di certo trovata su quel lettino. Mi sentivo sull’orlo di un baratro, al limite della follia. Poi però un’immagine apparve improvvisamente chiara, limpida e nitida come non mi capitava da tempo. Una bambina, dai lunghi capelli biondi raccolti in delle trecce, correva lungo il perimetro di un giardino. Indossava un abitino estivo di lino bianco, con dei laccetti rossi sulle spalle e un cappellino di paglia ornato da un nastro rosa.
“Tess” dissi piano, quasi in un sussurro. La Dottoressa percepì le mie parole, e si chinò in avanti pronta ad ascoltare il resto.
“Chi è Tess? Me ne parli Beth”.

***

Avevo cinque anni quando vedi Tess per la prima volta. Se ne stava tutta raggomitolata nella culla, con la sua bella tutina rosa pallido e i calzini bianchi ricamati a mano. Il petto le andava su e giù così velocemente da farmi sobbalzare ogni volta, temendo potesse smettere da un momento all’altro. Era veramente bellissima: la pelle candida e morbida, i pochi capelli biondi ad incorniciarle il piccolo volto. Nessuna delle mie bambole era tanto perfetta. Mancavano pochi giorni a Natale, ma la casa era del tutto priva di qualsiasi ornamento. I miei genitori non era riusciti a fare l’albero per via dell’avvicinarsi della gravidanza e delle cattive condizioni di salute della mamma. La notte in cui Tess era nata, fuori c’era una vera e propria tormenta di neve. Ricordavo bene l’ultimo abbraccio della mamma, la sua mano che mi scompigliava i capelli, le sue parole: “Noi dobbiamo andare Beth. Quando torneremo a casa sarai una sorella maggiore. Prenditi sempre cura di tua sorella”.
Papà e Tess tornarono a casa dopo qualche giorno: la mamma invece no. Era morta danda alla luce la mia piccola e perfetta sorella. Per i giorni a seguire, mio padre non si staccò mai dai lei: la tenne in braccio, le parlò, le accarezzò i capelli e le sussurrò strane filastrocche che non avevo mai sentito prima. Furono giorni tristi, dal sapore di lasagne scongelate e odore di borotalco. Eppure, sia io che papà, guardandola dormire nella culla, eravamo in grado di dimenticare ogni sofferenza e aprirci in un grosso sorriso. Crescendo, fu presto chiaro come Tess avesse ereditato la bellezza e la grazia di mia madre, mentre io l’aspetto e il temperamento di mio padre.
“Sta ferma Tess, devo farti le trecce. Non vuoi le trecce?” le dissi, pettinandole piano i boccoli biondo cenere. Lei sbuffò, sgranando i grandi occhi verde smeraldo e prendendosi il volto paffuto tra le mani, deformandolo in una smorfia. Anche in quel modo però, non riusciva ad essere brutta. Sfiancata, sbircia il mio riflesso allo specchio: avevo tredici anni, lunghi e finissimi capelli color cioccolato, occhi verdi bordati di una leggera sfumatura dorata e lentiggini su tutto il naso. Non avremmo potuto essere più diverse.
“Non vedo l’ora di andare alla festa! Sono sicura che ci divertiremo un sacco” disse saltellando sulla sedia dalla felicità. Era il compleanno di papà e zia Ruth (sua sorella) era riuscita ad organizzargli un party a sorpresa.
“Tu cosa gli hai regalato?” domandai, finendo di sistemarle i capelli. Tess si coprì la bocca con le mani, sorridendo. “E’ una sorpresa. Ma sono sicura sarà il regalo più migliore del mondo”
Le tirai una treccia, facendola piagnucolare. “Non si dice più migliore. E questo mi ricorda che non hai ancora finito i tuoi compiti per l’estate”
“Non è vero! Mi resta solo matematica e due esercizi d’inglese. Posso farli domani, dopo la festa” si giustificò, per poi alzarsi e fare una piroetta nel suo bel vestito bianco. “Piuttosto, sono abbastanza bella per papà?”
Io restai a fissarla per qualche istante, cercando di cogliere ogni singola sfumatura del volto di mia madre.
“Sei bellissima” sentenziai alla fine con un sorriso “e papà avrà occhi solo per te questa sera”.
“Lo spero bene, con tutta la fatica che hai fatto per queste trecce” rise lei, poggiandosi le piccole mani sui fianchi. Venne poi verso di me per abbracciarmi e stamparmi un bacio sulla guancia.
“Sei la sorella migliore del mondo” mi sussurrò all’orecchio, prima che i miei occhi la vedessero sparire nella luce di quel pomeriggio d’estate.

