Serie TV > RIS Delitti imperfetti
Ricorda la storia  |      
Autore: Nike93    20/01/2008    1 recensioni
[RIS, Delitti imperfetti]Tra Fabio e Giorgia c'è stato un amore a cui è stato messo fine quando lui è stato trasferito e che sembra essere stato sepolto in fondo alla memoria di entrambi. Ma tra gli archivi del RIS di Parma torna un vecchio caso e Fabio deve tornare. La sua missione è risolvere il caso, la missione di Giorgia è ben diversa...
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Ciao! Questa storia l’ho scritta in estate, è sul telefilm “R.I.S. Delitti imperfetti” e parla dei miei due personaggi preferiti, Fabio (che purtroppo non fa più parte della squadra, sigh sigh) e Giorgia. Alcune scene sono riprese da qualche puntata, altre sono inventate da me. La storia è basata sulla canzone “Tu cosa sogni?” di Laura Pausini, le cui strofe non sono riportate in ordine.

Missioni


“Non ci credo sai
è quasi un anno ormai
lo dici sempre e poi
noi non ci vediamo mai…”

- Tenente Fabio Martinelli a rapporto, Capitano! –
- Forse dovrei essere io a chiamarti così, non credi? Bentornato, Fabio. –
E’ fatto così, Fabio. Con la sua faccia seria e compita, riesce sempre a far ridere chi lo conosce. Ad altri risulta meno simpatico.
Chissà perché, anche se lo conosco già, non mi strappa nemmeno un sorriso.
Stretta di mano a Riccardo, meglio detto Capitano Venturi, all’ex collega Davide Testi, Vincenzo de Biase e Francesca, poi arriva di fronte a me.
- Tenente Levi… - Cerca di fare il simpatico senza neanche sorridere.
- Chiamami pure Giorgia. Bentornato. – E’ già tanto che riesca a dire quell’ultima parola. Gli stringo la mano come a un nuovo collega qualunque. Riccardo non perde mai le sue vesti da Bravo Capitano.
- Beh, fatti i saluti, direi che puoi cominciare. Ti ricordi dov’è il tuo vecchio ufficio, no? –
Quanto lo invidio. Vorrei avere anch’io quegli occhi impenetrabili e quella voce distaccata, soprattutto in momenti come questo.
Fabio passa avanti per mettersi al lavoro, e nel farlo mi lancia un’occhiata indecifrabile.
E sono sicura che non è un caso.
Fabio, Fabio, Fabio… Il tuo nome monopolizza i miei pensieri da quando mi sei comparso davanti… Proprio adesso dovevi tornare? Ma no, non è questo il problema. Saresti potuto tornare un mese fa, tra due o dieci anni, e mi avresti comunque colpito come una folata di vento che confonde i miei sentimenti e li fa volare in tutte le direzioni.
“Tenente Levi”… Mi hai salutata con le stesse parole con cui mi sono presentata, più di un anno fa, quando sono entrata a far parte della vostra squadra, nel RIS di Parma.

“Tu dimmi, come stai?
E cosa hai fatto, dài?
Sei solo come me?
Ma questa sera cosa fai?
Se sei libero vorrei…”

Ti ricordi?
Avevamo una missione.
Allora c’era una persona da fermare, l’Uomo delle Bombe. E io mi ero unita a voi proprio perché lui aveva ucciso la vostra collega, Anna Giordano. Ricordo ancora le vostre facce quando Riccardo mi presentò a voi.
- Lei è Giorgia Levi, criminologa e psicologa, specializzata nell’identificazione di serial killer. Ci sarà di molto aiuto nelle indagini. – Diceva così perché lui mi conosceva già, ma voi non la pensavate allo stesso modo. Perlomeno, non all’inizio.
Per voi c’era solo Anna, Anna che era stata uccisa, Anna vittima innocente e usata solo per colpire Riccardo Venturi, Anna che si faceva voler bene da tutti, Anna che non c’era più. E nessuno l’avrebbe sostituita. Ma io non lo pretendevo, non volevo prendere il posto di nessuno.
Ricordo la tua espressione spenta quando toccò a te stringermi la mano. Tu ad Anna avevi sempre voluto un bene speciale, ed eri stato l’ultimo ad abbracciarla prima che si avviasse inconsapevolmente verso la sua fine, verso quella fontana in cui era stata nascosto l’ordigno riservato a lei.
Quanto abbiamo combattuto per quel maledetto Uomo delle Bombe.
E lo odio.
Non solo perché è un pazzo assassino, ma perché è per colpa sua se adesso sei qui. Se non fosse stato scarcerato per un motivo a noi ignoto e non potesse agire indisturbato, tu non saresti arrivato qui dal RIS di Messina, e io sarei seduta alla mia scrivania, davanti al mio computer, a cercare tranquillamente di capire chi ha rapito una bambina o chi ha ucciso una prostituta.
- Giorgia! – La voce di Riccardo, per quanto incolore, mi fa sobbalzare. – Che fai ancora qua? Tu puoi continuare a lavorare al tuo caso. Se avremo bisogno di te ti avviseremo. –
- Sì, certo. Vado. –
Come non detto. Posso farlo. Ma non con la tranquillità che vorrei.

