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Autore: Adelhait    20/01/2008    3 recensioni
Con estrema lentezza, una ragazza mise una mano in un sacchetto di carta e ne tirò fuori pezzetti di pane, che lanciava in un laghetto. Osservava con non curanza delle piccole oche che si lanciavano a mangiare quel cibo, buttato lì per loro. Ogni giorno era così, veniva lì, a sedersi su quella panchina di legno bianco, che lentamente si disfaceva sotto lento scorrere del tempo, situata sulle sponde di quel laghetto artificiale. Veniva lì a riflettere. Sì, rifletteva sul perché lei esistesse. Sul perché l’uomo è un essere spietato, verso chi è debole.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Nuovo personaggio
Note: What if? (E se ...) | Avvertimenti: nessuno
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...Destino…

 

1°: L’incontro

 

***

Destino.

Il destino lega due persone,

Alle apparenze diverse, ma

Infondo uguali…

***

Con estrema lentezza, una ragazza mise una mano in un sacchetto di carta e ne tirò fuori pezzetti di pane, che lanciava in un laghetto.

Osservava con non curanza delle piccole oche che si lanciavano a mangiare quel cibo, buttato lì per loro.

Ogni giorno era così, veniva lì, a sedersi su quella panchina di legno bianco, che lentamente si disfaceva sotto lento scorrere del tempo, situata sulle sponde di quel laghetto artificiale.

Veniva lì a riflettere.

Sì, rifletteva sul perché lei esistesse.

Sul perché l’uomo è un essere spietato, verso chi è debole.

Scosse il capo, facendo ondeggiare i ciuffi castano chiaro della frangetta.

-Basta!-

Sussurrò.

-Basta! Pensare a queste cose inutili, ma…perché io sono qui? Per quale recondito motivo vivo?-.

Si alzò, appallottolò la busta di carta, si pulì con la mano destra il pantalone di jeans nero, pieno di briciole di pane.

Sospirò e rivolse il suo sguardo, verde scuro, verso quegli animali che finito di mangiare si allontanavano verso nuove mete.

-Provo invidia per loro, perché non hanno alcun problema…invece io…-.

Abbassò il capo e si diresse verso il cesto dell’immondizia e buttò via l’involucro di carta, prese la sua borsa ch’era poggiata sulla panchina e si avviò verso la sua casa.

Mise le mani nelle tasche della sua giacca di velluto marrone chiaro, e si incamminò verso la sua meta.

Sentiva sotto le sue scarpe da tennis scure i sassolini bianchi del selciato del parco, ogni tanto ne calciava uno.

Era un po’ nervosa, aveva perso di nuovo il lavoro, colpa del suo carattere.

Infatti, lei era un tipo con pochi peli sulla lingua, diceva sempre ciò che pensava con il rischio di irritare la gente che le stava accanto.

Ma dopotutto lei era così, schietta.

Camminava lentamente, mentre poneva lo sguardo di tanto in tanto su delle coppiette che si sbaciucchiavano sedute sulle panchine.

Scosse il capo e ridacchiò.

"Chissà forse anch’io farei la stessa cosa se mi innamorassi?…già se…".

Già lei non aveva mai amato nessuno, a parte sua madre che l’aveva lascia al mondo all’età di sette anni.

D’un tratto si fermò al centro della stradina, si picchiettò con la mano destra la fronte.

-No, mi sono dimenticata di portarle dei fiori-.

Sorrise sconsolata.

-Ma si può essere più sceme-.

Socchiuse gli occhi e tirò un profondo respiro, sentì nei propri polmoni l’aria fresca primaverile.

Li riaprì, alzò il viso e vide che il cielo si tingeva di rosso, sorrise, adorava l’imbrunire.

Ripensò alle leggende di esseri che uscivano dall’oscurità per ghermire la linfa vitale di pure fanciulle.

Ridacchiò scuotendo il capo.

-Beh, non mi sento molto pura-.

Ricominciò a camminare, quando una folata di vento gelido la fece tremare, si fermò e alzò il colletto della sua giacca.

-Che freddo…sarà meglio che mi spicci a tornare a casa-.

Chissà perché qualcosa dentro di lei cominciò ad urlare, una voce persistente che le diceva.

Scappa.

Fuggi.

Il nemico vuole la tua vita…

D’un tratto le sue gambe accelerarono il passo, gli occhi si spalancarono.

Una paura primordiale le attanagliava le viscere.

Doveva fuggire.

Doveva nascondersi, ma da cosa?

Da chi?

Strinse con la mano sinistra la fibbia della sua borsa e cominciò a correre.

A correre disperata.

Sentiva dietro di sé, qualcosa che grugniva.

"Cos’è? Cosa vuole da me?".

La tua vita.

La tua anima…

Di nuovo quella voce.

Fuggi.

Non fermarti.

Non voltarti, perché per te sarà la fine…

Chiuse gli occhi e corse nel buio, cambiò percorso lanciandosi nel piccolo boschetto.

Sentiva che i piccoli rami le ferivano il viso, il collo e le scompigliavano i capelli castano chiaro, legati in sobrio chignon.

Si fermò di botto, il suo corpo chiedeva ossigeno, si piegò leggermente in avanti e poggiò le mani sulle gambe, leggermente piegate.

-Non…c’è…la faccio…più…-.

Alzò il viso esausto e notò qualcosa che la lasciò di stucco.

-Ma…dove diavolo mi trovo?-.

Era dentro un bosco di canne di bambù verdi, che ondeggiavano ad una dolce brezza.

Restò ferma lì, per un po’ ad osservare quel lento danzare, quando un rumore di rami spezzati le fece sobbalzare.

Tremò convulsamente.

Sgranò gli occhi, sentiva dietro di sé, qualcosa che ringhiava.