***

“Mi sembra di capire che le voglia molto bene, non è così?” mi domandò la Dottoressa Bell alla fine di quel racconto. La mia mente tornò in confusione, indecisa sulla risposta giusta da dare. Un raggio di sole filtrò dalle tendine che ricoprivano l’ampia finestra dello studio, costringendomi a coprire gli occhi con una mano.
“Si, all’epoca le volevo molto bene. Era tutto ciò che mi madre mi aveva lasciato, oltre ad una montagna di ricordi ed oggetti senza alcun valore” risposi infine, mentre l’immagine di Tess che correva felice si dissolveva lentamente.
“Ne parla al passato Beth. Ma io voglio sapere cosa prova ora”. Cosa provavo per Tess? Amore, odio, rancore, frustrazione … gelosia forse. Dentro di me c’era una tormenta di emozioni che non riuscivo a canalizzare.
“Credo” dissi dopo un lungo sospiro  “di esserne sempre stata gelosa, in qualche modo. Lei era più bella, più aggraziata, più amata. Ed io … io mi limitavo a nutrirmi delle briciole d’affetto che lei e mio padre decidevano di lasciarmi”. Era incredibile come, dopo tanti anni, fossi riuscita finalmente a formulare una frase del genere senza impazzire. Letteralmente. La Dottoressa sembrò soddisfatta, annuendo con fare compiaciuto, mentre la penna scorreva dietro il taccuino in pelle nera.
“Ma, in tutta sincerità Dottoressa, penso che avrei potuto sopportare tutto pur di vederla felice. Perché era quello che mia madre avrebbe voluto” continuai, mentre il raggio di sole che poco prima mi aveva infastidita scompariva lentamente lungo il muro. Il tramonto era ormai alle porte.
“Credo che, in qualche modo, lei si sia sentita in colpa per aver vissuto più tempo con sua madre rispetto a sua sorella. E tutto questo l’ha portata a mettere da parte se stessa per il bene della sua famiglia” sentenziò infine, guardandomi fissa negli occhi. Si, era vero. A lungo avevo cercato di essere per Tess la madre che non avrebbe mai avuto. Ma questo, non mi aveva impedito di odiarla al punto di volerla …
“Lei mi ha chiesto cosa prova ora per Tess, giusto?” domandai, mentre tra i miei ricordi iniziavano ad emergere altre immagini, questa volta più recenti e vivide. “Be, in tutta sincerità al momento, trovandomela davanti, potrei non rispondere delle mie azioni”
“Ha già fatto del male a sua sorella?” mi domandò la Dottoressa, percependo per la prima volta una leggera inquietudine nella sua voce. Forse iniziava a comprendere la pericolosità delle mie affermazioni in relazione alla mia condizione attuale. Sorrisi a denti stretti, pur sforzandomi di non essere divertita dal ricordo di quella notte.
“No, non esattamente” risposi facendo spallucce. “Ma avrei voluto. E sicuramente ci sarei riuscita se non fosse stato per Kat”.
La Dottoressa Bell mi fissò con aria interrogativa, cercando forse di comprendere come sentimenti tanto diversi potessero convivere in un unico essere. Era d’altronde ciò che a lungo avevo tentato di scoprire a mia volta. Ovviamente, senza successo. Ma ei, non ero io quella laureata in psicologia.
“Direi che per oggi possa bastare Beth” disse alla fine, chiudendo il suo taccuino sulle gambe accavallate. “Le chiedo solo di pensare, durante questa settimana, ad un avvenimento importante dalla sua adolescenza. D’accordo?”
Sollevata al pensiero che la seduta fosse finita così presto, mi alzai con un balzo dal lettino, stiracchiandomi come dopo una lunga corsa. I muscoli erano contratti ed indolenziti dallo sforzo.
“Bene” sentenziai recuperando il soprabito e la borsa dall’appendiabiti, mentre la Dottoressa mi accompagnava gentilmente alla porta.
“A giovedì Beth” mi salutò.
“Alla prossima Dottoressa Bell. Ah, posso chiederle un favore?” domandai, prima di avviarmi verso l’ascensore.
“Certo, mi dica” rispose, facendo ricadere gli occhiali da vista lungo il petto, sorretti da una catenina d’oro. Era una donna di colore piuttosto formosa, dal seno prosperoso e la vita ampia.
“Preferirei che le nostre seduta si tenessero al tramonto, se per lei non è un problema”. La Dottoressa mi fissò per qualche istante con i suoi intensi occhi neri, indecisa sulla risposta da dare. Possibile fosse … preoccupata? Iniziai a sorridere, provocandole ancora maggior turbamento.
“Oh, capisco. Be, non importa” dissi, facendole segno di dimenticare con la mano.
“E’ solo un questione di sicurezza Beth. Era nel nostro accordo” fece lei per scusarsi. A quel punto le sorrisi alzando le mani al cielo e avviandomi verso l’ascensore, non vedendo l’ora di mettere qualcosa sotto i denti. D’altronde, era pur sempre ora di cena. 

Note Autrice: Salve a tutti quelli che sono capitati qui per caso ed hanno letto questo primo capitolo. Innanzitutto grazie :) anche solo di essere arrivati fino in fondo pagina. Ovviamente commenti/recensioni/consigli sono ben graditi. Non sono una scrittrice, mi limito a mettere in parole sogni, impressioni, pensieri che ogni tanto mi affolano il cervello. Questa storia inizia piano, piuttosto sottotono direi, ma se averete tempo e voglia di scoprire insieme alla Dottoressa Bell la straordinaria avventura di Beth ... ne rimarrete sorpresi ;) - o almeno spero XD - Alla prossima!
 
  
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