“Tu cosa sogni?
E te lo chiedo perché
io sogno ancora di te.
Passano i giorni
Ed io mi chiedo perché
Ritorni dentro di me.”

Premo un tasto e il computer torna a vivere.
A me non è bastato premere un tasto. Eppure a te è bastato stringermi la mano per farmi andare in subbuglio lo stomaco.
Ti ricordi?
Quando lavoravamo insieme a un caso, tu stavi seduto a trafficare con il computer, con tutti quei programmi che mi hai insegnato a usare bene, e io stavo in piedi dietro di te, con una mano appoggiata sulla tua spalla.
Io me lo ricordo, sì.
Tu facevi finta di niente, io ti massaggiavo la schiena, mi dicevi di smetterla anche se ridevi sotto i baffi, poi vincevo sempre io.
Vorrei vincere questa dannata forza che mi tiene incollata alla sedia e mi impedisce di venire da te, prenderti da parte e dirti quello che dovrei… quello che vorrei.
Ti ricordi?
Quella volta che, nello spogliatoio del RIS, mi sono nascosta dietro un armadio e mi sono messa a guardarti mentre ti cambiavi, facevi scivolare una maglietta sulla tua pelle diafana e la mettevi da parte per indossarne una pulita, dopo un’estenuante giornata di lavoro. Sono rimasta lì per minuti lunghi un’eternità, ad osservarti, a percorrere con lo sguardo le tue braccia forti e pallide come i miei desideri. No, questo non puoi ricordarlo. Non ti ho mai confessato per quanto tempo rimasi lì a guardarti. So solo che a un certo punto devi avermi vista nel riflesso di uno specchio mentre cercavo di svignarmela senza farmi notare.
- Ti diverti particolarmente a spiare i colleghi negli spogliatoi o è un onore riservato a me? –
Posta da qualcun altro, questa domanda sarebbe risultata antipatica e saccente, ma tu non hai mai usato quel genere di tono con me.
Avrei potuto alzare le spalle e andarmene, invece ho fatto qualche passo verso di te e ho ribattuto con un sorrisetto:
- Solo quelli molto carini. –

“Tu di nuovo qui
a ridere così
e all’improvviso, sai
io so che ancora ti vorrei
dentro me.”

La nostra intesa speciale è cominciata da lì. A dire il vero, era da un bel po’ che covavo qualcosa. Da quel pomeriggio pazzo in cui io, tu e Davide cercammo di ricostruire la dinamica di un duplice omicidio in un albergo.
Prima Davide aveva passato dieci minuti buoni a distruggere una camera, mentre in un angolo della stanza tu tenevi in mano un cronometro e io mi chiedevo se per caso non mi avessero trasferito a un RIS di matti. Inutile spiegare al direttore che quell’esperimento ci serviva per capire quanto tempo aveva impiegato l’assassino a mettere a soqquadro la camera di una delle due vittime. Ma Davide si era divertito così tanto che pagò i danni senza una protesta, anzi lasciò pure una mancia.
Poi nell’ascensore, per ricostruire la dinamica, perché la disgrazia si era consumata lì. Davide mi disse di appoggiarmi alla parete e di metterti le braccia al collo. Le vittime si trovavano in quella posizione, poco prima di essere uccise. Tu eri abituato a quelle sceneggiate, io feci una faccia perplessa. Ma nel momento in cui eseguii l’ordine di Davide e sentii il tuo respiro caldo sul mio collo, nel freddo di quell’albergo, il mio cuore fece un salto all’indietro e capii subito che quello sarebbe stato solo l’inizio.
Ti ricordi?
Io sì.
E quella volta che avevate creduto di aver finalmente stanato l’Uomo delle Bombe, poco dopo la morte di Anna? Mi prendesti per una paranoica perché io continuavo a dire che quello non poteva essere il colpevole. E poi la ferita per la morte della vostra collega e amica era ancora aperta e sanguinante. Eravate accecati dalla rabbia, dalla voglia matta di rinchiudere dietro le sbarre quell’assassino.
- Fabio, almeno tu ascoltami! Nessuno mi dà retta! –
- E ci credo! Non capisco cosa ti possa far credere che ci siamo sbagliati! –
- Non ti ricordi cosa diceva il profilo che abbiamo tracciato per l’Uomo delle Bombe? Una persona impulsiva, rabbiosa, una miccia che può esplodere alla minima incitazione. L’uomo che avete arrestato è un debole, un sottomesso. Non lo vedi? Praticamente non reagisce! –
La mia laurea in psicologia non bastava a convincerti.
- Giorgia, abbiamo impronte, messaggi e persino foto! O è lui, o è lui! –
Poi saltò fuori che il presunto colpevole aveva un gemello di cui ignorava l’esistenza, ed era lui il vero una bomber.
Roba da film. Ma finalmente ero riuscita a conquistare un po’ della vostra fiducia.
- E così alla fine avevi ragione tu. –
- Non dirlo con quel tono. Non faccio questo lavoro per niente. –
Scuotesti la testa, sorridesti e finì lì.
Ti ricordi? Io… eccome, se me lo ricordo.