Era pallida, le labbra tremavano dal terrore.

Si girò lentamente.

È la fine…morirai…

Parole funeste che dichiaravano la sua imminente dipartita.

Si girò con estrema lentezza.

Sembrava che il tempo scorresse al rallentatore, come, in un film di terzo ordine.

Eccolo lo vide, un essere ripugnante, era più alto di lei, era nudo con un semplice lembo di stoffa legato in vita a nascondere le sue intimità.

La sua pelle era scura, non riusciva a comprendere bene il colore, forse era verde scuro o nera, però poteva capire che vi era un po’ di peluria.

Ma a terrorizzarla era il viso, una bocca larga più del normale provvista di denti aguzzi, da cui usciva un rivolo di bava che cadeva sul suo petto nudo.

Gli occhi poi erano rossi e la guardavano famelica, ringhiava.

Poi le mani erano enormi e provviste di artigli capaci di dilaniare.

Voleva gridare, ma le parole erano strozzate nella gola, indietreggiò, quando un sasso la fece cadere a terra.

Indietreggiò strisciando a terra.

"No, non voglio morire".

Con le mani cercava qualcosa.

Lo trovò, un sasso che lanciò contro quell’essere.

Lo prese in pieno, ma lui non si scompose, anzi avanzò verso di lei, più affamato di prima.

Addio…

Chiuse gli occhi e girò il capo di lato, attendeva la sua imminente morte.

Tremò, ma notò che non veniva mai, anzi sentì un tonfo sordo.

Aprì lentamente gli occhi, voltò il capo e vide qualcosa che la lasciò di stucco.

-Ma cosa?-.

L’essere era terra morto, tagliato in due.

Restò a fissarlo per un po’, il sangue scuro era assorbito dal terreno.

Alzò il viso e vide qualcosa che mai aveva visto nella sua vita.

Un essere bellissimo, aveva lunghi capelli bianchi che riflettevano la poca luce di un sole morente, il suo viso pallido era attraversato da due strisce, che non riusciva a capirne bene il colore, come anche la mezza luna sulla fronte era nera?

Ma ad attrarla erano i suoi occhi dorati inespressivi, che la guardavano con sufficienza.

Era vestito con una vesta bizzarra ai suoi occhi, un kimono bianco di seta con qualche arabesque rosso, con sopra un’armatura che non aveva mai visto in nessun libro.

Abbassò leggermente il viso e notò che teneva in pugno una spada…una katana giapponese sporca di sangue.

Poi rialzò lo sguardo verso di lui, stava per parlare, quando.

-Ehi, l’hai ucciso prima tu? Ma non è giusto era la mia preda-.

Da dietro di lui era apparso un ragazzo con gli stessi capelli e occhi ma vestito di rosso e teneva in mano una spada leggermente più grande.

Quel ragazzo si avvicinò al mostro morto e lo guardò e disse.

-Però un bel colpo, non c’è che dire, ma ribadisco che dovevo ucciderlo io-.

L’altro non si scompose, disse freddamente.

-Non posso attenderti in eterno, ci metti troppo tempo ad uccidere un semplice Oni-.

Il ragazzo conficcò a terra la sua spada e incrociò le braccia al petto.

-Tzè, io mi diverto a inseguire le mie prede-.

Ma poi notò la ragazza a terra che li guardava, con curiosità.

Si avvicinò mettendo il suo viso accanto al suo, cominciò ad annusarla.

-Ehi, guarda cosa abbiamo qua, una ningen-.

-Ningen?-.

Sussurrò lei.

Il ragazzo rialzò il viso e si voltò verso l’altro, che intanto con un lembo di stoffa ripuliva la sua katana.

-Ecco perché quell’Oni correva da questa parte-.

-Già-.

Disse l’altro che buttò la stoffa, intrisa di sangue, a terra, mentre rimetteva nella sua custodia la sua spada.

-E ora che ne facciamo di questa qua?-.

Disse il ragazzo vestito di rosso, l’altro si era voltato di spalle e disse.

-Uccidila-.

Lei sbiancò, era di nuovo in pericolo, ma il ragazzo disse.

-Non possiamo, dimentichi la nostra legge-.

Lui si fermò e si voltò.

-Certo, che no-.

-Sai bene che se salvi un ningen esso ti appartiene e deve vivere alle tue dipendenze come schiavo-.

-Sì, lo so, ma non voglio che un lurido essere mi stia accanto, perciò eliminalo-.

Disse allontanandosi verso il luogo da dove era venuto.

L’altro sbuffò irritato, incrociò le braccia al petto.

-E’ sempre il solito-.

Poi si voltò verso la ragazza che non tremava più dal terrore, anzi aveva abbassato il capo, si abbassò curioso.

"Forse piange?".

-Uccidimi, dopotutto sono un lurido essere-.

Disse tristemente, il ragazzo la guardò stranito e disse.

-No, non ti ucciderò…io rispetto la legge youkai, e poi non uccido una ningen carina come te…perciò alzati tu diverrai la mia schiava-.

Lei si voltò di scatto.

-Schiava?-.

Disse leggermente irritata, lui annuì con il capo.

-No, mai-.

Urlò, lui la guardò torvo e le prese il braccio facendola alzare con forza.

-E no, mi appartieni e adesso andiamo che ho fame-.

Con forza la trascinò verso la sua dimora.

Lei si dimenava, ma lui leggermente irritato le diede un colpo dietro la nuca che la fece svenire, se la caricò sulle spalle e partì verso la sua meta…

 

Continua…

 

____________________

Rieccomi con una nuova storia, so già che ho un miliardo di storie a metà, ma questa mi ronzava da un po’, non so se vi piace, io spero di sì.

Ringrazio chi la leggerà e chi la commenterà, un bacio e a presto…

   
 
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