“Passano i giorni
ma i sogni grandi, lo sai
in noi non muoiono mai,
come le nuvole
ritornano prima o poi.”

Te lo richiederò un’ultima volta.
Ti ricordi che i primi tempi erano stati difficili? Tu eri impegnato in una causa delicata che riguardava tuo padre, ed eri deciso a fare tutto da solo. Non volevi l’aiuto di nessuno. Men che meno il mio. Ero arrivata da poco, figuriamoci se mi avessi parlato di una cosa talmente importante.
Il Capitano Venturi non si era nemmeno accorto del tuo impegno in quel caso, preso com’era dall’Uomo delle Bombe, il suo incubo. Anzi, spesso ti dava addosso perché non ti vedeva più concentrato e diligente nelle indagini, come ti voleva lui.
E tu sei sempre stato sensibile, ma così irascibile… Forse proprio perché sei troppo sensibile. E allora un giorno non ce l’hai fatta più e gli hai sbattuta in faccia quello che pensavi di lui.
Che non guardava mai in faccia i suoi colleghi, perché era talmente chiuso nel suo mondo da accorgersi a malapena che anche voi avete una vita. Infatti, quando gli arrivò la notizia del caso di tuo padre, rimase allibito. Perché non aveva capito.
Io, allora, tutte queste cose non le sapevo, perché ci parlavamo poco e niente. Ma adesso… chi se le scorda?
Quindi gli dicesti tutto e ti liberasti, almeno in parte, di un peso. Riccardo non reagì, come al suo solito. Ma tu avevi ricevuto da poco un’offerta di trasferimento al RIS di Messina. Non ti interessava il fatto che saresti diventato Capitano, volevi solo andartene.
E accettasti.
Ma si sa, per queste cose ci vuole tempo. E ne passò abbastanza perché io e te imparassimo a conoscerci, a volerci bene, e poi ad amarci.
Me ne parlasti troppo tardi perché qualcosa potesse cambiare. Ormai la tua firma era lì, avevi detto sì e non potevi rimangiartelo.
Avrei voluto sentirmelo dire io, quel sì, quando ti chiesi di rimanere con me.
Ti ricordi?
- Giorgia! –
I fogli e la penna mi scappano di mano e si sparpagliano sul pavimento.
- Sì?! –
- Ma che fai? Sono venti minuti che ti chiamiamo. –
Fabio, sei il solito esagerato, vorrei dirti. Ma sorrido. E il sorriso mi viene spontaneo.
- Dammi ancora un minuto. Arrivo subito. –
Scuoti la testa, sorridi e chiudi la porta, fiducioso.
Dovrei sentirmi colpevole per aver impiegato così il mio tempo. E perché? L’ho impiegato bene, no? Dopotutto per il mio caso c’è sempre tempo. Il morto ormai c’è stato.
Percorro con lo sguardo le righe che ho impresso su questi fogli di carta.
Cos’è? Una lettera? Un pezzo di diario? Un viaggio nel passato?
Non lo so. Ma sono certa di una cosa: quando avremo finito di lavorare, ti darò questi fogli con la mia firma in fondo. Ma ho fatto talmente tanta confusione che devo per forza mettere un titolo che racchiuda il contenuto di questa specie di poema!
Potrei intitolarlo “Ti ricordi?”, perché te l’ho chiesto così tante volte, tra le righe!
E invece no. So cosa scrivere.
Scarabocchio una sola parola in cima alla prima pagina.

Missioni.
Sei tornato qui per una missione importante, no?
Ma adesso io ne ho un’altra da portare a termine, e non sarà così complicato come credevo.
Devo dirti a voce tutto quello che ho scritto qui. Magari riassumendo un po’, perché ho scritto veramente tanto.
Devo riuscire a guardarti negli occhi e dirti che ti amo ancora.
E devo ammettere a me stessa che Parma e Messina non sono poi così lontane.
Quest’ultima è una questione d’orgoglio.
E forse è la più difficile proprio per questo, perché in fondo non ci vuole niente a dirti quelle due parole che ho ripetuto così tante volte.

“Tu dimmi che porterai
almeno un sogno negli occhi tuoi.
Tu cosa sogni?
Mi sogni ancora nei sogni tuoi?
Vuoi raccontarmi che sogni fai?
Passano i giorni,
sogno che ci sei
e torni nei sogni.
Tu nei miei sogni ci sei, lo sai.
E torni nei sogni.
Vorrei incontrarti nei miei.
Tu cosa sogni?
Mi sogni ancora nei sogni tuoi?
Tu nei miei sogni ci sei, lo sai.”

(L. Pausini, “Tu cosa sogni?”)

  
Leggi le 1 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > RIS Delitti imperfetti / Vai alla pagina dell'autore: Nike93